Medici, Piero di Cosimo de’
Nato nel 1416, primogenito di Cosimo il Vecchio e di Contessina de’ Bardi, la figura di Piero è tradizionalmente schiacciata tra i due maggiori della famiglia: il padre, fondatore della fortuna politica della casata, e il figlio Lorenzo il Magnifico. Rimasto unico erede della potenza di Cosimo dopo la scomparsa del fratello Giovanni (1421-1463), che morì un anno prima del padre, Piero, affetto fin da giovane da una grave forma di gotta, resse le sorti della famiglia solamente dal 1464 al 1469, quando morì (2 dicembre) lasciando due figli ancora giovani, Lorenzo (n. 1449) e Giuliano (n. 1453, vittima nel 1478 della congiura dei Pazzi). Risale al 1444 il matrimonio con Lucrezia Tornabuoni (una scelta ‘fiorentina’ nella quale M. riconosce l’espressione, in Istorie fiorentine VII v 12-13, di quella «civile modestia» che improntò tradizionalmente la politica di Cosimo de’ Medici).
Piero ricevette una buona educazione umanistica; durante gli anni della sua giovinezza, casa Medici in via Larga era del resto frequentata dai maggiori dotti fiorentini (tra tutti Niccolò Niccoli e Carlo Marsuppini), e sono documentati i suoi contatti con Francesco Filelfo (che ebbe Piero tra i suoi allievi negli anni di insegnamento presso lo Studio fiorentino, cominciato nel 1429) e con Leon Battista Alberti (per altro Piero fu direttamente coinvolto, nel 1441, in un’iniziativa di notevole importanza politico-culturale come il Certame coronario, organizzato da Alberti e finanziato dai Medici). Piero ricoprì naturalmente cariche pubbliche (anche politicamente rilevanti: fu, per es., tra gli accoppiatori, i magistrati incaricati di redigere le liste degli eleggibili, tra il 1448 e il 1455), e più volte membro di ambascerie; ma nel complesso, fino alla morte del padre la sua partecipazione alla vita politica fu modesta. Non stupisce dunque che egli non sia mai nominato da M. nelle opere maggiori, se non, ovviamente, nelle Istorie fiorentine, dove gli viene anzi dedicato uno spazio notevole, non solo quantitativamente (capp. x-xxiii del libro VII), ma anche sul piano dell’interpretazione storica. Pur essendo breve e di transizione, il periodo del governo di Piero consente infatti a M. di mettere in rilievo alcuni meccanismi intrinseci del regime (retto da logiche prettamente private, perciò stesso esposte al rischio della degenerazione) e di denunciarne alcune debolezze strutturali. Un’attenzione particolare – sul piano dell’interpretazione complessiva del regime mediceo – merita proprio il discorso che M. attribuisce a Piero in punto di morte (Istorie VII xxiii 3-8), quando, convocati i principali esponenti del partito, il leader stigmatizza con dure parole la loro insaziabilità di potere e ricchezze («Voi spogliate de’ suoi beni il vicino, voi vendete la giustizia, voi fuggite i giudicii civili, voi oppressate gli uomini pacifici, e gli insolenti esaltate», § 6). Una pagina di alta tessitura retorica, che mentre celebra (non senza motivazioni encomiastiche) il superiore senso di giustizia dell’antenato dei committenti (i Medici stessi, nella persona del cardinale Giulio, poi papa Clemente VII), nel contempo denuncia i difetti di un regime in cui sono di fatto assenti limiti istituzionali capaci di arginare l’incontrollabile esplosione degli appetiti individuali («io cognosco ora come io mi sono di gran lunga ingannato, come quello che cognosceva poco la naturale ambizione di tutti gli uomini», § 4). Il racconto del quinquennio di Piero è soprattutto dedicato alle tensioni interne allo «stato» (=regime), tra l’ambiguo comportamento di Dietisalvi Neroni (Istorie VII x), mirante a colpire il consenso cittadino nei confronti di Piero, e la congiura del 1466 (evento invero assai discusso dagli storici moderni), quando l’insoddisfazione di Luca Pitti, Niccolò Soderini, Dietisalvi Neroni, Agnolo Acciaiuoli e altri membri autorevoli del regime si trasformò in un aperto tentativo di colpire l’autorità della famiglia egemone.
M. ricostruisce gli eventi del periodo soprattutto sulla scorta del De temporibus suis del frate domenicano filomediceo Giovanni di Carlo (1428-1503). Ma l’interesse di M. per il periodo di Piero (con il primo delicato momento di passaggio per il regime, alla morte di Cosimo) sembra attestato già nei primi anni del Cinquecento, da una serie di appunti che si aprono con la nota «Post mortem Cosimi», desunti soprattutto da una lettura del ricordato Giovanni di Carlo: sono i cosiddetti Spogli dal 1464 al 1501 (Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, t. 2, 2010, pp. 953-1009).
Bibliografia: N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, pp. 165-210; R. Hatfield, A source for Machiavelli’s account of the regime of Piero de’ Medici, in Studies on Machiavelli, ed. M.P. Gilmore, Firenze 1972, pp. 31733; G.M. Anselmi, Ricerche sul Machiavelli storico, Pisa 1979, pp. 143 e segg.; G. Pieraccioni, Note su Machiavelli storico, 1, Machiavelli e Giovanni di Carlo, «Archivio storico italiano», 1988, 538, pp. 635-64; I. Walter, Medici Piero de’ (Piero il Gottoso), in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 73° vol., Roma 2009, ad vocem.