ESTAING, Pierre d' (Petrus de Stagno)
Nato tra il 1324 e il 1330, era il quarto dei nove figli di Guillaume [III], barone d'Estaing (Aveyron, circ. di Rodez), e di Ermengarde de Peyre, viscontessa di Cheylane e signora di Valentines. Pronunciò i voti verso il 1340 nell'abbazia benedettina di Sainte-Foy di Conques, nella diocesi di Rodez, prima di prendere l'abito dei vittorini nel 1343 come procuratore del priore, poi come titolare del piccolo priorato di Saint-Geniés-d'Olt, nella stessa diocesi, affidato precedentemente dal vescovo all'abbazia di St.-Victor di Marsiglia. Sembra che egli sia succeduto a un suo parente: nel 1329 infatti un Arnaud de Peyre aveva ottenuto questo priorato (Jean XXII, Lettres communes, a cura di G. Mollat, Paris 1904-1947, n. 44670).
L'E. studiò diritto canonico, probabilmente all'università di Montpellier, e in questa materia si addottorò nel 1354. Dal 1355 al 1361 insegnò a Montpellier dove, tra l'altro, nel luglio 1361 continuò il commento alle Clementine cominciato dal canonista Etienne Troches. Dell'E. si conservano inoltre alcune "orazioni solenni", pronunciate in occasione del conferimento di titoli universitari, nelle quali l'autore dà prova della propria scienza retorica e letteraria. Egli fu anche scelto come consigliere giuridico dai consoli di Montpellier nel 1360. Il 30 genn. 1357 fu autorizzato a riscuotere le rendite del suo priorato benedettino di Sainte-Foye-de-Coulommiers (Seine-et-Marne) benché residente e insegnante a Montpellier. Il 20 ag. 1360 ottenne l'aspettativa sul priorato vittorino della Canourgue (Lozère) che gli fu attribuito definitivamente il 12 nov.1362.
Il 19 nov. 1361, dopo aver ricevuto gli ordini maggiori, fu nominato vescovo di Saint-Flour, in Alvernia, da papa Innocenzo VI. L'E. lasciò quindi Avignone e fece il suo ingresso solenne nella città il 15 aprile (e non maggio) 1362. Qui dovette subito affrontare numerose difficoltà. La pace di Brétigny tra la Francia e l'Inghilterra aveva portato al licenziamento delle grandi compagnie mercenarie che, dirigendosi verso la Spagna, devastarono il paese e assediarono la città vescovile (agosto 1363). Inoltre, il nuovo vescovo dovette resistere ai ripetuti tentativi di ingerenza, con la forza o per vie procedurali, delle tre autorità che si contendevano il controllo del vescovato: l'autorità regia (processo interminabile tra il vescovo e il balivo reale di Saint-Pierre-Le-Moûtier, nel corso del quale, nel 1365, furono sequestrati i beni temporali del vescovato); il duca Luigi (I) di Borbone, luogotenente del reggente Carlo duca di Normandia in Alta e Bassa Alvernia, che nominò suo cugino Tommaso de la Marche luogotenente del baliato delle Montagne d'Alvernia (l'attuale Cantal); Giovanni duca di Berry e d'Alvernia che designò uno dei suoi balivi capitano di Saint-Flour (1361-1365). Per di più, una vera guerra intestina tra famiglie per il controllo della viscontea di Murat riversò sulla città e i dintorni le bande organizzate di Mignot, bastardo di Cardaillac., e di Séguin de Badefol. L'E. attuò una tattica temporeggiatrice cercando di districarsi tra Luigi di Borbone e Giovanni di Berry, mentre diede prova di grandissima fermezza nei confronti dei predoni. Riprese la chiesa di Paulliac, loro base di ripiegamento, e li fece impiccare (1363-1365). Dal 13 luglio al settembre 1365, munito di alti poteri giudiziari in qualità di consigliere del re e di luogotenente di Giovanni di Berry, pacificò e riorganizzò i territori delle Montagne d'Alvernia e nelle parrocchie visitate fece compilare l'elenco dei fuochi. Infine si trovò coinvolto in un grave conflitto con i consoli di Saint-Flour che minacciavano il suo potere temporale sulla città, di cui oltre che vescovo era anche signore (1363).
Sul piano religioso il suo operato ha lasciato tracce minori. Tra il 1362 e il 1368 creò tre nuovi tribunali ecclesiastici nella propria diocesi, ad Arpajon, Marcolès e Maurs (Cantal), e assolse compiti che spettavano di diritto al vescovo (scomunica, processi di diritto canonico, ecc.). L'amore per la sua prima diocesi lo spinse a creare il 18 apr. 1368 - pochi giorni dopo il trasferimento alla sede di Bourges - una cappellania dedicata a s. Gerolamo nella chiesa parrocchiale di Villedieu (diocesi di SaintFlour) che trasformò in collegiata di sei canonici sotto il patronato della famiglia Estaing. Infine, al termine del suo vescovato, ottenne che il duca Giovanni di Berry finanziasse il completarnento della chiesa dei domenicani a Saint-Flour.
Trasferito, forse grazie alla mediazione di Giovanni di Berry, alla sede arcivescovile di Bourges il 2 apr. 1368, pagò la tassa dei servizi comuni dovuta alla Camera apostolica il 17 aprile. Non sappiamo quasi nulla del suo ruolo alla testa della provincia d'Aquitania Prima. Manifestò l'intenzione di convocare un sinodo per il 1369, ma probabilmente non ebbe il tempo di celebrarlo, dato che già all'inizio del 1369 era in Italia dove, in qualità di luogotenente del cardinale Gilles Aycelin de Montaigu, il 29 gennaio concesse un privilegio agli abitanti di Spoleto. Il 29 nov. 1369 fu nominato rettore del Ducato di Spoleto per affiancare il cardinale Anglic Grimoard, fratello del papa Urbano V e vicario generale pontificio nello Stato della Chiesa. L'efficienza dimostrata dall'E. - e forse la affinità con Urbano V, che era stato abate di St-Victor di Marsiglia - spinse infine il papa a nominare l'E. cardinale del titolo di S. Maria in Trastevere in occasione della creazione di cardinali avvenuta a Montefiascone il 7 giugno 1370. Da allora l'E. fu chiamato il "cardinale di Bourges".
In Italia il pontefice doveva fronteggiare la rivolta di Perugia e le minacce continue di Bernabò Visconti. Sembra che egli avesse commissionato al nuovo cardinale una sorta di inchiesta prima di nominarlo vicario generale. Fra il 7 e il 19 giugno 1370 - e non nel 1371, come si è creduto finora - l'E. presentò al papa un rapporto circostanziato sull'amministrazione della Romagna e delle Marche e sulle loro risorse fiscali: vi raccomandava un risanamento della gestione finanziaria e la nomina di un legato unico per l'insieme dei territori italiani della Chiesa, incarico che si dichiarava pronto ad assumere. Richiedeva però anche la concessione di nuovi benefici, dei quali si diceva "mal provvisto". Il 19 giugno ricevette effettivamente un canonicato, una prebenda e l'arcidiaconato di Rodez, nonché i priorati di Notre-Dame-des-Ulmates (Vaucluse), di Sumène (Gard), d'Aygu (Drôme) e di Fonts-de-Rochemaure (Ardèche). Inoltre, il 2 luglio, fu autorizzato a riscuotere le rendite insieme con gli arretrati dell'arcivescovato di Bourges e di tutti i suoi priorati fino alla data della sua promozione a cardinale e a conservare i suoi libri e oggetti preziosi. Lo stesso giorno il papa gli concesse i privilegi riservati ai vicari generali, ma dovette rinviare la sua nomina definitiva perché l'E. si era gravemente ammalato e dargli l'assoluzione in punto di morte. Fortunatamente si trattò di un falso allarme: il 15 luglio l'E. fu nominato vicario generale in temporalibus a Roma, nel Patrimonio di S. Pietro, nella provincia di Campagna e Marittima e negli altri territori soggetti alla Chiesa, tra cui il Ducato di Spoleto. Di nuovo gravemente malato, gli fu affiancato dal 22 luglio al 19 dicembre Jean de Cardaillac, suo familiare, arcivescovo di Braga e futuro cardinale.
Per domare la rivolta di Perugia, i due vicari, aiutati dal vescovo di Thérouanne Gérard de Dainville, imposero alle città sottoposte al loro dominio sussidi straordinari, provocando forti resistenze. La rabbia aumentava ovunque, e in questa situazione Caterina da Siena scrisse all'E. per esortarlo ad adoperarsi per la pace presso il papa. Questi però, rientrato ad Avignone nel settembre 1370, era ben deciso a piegare Perugia con tutti i mezzi. Il 23 nov. 1370 l'altro vicario generale pontificio, Anglic Grimoard, riuscì ad imporre la pace ai Bolognesi ribelli.
Alla notizia della morte di Urbano V, avvenuta il 19 dic. 1370 ad Avignone, l'E. celebrò a Spoleto una solenne cerimonia, nel corso della quale Jean de Cardaillac, suo luogotenente, pronunciò un elogio funebre. Il nuovo papa Gregorio XI, eletto il 30 dicembre, confermò i vicari generali nel loro incarico. L'E. soggiornò a Spoleto fino al 19 marzo 1371. Praticando (con meno flessibilità e abilità di quanto non avesse fatto il cardinale E. de Albornoz) una politica di lenta sottomissione delle città ribelli alla S. Sede, egli piegò Todi, dove in aprile iniziò la costruzione, a spese della città, di una fortezza e dove, soprattutto, impose il dominio diretto della Chiesa.
La fermezza dei vicari pontifici, l'incalzare della carestia e conflitti di fazione'all'interno della città fecero cadere infine Perugia nelle mani dell'E. che vi entrò il 19 maggio 1371. Era ora, poiché le finanze pontificie erano state fortemente oberate da questa guerra interminabile. Senza perdere tempo, l'E. ordinò la costruzione di una grande fortezza nei pressi della porta del Sole. Lo stesso giorno ricevette i poteri di vicario generale in temporalibus per tutti i territori della Chiesa in Italia, aggiungendo dunque alle sue prerogative anche quelle detenute finora da Anglic Grimoard a Bologna.
Il 28 maggio 1371 avviò perciò un giroVispezione per riformare e pacificare, come aveva fatto sei anni prima in Alvernia. Il 23 giugno il papa gli ordinò di intervenire insieme con l'abate di Marmoutier Géraud Dupuy, inviato in Italia come nunzio apostolico con poteri speciali in materia di finanze, alle riunioni dei parlamenti locali per far deliberare le misure fiscali necessarie alla difesa e al mantenimento dei territori della Chiesa. Uno di questi parlamenti, riunito a Montefiascone da giugno ad agosto, impose la riscossione di un nuovo sussidio. Il pontefice affidò all'E. il 13 ottobre anche l'amministrazione del vescovato di Ferrara e quella del monastero di S. Vittore a Chiusi nella diocesi di Camerino.
Nel frattempo la guerra tra Pisa e Firenze aveva portato a un deterioramento dei rapporti tra Firenze e la S. Sede e alla creazione di una sorta di egemonia di questa Repubblica su tutta la Toscana. La seconda discesa in Italia dell'imperatore Carlo IV (1369-1370) aveva convinto i Fiorentini che tra il Papato e l'Impero esistesse un'intesa con l'obiettivo di sottrarre a Firenze una parte dei suoi territori. La guerra di Perugia fu per Firenze in un certo senso una conferma dei sospettì: la sottomissione di questa città all'autorità pontificia aumentò l'inquietudine dei Fiorentini, ai quali Gregorio XI rispose che era naturale che la Chiesa pensasse a riprendere quello che le apparteneva e che in ogni caso egli avrebbe fatto di tutto per mantenere la pace in Toscana. A da notare tuttavia che l'E. tentò di inserirsi nelle rivalità tra le fazioni avverse a Firenze. favorendo in particolare alcuni membri della potente famiglia dei Ricci (mentre gli Albizzi erano appoggiati dal cardinale Pietro Corsini, loro cugino). Quanto ai Senesi, l'E. dichiarò l'11 giugno 1371 che, lungi dal voler tentare alcunché contro la città, era pronto a portarle soccorso in caso di attacco. Il 4 luglio 1371 il papa revocò il vicariato di Perugia all'E. per affidarlo al cardinale Philippe Cabassole, ma niente prova che lo facesse perché pressato dai Fiorentini. In ogni caso l'E. acquistò così maggiore libertà per affrontare Bernabò Visconti, signore di Milano.
Il vicariato generale con sede a Bologna conferito all'E. comprendeva, oltre alla città e al contado di Bologna, la Romagna, il Montefeltro con le terre annesse, la Marca d'Ancona, la Massa Trabaria, il territorio di Sant'Agata e la città di Urbino con la sua antica contea. Si trattava quindi di un territorio assai vasto ed una delle maggiori preoccupazioni dell'E. dovette essere quella di procurarsi i soldi per poter pagare, possibilmente in maniera regolare, i mercenari assoldati dal papa per proteggerlo. Ma non solo: bisognava pure difendere Lucca e la Lunigiana dalla minaccia di Bernabò Visconti, contro il quale, contemporaneamente, l'E. provava a costituire una lega insieme con i signori di Mantova, di Padova, di Verona e di Ferrara. Arrivato a Bologna il 19 genn. 1372, per aprile vi convocò un parlamento composto di delegati da tutto lo Stato pontificio che gli accordò pieni poteri per imporre e riscuotere un nuovo sussidio. Ma egli abusò dei diritti conferitigli, aumentando considerevolmente le somme richieste all'insaputa del papa, che se ne adirò moltissimo. E mentre stava conducendo trattative per costituire la lega antiviscontea, l'E. subì una grave sconfitta per mano dei Milanesi il 2 giugno 1372 a Rubiera vicino Modena.
Questa vittoria di Bernabò Visconti non facilitò certo le trattative del cardinale' Luigi Gonzaga tergiversava, ma gli Scaligeri, signori di Verona e di Vicenza, si alleavano con la Chiesa, mentre Padova chiedeva soccorsi. Sperando, senza crederci troppo, in un aiuto da parte dell'Ungheria, l'E. approfittò di un accordo con il conte Amedeo VI di Savoia (luglio 1372) per rafforzare le sue alleanze. Nel gennaio 1373, alla testa di una grossa armata, affrontò i Milanesi, e le sue truppe, guidate dal conte di Savoia, da Enguerrand de Coucy e da Nicolas Roger de Beaufort, il 23 gennaio inflissero ai Visconti una cocente sconfitta sulle rive del Panaro. L'E. poté ritirarsi a Bologna; la minaccia milanese era stata, per qualche tempo almeno, allontanata.
La vittoria riportata sui Visconti e le incursioni delle soldatesche pontificie nel Mantovano preoccupavano i Toscani. L'E. dovette difendersi dall'accusa di aver fomentato un complotto antifiorentino a Siena, offrendo persino di consegnare tre suoi parenti come ostaggi per provare la sua buona fede (fine del 1372). Ma le fazioni fiorentine si servirono di questo affare (e dell'aiuto che si voleva prestato agli Ubaldini e agli Albizzi) nelle loro rivalità interne. Perciò Gregorio XI, con l'intenzione di calmare gli animi, notificò il 30 ott. 1373 all'E. la fine del suo vicariato. Il suo successore, il cardinale Guillaume Noéllet, fu nominato l'8 novembre ma l'E. non lasciò Bologna prima del 18 marzo 1374. Questa decisione del papa sembra fosse stata meditata da tempo, dato che lamentele sul conto di E., fondate oppure no, erano giunte ad Avignone fin dal 1372: al cardinale si rimproverava di esigere tasse troppo esose, di reclutare un personale troppo numeroso, di imporre misure arbitrarie e vessatorie, ed altro. Senza dubbio, l'E. non possedeva né la duttilità politica, né il tatto dell'Albornoz; fu costretto tuttavia ad applicare una politica pontificia incerta e a procurarsi da sé i mezzi finanziari per condurre una guerra, palese o strisciante, ininterrotta. Il comportamento intransigente del suo successore a Perugia, Géraud Dupuy, mostra che la sua amministrazione non fu poi così cattiva come si diceva.
Per ringraziarlo dello zelo manifestato durante la sua legazione, Gregorio XI gli conferì, tra il 10 agosto e il 24 nov. 1374, il vescovato di Ostia, vacante per la morte di Guillaume Sudre avvenuta il 18 apr. 1373. Rientrato l'E. ad Avignone, il papa gli affidò l'incarico, insieme con Anglic Grimoard, di rifornire di grano la Curia e la città nel 1375 e nel 1376. Inoltre ricorse alla sua preparazione giuridica in questioni relative ai benefici e lo incaricò di presiedere la commissione inquisitoria che esaminò le opere teologiche di Raimondo Lullo (secondo la bolla Conservationi puritatis del 25 genn. 1376, la cui autenticità fu messa in dubbio da Martino V nel 1419). In campo diplomatico l'E. negoziò nell'agosto 1376 ad Avignone, insieme con il cardinale Aycelin de Montaigu, una pace tra la Chiesa e Firenze. Dal 1374 al 1376 risiedeva ad Avignone nel palazzo detto di Saluzzo.
In Italia la politica maldestra di Géraud Dupuy e di Guillaume Noëllet, insieme con la pressione intollerabile delle tasse imposte dalla Chiesa e l'ostilità di Firenze, aveva causato, tra l'ottobre 1375 e il marzo 1376, la rivolta di numerose città dello Stato pontificio. Mentre il cardinale Francesco Tebaldeschi, inviato a Roma, pacificava la Campagna e la Marittima, l'E. fu nominato vicario generale per il Patrimonio di S. Pietro e il Ducato di Spoleto. Il 10 ottobre era a Montefiascone; il 21 dicembre i Romani riconobbero la sovranità del papa su Roma. Quando, il 17 genn. 1377, Gregorio XI giunse a Roma, vi fu accolto dall'Estaing. Il 15 febbraio l'E. ristabilì l'autorità pontificia a Corneto (od. Tarquinia), il 23-25 aprile a Orvieto. Con l'aiuto dei mercenari bretoni di Sylvestre Budes affrontò le truppe inglesi assoldate da Firenze, ma subì una grave sconfitta a Todi nel giugno. Ebbe più successo a Spello (8 agosto) e soprattutto a Viterbo (16 agosto) e a Bolsena (12 settembre), che ordinò di radere al suolo. Francesco di Vico, uno dei ribelli più temibili, si sottomise il 30 ottobre.
Ma nel frattempo l'E. si era nuovamente ammalato. Il 1° ottobre era di ritorno a Montefiascone, il 1° novembre fu a Corneto, da dove raggiunse Roma. Il 16 novembre fece testamento a S. Maria in Trastevere, prima di spegnersi il 25 nov. 1377. I funerali furono celebrati nella sua chiesa titolare, ma le spoglie vennero tumulate, secondo la sua volontà, nella cappella detta di St-Soulier nella cattedrale di Rodez.
All'E. sono stati attribuiti vari scritti: le già ricordate Orazioni solenni pronunciate a Montpellier tra il 1353 e il 1361 (Parigi, Bibl. nat., Fonds Lat- 4569, ff. 115-116v, 133), le Reportationessuper libros Clementinarum per venerabiles viros Stephanus Trochs et Petrum de Stagno (ibid. 9634, ff. 56-81v). Inoltre gli è stato recentemente attribuito un De consolatione rationis! (Escorial, ms. R, II, 14). Il Memorandum indirizzato a Gregorio XI è pubblicato in Lettres secrètes et curiales de Grégoire XI relatives à la France, App., coll. 1250-1262. L'E. commissionò anche un messale romano che fu copiato a Bologna da Bartolomeo di Bartolo e miniato da Nicolò di Giacomo da Bologna tra il 1374 e il 1377 (cfr. Durrieu, 1916).
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