Guicciardini, Piero
Nacque il 9 giugno 1454 a Firenze nel quartiere di S. Spirito, unico figlio maschio di Iacopo di Piero e di Guglielmetta de’ Nerli. Incline agli studi letterari, G. apprese il greco e coltivò interessi filosofici frequentando l’Accademia platonica di Marsilio Ficino. Proprio Ficino tenne a battesimo il terzogenito di G., Francesco (→) – il futuro storico e teorico politico – avuto da Simona di Bongianni Gianfigliazzi, sposata nel 1475 e da cui G. ebbe altri dieci figli.
Nel 1489 Ficino indirizzò a Piero Del Nero, a Piero Soderini e a G. tre distici in calce alla sua Apologia, con i quali invocava la loro difesa contro l’accusa di magia che gli era stata rivolta. Inoltre, una lettera a G. del 1° marzo 1476 è nel libro IV della raccolta epistolare di Ficino volgarizzata da Felice Figliucci (M. Ficino, Le divine lettere..., 1546, p. 236).
G. si affacciò alla vita pubblica quando ancora era vivo il padre, che fu tra i consiglieri più fidati di Lorenzo de’ Medici. Negli anni successivi alla congiura dei Pazzi, Lorenzo volle che si procedesse a una ridefinizione delle qualificazioni elettorali per le magistrature di maggiore autorità: Signori, Otto di pratica e Otto di Balìa. Non vi erano stati scrutini dal 1471, e la decisione era mirata ad assicurare l’accesso al governo a cittadini favorevoli ai Medici. La commissione per il nuovo scrutinio fu eletta nel settembre 1484. G., che era stato dei priori nel bimestre maggio-giugno 1484, entrò nella commissione e nel gennaio successivo fu eletto gonfaloniere di compagnia (ASF, Tratte, 932, c. 226v). Redasse un dettagliato resoconto sulla formazione della commissione di scrutinio (BNCF, cod. Magliabechiano, XXV 636, cc. 7-12r, autografo; edito in Rubinstein 1999, appendice XI), dal quale risulta che il gruppo ottimatizio, cui egli apparteneva, vi era rappresentato per meno della metà dei membri, e che vi erano stati inclusi numerosi uomini nuovi a spese delle antiche famiglie. G. riferisce, inoltre, l’opinione diffusa per cui sarebbe stato Lorenzo a preparare la prima lista di candidati da aggiungere al nucleo dei Settanta, il quale puntualmente li elesse. La testimonianza di G. ha un rilievo speciale, dato che è l’unica analisi pervenutaci su quello scrutinio; essa fornisce elementi chiari non solo per la comprensione dei meccanismi con cui Lorenzo, pur preservando la continuità del gruppo dirigente, favorì di fatto l’ingresso di gente nuova di suo gradimento, ma offre anche il quadro della mobilità sociale che caratterizzò la formazione del reggimento nel periodo in cui il Magnifico, dopo gli anni della crisi, si confermò saldamente al potere.
G. fu eletto di nuovo alla più alta magistratura della Repubblica, il priorato, per il bimestre marzo-aprile del 1490. Nell’agosto successivo, alla morte del padre, prese il suo posto nel gruppo dei Diciassette riformatori incaricati di riordinare ‘le cose di dentro’, una volta conseguita, grazie alla politica laurenziana, la pace in Italia e a Firenze. Fu proprio in questo contesto che gli venne conferito, tramite una nuova prassi di elezione a mano affidata ai Settanta, l’incarico di console del mare, con ampia e speciale autorità sulla giurisdizione di Pisa (ASF, Tratte, 905, c. 27r). Nel 1494 G. fu eletto commissario generale, con residenza a Pisa, insieme con Pier Filippo Pandolfini (ASF, Signori, Legazioni e Commissarie, 21, c. 131v).
Il 2 dicembre 1494 G. partecipò al Parlamento, con il quale la Signoria, all’indomani della cacciata di Piero de’ Medici, chiamò a raccolta i cittadini delle casate più influenti per disporre le misure necessarie a riordinare lo Stato. In tale circostanza i Venti accoppiatori incaricati di eleggere la Signoria per un anno scelsero, insieme con i signori e i collegi, i nominativi di coloro che sarebbero andati a costituire la magistratura dei Dieci di libertà e pace. Fra questi fu G., come attesta Piero di Marco Parenti (Storia fiorentina, 1° vol., a cura di A. Matucci, 1994, p. 150), che ricoprì più volte quella carica negli anni successivi, anche dopo le riforme costituzionali del 1502. Nel nuovo assetto istituzionale dello Stato posto in essere nel 1494, G. fu membro del Consiglio degli Ottanta per la prima volta nel luglio 1495 (di nuovo nel gennaio 1496, nel luglio 1497 e negli anni 1503, 1505, 1507, 1508) e fu nel Consiglio maggiore dal 1° gennaio 1496 e dal 30 aprile dell’anno seguente (ASF, Tratte, 717, cc. 35r, 82v; 411, c. 58v), e di nuovo nel 1508.
Costante nel tempo fu l’adesione di G. al programma savonaroliano; e non è casuale che il figlio Francesco, nelle giovanili Storie fiorentine, usi verso il frate accenti di profondo rispetto. G. era stato, secondo Francesco, un moderato fautore del frate, non allineato alle tendenze di coloro che aderirono alla parte savonaroliana per ricavarne vantaggi nello Stato e negli uffici (Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998, p. 236). Una relazione di Francesco Tranchedini del 12 aprile 1498 riferisce che G. aveva raccolto in casa propria molti armati, probabilmente a difesa del frate, durante l’assalto al convento di S. Marco, ma si affrettò ad abbandonare Firenze, essendo stato eletto commissario a Volterra, per sfuggire ai disordini conseguenti all’aggressione dei Compagnacci (Villari 1930, p. CII). Savonarola, durante il processo, affermò di avere parlato spesso a G. per incitarlo ad agire, «dicendogli si portava freddo all’opera nostra» (I processi di Girolamo Savonarola (1498), a cura di I.G. Rao, P. Viti, R.M. Zaccaria, 2001, p. 11).
Concreti elementi di valutazione storica si ricavano dalla partecipazione di G. alle consulte fra il 1495 e il maggio 1498, nei cui verbali sono registrati venti suoi interventi. Fra di essi, il parere espresso nella consulta del 30 marzo 1498 contro Luca di Maso Albizzi è indicativo della fedeltà a Savonarola, ma anche agli interessi dello Stato, perché significava allontanare da Firenze la pietra dello scandalo e rimettere tutto in mano al papa; del resto Savonarola non voleva, né mai aveva voluto, andare a Roma. G., rispondendo a un intervento in cui Albizzi stigmatizzava la collaborazione con i frati nelle cose dello Stato, intese invece «confortare a unione», richiamandosi a precedenti circostanze nelle quali la collaborazione si era rivelata utile e invitando l’assemblea a favorire l’andata a Roma di Savonarola, insieme con frate Domenico Buonvicini, per discolparsi delle accuse direttamente dinanzi al papa (Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina, 1498-1505, a cura di D. Fachard, 1° vol., 1993, p. 71).
Al principio del 1501 si era tenuta un’ampia consultazione fra i cittadini più influenti del ceto ottimatizio, volta a superare la crisi politico-costituzionale che bloccava l’elezione dei Dieci di Balìa. G. si trovò allora a far parte del comitato in cui si discusse privatamente dei provvedimenti utili a sciogliere quel nodo, e si elaborarono le linee programmatiche di una nuova costituzione. La proposta emersa in tale circostanza costituì probabilmente il cardine su cui Francesco Guicciardini avrebbe fondato la concezione dello Stato descritta nelle sue opere storico-politiche: essa consisteva nel potenziamento degli Ottanta con l’aggiunta di un certo numero di cittadini eminenti, la cui partecipazione avrebbe dovuto essere a vita. G. contribuì dunque alla prima formulazione del progetto di un senato vitalizio, la cui portata innovativa (in quanto avrebbe privato il Consiglio maggiore delle sue più importanti funzioni) produsse tanto allarme da rendere praticabile una soluzione intermedia, altrimenti priva di prospettive reali. Il gonfalonierato a vita costituì allora la via d’uscita che avrebbe permesso di mantenere inalterati gli altri organismi dello Stato. G. e Iacopo Salviati parlarono nel Consiglio maggiore in difesa di tale soluzione, che, messa ai voti, rapidamente passò.
Nella nuova stagione della Repubblica, il ruolo pubblico di G. si confermò ancora attivo: dal 10 giugno 1502 fu dei Dieci di libertà e pace. L’incarico più importante affidatogli negli anni successivi fu la missione diplomatica presso l’imperatore Massimiliano I, impegnato in una lunga campagna militare contro Venezia. Nel 1509 Massimiliano si trovava accampato con l’esercito vicino a Padova; G. vi si recò insieme con Giovan Vittorio Soderini con il compito di ottenere dall’imperatore la conferma dei privilegi concessi dai suoi predecessori alla Repubblica, fra cui il possesso della riconquistata Pisa. G. ottenne, in cambio di una somma non esorbitante, la promessa di rispettare la libertà di Firenze e del suo dominio.
L’ultima prestigiosa ambasceria compiuta da Piero si svolse nel 1513, quando, con deliberazione del 22 marzo, fu nominato tra gli ambasciatori d’obbedienza al neoeletto Leone X per conto del governo costituitosi in Firenze dopo il rientro dei Medici in città. G. accettò di sostituire il repubblicano Bernardo Rucellai, precedentemente designato, il quale aveva rifiutato l’incarico (ASF, Signori, Legazioni e Commissarie, 27, c. 16v). Fece ancora in tempo a essere eletto, il 31 marzo, fra i Diciassette riformatori dello Stato (ASF, Tratte, 906, c. 64). Morì improvvisamente a Firenze il 21 dicembre 1513.
G. è uno degli interlocutori del Dialogo del reggimento di Firenze, composto dal figlio Francesco tra la fine del 1521 e l’inizio del 1525. La presenza di G. fra gli interlocutori (oltre a lui Bernardo Del Nero, Piero Capponi, Paolantonio Soderini) risulta funzionale al raccordo fra i vari interventi. Nell’economia del dialogo il compito assegnato a G. è finalizzato alla salvaguardia dei principi su cui devono fondarsi le buone leggi di una repubblica libera. In tal modo, il personaggio incarnato nella finzione riproduce l’immagine di fedeltà allo Stato che gli fu propria nella vita reale.
Nelle Memorie di famiglia Francesco Guicciardini ricorda alcuni momenti del proprio rapporto con il padre, in particolare il dissenso che questi manifestò per la sua scelta di prendere in moglie Maria Salviati; fra gli altri episodi, rammenta la partecipazione di Piero, ventenne, alla giostra di Giuliano e Lorenzo de’ Medici il 29 gennaio 1475, non per sua volontà, ma per soddisfare alla richiesta dei due Medici. Tace del tutto fatti e memorie relative al suo operato ai tempi di Savonarola e della Repubblica. Nelle Ricordanze Francesco scrive del padre una sorta di elogio post mortem. Ne emerge quella correttezza e quel rigore che assicurarono a G. l’ottima reputazione nelle cose pubbliche, ma anche una mancanza di vivacità che lo rese poco incline a esporsi e a prendere iniziative. Fosse per natura o «perché lo richiedessino e’ tempi che correvano», trattò le cose dello Stato con grande prudenza e senza assumersi troppe responsabilità, in modo che, evitando di porsi in primo piano, non incrementò la considerazione dei concittadini nei suoi confronti, e d’altronde, per lo stesso motivo, non corse mai pericoli di sorta.
Gli scritti di governo (a partire dal dicembre 1498, dunque dai primi mesi dell'assunzione nella cancelleria) documentano i frequenti contatti tra M. e G., coinvolto in più o meno importanti mansioni di carattere militare (nell'inverno 1498-99 G, era commissario nella guerra contro Pisa): pagare i soldati, curare I'invio di contingenti laddove fosse urgente eccetera. In una lettera del 9 febbraio 1499 (LCSG,1° t., p. 213) M. chiede al commissario di inviare a Pistoia ottanta o cento uomini d'arme per sedare I'ennesimo tumulto tra Cancellieri e Panciatichi. Pochi giorni dopo (19 febbr.) si complimenta con lui per come procedono le cose a Pisa: («ci è suto piacere assai avere inteso per questa tua ultima de' XVIII quanto abbi ritratto di Pisa, e commendiamone assai la diligenzia tua» (lCSG, 1° t., p. 218). Alla capacità di G. il Segretario allude in una lettera inviata il 1° novembre 1501 allo stesso G., allora commissario di Borgo San Sepolcro, dove gli chiede di chiarire i sospetti sulle intenzioni delle genti di Vitellozzo Vitelli («a che sappiamo che colla prudenzia saprai ovviare benissimo», LCSG, 2° t., p.207).
Un atteggiamento, se non di confidenza certo di stima, traspare in una lettera che il 20 ottobre 1502 G. scrisse a M. (allora a Imola, inviato presso il Valentino): nella lettera, che pur privata è di argomento strettamente pubblico, G. esprime approvazione per l'operato del Segretario («circa le cose di costà non ho da dirvi altro, se non che seguitiate come avete fatto insino a ora, che mi pare satisfacciate a tutti»). A partire dal giugno precedente, G. era membro dei Dieci: a questo ruolo fa riferimento scherzosamente Biagio Buonaccorsi che, in una lettera del 15 novembre 1502 a M. (ancora in missione presso il Valentino), invita I'amico a tornare presto perché non riesce a «contentare Piero Guicciardini».
Se pure risulta che G. (come gli altri membri del partito ottimatizio) fosse contrario al progetto machiavelliano dell'Ordinanza, fermamente voluto da Piero Soderini e votato dagli Ottanta nell'autunno 1505, nondimeno egli vi fu coinvolto, come funzionario e amministratore di terre del contado o del dominio; ciò che bene si ricava, per esempio, dalla lettera che il 27 gennaio 1507 M. invia a G., allora vicario di Scarperia (LCSG, 5° t., pp. 544-46), nella quale per la verità il Segretario, inviando molte indicazioni puntuali e tecniche per l'arruolamento dei soldati, non solo fa appello alla «prudenzia» di G. e alla sua «affezione alla patria», ma anche accenna a un suo atteggiamento favorevole all'Ordinanza («ci è parso, conosciuto […] lo amore hai a questa opera, dare questa cura a te»).
Un suo intervento in una 'pratica' del 28 agosto 1506, a proposito della cronica instabilità di Arezzo e dell’opportunità che in passato era stata suggerita di impiantarvi popolazioni fedeli, reca un'implicita nota polemica nei confronti di M., che proprio all’esemplarità del modello colonizzatore dei Romani aveva, nel 1503, fatto riferimento nel Modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati; a un oratore che nel corso della 'pratica' aveva ricordata la distribuzione «de' beni de' rubelli a chi vi fussi ito ad abitare», G. aveva in effetti replicato che «mandarvi [ad Arezzo] nuovi abitatori era cosa de' Romani, e che non si usa al presente» (Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina, 1505-1512, a cura di D. Fachard, 1988, p. 77; cfr. G. Inglese, Per Machiavelli. L’arte dello stato, la cognizione delle storie, 2006, pp. 20-21).
Qualche anno dopo, in una lettera privata che Alessandro Nasi invia da Pisa il 30 aprile 1511, accennando al ritorno di M. a Firenze, dopo varie missioni di carattere militare in Toscana, «Per amore delle armegerie ordinarie e straordinarie» (M. aveva organizzato una parata di cavalleggeri tenuta nella domenica in albis di quell'anno), l’estensore informa l'amico di avere inviato una lettera su tale 'materia' (le truppe fiorentine), oltre che a Francesco Taddei, a G.: lettera probabilmente volta a ottenere, da parte di un membro del gruppo ottimatizio non digiuno di questioni militari, il riconoscimento della bontà di quanto fino ad allora fatto in quel campo.
Bibliografia: Fonti: M. Ficino, Le divine lettere [...] tradotte in lingua toscana per m. Felice Figliucci senese, Venezia 1546; F. Guicciardini, Memorie di famiglia e Ricordanze, in Opere, 9° vol., Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936; B. Cerretani, Ricordi, a cura di G. Berti, Firenze 1993; Consulte e Pratiche della Repubblica fiorentina, 1498-1505, a cura di D. Fachard, 1° vol., Genève 1993; F. Guicciardini, Dialogo del reggimento di Firenze, a cura di G.M. Anselmi, C. Varotti, Torino 1994; P. Parenti, Storia fiorentina, 1° vol., 1476-1478, 1492-1496, a cura di A. Matucci, Firenze 1994; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998; I processi di Girolamo Savonarola (1498), a cura di I.G. Rao, P. Viti, R.M. Zaccaria, Firenze 2001.
Per gli studi critici si vedano: P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, 2° vol., Firenze 1930; G. Guidi, Ciò che accadde al tempo della Signoria di novembre-dicembre in Firenze l’anno 1494, Firenze 1988; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, a cura di E. Garin, A.F. Verde, Firenze 1997; G. Cadoni, Lotte politiche e riforme istituzionali a Firenze tra il 1494 e il 1502, Roma 1999; G. Pansini, Predominio politico e gestione del potere in Firenze tra Repubblica e principato, in I ceti dirigenti di Firenze dal gonfalonierato di Giustizia a vita all’avvento del Ducato, Lecce 1999, pp. 89-112; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), a cura di G. Ciappelli, Firenze 1999; P. Moreno, Il ricordo di Iacopo Guicciardini in morte del padre Piero, «Studi e problemi di critica testuale», 2004, 69, pp. 5-14; E. Cutinelli-Rendina, Guicciardini, Roma 2009. Per altre indicazioni sulle fonti e gli studi critici si veda M. Doni, Guicciardini Piero, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 61° vol., Roma 2004, ad vocem.