PORTALUPPI, Piero
PORTALUPPI, Piero (Pietro). – Nacque a Milano il 19 marzo 1888 da Oreste, ingegnere, e da Luisa Gadda. Sulle orme del padre (autore nel 1894 dell’elegante casa Gadda-Portaluppi di piazza Castello 20), morto nel 1898, si diplomò nel 1905 all’Istituto tecnico Cattaneo e si iscrisse al Politecnico. Disegnatore brillante, collaborò con lo pseudonimo di Don Pedro Puerta Lopez a periodici satirici milanesi come il Guerin Meschino; per la ‘rivista’ satirica Turlupineide di Roberto Simoni, rappresentata il 21 aprile 1908 al teatro Filodrammatici, eseguì cartellone, scenografie e figurini.
Si laureò in architettura il 17 settembre 1910 e la sua tesi ottenne, nel 1911, la medaglia d’oro del Collegio degli ingegneri e architetti. Assistente al corso progettuale di Gaetano Moretti, di fede storicista boitiana, Portaluppi intraprese la professione con fine acutezza creativa, degna del geniale ibridismo ‘barocco’ che l’exploit letterario del più giovane cugino ingegnere elettrotecnico Carlo Emilio Gadda avrebbe esibito.
All’esordio di un’attività per lo più milanese, se l’accademico prospetto per la casa Urbano (1911-12) giocò sulle proprietà combinatorie del geometrizzante Rinascimento lombardo (tema della dissertazione del 1914 per la libera docenza, conseguita nel 1915), la facciata di casa Brambilla (1911-13) dichiarò l’ideale adesione alla Wagnerschule.
La tomba Golzi (1910) avviò una serie di monumenti in cui spiccano per astrazione, nel cimitero Monumentale di Milano, la tomba di Marco Praga (1929) e la cappella Girola (1940-41); ma fu la cappella Cavacini (1922) per Castel Frentano, in Abruzzo, sintesi greco-romanico-bizantina, a rivelare un «artista geniale e moderno» (Melani, 1927, p. 371).
La fortuna professionale derivò dalla collaborazione con Ettore Conti, pioniere dell’industria elettrica italiana (la società delle Imprese elettriche Conti & C., già Gadda & Conti, fu assorbita nel 1926 dalla Edison), di cui sposò nel 1913 la nipote, Lia Baglia (adottata nel 1939 dallo zio senatore); dal matrimonio sarebbero nati nel 1914 Luisa e nel 1917 Oreste (futuro ingegnere elettrotecnico, che sarebbe morto in guerra nel 1942).
Il mito ‘elettrico’, anima dello sviluppo nazionale, fu incarnato da fantastici santuari del progresso, fra cristalline trasmutazioni d’echi mitteleuropei. Tali apparvero centrali idroelettriche come quelle di Verampio (1912-17), Crego (1916-19), Crevola d’Ossola (1923-25), Cadarese (1925-29), negli scenari delle valli alpine, per la cui valorizzazione turistica Portaluppi (presidente della Società anonima alberghi della Formazza) avrebbe progettato complessi ricettivi e il sorprendente Wagristoratore al passo San Giacomo (1930).
Dall’intervallo della Grande Guerra l’ex ufficiale del genio riapparve con mordaci parodie dei falsi miti della metropoli moderna: la scacchiera di palazzoni come cubistici termitai del Piano regolatore di Allabanuel, nel 1920 («L’è una balla», rivela il termine ‘Allabanuel’ letto all’inverso); il Grattacielo per la SKNE di New York (1920), monstrum di 85 piani come una Tour Eiffel rettificata (l’arguto acronimo, cifra di insensata modernolatria, è un velato invito al buon senso: «Skappane!»); Hellytown (1926), intrico costruttivista d’ortogonali ramificazioni di grattacieli, ‘infernale’ sintesi d’americanismo e bolscevismo denunciata dal neoiscritto al Sindacato fascista architetti. Dopo la pubblicazione, nel 1924, della prima raccolta di progetti (Aedilitia 1), di frizzante splendore grafico, i cinquanta lavori esposti nel 1926 alla Mostra internazionale edilizia di Torino sancirono la scoperta di un «artista».
Il riordino della Pinacoteca di Brera (1919-25), arricchita del neorinascimentale scrigno della sala Raffaello disegnata nel 1922, segnò il trapasso da un secessionismo settecentista (riforma della sede dell’Impresa Girola, 1919-21, e del Linificio e Canapificio nazionale, 1919-25; sede della Società filatura cascami seta, 1920-24), talora di taglio modernista (fabbrica di cioccolata Ambrosia, 1920-21), al gusto altoborghese d’inizio Ventennio, di cui Portaluppi fu il ‘classico’ interprete (sede della Società metallurgica italiana, 1924-26; palazzo della società Buonarroti-Carpaccio-Giotto, 1926-30; palazzo Crespi, 1927-30; padiglioni Pirelli e Alfa Romeo per la Fiera campionaria del 1928).
Vinto nel 1927 insieme con l’ingegnere Marco Semenza il concorso per il piano regolatore di Milano, il disinvolto «realismo professionale», che ideò (e non ebbe seguito) «grandi sventramenti all’interno delle mura e edificazione continua a raggiera all’esterno» (Ciucci, 1989, p. 59), incise nel cuore monumentale della città con i complessi turriti della Banca commerciale italiana (1928-32) e del marmoreo palazzo dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni; 1932-37): mastodontici segni di un’evoluzione «estetica» urbana da una grandeur palladiana al sintetico atticismo littorio. D’altro canto, il piegarsi alle velleità del governo di Roma con il padiglione italiano per l’Esposizione internazionale di Barcellona del 1929 soffocò in un pletorico piranesismo l’aspirazione alla vasta consacrazione artistica (riscossa invece dal minimale eppure lussuoso padiglione tedesco), vanificando le attese destate dalla pubblicazione a Berlino, nel 1926, delle argute fantasmagorie moderniste per l’edificio milanese dell’immaginaria società STTS.
L’uscita nel 1930 di Aedilitia II rilanciò l’immaginifico architetto.
Vi brillavano, fra l’altro, un dechirichiano padiglione AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli) per la Fiera campionaria del 1928, la mistilinea affabulazione della centrale di Cadarese (1925-29), gli aggressivi estremi turriformi del cinquecentistico palazzo Crespi, il surreale organismo ossidionale d’angolo di casa Radici-Di Stefano (1929-31); seduceva poi il vivo stilismo decorativo: persino i pleonastici patterns tatuati sugli arcaistici corpi alla Ledoux della centrale termoelettrica di Piacenza (1925-29), le greche a cascata sulla palazzina Radici-Di Stefano di viale Abruzzi a Milano (1928-30), i neomanieristici Rollwerke parietali del padiglione spagnolo.
Intorno agli anni Trenta il duttile formulario déco di uno «stile Portaluppi» (Zucconi, 2003, p. 277) esibì un’elegante e zigzagante alternativa al «Neoclassicismo» di Ponti nell’intérieur dell’‘elettrico’ negozio Stipel in Galleria (1928), dello studio del 1929 dal saettante arredo per l’avvocato «G[iuseppe] C[alabi]» (ebreo, socialista e futuro suocero di Bruno Zevi), di casa Radici-Di Stefano, di villa Campiglio (1932-35), di casa Corbellini-Wassermann (1934-36), sino all’astrazione minimal della casa con studio dell’architetto in via Morozzo della Rocca 5 (1938-39) o della scrivania Omnibus (1940).
La distanza dal razionalismo, estrema nel «tempio» del planetario Hoepli (1929-30), era infine scemata al tempo dell’effimero consenso di Benito Mussolini. Maturata con i viaggi in Europa la conoscenza dell’architettura contemporanea, il libero docente di architettura pratica al Politecnico promosse temi di laurea per il 1931-32 che stimolarono soluzioni «di vedute schiette, moderne e novatrici» (I laureati della Scuola Superiore d’Architettura presso il Politecnico di Milano, in Rassegna di Architettura, IV (1932), 12, pp. 515-530, in partic. p. 515). Con i neolaureati Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti ed Ernesto Rogers (BBPR) presentò alla V Triennale del 1933 la Casa del sabato per gli sposi, imperniata su una concisa scala elicoidale di marmo, proposta di «modernità ‘elegante’ alternativa alla macchina per abitare» (Piero Portaluppi, 2003, p. 114): non per Sigfried Giedion (1933, p. 25), che la portò a esempio del «fanciullesco» pseudomodernismo italiano. Critica che l’opinione pubblica poté usare contro l’autore – coautore degli algidi propilei metafisici dell’Arengario in piazza Duomo (1937-42) – dell’accostamento al tempio di S. Sebastiano delle immani ‘scatole’ compenetrate della RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà; 1935-38). Il progetto per la «sede del Fascio Primogenito» fu poi stroncato nel 1938 da Gustavo Giovannoni quale «offesa» alla piazza S. Sepolcro: ma l’anodina facies geometrica, poco fascista per il ministro Bottai, infine si impose.
Gli interventi in contesti antichi furono tuttavia per Portaluppi una questione di «recupero dell’esistente» in «una specie di simbiosi stilistica» (Zucconi, 2003, pp. 275, 277): dal creativo «restauro» per Ettore Conti della rinascimentale casa degli Atellani (1919-22) a quello neobramantesco dell’antistante chiesa delle Grazie, finanziato da Conti (1929-31, 1934-38), sino all’adattamento d’équipe del convento di S. Vittore in Museo della scienza e della tecnica (1935-36, 1947-53) e dell’ospedale Maggiore in sede dell’Università (1949-70).
Il cursus honorum fu cospicuo. Avuta la cattedra nel 1936, tre anni dopo l’iscrizione al Partito nazionale fascista, sfiorata nel 1937 la nomina ad accademico d’Italia, Portaluppi fu preside della facoltà di architettura dal 1939 al 1945 e, superato il processo d’epurazione fascista, dal 1948 al 1963. Iscritto al Rotary di Milano dal 1938, nel dopoguerra fu governatore nazionale (1948). Fu membro «del Consiglio Superiore per le Belle Arti, della Commissione edilizia del Comune di Milano, di moltissime Giurie di concorsi» (Pica, 1936, p. 40), specie quelli per il nuovo ponte dell’Accademia a Venezia (1932), per via Roma a Torino (1933-34), per il palazzo del Littorio a Roma (1934). Presidente dell’Ordine degli architetti (1952-63) e del comitato tecnico del teatro alla Scala, fece parte della pontificia commissione di Arte sacra e del comitato per l’Ingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche (1956-59). Nel 1955 ricevette la medaglia d’oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Tuttavia, nel dopoguerra la critica riservò la damnatio memoriae all’attivissimo professionista.
«Tutta l’architettura è geometria, nel sogno, nel pensiero, nella rappresentazione, nelle traduzioni, nelle realizzazioni, nel compimento», osservò in un’autobiografica conferenza al Rotary del 26 ottobre 1951 (Archivio della Fondazione Piero Portaluppi, P. Portaluppi, 25 carriere, salvo quella di architetto, dattiloscritto): spirito perentorio negli anni Trenta, si enunciava flessibile nella Piccola Scala (1949-55), rarefatto nei cristallini echi miesiani dell’ampliamento di palazzo Beccaria (1952-66) e dell’edificio direzionale Rizzoli (1957-60), atomizzato infine nei sempre vivi caleidoscopi decorativi (edificio RAS di Catania, 1959-65).
Nel 1955 Portaluppi sovraintese alla pubblicazione a Milano di una Guida all’architettura di cui diresse impostazione e scelta di «esempi fondamentali nella storia» sino a quelli «dei massimi architetti contemporanei, Mies van der Rohe, Le Corbusier, Wright, Gropius, Aalto, Terragni» (recensione in Edilizia moderna, 1955, n. 55, p. 84), ritenendo il comasco Giuseppe Terragni il solo degno della «grande tradizione» italiana.
Morì a Milano, nella casa di corso Magenta, il 6 luglio 1967.
Opere. Tra le principali: L’architettura del Rinascimento nell’ex ducato di Milano, 1450-1500, s.l. [Milano] 1914; Aedilitia 1, a cura di A. Lucchini - U. Sabbioni - S. Tibaldi, Milano-Roma s.d. [1924]; Aedilitia II, Milano-Roma 1930.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio della Fonda-zione Piero Portaluppi.
P. Mezzanotte, «Aedilitia» di P. P., in Architettura e arti decorative, IV (1925), 9, pp. 391-406; Neue Baukunst in Mailand, in Wasmuths Monatshefte für Baukunst, 1926, n. 11, pp. 473, 475; A. Melani, L’ornamento nell’architettura, III, Milano 1927, pp. 342, 371; S. Giedion, Osservazioni sulla Triennale, in Quadrante, 1933, n. 4 (dal Neue Zürcher Zeitung di luglio), pp. 24-26; A. Pica, Nuova architettura italiana, Milano 1936, pp. 40 s.; E. Conti, Dal taccuino di un borghese, Milano 1946, passim; Gnomonica atellana. Le meridiane dell’arte, l’arte delle meridiane. Nel sessantennio della collezione di orologi solari portatili nello studio atellano di P. P., 1967, a cura di A.A. Novello, Milano 1968; R. Bossaglia, L’Art déco, Roma-Bari 1984, pp. 84, 86, 88 s., 137; G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Torino 1989, pp. 59 s., 142, 154, 159; G. Bilancioni, Aedilitia di P. P., Milano 1993; O. Selvafolta, «Fulgura Multiplicavit»: le centrali idroelettriche di Ettore Conti, Umberto Girola e P. P., in Accoppiamenti giudiziosi. Storie di progettisti e costruttori, a cura di A. Giorgi - R. Poletti, Milano 1995, pp. 23-63; S. Pace, P., P., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, III, Roma 2003, pp. 2017-2019 (1a ed. V, Torino 2001); P. P.: Linea errante nell’architettura del Novecento (catal.), a cura di L. Molinari, Milano 2003; G. Zucconi, Stili e storia: il confronto con l’architettura del passato, ibid., pp. 271-281.