DEL NERO, Piero (Piero Viniziano)
Nacque a Firenze nel 1379 da Filippo e fu lanaiolo. Non si conosce la data della morte, posteriore comunque al 1433, anno in cui, tra il maggio e l'ottobre, fu podestà di Prato.
Ebbe fama di uomo arguto, lieto e socievole "e d'ingegno meraviglioso, e massime in compor novelle e far ballate e sonetti" (così la "cornice" delle novelle legate al suo nome). Solo nel 1924, tuttavia, il Di Francia lo emancipò dalla fama di semplice novellatore verbale e brillante mimo in seno alle brigate che fanno da sfondo al fenomeno fiorentino delle novelle "spicciolate", per indicarlo come autore della fortunata Novella del Bianco Alfani fiorentino, e di quella ad essa associata nei codici di Madonna Lisetta Levaldini di Prato. L'attribuzione, sulla quale si mostrò incline a convenire nel 1931 Vittorio Rossi (1931, p. 207), in precedenza (1901) contrario, non è stata mai più rimessa in discussione.
Se si esclude l'anno di nascita, sicuramente attestato (Rossi) dal fatto che nel 1427, come risulta dalla sua portata di Catasto (Arch. di Stato di Firenze, Quart. S. Spirito, Gonf. Scala, Camp. 64, c. 35r), aveva quarantotto anni, la professione di lanaiuolo e il soggiorno a Prato (Registrum extrinsecorum, 1418-56 c. 40v), le altre scarne notizie della vita del D., che ne danno un ritratto intellettuale e qualche dato sulla composizione delle novelle, si ricavano dalla cornice, di ascendenza decameroniana e piuttosto convenzionale, che fu apposta da altra mano alle due novelle, ma che leggiamo integrata e precisata da due rubriche di mano dell'attendibile copista Jacopo Pigli, che trascrisse intorno al 1470 proemi e novelle nell'attuale cod. Magliab. II, IV, 128: dalle quali si ricava che la novella "di madonna Lisetta intitolata" fu "fatta per Piero del Nero detto Piero Viniziano"; e che la novella del Bianco la "mandò perscritta, Piero di Filippo del Nero altrimenti detto Piero Viniziano a un suo intimo amico, essendo detto Piero podestà di Prato cioè nel 1433.
Nel giro di pochi decenni la Novella del Bianco Alfani, spiccata via da tale contesto e separata dal nome del D., cominciò una sua curiosa carriera attraverso una prima attribuzione a Boccaccio in appendice al Decameron giuntino del 1516, e in seguito aggiunta al Novellino dal Borghini nel Libro di novelle e di bel parlar gentile del 1572; dal quale, associata strettamente ad altre tre prestigiose spicciolate (Bonaccorso di Lapo Giovanni, Grasso legnaiuolo e Novella di Seleuco di Leonardo Bruni), passerà in quasi tutti i novellieri e raccolte antologiche quattrocentesche fino ai nostri giorni, mentre la Lisetta, forse per le sue scabrose situazioni erotiche villerecce, cadeva nell'oblio fino al 1865. Facendo, si direbbe, tutto il possibile, l'una e l'altra novella per arrivare a noi adespote, in omaggio alla paternità "collettiva" fiorentina di tante novelle sparse.
La cornice, della quale il Pigli dichiara di non conoscere l'autore, ma che deve in parte aver rimaneggiato le parole di presentazione del D., delle quali mantiene la forma epistolare, ripete dal Decameron il topos della brigata che si raccoglie nell'orto dei Pitti per ascoltare e giudicare, "con festa e allegrezza", una gara tra due novellatori, Lioncino di Guccio de' Nobili (per il Bianco) e Piero Viniziano (che recita la Lisetta), durante la moria della peste del 1430. Dalla cornice emergono a vivi colori soprattutto i segni della presenza creativa del D. nei diporti delle brigate fiorentine, insieme con i nomi dei giovani e meno giovani concittadini, spesso anch'essi novellatori e all'occorrenza beffatori, coi quali il D. ebbe relazioni o fu messo in relazione dalla memoria dei contemporanei, coi luoghi di convegno, l'a panca di sollazzo alla loggia dei Buondelmonti o i giardini fiorentini dove si cantavano i sonetti del D., o si replicavano i suoi racconti, o si motteggiava sul suo temperamento puntiglioso e competitivo. È un ritratto che si compenetra con il colore storico di Firenze e soprattutto, al di là dei riferimenti canonici che si nascondono anche dietro alla precisione topografica, con la tradizione dell'arte del racconto, diffuso costume mondano e vanto municipale della cultura fiorentina del primo Quattrocento.
Nulla testimonia della storicità della beffa crudele ed esasperata condotta da tre concittadini (tutti storicamente esistiti: lo stesso novellatore Lioncino, Niccolò Tinucci e Antonio di Meglio) ai danni di Lottieri Alfani detto il Bianco, custode del carcere fiorentino delle Stinche, personaggio storico anch'esso, che la Novella del Bianco Alfani segue nella sua vanitosa credulità e nel suo arrogante farnetico di onori, che lo portano da Firenze a Norcia, dove gli è stato fatto credere di esser stato nominato capitano; e poi, scornato umiliato e rovinato, di nuovo a Firenze, dove credulità e rancore lo esporranno a una nuova prolungata burla cui prende parte tutta la città, fino a lasciare il Bianco "povero e mendico, gottoso e bizzarro". Lioncino vanta la superiorità della novella affermando che essa "conoscendo voi il Bianco e avendo sentito certamente quello che io dico essere occorso, vi debba recare più piacere che alcun'altra", secondo il canone di questo narrare nel quale si riflette la compiaciuta complicità con l'aneddotica cittadina di tanta narrativa quattrocentesca. Per un vezzo letterario non dissimile anche la Lisetta Levaldini si finge racconto di un caso controverso del quale a Prato, secondo la didascalia del Pigli, "esso Piero era albitro", ed arbitro assai perplesso di fronte alla scollacciata vicenda occorsa alla matura ma attraente vedova Lisetta, alla quale un astuto "lavoratore", dopo averle insegnato a "incorporare nella state il caldo, del quale poteva abbisognare d'inverno", aveva anche insegnato, con un fulmineo e spinto congiungimento campestre, come non disperderlo per gli orifizi del corpo. Dalla cornice apprendiamo che il D. era solito replicare la "ridareccia" novella, e che la riteneva degna di premio perché "contiene tutte cose che traggono a quel fine, del qual mai si parla sanza ridere, e che comunemente più che alcune altre gli orecchi degli ascoltanti dilettano", opponendo al canone della fiorentinità, difeso da Lioncino, quello di un boccaccesco assai pesante non meno rappresentativo del gusto novellistico quattrocentesco.
Anche si debbono all'ignoto rimaneggiatore i tocchi più calorosi che dipingono la socievolezza mondana del D., uomo "universale" e "ornato di bei costumi, come si conviene a uomo innamorato, come lui continue fu mentre che 'l tempo lo richiese", e la meno canonica testimonianza della sua abilità mimica, il narrare in pubblico "facendo lui tutti gli atti e gli gesti della donna e del lavoratore con ridere e piangere agli tempi" tanto che "e l'uno e l'altro, e vedere e udire, parea".
Delle novelle attribuite al D. i codici quattrocenteschi presentano due redazioni: quella del Magliab, II, II, 56 e quella del Magliab. II, IV, 128 che testimonia di sistematiche varianti di carattere stilistico ed è ritenuto il più corretto (Rossi). Tali codici riuniscono e collegano le due novelle. La Lisetta Levaldini compare in altri due codici del XV secolo, il Magliab. II, VIII, 33 e il Barb. lat. 4051.
La Novella del Bianco Alfani si legge oggi secondo la tradizione a stampa nel testo fissato da D.M. Manhi nell'edizione del 1782 del Libro di novelle e di bel parlar gentile (II, pp. 211-46), lievemente ritoccata in edizioni successive fino alle Novelle per far ridere le brigate nel 1840. La Novella della Lisetta Levaldini èstata stampata nel 1865 a Lucca in un opuscolo in trenta esemplari con un'anonima didascalia che la dichiara ricavata dal Magliab. II, II, 56 e collazionata sul Magliab. II, IV, 128: secondo il Papanti per cura di M. Pierantoni.
Nel codice Redi 130 (8) della Laurenziana di Firenze si legge, inedita, una lettera del D. a Galeotto da Ricasoli, che tratta una questione d'amore.
Per la Novella del Bianco Alfani, cfr.: IlDecamerone di M. Giovanni Boccaccio, Firenze per Philippo Giunta 1516 (e successive riediz., Venezia 1518, 1522 e 1525), Libro di novelle e di bel parlar gentile..., in Fiorenza 1572 (e successive rist., Firenze 1724 e Torino 1801); Libro di novelle e di bel parlar gentile..., a cura di D.M.M[anni], II, Firenze 1782; Novelle di vari autori, Milano 1804, Novelle antiche, Milano 1831; Novelle di vari autori per far ridere le brigate, Milano 1840, Novelle del Quattrocento, a cura di G. Fatini, Torino 1929 (introduce per la prima volta dubitativamente il nome del D., intestando la novella a Piero Veneziano); Novelle del Quattrocento, a cura di A. Borlenghi, Milano 1962; Novelle del Quattrocento a cura di G. C. Ferrero-M. L. Doglio, Torino 1975.Per la Novella di Madonna Lisetta, cfr.: Novella della Lisetta Levaldini..., Lucca 1865; Catalogo dei novellieri ital. in prosa raccolti e posseduti da G. Papanti, I, Livorno 1871, pp. 74 s.
Fonti e Bibl.: F. Palermo, I manoscritti palatini di Firenze, I, Firenze 1853, p. 652; V. Rossi, Sulla novella del Bianco Alfani, in Raccolta di studi dedicata ad A. D'Ancona, Firenze 1901, pp. 387-409 (ora in Scritti di critica letter., II, Milano 1930, pp. 371-400); L. Di Francia, La novellistica, Milano 1924, pp. 400-404;G. Fatini, 1929, cit., p. 81; V. Rossi, Il Quattrocento [1931], a cura di A. Vallone, Milano 1973, pp. 197 s., 207 (con bibl.); A. Chiari, La fortuna del Boccaccio, in Quest. e correnti di storia letter., Milano 1949, p. 304;A. Borlenghi, 1962, Cit., pp. 25, 313, 316;D. De Robertis, L'esperienza poetica del Quattrocento, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, III, Il Quattrocento e l'Ariosto, Milano 1966, pp. 394, 762; Bianco Alfani, in Diz. biogr. d. Italiani, X, Roma 1968, pp. 219 s.; A. Tartaro, Ilprimo Quattrocento toscano, in La letteratura ital. Storia e testi, a cura di C. Muscetta, III, 1, Bari 1971, pp. 198, 291; G.C.Ferrero, cit., pp. 31, 631.