Gherardi, Piero
Costumista, scenografo e arredatore teatrale e cinematografico, nato a Poppi (Arezzo) il 20 novembre 1909 e morto a Roma l'8 giugno 1971. Celebre per la pulizia grafica del tratto, G. fu uno dei pochi architetti del cinema italiano ad avere il ruolo di art director, occupandosi di costumi e di scenografie e ottenendo un controllo completo sulla costruzione visuale del film. La capacità di avvolgere in atmosfere stranianti gli ambienti, modificandone radicalmente la destinazione d'uso, e di ottenere lo stesso effetto con i costumi, giocando talvolta sulle dimensioni, lo portò a legare il suo nome a quello di Federico Fellini, del quale G. seppe interpretare le aperture verso una visione fantastica della realtà. Riuscì inoltre a contenere gli slanci del grande regista in un orizzonte post-neorealista di credibilità, seppur audace, come nella sequenza iniziale di La dolce vita (1960) con la statua del Cristo in volo, portata da un elicottero. Grazie ai capolavori felliniani conobbe un periodo di grande popolarità, vincendo l'Oscar nel 1961 per i costumi di La dolce vita, nel 1963 per quelli di 8¹/₂ e ottenendo ben sei nominations nel volgere di un quinquennio, fra il 1962 e il 1967, e tre Nastri d'argento: nel 1961 sempre per La dolce vita, nel 1966 per Giulietta degli spiriti (1965) e nel 1967 per L'armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli.Negli anni Trenta aveva abbandonato la professione di architetto per dedicarsi al mondo dello spettacolo, al quale si avvicinò da autodidatta nell'immediato dopoguerra, collaborando come arredatore alle ricostruzioni di alcuni film d'epoca dello scenografo Gastone Medin, da Notte di tempesta (1946) di Gianni Franciolini a Eugenia Grandet (1946) di Mario Soldati. Dopo la defezione di Medin, Franciolini lo scelse poi per Amanti senza amore (1948). Poliedrico uomo di set, vicino al gruppo dei registi del cosiddetto cinema calligrafico e amico del grande costumista Gino Carlo Sensani, G. si destreggiò in vari ruoli. Nelle prime fasi della carriera alternò gli impegni da arredatore in grandi produzioni a quelli di scenografo e costumista in film di budget minore, legandosi alla generazione dei giovani registi che si stavano affermando negli anni Cinquanta: Duilio Coletti, Monicelli, Luigi Comencini, Luigi Zampa. Sotto contratto per Dino De Laurentiis, collaborò con Mario Chiari e Mario Garbuglia, in veste di arredatore, alle scenografie dei kolossal War and peace (1955; Guerra e pace) di King Vidor e La diga sul Pacifico (1957) di René Clément. Contemporaneamente firmò sia i costumi sia le scenografie di Anni facili (1953) diretto da Zampa e di I soliti ignoti (1958) di Monicelli, regista con il quale strinse un intenso rapporto di collaborazione. Nel 1957 cominciò a lavorare con il giovane Fellini (già conosciuto sul set del mélo neorealista Senza pietà, 1948, di Alberto Lattuada) per un film d'ambientazione contemporanea, Le notti di Cabiria, per il quale si limitò a sviluppare gli schizzi del regista. Grazie alla decadente eleganza di La dolce vita e di 8¹/₂ si affermò come il primo grande interprete di un impressionismo minimalista caratteristico del cinema italiano degli anni Sessanta, affiancando alle suggestioni neorealiste un personale gusto per le atmosfere orientali. Come costumista si rivelò anche un precursore di alcune tipiche espressioni della moda di quel decennio (comprese le mini e maxigonne), e per queste due opere ottenne una alquanto insolita doppia nomination all'Oscar, sia in qualità di costumista sia come scenografo; così avvenne anche per Giulietta degli spiriti, primo lungometraggio a colori del regista, che G. arricchì di riferimenti cromatici alla pittura di G. Klimt, G. Moreau e dei preraffaelliti. Tra i suoi lavori più interessanti di quel periodo, da ricordare anche la fantasiosa rilettura dell'immaginario medievale in L'armata Brancaleone. Fece poi rivivere la pittura del Canaletto nelle ambientazioni di Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969) di Comencini, per il quale firmò nel 1972 i costumi di Le avventure di Pinocchio, film televisivo uscito postumo nel quale, in collaborazione con il regista, seppe rovesciare il gusto disneyano. Fu attivo anche in teatro, e fuori dai confini nazionali (va ricordato un suo allestimento scenico per The white devil, andato in scena al National Theatre di Londra nel 1970). Tra gli altri registi con i quali G. ebbe modo di lavorare, da ricordare Clemente Fracassi, Gillo Pontecorvo e Sidney Lumet. Alla sua arte è dedicato il documentario Piero Gherardi (1965) della cineasta americana Nadia Werba.
E. Rhode, Gherardi in London, in "Sight and sound", 1969-70, 1, pp. 16-17; S. Masi, Scenografi e costumisti del cinema italiano, 1° vol., L'Aquila 1989, pp. 49-52; G. Raimondi, Gherardi, Piero, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 53° vol., Roma 1999, ad vocem.