Vaglienti, Piero
Nacque quasi certamente a Firenze nel 1438 da Giovanni e Nanna di Taddeo di Ambrogio, ma già nel 1442 la famiglia passò a Pisa, dove V. avrebbe trascorso gran parte della sua esistenza. Proprio a Pisa, a partire dal 1475, V. impiantò con il fratello Bernardo una florida attività mercantile e feneratizia: come molti altri fiorentini, anche i V. contribuivano dunque «al graduale affermarsi del controllo dell’economia pisana da parte dei cittadini della Dominante» (Luzzati 1982, p. XV). Apparentemente avviato al consolidamento di un notevole patrimonio, V. ebbe la vita sconvolta dalla discesa in Italia di Carlo VIII: Pisa si ribellò infatti a Firenze nel novembre del 1494, ed espulse di lì a poco tutti i fiorentini. Da qui cominciò il dramma personale di V., e da qui prese le mosse la sua opera di cronista, che corse parallela alla raccolta di documenti relativi alle scoperte geografiche, impresa cui si lega per buona parte il suo nome (si v. il codice autografo 1910 della Biblioteca Riccardiana di Firenze, edito a cura di Luciano Formisano nel 2006). Nel febbraio del 1495 V. tornò dunque a Firenze, dopo aver perduto tutti i beni accumulati a Pisa; cominciò per lui un quindicennio assai duro: non riuscì a entrare stabilmente nei ranghi dello Stato, lavorò per varie imprese commerciali e, in particolare, per i Sernigi (con i quali si indebitò), fu costretto a vendere i beni fiorentini che gli rimanevano e ricoprì per breve tempo (1503-04) la carica di doganiere a Livorno. Quando Pisa si arrese a Firenze nel giugno del 1509, V. decise di farvi ritorno, e qui trascorse gli ultimi anni, dedicandosi al riordino della propria opera, la Storia dei suoi tempi, che offre con l’ultima annotazione (15 luglio 1514) il termine post quem per la data della sua morte, ignota (per la ricostruzione biografica si veda Luzzati 1982, pp. XI-XXV). La Storia di V. è testimoniata dal secondo manoscritto di sua mano (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, cod. II IV 42), e si occupa per larga parte degli stessi eventi fronteggiati da M. nelle vesti di segretario della seconda cancelleria: ai tentativi di riconquistare Pisa si riferiscono infatti molti dei documenti delle Legazioni e Commissarie (come già il più antico scritto politico di M. che si conosca, il Discorso sopra Pisa del 1499); colpisce inoltre la viva attenzione di V. per la figura di Cesare Borgia.
Per quanto si sa, M. non incontrò mai V., non ebbe rapporti con lui né lo ricordò nei documenti prodotti in questo lasso di tempo. M. è invece rammentato due volte nella Storia di V.: quando Pisa torna sotto il dominio fiorentino, V. annota che con gli ambasciatori pisani «andò Niccolò Machiavelli per pigliare la tenuta [di Pisa] per conto del popolo fiorentino» (Storia dei suoi tempi, a cura di G. Berti, M. Luzzati, E. Tongiorgi, 1982, p. 223); qualche anno dopo M. è ricordato nel resoconto della congiura antimedicea che gli costò l’incarcerazione:
Di poi a dì 15 di febbraio 1512 [stile fiorentino, dunque 1513] essendo Giuliano e ’l cardinale [Giovanni de’ Medici] in Firenze, certi cittadini ordinoro di fare una cena i’ ne la quale fusse Giuliano de’ Medici [...]: e in detta cena dovevano ammazzare Giuliano de’ Medici. Di poi [...] essendosi scoperto la cosa fu preso quattordici cittadini ch’erano in tale trattato, e’ quali funno questi appresso e prima Niccolò Valori, Niccolò Machiavelli (p. 237).
V. fu cronista vivace e a tratti penetrante, anche se spesso angusto e sostanzialmente limitato dai propri mediocri orizzonti culturali (Luzzati 1982; Fasano Guarini 1983). Pur con molti limiti, dei fatti narrati nella propria opera V. cercò di individuare non solo «le ragioni e la logica» ma «talvolta anche – come il M. chiedeva ai saggi – [...] gli sbocchi» (Fasano Guarini 1983, p. 5). Mancano studi che esaminino i rapporti tra M. e V. per il rispetto storiografico, ma è interessante cogliere la loro profonda differenza di visione su un paio di aspetti cruciali. La necessità di disporre di milizie locali – sostenuta da M. con argomenti squisitamente politici (si veda per es. Principe xii e xiii) – è riconosciuta da V. sulla base di un’argomentazione mercantile: «imperò che molto meglio è una spesa di 20 o 25 migliaia di ducati el mese alle gente nostre che non sarebbe quando se ne spendessi 15 el mese ne’ forestieri» (Storia dei suoi tempi, cit., p. 112; cfr. anche Fasano Guarini 1983, p. 9). Su un punto anche teoricamente decisivo come quello del sostegno popolare a un dato regime o uomo di governo, M. e V. appaiono poi su posizioni del tutto opposte. Evocando la sfortunata vicenda di Luigi d’Alessandro Mannelli, che per rendersi caro al popolo era incorso nell’incarcerazione e nella tortura, V. sentenzia che questi «doveva [...] ricordarsi delle parole di messer Giorgio Scali, che disse che chi si fonda in sul popolo, con riverenza, si fonda in sulla merda» (Storia..., cit., p. 174). A conclusioni di segno contrario – ricordando non per caso lo stesso Scali e offrendo una versione più castigata del suo motto – giunge M. in Principe ix 20, quando teorizza che al principe è invece necessario cattivarsi il favore del popolo (il riscontro con il passo di V. è segnalato da Giorgio Inglese nel suo commento al Principe, p. 67):
E non sia alcuno che repugni a questa mia opinione con quello proverbio trito, che chi fonda in sul popolo fonda in sul fango: perché quello è vero quando uno cittadino privato vi fa su fondamento e dassi a intendere che il populo lo liberi quando fussi oppresso da’ nimici o da’ magistrati. In questo caso si potrebbe trovare spesso ingannato, come a Roma e’ Gracchi e a Firenze messer Giorgio Scali.
Bibliografia: Storia dei suoi tempi. 1492-1514, a cura di G. Berti, M. Luzzati, E. Tongiorgi, Pisa 1982; “Iddio ci dia buon viaggio e guadagno”, Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 1910 (Codice Vaglienti), ed. critica a cura di L. Formisano, Firenze 2006 (con bibl. prec.).
Per gli studi critici si vedano: M. Luzzati, introduzione a P. Vaglienti, Storia dei suoi tempi. 1492-1514, a cura di G. Berti, M. Luzzati, E. Tongiorgi, Pisa 1982, pp. VII-XXXVIII; E. Fasano Guarini, Piero Vaglienti tra “ricordanze” e storia, «Bollettino storico pisano», 1983, 52, pp. 1-15.