STROZZI, Piero Vincenzo
– Nacque a Firenze il 30 luglio 1551 dal senatore fiorentino Matteo di Lorenzo e da Leonarda Soderini.
Riconosciuto dai concittadini come fine conoscitore di musica, tanto pratica quanto teorica, fu compositore dilettante; concorse con altri intellettuali alla promozione di quel rinnovamento musicale, ispirato all’antichità, che avrebbe poi contribuito all’affermazione del nuovo stile monodico. Della sua produzione musicale, coltivata in ambiti diversi (cortigiano, accademico, privato, confraternale), poco rimane.
Nel 1575, insieme al musicista Giulio Caccini e a Filippo de’ Bardi, figlio del conte Giovanni, entrò nella compagnia dell’Arcangelo Raffaello, nella quale era già iscritto Girolamo Mei, dotto filologo e studioso di musica antica, e dove nel 1587 sarebbe entrato il banchiere Jacopo Corsi, facoltoso mecenate e compositore dilettante. Questa confraternita, che favoriva la pratica musicale come parte integrante del percorso formativo degli iscritti, si distinse nell’ultimo quarto del secolo per l’esecuzione di alcuni tra i primi esempi di brani musicali per voce sola. Tra i poeti attivi per la confraternita vi fu Ottavio Rinuccini.
Al 1579 risale l’unico componimento monodico di Piero Strozzi pervenuto: Fuor dell’umido nido, su un madrigale di Palla Rucellai, composto per la comparsa del carro della Notte in un torneo tenuto il 14 ottobre nel cortile di palazzo Pitti per le nozze del granduca Francesco I e Bianca Cappello. Il brano a voce sola fu cantato da Caccini con l’accompagnamento della «sua e molte altre viole» (R. Gualterotti, Feste nelle nozze del Serenissimo don Francesco Medici Gran Duca di Toscana, Firenze, Giunti, 1579, p. 25). Non rimane invece la musica per In suo stellante regno (madrigale di Giovan Battista Strozzi jr) per l’ingresso del carro seguente, quello di Venere. Non è improbabile che tali composizioni siano state eseguite nell’adempimento di particolari mansioni di corte, se è vero che Strozzi, come risulta da fonti seriori, «fu cortigiano del granduca Francesco» (Archivio di Stato di Firenze, Tratte 1271, c. 710r).
Egli figura come interlocutore di Giovanni de’ Bardi nel Dialogo della musica antica et della moderna (Firenze, Marescotti, 1581), trattato di Vincenzo Galilei in cui si esponevano le teorie scaturite dagli eruditi studi musicali di Mei, circolanti tra «poeti e filosofi», «primi musici e ingegnosi uomini» (G. Caccini, Le nuove musiche, Firenze, 1602: avviso Ai lettori) che frequentavano casa Bardi (è il gruppo che Caccini, nella sua Euridice composta in musica, Firenze 1600, e nelle Nuove musiche, definì retrospettivamente come la «Camerata» dell’illustre ospite, musicofilo e mecenate). Durante questi incontri le discussioni sulle presunte differenze tra la musica moderna (polifonica) e quella greco-antica (che si riteneva monodica, stile che, in quanto capace di esprimere gli «affetti», sarebbe stato superiore a quello allora in auge) erano accompagnate dall’esecuzione di brani dimostrativi.
Nei primi anni Novanta iniziò a frequentare in Firenze il circolo di letterati, poeti, musicisti e nobili riunito attorno a Corsi, tra cui figuravano, oltre a Rinuccini e Caccini, anche il cantante e compositore Jacopo Peri e i poeti Gabriello Chiabrera e Giulio Dati. Come loro e altri del gruppo, in varie occasioni ricevette da Corsi sostegno economico: nel 1581 ottenne un prestito di 100 scudi elargitogli durante una visita a Genova, compiuta per motivi non noti (Archivio di Stato di Firenze, Guicciardini Corsi Salviati, Libri di Amministrazione, 443, c. 22). Con il mecenate ebbe rapporti di amicizia e intima confidenza, tant’è vero che in uno dei Capitoli in terza rima di Dati (dedicati a Caterina Catastini, gentildonna fiorentina, amante prima di Rinuccini e poi di Corsi) egli è tra i gentiluomini burlati per il dispiacere mostrato alla partenza di una donna di dubbia fama: «E Piero Strozzi seben fa l’astuto, / mostrando aver studiato e saper tanto, / celar il suo dolor non ha potuto» (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Al sig.r Agustino del Nero, II, ms. 2820/3, cc. 14r-20v, in partic. c. 15v).
Fu inoltre sempre in contatto con Caccini, anche quando nell’agosto 1593, a seguito di uno scandalo che aveva coinvolto una sua giovane allieva e alcuni gentiluomini fiorentini, tra cui lo stesso Rinuccini, fu cassato dai ruoli di corte: per qualche tempo il cantante fu trattenuto a Firenze grazie anche al supporto di Corsi, ma infine decise di andarsene; nel settembre 1595, quando Caccini era riparato in Genova, Strozzi gli scrisse una lunga, calorosa lettera pregandolo di tornare e rassicurandolo dell’appoggio che avrebbe trovato presso la nobiltà fiorentina. Tra le sue amicizie vi fu anche la poliedrica figura di Niccolò di Sinibaldo Gaddi, collezionista d’arte oltreché di spartiti e strumenti musicali, il quale nel suo testamento lasciò mandato agli eredi di finire di costruire un clavicembalo destinato allo Strozzi (1591).
Come da tradizione per la classe dirigente, e sull’esempio del padre, senatore, intraprese, almeno dal 1595, il cursus honorum delle cariche pubbliche cittadine. Nelle pratiche presentate per accedere ai diversi uffici spicca la descrizione usata dai funzionari per distinguerlo dagli omonimi (come Piero di Pandolfo e Piero di Carlo Strozzi), a conferma dei suoi notori interessi: «Piero di Matteo Strozzi. Quello che porta la spada et si diletta assai alla musica. Gentil persona, ha moglie et figlioli»; in un caso è descritto anche come «quel musico che porta la spada» (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 1258, cc. 283v, 637v). Tra gli uffici richiesti, ma non ottenuti, tra il 1595 e il 1597 vi furono: il Collegio dei Dodici buonomini, gli Otto di guardia e di Balìa, i Conservatori di legge; nel 1598 ricevette il titolo ben più prestigioso e vitalizio di membro del Consiglio dei Duecento.
Per il Carnevale 1596 scrisse la musica (perduta) della Mascherata degli accecati (nove strofe madrigalesche, versi di Ottavio Rinuccini) per una sfilata di carri allegorici che mettevano in contrasto due gruppi: felici i gentiluomini, accecati e perciò finalmente immuni dal potere della bellezza muliebre; furiose le gentildonne, che viceversa con la loro simulata freddezza avrebbero voluto legarli ancor di più, e dunque invocanti la vendetta del dio Amore. Da luglio dello stesso anno sono documentati i suoi contatti con Chiabrera, il quale, di ritorno a Savona dopo uno dei suoi vari soggiorni fiorentini, gli dedicò per lettera una canzonetta morale, Febo sette albe ha rimenato a pena (poi stampata nel 1599; edizione moderna in Maniere, scherzi e canzonette morali, a cura di G. Raboni, Milano-Parma 1998, pp. 299-301), mentre in ottobre gli chiese una canzone di Raffaello Gualterotti in lode di Maria de’ Medici.
Jacopo Peri, nell’avvertenza Ai lettori anteposta alla partitura della sua Euridice (Firenze 1601), ribadisce il ruolo svolto da Strozzi, in particolare come teorico, nel definire lo stile musicale poi adottato nella Dafne (1598?) e nell’Euridice (1600), favole drammatiche di Rinuccini da cantare per intero secondo «questa nuova maniera di canto» (la monodia), oggi classificate tra le primissime opere in musica: lo ricorda infatti tra gli «intendentissimi gentiluomini» chiamati a esprimere un parere qualificato sui primi brani da lui composti a tal fine.
Ai festeggiamenti per le nozze di Maria de’ Medici – ne fece parte l’Euridice cantata a palazzo Pitti il 6 ottobre 1600 con musiche di Peri e Caccini – Strozzi contribuì in più modi: scrisse la musica per un’elaborata serie di mascherate bucoliche, con armeggerie e carri allegorici, data alla presenza dei sovrani e di parte della corte nei giardini del banchiere Riccardo Riccardi (8 ottobre), e quella per il secondo coro del Rapimento di Cefalo di Chiabrera, spettacolo conclusivo nel teatro degli Uffizi e culmine dell’intero ciclo festivo (9 ottobre). Quest’ultimo evento, a detta di Michelangelo Buonarroti jr, relatore ufficiale delle celebrazioni nuziali, sarebbe stato particolarmente nobilitato dalla presenza di Strozzi, un «gentiluomo non solamente in tale arte, ma di ogni nobile facoltà adornissimo»; gli altri compositori, ossia Stefano Venturi del Nibbio e Luca Bati (per i restanti cori) e Caccini per «il cantare rappresentativo» (ossia le sezioni dialogate), erano invece musicisti di professione (Descrizione delle felicissime nozze, Firenze 1600, pp. 23-25). Anche in questo caso la musica di Strozzi è perduta.
Di questi anni sono pervenuti soltanto due suoi madrigali a cinque voci: Vago augelletto che cantando vai (sonetto di Francesco Petrarca) nel secondo libro di Luca Bati (Venezia, Gardano, 1598) e Portate, aure del ciel, portate i pianti nel secondo libro di Marco da Gagliano (Venezia 1604), una trenodia madrigalesca per la morte di Corsi, forse intonata per le esequie, celebrate nella compagnia dell’Arcangelo Raffaello (21 febbraio 1603). Anche in quest’occasione si disse che Strozzi fosse «tenuto in grande stima [...] per le molte virtù sue, e per la musica spezialmente, della quale, al pari di ogni altro che ne faccia professione, è intendentissimo» (D. Torsi, Descrizione delle esequie, 1603, ms. citato in Carter, 2000, pp. VII, 80 s.). Non va invece identificato con il Piero Strozzi che venne incontro a Laura Corsini, vedova di Corsi, dandole in affitto la casa d’abitazione (si trattò di un omonimo, figlio di Marianna Suarez).
In quest’epoca Strozzi ricoprì gli uffici di capitano di Cortona (per un anno dal 25 settembre 1601), Otto di guardia e di Balìa (per quattro mesi dal 1° novembre 1602), Collegio dei Dodici buonomini (per tre mesi dal 15 marzo 1603), Conservatori di legge (per sei mesi dal 1° novembre 1603). Rimasto vedovo in data imprecisata della prima moglie (Maddalena Capponi, sposata nel 1586), nel 1607 sposò la gentildonna Alessandra di Giovanni Caccini (di famiglia nobile, senza legami con gli omonimi musicisti). Accanto alla carriera politica, tenne vivi gli interessi musicali: tra il 1604 e il 1605 fu tra i corrispondenti di Giulio Caccini, che nel suo viaggio in Francia con moglie e figli, tutti cantanti e musicisti, si vantava del gradimento riscosso presso i sovrani, in particolare dalle figlie Francesca e Settimia. Tra il 1607 e il 1609 fece parte degli Elevati, accademia protetta dal cardinal Ferdinando Gonzaga (appassionato cultore di musica, nonché autore dilettante di favole in musica), nata per raccogliere i migliori compositori, suonatori e cantanti della città, sia dilettanti (come Giovanni del Turco o lo stesso Gonzaga) sia professionisti (come Peri, Marco da Gagliano, Piero Benedetti, Giovanni Cavaccio, Antonio Francesco Benci), infine nobili poeti e intellettuali come Rinuccini, Bardi, Alfonso Fontanelli e Lorenzo del Turco.
Nei primi mesi del 1611 fu tra i referenti medicei nell’organizzare le musiche per la settimana santa (30 marzo-2 aprile), celebrate come di consueto alla presenza dei granduchi nella chiesa di S. Nicola di Pisa: quell’anno vi cantarono Vittoria Archilei, Peri, e Caccini con le figlie. Dal 1° luglio fu iscritto tra i cortigiani a «ruolo senza la provvisione per godere de’ privilegi» (Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, 309, c. 38r), dunque servitore di corte ma a titolo gratuito. L’influenza attribuita a Strozzi sulle scelte dei sovrani e dei loro funzionari in materia di musica è dimostrata in quell’anno dalle lettere di Caccini allo stesso Strozzi (6 aprile, 21 ottobre, 24 novembre; cfr. Bacherini Bartoli, 1980, pp. 68-71): alle consuete proteste di amicizia si affiancano giustificazioni per il comportamento irriguardoso della figlia Settimia e del marito musicista Alessandro Ghivizzani nei confronti dei granduchi e raccomandazioni per promuovere l’assunzione del figlio Pompeo come musico di corte.
Il suo stretto rapporto con il mondo dei cantanti in servizio mediceo è documentato anche qualche anno dopo: così risulta da una lettera (3 marzo 1613; cfr. Kirkendale, 1993, p. 313) con cui egli assicura a Virginio Orsini di aver riferito a Francesca Caccini e al marito Giovan Battista Signorini l’ordine granducale di recarsi quanto prima a Roma al suo servizio, come pure dal fatto che nel dicembre di quell’anno Buonarroti, incaricato dalla granduchessa di ideare un balletto di corte per Carnevale su musica della Caccini e di Peri, si consultasse con lo Strozzi circa la disponibilità e buona salute di quest’ultimo.
Alla carriera cortigiana continuò ad affiancarsi quella civica. Nel 1612 fece nuovamente domanda per l’ufficio di Otto di guardia e di Balìa (che non ottenne) e l’anno dopo per il titolo, già appartenuto a suo padre e a buona parte degli antenati, di senatore della Repubblica. Tuttavia non fece a tempo a riceverlo, in quanto il processo di rinnovo di quest’organo collegiale si concluse solo nel 1615. Ottenne però l’incarico annuale di capitano di Arezzo, che ricoprì dal 6 novembre 1614.
Morì ad Arezzo nel dicembre 1614.
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