Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Noto soprattutto per il Dizionario storico-critico, Pierre Bayle dà un contributo importante al dibattito filosofico sei-settecentesco con le sue audaci prese di posizione sulla virtù degli atei, sulla necessità e sui pericoli della tolleranza religiosa, sull’impossibilità di una teologia razionale. Pensatore controverso, cresciuto nella cultura protestante mai poi approdato a una posizione personalissima e irriducibile ad ogni setta o corrente, rappresenta al meglio l’epoca della “crisi della coscienza” europea.
Ugonotto di nascita, convertito precocemente al cattolicesimo ed altrettanto precocemente tornato – non si saprà mai con quanta sincerità – alla religione protestante, Pierre Bayle incarna tutte le contraddizioni di un secolo attraversato da grandi conflittti politici e religiosi, da straordinarie scoperte scientifiche, dal sorgere dei più ambiziosi sistemi filosofici e metafisici. In questo contesto, Bayle elabora un coraggioso controcanto scettico, sempre rivolto contro ogni dogmatismo, contro ogni pretesa di esaustività, contro ogni tentazione egemonica, contro ogni forma di dominio sulle coscienze e di oppressione della libertà di pensiero.
Nato nel 1647 a Le Carla, nella Francia meridionale, esordisce tra i Gesuiti di Tolosa, dove si era rifugiato dopo aver abbandonato il calvinismo dei padri, e debutta con delle Tesi filosofiche (1670) in cui già emergono la sua vena polemica, la sua ansia di rimettere in discussione i risultati della speculazione filosofica, e in particolare il cartesianesimo. La sua conversione alla religione cattolica, d’altra parte, non ha alcun tratto dell’ansia pascaliana. Nasce, piuttosto, dall’incapacità di risolvere alcune obiezioni riguardo ai principi fondanti della religione riformata. E se torna dopo poco al protestantesimo, non è soltanto per nostalgia della cultura in cui è cresciuto, ma anche e soprattutto perché il cattolicesimo gli appare ancora più indifendibile. Tutta la vita di Bayle non è altro che una continua rincorsa tra obiezioni e risposte, tra aporie e criticità sempre ricercate con acribia e quasi con gusto demolitorio: Leibniz avrà forse ragione quando lo accuserà di esagerare le difficoltà e i dubbi, ma in realtà è proprio in questo scetticismo iperbolico che sta la cifra del pensiero filosofico di Bayle.
Il principale oggetto delle critiche di Bayle è la teologia cristiana in tutte le sue espressioni, e specialmente nella misura in cui essa si vuole fondata su una filosofia, cioè su un pensiero razionale coerente. Cartesiano per il metodo ma non per il sistema, Bayle applica il criterio dell’evidenza ben oltre i limiti posti da Cartesio, assai prudente nel Discorso sul metodo a isolare il campo di applicazione delle sue regole, da cui esenta da subito la religione e la teologia. Per Bayle questa limitazione non ha senso: è proprio in teologia che occorre la massima chiarezza, trattandosi della materia più importante per il destino di ogni individuo.
I Pensieri diversi sulla cometa (1682) costituiscono l’esordio pubblico di Bayle e l’opera che lo lancia nel dibattito filosofico dell’epoca. Un’opera, i Pensieri, in cui il suo stile è già quasi del tutto formato: a tratti prolisso ma sempre con la stoccata vincente in agguato, apparentemente dedito alle digressioni inutili, colmo di citazioni erudite, caratterizzato da un’alternanza di provocazioni estremistiche e di tratti anche troppo servili verso la cultura dominante. Come quasi tutte le altre di Bayle, l’opera esce anonima, con l’autore che si maschera attraverso un gioco all’infinito di rimandi a personaggi fittizi che tende evidentemente quasi a stemperare la sua figura, o a esaltarla sempre più in un gioco barocco che creerà quasi una moda.
L’opera è dedicata, abbastanza pretestuosamente, alla critica delle superstizioni legate al passaggio delle comete (l’ultima si era manifestata, appunto, nel 1680). Un obiettivo polemico non più d’avanguardia, ormai, dopo decenni di rivoluzione scientifica, anche se l’abilità argomentativa di Bayle esercita comunque sempre un effetto salutare nel rimuovere pregiudizi diffusi e radicati. In realtà l’obiettivo dell’opera è molto più ambizioso, per quanto velato dalla strategia libertina dell’autore. Infatti la tesi principale, e il principale motivo di scandalo dei Pensieri, è la tesi secondo cui l’ateismo non porta necessariamente alla corruzione dei costumi e, quindi, non è incompatibile con la fedeltà a un sovrano. È il mito della “società di atei”, che ossessionerà tutta la cultura europea della fine del Seicento e dell’intero Settecento. Bayle non sostiene, tout court, che l’ateismo sia la miglior scelta possibile dal punto di vista sociale, politico e morale (anche se lo insinua tra le righe e poi, alla fine della sua vita, lo scrive in modo pressoché esplicito), ma costruisce tutta la sua tesi su un paragone tra atei, idolatri e cristiani. Stabilisce, prima, che il cristianesimo non è necessario perché uno Stato stia in piedi: ci sono state, infatti, anche repubbliche di pagani idolatri. E se l’idolatria, che è per tutti i cristiani il peggior male possibile, permette la sopravvivenza di uno Stato, allora potrà farlo anche l’ateismo. Il risultato è una generale destabilizzazione dei pilastri portanti della cultura filosofico-teologica moderna, a partire da quello fondato sulla necessaria integrazione reciproca e complementarità di religione, morale e politica. Bayle condisce il tutto con alcuni ritratti di atei virtuosi, destinati a diventare delle icone del libero pensiero sei-settecentesco: Epicuro, Diagora e soprattutto Spinoza, ateo virtuoso per eccellenza (come resterà fino a Kant compreso e anche oltre).
Dopo aver risieduto e insegnato a Sedan, nella Francia settentrionale, Bayle si stabilisce dal 1680 a Rotterdam, dove rimarrà per tutto il resto della vita. Qui, dopo aver pubblicato i Pensieri sulla cometa, si impegna a partire dal 1684 nella fondazione di una delle prime riviste culturali europee: le Nouvelles de la république des lettres, che recensisce ogni mese le novità letterarie più importanti. Una rivista pensata e scritta interamente da Bayle, che, nei suoi pezzi critici, dimostra una grande abilità di lettore e di giornalista, prontissimo nel cogliere il motivo di interesse di un volume, nello sviscerare le intenzioni dell’autore e nel rendere interessante anche la più polverosa opera di numismatica o di medicina. Un successo europeo, subito copiato e ripetuto da vari cloni, specialmente in Olanda. Bayle abbandonerà l’impresa nel 1687, soprattutto per motivi di salute, anche se resterà per tutto il resto della sua vita alle dipendenze dell’amico libraio Reinier Leers, editore delle Nouvelles e della maggior parte delle sue opere seguenti.
Pierre Bayle
Se una società di atei potrebbe darsi leggi di buon costume e di onore
Pensieri sulla cometa
172
Se una società di atei potrebbe darsi leggi di buon costume e di onore
A questo punto è ormai evidente che una società di atei potrebbe svolgere ogni attività civile e morale come qualsiasi altra società, ammesso che anche in essa si puniscano severamente i delitti e si connettano a certe determinate azioni i sentimenti dell’onore e dell’infamia. Il fatto di ignorare l’esistenza di un primo Essere creatore e conservatore dell’universo non impedirebbe ai membri di questa società di essere sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena, così come a tutte le altre passioni umane, e nemmeno soffocherebbe in loro tutti i lumi della ragione, e anche fra gli atei si potrebbero vedere persone oneste nel commercio, caritatevoli verso i poveri, nemiche dell’ingiustizia, fedeli ai loro amici, aliene dall’offendere, indifferenti ai piaceri della carne, incapaci di fare un torto a qualcuno: la spinta a compiere tutte queste belle azioni, che certamente riscuoterebbero il plauso della gente, sarebbe il desiderio di essere lodati e il tornaconto di procurarsi amici e protettori in caso di bisogno. Le donne farebbero della castità il loro punto d’onore, quale mezzo infallibile per ottenere amore e stima da parte degli uomini. Ci sarebbero senza dubbio delitti di ogni genere, ma non più di quanti se ne commettono nelle società idolatre, dato che tutti i moventi che spingevano i pagani al bene e al male, si ritroverebbero anche in una società di atei, e cioè le pene e le ricompense, la gloria e il disonore, il temperamento e l’educazione. I pagani infatti, proprio come gli atei, sono sprovvisti di quella grazia santificante che ci riempie d’amore verso Dio e ci fa trionfare sulle nostre cattive inclinazioni. Ma per essere pienamente convinti che un popolo privo della conoscenza di Dio è capace di stabilire delle norme di onore e porre ogni cura nel rispettarle, basta osservare quanto sia diffuso fra i cristiani quel particolare sentimento d’onore che, per essere esclusivamente mondano, è direttamente contrario allo spirito del Vangelo. Vorrei sapere, per esempio, da dove è nato quel codice d’onore che i cristiani idolatrano al punto da essere capaci di sacrificargli qualsiasi altra cosa. Forse è il sapere che c’è un Dio, un Vangelo, una Resurrezione, un Paradiso e un Inferno a far sì che i cristiani ritengano di venir meno al loro onore quando cedono ad un altro un posto importante, lasciano impunito un affronto o dimostrano minor fierezza o ambizione dei propri simili? Si dovrà ammettere di no. Si passino pure in rassegna tutte le idee di onestà correnti fra i cristiani: difficilmente se ne potranno trovare due che siano state ricavate dalla religione. E se una cosa, da condannabile che era, diviene col passar del tempo onesta, questo non si verifica certamente perché si è esaminata più a fondo la morale del Vangelo. Da un po’ di tempo, per esempio, le donne si sono convinte che è segno di maggior distinzione sfoggiare pubblicamente innanzi agli occhi di tutti la propria eleganza, inseguire a briglia sciolta un animale eccetera e si sono tanto adoperate, che questo comportamento non viene ormai più considerato una mancanza di modestia. È forse la religione ad averci fatto cambiare idea in proposito? Paragonate un po’ tra loro i costumi delle varie nazioni che professano il cristianesimo, paragonateli fra loro e troverete che quello che è onesto in una non lo è affatto in un’altra. Dunque le idee di onestà correnti fra i cristiani non devono dipendere dai princìpî della religione che professano, anche se riconosco che alcune di queste idee hanno un carattere generale poiché, per esempio, non c’è nessuna nazione cristiana in cui una donna debba vergognarsi di essere casta. Ma allora se vogliamo essere sinceri fino in fondo, dobbiamo riconoscere che si tratta di un’idea più vecchia del Vangelo e dello stesso Mosè; un’idea che è come impressa nell’animo degli uomini da che mondo è mondo. E vi potrei dimostrare che neppure i pagani l’hanno ricavata dalla loro religione. Ammettiamo dunque che in tutti gli uomini esistano idee d’onore, che sono una pura opera della natura, opera cioè dell’universale provvidenza. Ammettiamolo soprattutto per quell’idea di onore di cui i nostri eroi sono tanto gelosi e che invece è così contraria alla legge di Dio. Ma come allora potremo dubitare che la natura non riesca a compiere fra gli atei, che non hanno un Vangelo che le si opponga, ciò che essa riesce a compiere fra i cristiani?
Pierre Bayle, Pensieri sulla cometa, a cura di G. Cantelli, Roma-Bari, Laterza, 1979
L’anno più importante nella vita di Bayle è certamente il 1685. Luigi XIV revoca l’editto di Nantes segnando per sempre il destino degli ugonotti all’estero. Il loro esilio è ormai definitivo e il trauma non potrebbe essere più violento. Ma Bayle vive l’esilio in modo diverso dai suoi correligionari. Troppo critico per stare in un partito, si esercita a prendere le vesti dell’uno e dell’altro competitore, in un vortice di prese di posizione che lo porta a rischiare anche sul piano personale. Sotto le vesti di un protestante moderato e tollerante vicino agli arminiani, scrive il Commentaire philosophique, la sua opera filosoficamente più omogenea, in cui, prima di Locke, rivendica la tolleranza religiosa come unico fondamento della convivenza tra religioni e culture diverse. Il Commentaire si fonda quasi interamente su una dottrina morale semplice quanto controversa, quella secondo cui un errore commesso in buona fede sarebbe innocente, o comunque meno grave di un errore commesso volontariamente. Una dottrina sorta in ambito scolastico e largamente discussa dai “dottori di coscienza” seicenteschi, di cui Bayle si appropria per dimostrare che ogni eresia, fondandosi comunque su una scelta fatta “in buona fede”, non è punibile né tanto meno suscettibile di persecuzione: la coscienza è la “voce di Dio” e non può essere costretta. La posizione di Bayle dà adito a non poche difficoltà, la più grave delle quali – subito sottolineata dai suoi avversari e in particolare dal suo acerrimo rivale, ex-amico e collega Pierre Jurieu – consiste nel fatto che una tale divinizzazione del “principio di coscienza” rischia di giustificare qualsiasi scelta fatta in buona fede, compresa quella di perseguitare chi sia di una religione diversa dalla propria, rendendo quindi moralmente giusto persino il comportamento del più odioso e violento persecutore. Le risposte di Bayle all’obiezione non sono sempre convincenti, tanto è vero che finirà poi con l’abbandonare questa dottrina. In ogni caso, il Commentaire rappresenta il momento della sua massima vicinanza ai settori più libertari del protestantesimo, come quelli degli arminiani e dei sociniani, largamente presenti nell’Olanda dell’epoca. Il quadro cambia radicalmente negli anni seguenti, quando lo scontro tra le varie confessioni si radicalizza ulteriormente e la Gloriosa Rivoluzione inglese (1688) mette a nudo le tendenze ribellistiche e persecutorie presenti all’interno dello stesso protestantesimo. Finché, nel 1690, dopo i troppi esempi di intolleranza e fondamentalismo che vede diffondersi a macchia d’olio anche tra i protestanti, Bayle fa uscire nel massimo anonimato la sua opera più controversa e anche più oscura: l’Avis aux réfugiés, tutto diretto contro i protestanti esiliati, che vengono ammoniti a non seguire la strada dei loro persecutori, aggiungendo violenza a violenza. L’Avis aux réfugiés è l’opera più audace di Bayle: non si era mai visto un esiliato protestante scrivere, dal suo esilio, contro i suoi stessi correligionari, e non a caso l’opera (che malgrado varie precauzioni gli viene subito attribuita) gli attira un processo in piena regola, nel quale Bayle vede la prima manifestazione di Inquisizione protestante, frutto di quell’essenza intollerante propria a suo avviso di ogni religione e in particolare del cristianesimo. La realtà dei fatti conferma, insomma, la sua intuizione di fondo, potenzialmente dirompente, della sostanziale equivalenza di tutte le religioni in quanto a potenzialità persecutoria e oppressiva.
Con il Dizionario storico-critico (1697), l’opera a cui più è legato il suo nome, Bayle ripiega apparentemente sull’erudizione: quattro grossi volumi in folio (nell’edizione ampliata uscita postuma nel 1720) densi di citazioni, osservazioni critiche, discussioni con i contemporanei e con gli antichi. Ma è un’erudizione a doppio fondo: gli articoli, ordinati alfabeticamente e dedicati per la maggior parte a personaggi storici dall’antichità fino all’epoca moderna, sono in genere scarni e poco interessanti; è piuttosto nelle note a piè di pagina (le famose remarques) che Bayle scatena tutto il suo genio critico, dispiegandolo in ogni ambito del sapere e con i pretesti più strani. Ne risulta un ammasso barocco oggi difficilmente digeribile, ma stracolmo di intuizioni e di prese di posizione sul dibattito filosofico dell’epoca.
La più celebre delle polemiche in cui Bayle si impegna è quella sulla questione del male e della possibilità che la teologia cristiana trovi una risposta per l’interrogativo che da sempre l’assilla: se Dio esiste, perché il male? Bayle affronta la questione in un gruppo di articoli dedicati ad alcune sette antiche (i manichei, i pauliciani) che, non potendo conciliare l’esistenza del male con quella di un unico Dio buono, hanno sostenuto l’esistenza nell’universo di una dualità di principi, un principio del bene e un principio del male, continuamente in lotta tra loro. Bayle sostiene che la posizione di queste sette è inattaccabile, ma è chiaro da subito che il suo obiettivo non è una improbabile riesumazione di antiche eterodossie. L’obiettivo di Bayle è più ardito: mostrare definitivamente l’impossibilità di dare una giustificazione razionale della religione cristiana, attaccandola sul punto critico, da sempre, della sua teologia. Certo, Bayle presenta tutta la sua polemica dal punto di vista di un fideista che sostiene l’impossibilità di una ricostruzione razionale dell’edificio della teologia: la religione dipende dalla fede e quest’ultima è tanto più forte quanto più si allontana dalla ragione che, lasciata a se stessa, è destinata a svellere tutti i pilastri della credenza cristiana. Si tratta comunque di un fideismo inquietante, di cui con molte ragioni si è dubitato e si continuerà sempre a dubitare: Bayle, da sempre critico di ogni irrazionalismo religioso, per lui fonte costante di fanatismo e guerre sanguinarie, si veste improvvisamente dei panni di un fideista che ha in orrore la ragione e che crede, con San Paolo, che il cristianesimo deve nascere sulle macerie della filosofia. Tra l’altro, nelle opere che seguono il Dizionario, meno note ma forse ancora più rappresentative, filosoficamente, della sua posizione, Bayle non si astiene certo dall’utilizzare lo strumento della ragione, anzi lo affina sempre più fino a concludere, nella Continuazione dei pensieri diversi sulla cometa (1704) e nella in parte postuma Risposta alle questioni di un provinciale (1703-1707), che l’ateismo è la posizione filosofica più sostenibile sia in ambito teoretico che in ambito morale.
L’offensiva di Bayle contro la teologia razionale ha successo: nonostante la reazione di Leibniz, che dopo la morte di Bayle scrive contro di lui la sua opera più famosa, i Saggi di teodicea (1710), la teologia razionale, dopo un cinquantennio di grande fortuna, diventa progressivamente obsoleta e sempre meno presente nel dibattito filosofico europeo. Un trionfo soltanto postumo per Bayle, che, nonostante la grande fama acquisita da subito con il Dizionario, muore solo e povero in una locanda di Rotterdam nel dicembre 1706.
Pierre Bayle
Mortificare la ragione per riavvicinarsi a Dio
Dizionario storico-critico
Quando si è capaci di comprendere esattamente tutti i mezzi dell’epoché esposti da Sesto Empirico, ci si accorge che tale logica rappresenta il massimo sforzo di sottigliezza che lo spirito umano abbia mai potuto compiere, ma nello stesso tempo ci si rende conto che si tratta di una sottigliezza che non può dare alcuna soddisfazione: giunge infatti a contraddire se stessa, perché se fosse valida proverebbe che almeno una cosa è certa: quella di dover dubitare. Ci sarebbe allora una certezza; si avrebbe dunque una regola sicura della verità, e tutto il sistema crollerebbe; ma non temete, non si arriva a questo punto: le ragioni per le quali si deve dubitare sono esse stesse dubbiose. Si dubiti dunque, se si deve dubitare. Che caos! E che disagio per lo spirito! Questa sciagurata situazione è, a quanto pare, la più adatta a convincerci che la nostra ragione è una strada di smarrimento: quando essa si dispiega in tutta la sua sottigliezza, ci fa precipitare in un simile abisso. La conseguenza naturale di tutto ciò è che dobbiamo rinunciare a una tale guida, pregando la Causa di tutte le cose di darcene una migliore. E questo è sicuramente un passo decisivo verso la religione cristiana, la quale esige che si attenda da Dio la conoscenza di ciò che noi dobbiamo credere e fare; esige cioè che noi sottomettiamo il nostro intelletto all’obbedienza della fede. Se un uomo è convinto che non può sperare in alcun risultato da tutte le sue discussioni filosofiche, si sentirà più disposto a pregare Dio per richiedergli la fede nelle verità in cui si deve credere, di quanto non si sentirebbe disposto a farlo, se si illudesse di ottenere dei risultati positivi ragionando e discutendo. Conoscere i difetti della ragione è dunque una felice disposizione alla fede; per questo Pascal e alcuni altri filosofi hanno detto che per convincere i libertini, bisogna mortificarli sul piano della ragione, insegnando loro a diffidarne.
Pierre Bayle, Dizionario storico-critico, a cura di G. Cantelli, Roma-Bari, Laterza, 1976