MEDICI, Piero
de’. – Nacque a Firenze il 15 febbr. 1472 da Lorenzo il Magnifico e da Clarice Orsini.
Si prestò grande cura all’educazione che avrebbe ricevuto il M., destinato a raccogliere dal padre l’eredità del governo di Firenze. Il Magnifico scelse come suo precettore Angelo Ambrogini (il Poliziano), che gli insegnò greco e latino; nel 1479, a causa dei dissidi con la Orsini che avanzava riserve sulla formazione da impartire ai figli e sulla personalità stessa di Poliziano, questi fu sostituito da Bernardo Michelozzi, fratello del cancelliere mediceo Niccolò.
All’età di dieci anni il M. iniziò la sua istruzione politica: è di quel periodo la prima di diverse lettere scritte di sua mano per conto del padre Lorenzo.
Il battesimo politico del M. avvenne alla fine del 1484, quando fece parte dell’ambasciata fiorentina inviata a Roma per congratularsi con il nuovo pontefice, Innocenzo VIII Cibo.
Suoi compagni furono Francesco Soderini, Antonio Canigiani, Bartolomeo Scala, Guidantonio Vespucci, Agnolo Niccolini e Giovanni Tornabuoni. Quest’ultimo fu incaricato di presentare al M. gli amici e i parenti romani dei Medici. Partiti da Firenze il 27 novembre, gli oratori giunsero a Roma l’8 dicembre e prestarono il giuramento di obbedienza una settimana dopo.
Pochi mesi dopo, sotto l’attenta sorveglianza di Niccolò Michelozzi, accolse in città Giovanni Bentivoglio in sostituzione di Lorenzo, temporaneamente assente. Dalla corrispondenza di Lorenzo emerge la preoccupazione che il M. non fosse all’altezza del suo ruolo e facesse mostra di eccessiva ostentazione: in particolare si rimproverava al M. l’abbigliamento troppo lussuoso.
Ben presto Lorenzo si adoperò per trovargli una moglie di rango adeguato. La prescelta fu Alfonsina Orsini, figlia del defunto conte Roberto e di Caterina Sanseverino, che il tutore della giovane, il condottiero Virginio Orsini, aveva proposto al Magnifico.
Nel giugno 1486 Francesco Gaddi fu incaricato di discutere della questione con Orsini, ma l’inviato mediceo non riuscì a portare a termine la missione per ragioni di salute. Lorenzo chiese allora al cognato Bernardo Rucellai di parlare con Orsini a Roma, durante una tappa del viaggio che lo avrebbe condotto a Napoli come ambasciatore fiorentino, ma Rucellai non ebbe maggiore fortuna. Proprio a Napoli furono concluse le trattative con il consenso del re Ferdinando I d’Aragona: deputati al negoziato furono Baccio Ugolini e Diomede Carafa, mentre Sforza Bettini fu probabilmente incaricato di discutere con il tutore di Alfonsina. Le nozze per procura furono celebrate a Napoli il 25 febbr. 1487 nella sala grande di Castel Nuovo: il M. era rappresentato dallo zio Bernardo Rucellai e la sposa da Virginio Orsini e da altri congiunti. Il matrimonio vero e proprio ebbe luogo a Bracciano nel maggio 1488. Dall’unione nacquero Clarice nel settembre 1489; Lorenzo, futuro duca di Urbino, nel settembre 1492; Luisa nel febbraio 1494; dai registri battesimali fiorentini risulta anche un’altra figlia del M., Maria, nata nel febbraio 1492, molto probabilmente illegittima.
Il M. continuò a sostituire il padre in alcune occasioni ufficiali: all’inizio del settembre 1487 accolse a Firenze Giuliano Della Rovere e Gian Giacomo Trivulzio durante il loro viaggio verso Milano. Nel novembre successivo accompagnò la sorella Maddalena a Roma in occasione del matrimonio della giovane con Francesco (Franceschetto) Cibo: in questa circostanza, in cui mancò l’incontro con la moglie Alfonsina, il M., insieme con l’ambasciatore fiorentino Giovanni Lanfredini e con il prozio Giovanni Tornabuoni, fece visita a diversi cardinali, proseguendo così la sua iniziazione alla scena politica italiana. Nel giugno 1488, malgrado la malattia della madre che ne aveva affrettato il ritorno da Roma, si recò a Cortona per accogliere il cognato Franceschetto Cibo, che all’ultimo momento decise di transitare da Siena mancando l’incontro. All’inizio del 1489 il M. si recò a Milano per le nozze del duca Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona.
Alla morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta l’8 apr. 1492, il M. gli successe nelle cariche da lui detenute e al comando del ceto dirigente fiorentino: in particolare fu nominato accoppiatore e inserito nel Consiglio dei settanta. Il 7 novembre fece parte dell’ambasciata fiorentina diretta a Roma per giurare obbedienza al nuovo pontefice, Alessandro VI: suoi compagni furono Gentile Becchi, Puccio Pucci, Pier Filippo Pandolfini, Francesco Valori e Tommaso Minerbetti. Durante la missione avrebbe dovuto guadagnare per i Medici l’amicizia del nuovo papa, tentando di fargli dimenticare l’appoggio dato durante il conclave al cardinale Giuliano Della Rovere. Per rafforzare il legame con Alessandro VI, nel 1493 il M. intavolò trattative per fare sposare il fratello Giuliano prima con Lucrezia Borgia e poi con Laura Orsini, imparentata con i Borgia tramite la nonna paterna Adriana Mila: entrambe le proposte non ebbero però seguito.
Per il governo di Firenze il M. si appoggiò ad alcuni uomini che dipendevano totalmente da lui, provocando così l’inimicizia della maggior parte degli ottimati. L’esempio più clamoroso di questo conflitto è rappresentato dalla presunta congiura ordita dagli stessi cugini del M., Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, in realtà colpevoli di avere accolto con grande pompa il vescovo di Saint-Malo, Guillaume Briçonnet, di passaggio a Firenze. Il 26 apr. 1494 Lorenzo e Giovanni furono imprigionati nel palazzo della Signoria; il 14 maggio furono banditi da Firenze insieme con altri due cugini del M., Cosimo Rucellai e Francesco Soderini. La crisi culminò con gli avvenimenti dell’autunno 1494. Fino a quel momento il M. aveva appoggiato il sovrano napoletano Alfonso II d’Aragona, nonostante il parere contrario di gran parte del ceto dirigente fiorentino. Il suo atteggiamento mutò in occasione della spedizione del re di Francia Carlo VIII, che volle incontrare personalmente. Il 26 ottobre, accompagnato da Lorenzo Tornabuoni e Giannozzo Pucci, si recò infatti a Sarzana, dove, pur non avendo alcun incarico istituzionale ufficiale, negoziò con il sovrano l’incolumità di Firenze in cambio della cessione di Sarzana, Sarzanello, Pietrasanta, Pisa e Livorno. Rientrato a Firenze, venne sconfessato dalla Signoria. Pensò quindi di tentare un colpo di mano sostenuto dai soldati di Paolo Orsini, ma ai primi segnali di una rivolta popolare decise di fuggire dalla città (9 nov. 1494). Il M. si rifugiò prima a Bologna e poi a Venezia. Un mese dopo fu confinato ad almeno 100 miglia da Firenze; il 25 sett. 1495 fu messa una taglia sulla sua testa, rinnovata in più occasioni negli anni successivi. Il M. passò parte dell’esilio a Venezia e alla Repubblica si rivolse in cerca di aiuto, coadiuvato durante le sue assenze da Piero Dovizi da Bibbiena, suo rappresentante. Negli anni successivi la Serenissima appoggiò a più riprese i tentativi dei Medici di riprendere Firenze con la condizione di garantire l’indipendenza a Pisa, allora sottoposta all’assedio delle truppe fiorentine.
Nel tentativo di spingere Carlo VIII ad aiutarlo, il M. lo raggiunse a Viterbo nel dicembre 1494, ma ben presto capì che non avrebbe ottenuto nulla da lui. Negli anni successivi cercò a più riprese di rientrare in città, dove poteva contare sull’appoggio di alcuni sostenitori, che tramavano per favorirlo. Così nel maggio 1495 due figli di Giovanni Dell’Antella confessarono di aver complottato per rimettere il M. al potere. Pochi mesi dopo a Firenze corse voce che il M. avesse progettato l’assassinio di alcuni suoi oppositori: in particolare si fecero i nomi di Girolamo Martelli, Iacopo Nerli, Guglielmo de’ Pazzi e Alfonso Strozzi. Alla fine del 1495 il M. fu sul punto di essere catturato a Cortona mentre cercava, probabilmente, di dirigersi verso Firenze; effettuò un ulteriore, infruttuoso, tentativo l’anno successivo con l’aiuto di Virginio Orsini. In quel periodo si mosse fra Siena, il Perugino e Roma, tentando di entrare in possesso di qualche località per farne una testa di ponte. Nel corso del 1496 il governo fiorentino scoprì in effetti congiure miranti a cedere al M. alcuni luoghi del Dominio, in particolare Montecatini e Bucine. Nel 1497 fu messo in atto il tentativo più pericoloso, allorché alla fine di febbraio fu eletto gonfaloniere di Giustizia Bernardo Del Nero, un partigiano della famiglia Medici. Pur non potendo contare sull’appoggio di Venezia, il M. decise di sfruttare l’occasione. Confidando nell’amicizia che lo legava ai Petrucci e promettendo loro la cessione di Ponte a Valiano, ottenne il sostegno della Repubblica di Siena, dove si recò il 23 apr. 1497 per mettere a punto i dettagli dell’accordo. Quattro giorni dopo partì per Firenze con un contingente di 500 fanti e 600 cavalli posti sotto la guida di Bartolomeo d’Alviano. Il governo fiorentino, avvertito dell’approssimarsi del M., rafforzò le difese. Il M. decise quindi di rinunciare all’impresa, mentre Bartolomeo d’Alviano dirottò i soldati verso Todi. Il 5 agosto fu catturato a Firenze Lamberto Dell’Antella e, grazie alla sua confessione, cinque cittadini filomedicei, ritenuti colpevoli di alto tradimento, furono giustiziati il 21 agosto: si trattava di Giovanni Cambi, Bernardo Del Nero, Giannozzo Pucci, Niccolò Ridolfi e Lorenzo Tornabuoni. Anche in seguito continuarono le condanne a morte o all’esilio dei sostenitori del M. scoperti a complottare in suo favore. Nel frattempo cambiarono anche le relazioni con Siena. Infatti il M. inviò a Siena Antonio Dovizi da Bibbiena con il compito di ostacolare le trattative fra la città che fino a quel momento lo aveva appoggiato, e Firenze. Anche Venezia intervenne, promettendo di lasciare a Siena via libera nella Val di Chiana in cambio dell’appoggio al M., ma la Repubblica firmò la tregua con Firenze nel settembre del 1498. Poco dopo il M. raggiunse l’accampamento veneziano in Mugello, a Marradi, che spostò in Casentino senza ottenere però risultati militari decisivi, anche per le capacità del comandante incaricato dai Fiorentini, Paolo Vitelli. In quella circostanza, oltre che sull’esercito guidato dal duca di Urbino Guidubaldo I da Montefeltro, aveva potuto contare sulle milizie di Carlo Orsini e di Bartolomeo d’Alviano. In seguito cercò inutilmente l’appoggio di Cesare Borgia, il quale si recò in Mugello nel 1501, ma si ritirò dopo avere ottenuto dalla Repubblica di Firenze una forte somma di denaro. L’anno successivo Borgia, appoggiato dalle milizie degli Orsini, decise di sostenere il M., ma desistette dall’impresa per l’intervento del re di Francia Luigi XII.
Motivati dalla sua politica antifiorentina furono anche i soggiorni del M. a Pisa e ad Arezzo. Nella prima città, contro cui la Repubblica di Firenze stava conducendo un’infruttuosa guerra di riconquista, si fermò durante il viaggio che da Genova lo condusse a Roma (23-28 ott. 1500). Ad Arezzo si recò invece due settimane dopo la ribellione della città al dominio fiorentino (5 giugno 1502); ma l’indipendenza aretina durò solo tre mesi. In questa occasione il M. poté contare sull’appoggio di Vitellozzo Vitelli, desideroso di vendicare il fratello Paolo giustiziato dai Fiorentini nel 1499, e di Giampaolo Baglioni. Vitelli occupò alcune località aretine (Civitella, Monte San Savino, Sansepolcro e Pieve Santo Stefano) in nome del M., ma furono conquiste di breve durata.
All’indomani dell’infruttuosa impresa del 1502, il M. si unì alle truppe francesi.
Durante la battaglia del Garigliano che contrappose queste ultime all’esercito spagnolo guidato da Consalvo di Cordova, il M. morì, annegando nel fiume mentre cercava di raggiungere Gaeta, il 28 dic. 1503. Il suo corpo fu ripescato alcuni giorni dopo e sepolto nell’abbazia di Montecassino, di cui era abate il fratello Giovanni.
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P. Meli