CORSINI, Piero
Nato il 1° giugno 1441 da Bertoldo di Gherardo, fu come il padre, e forse più di lui, uno dei più fidati esponenti del "reggimento" mediceo. Priore per il novembre-dicembre 1474, lo incontriamo l'anno successivo tra gli Otto di guardia e balia, una delle magistrature significative riservate al ceto dirigente favorevole a Lorenzo, come del resto avveniva per altri membri della sua famiglia a lui contemporanei, come Giovanni di Corsino di Iacopo, suo padre Bertoldo, il fratello Luca. Nel 1478, durante la congiura dei Pazzi, il C., impegnato attivamente tra i sostenitori di Lorenzo, si fece, secondo il Passerini "capo di una plebe tumultuante, la guidò alle case dei cospiratori e trattone Francesco Pazzi seminudo e malvivo lo trascinò al palazzo della Signoria ove fu immediatamente appiccato" (p. 103). In seguito al degenerare delle manifestazioni popolari in atti di saccheggio il C., a capo di un manipolo di armati si fece responsabile di una sorta di servizio d'ordine volto a proteggere le abitazioni di ricchi e pacifici cittadini verso i quali si dirigevano, come sospetti nella cospirazione, le intenzioni di rapina "di molta plebe guidata da Piero Vespucci, uomo turbolento e rapace" (ibid.). Debellata l'opposizione, Lorenzo riprese il controllo della vita pubblica fiorentina: nella Balia del 1480, con la quale si giunse alla creazione del Consiglio dei settanta, troviamo il nome del C. insieme a quello del padre - che di quel Consiglio era stato chiamato a far parte - tra gli arroti per il quartiere di S. Spirito. In quell'anno il C. iniziò la sua attività nelle magistrature estrinseche; partì infatti alla volta di Poppi per esercitare in quel castello il vicariato sul Casentino. Egli doveva essere senza dubbio uno degli uomini di fiducia di Lorenzo, se nel 1484 ospitò segretamente in casa sua, per ordine del Magnifico, un gruppetto di una più vasta "intelligentia" in occasione dello squittino per l'elezione del capitano e podestà di Pisa; il fine della riunione era quello di riuscire ad ottenere, attraverso l'accordo di un centinaio di persone del gruppo degli squittinanti, il controllo dell'elezione in modo tale che i risultati fossero nel senso più gradito a Lorenzo. Nel 1487 il C. era chiamato a far parte degli accoppiatori e l'anno successivo entrò nel Consiglio dei settanta. Due anni dopo, venne inviato a Lucca per risolvere una delicata questione di cui ci è rimasta testimonianza nelle Ricordanze di Tribaldo de' Rossi: "A dì 4 di giugno 1490 andò Piero Chorsini cioè Piero di Bertoldo ambasciatore a Lucha per uno ischandalo nato là", annota il cronista, "dicendosi per el popolo qui che dicievano avere preso da dieci persone che facievano uno tradimento per dare la terra a noi, e arreconsolo da noi, o vero o bugia che fussi, e che Lorenzo de' Medici usava loro questo tradimento chosì grande tutti dicono e' chavalari qui in Firenze a molte persone che di pochi dì innanzi s'era ischoperto lo detto tratato, non erano huomini di là di tropa chondizione e là detti dì v'amazoron quattro tra mozar la testa e inpichare per detto chaso". Il C. convinse i Lucchesi, per i quali era giocoforza accettare questa spiegazione, che Lorenzo era estraneo alla vicenda. Nel 1491 sedeva tra i Signori come gonfaloniere di Giustizia. In quello stesso anno fu pure inviato a governare terre soggette esercitando le funzioni di vicario per Scarperia ed il Mugello. Nell'anno della morte di Lorenzo il C. fu chiamato alla magistratura degli Otto di guardia.
L'avvento al potere di Piero de' Medici, che sprovvisto delle capacità del padre e del nonno, avrebbe presto scontentato un buon numero di "cittadini principali", non modificò la posizione del C., che nel 1493 fu chiamato al Collegio dei dodici buonuomini ed inviato a Lucca da Piero, che temeva defezioni nella città in occasione dell'avvicinarsi dell'esercito di Carlo VIII di Francia. Quando, il 26 ott. 1496 il Medici, recatosi al campo francese, cedette al sovrano alcune tra le più importanti roccaforti fiorentine, l'indignazione suscitata in città dall'avvenimento fu condivisa anche dai più tradizionali sostenitori del regime mediceo. Nel novembre una parte della Signoria insorse infatti contro Piero. Anche se le cose non andarono come vuole il Mecatti - secondo il quale fu il C., come uno dei Priori, a proibire a Piero ed alla sua scorta armata "l'ingresso in palagio" - sta di fatto che alcuni Corsini più vicini al C. - in particolare il fratello Luca ed il cognato Iacopo di Tanai dei Nerli - assunsero il compito di guidare l'opposizione. Il giorno successivo alla fuga di Piero, la Signoria convocò una larga commissione di cittadini, la "Pratica", che di lì a poco avrebbe dato vita al Consiglio maggiore. Nell'ambito del riassetto costituzionale col quale si abolirono i Consigli medicei - pur non variando di molto la composizione sociale delle nuove assemblee e dei nuovi organi di governo -, il C. venne chiamato, il 3 dic. 1494, alla nuova magistratura preposta alla guerra, i Dieci di libertà e pace. Piero, esule, si appoggiava al re francese nella speranza di riceverne aiuto per rientrare in Firenze; in questo senso si esprimeva in una lettera che inviò al C., forse nel tentativo, come vuole il Perrens, di metterlo in discredito presso i concittadini. Sta di fatto, però, che a partire da questo periodo il C. divenne un personaggio di primo piano negli affari militari dei Fiorentini.
Inviato come commissario generale dell'esercito per la sottomissione della ribelle Montepulciano, il C. ammalatosi a causa dei disagi della campagna, non poté portare a compimento l'impresa; dopo un breve soggiorno a Firenze nel 1495, partiva nuovamente, nel giugno, con le stesse funzioni per il campo posto sotto Pisa, dove diresse i reparti incaricati di "dare il guasto" al contado di quella città. Condottosi in questa circostanza, a detta del Passerini, con singolare umanità, venne richiamato in patria nell'agosto; nel dicembre, nominato commissario generale dei vicariati di Mugello, Firenzuola e Casentino, partiva nuovamente da Firenze per sedare i disordini che, scoppiati in quelle località, minacciavano di compromettere il delicato apparato militare della Repubblica. Ne tornava poco dopo per assumere, il 20 genn. 1496, l'incarico di commissario nella guerra contro Pisa col mandato particolare di provvedere alle fortificazioni del porto di Livorno. Nel dicembre venne nuovamente tratto alla magistratura dei Dieci di pace e libertà. Nell'agosto del 1497, essendo stata scoperta la congiura filomedicea di Bernardo del Nero, il C. fu uno dei cittadini deputati ad affiancare gli Otto di pratica per l'indagine sulla vicenda.
Giungevano frattanto a maturazione gli eventi che avrebbero portato nell'aprile del 1498 all'arresto ed alla condanna del Savonarola; il C., che condivideva la linea politica promossa dai "compagnacci", fu, insieme con Iacopo e Benedetto de' Nerli e con Alfonso Strozzi, alla testa dei soldati spediti dalla Signoria l'8 di quel mese ad eseguire l'arresto di fra' Girolamo. Sempre nell'aprile venne inviato in Umbria per una mediazione tra il duca di Urbino ed i Baglioni di Perugia. Al ritorno da questa missione di pace, il C. riprese in pieno le sue attività di commissario di guerra; fu infatti inviato in questa veste in Mugello nel settembre, per contrastare le truppe veneziane che giungevano in soccorso di Pisa dalla valle del Lamone. Riuscita felicemente l'impresa, il C. fu destinato dai Dieci di libertà e pace, quale commissario nel Casentino dove, nonostante il tradimento di Bibbiena, riuscì ad arginare anche lì l'esercito veneziano. In questa occasione sarebbe stato incaricato dalla Signoria di prendere accordi con Piero e Giuliano de' Medici per un abboccamento che in realtà doveva servire a mascherare un tentativo di impossessarsi dei due eminenti, personaggi. Il C. avrebbe rifiutato, secondo il Passerini, e "preferì la disubbidienza al tradimento".
Si giunse frattanto alla pace con Venezia, in virtù della quale fu possibile concentrare le risorse militari della Repubblica contro Pisa. Nel quadro di questa strategia, il C. fu inviato a Città di Castello per promuovere una pacificazione tra Paolo Vitelli e Ranuccio da Marsciano. Eletto quindi commissario generale per la guerra, partecipò alle operazioni che portarono alla riconquista di Cascina, di Torre di Foce e del bastione di Stagno. Compiuto in tal modo l'accerchiamento della città, egli sostenne la necessità di un attacco immediato, ma non poté attuarlo per le dilazioni e pretesti addotti dal Vitelli. La natura malsana di quella zona paludosa, unita ai disagi della campagna, lo fecero cadere vittima di una malattia che di lì a poco lo avrebbe portato alla morte, avvenuta in Firenze il 25 ag. 1499. Onorate dalla Signoria con funerali solenni le spoglie del C. furono inumate nel secondo chiostro di S. Spirito, dove riposavano anche quelle dei suoi antenati. Uomo di buona volontà ma ritenuto un mediocre dai suoi concittadini, del C. e della sua attività pubblica un giudizio calzante usciva dalla penna di Francesco Guicciardini, che nelle sue Storie fiorentine, commentando la defezione dai pubblici incarichi da parte dei migliori cittadini concludeva: "Da qui procedeva che uno Piero Corsini, uno Guglielmo de' Pazzi erano tutti di mandati commesari, perché non volendo andare gli uomini savi e di riputazione bisognava ricorrere a quegli che andavano volentieri".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Dieci di Balia, Carteggi, Missive, Istruzioni a oratori, XI,XXXIV, XXXV,XXXVI, XXXIX, XL, XLI-XLVI, LXII, LXIII-LXVII, LXVIII; Ibid., Dieci di Balia, Carteggi, Missive, Relazioni di ambasciatori, XXXIX, XL, XLI, XLII, XLVIXLVIII, LXII; Ibid., Signori, Carteggi, Missive, Legazioni e commissarie. Istruzioni a oratori, XXI; Firenze, Bibl. nazionale, Fondo Magliabechiano XXV, 636, c. 8v; T. De' Rossi, Ricordanze, in Delizie degli eruditi toscani, XXII,Firenze 1786, p. 253; G. Cambi, Libro d'istorie, ibid., XX, ibid. 1785, p. 417; XXI, ibid. 1785, pp. 7, 59, 85, 107; F. Guicciardini, Storie fiorentine. in Opere, a cura di V. De Caprariis, Napoli 1953, pp. 209, 217; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane e umbre, Fienze 1672, 111, p. 166; G. M. Mecatti, Storia cronologica della città di Firenze, Napoli 1755, II, pp. 473, 476; Ildefonso di San Luigi, Istoria geneal. della nobilissima famiglia dei Morelli di Firenze, in Delizie degli eruditi tosc., XIX,Firenze 1785, p. CLXX; L. Passerini, Geneal. e storia della famiglia Corsini, Firenze 1858, pp. 103-111; F. T. Perrens, Histoire de Florence jusqu'à la chute de la république (1434-1531), Paris 1888, III, pp. 202, 371, 404; G. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, I, p. 332; D. Weinstein, Savonarola e Firenze. Profezia e particolarismo nel Rinascimento, Bologna 1970, p. 31, n. 32; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1343-1494), Firenze 1971, pp. 369, 379.