Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Piet Mondrian ha marcato profondamente lo sviluppo dell’arte astratta. Dopo esordi simbolisti in Olanda, arriva a Parigi dove esegue dipinti che si distinguono per il processo di astrazione e l’originalità dei soggetti. È tra gli ispiratori del neoplasticismo, che propone un’astrazione geometrica basata su linee ortogonali e limita l’uso dei colori ai tre primari. Dopo gli anni Trenta, e soprattutto negli ultimi anni di vita a New York, mette in discussione i principi del neoplasticismo per realizzare una pittura astratta fatta di solo ritmo. Ha esercitato un’influenza decisiva non solo in pittura, ma anche nelle arti industriali e decorative.
“Quasi non si può dire che dipinga, ma piuttosto, che costruisce due o quattro quadrati. Vive come un monaco, tutto è bianco e vuoto, a parte i quadrati dipinti rossi, blu e gialli che sono sparpagliati ovunque nella stanza bianca che gli fa da studio e da camera da letto. Ha anche un piccolo giradischi con musica negra. È poverissimo e ha già 58 anni, somiglia a Kandinskij, ma è persino migliore e più solo” (Hilla Rebay Solomon a Rudolf Bauer, 1930).
Oggi misuriamo la modernità dell’arte di Piet Mondrian nel nostro quotidiano, negli interni delle case che abitiamo, nella grafica delle riviste, nei manifesti sui muri delle città. Grandi architetti come Le Corbusier, Adolf Loos, Mies van der Rohe, Walter Gropius, ma anche artisti e designer come László Moholy-Nagy hanno risentito direttamente dell’attività di Mondrian. Il suo programma estetico, le intuizioni geometriche hanno inciso fortemente sulla formazione del gusto contemporaneo.
Sembra un paradosso, ma proprio il successo delle opere di Mondrian e la possibilità di essere tradotte e interpretate in vari campi delle arti visive hanno incoraggiato una cattiva comprensione dell’artista e della sua personalità. Spesso è stato visto come uno sperimentatore di forme, di patters misurabili, riproducibili per via geometrica.
Nel 1911 lo Stedelijk Museum di Amsterdam ospita una esposizione di artisti contemporanei, Mondrian scopre Cézanne e il cubismo di Braque e Picasso. A quest’epoca Mondrian è un pittore di formazione accademica, con alle spalle qualche prova da paesaggista vicino alla scuola neoimpressionista dell’Aja. Pratica un simbolismo figurato dalle tinte sature dove l’interazione tra linea e colore esprime significati simbolici. Iscritto dal 1909 alla Società Teosofica e filosofo autodidatta, tenta di esprimere un messaggio di progresso e di miglioramento dell’umanità ma usa la pittura come un linguaggio convenzionale e allegorico. Davanti al cubismo si accorge che esistono mezzi più funzionali ai suoi scopi.
Pochi mesi dopo Mondrian si trasferisce a Parigi. Lavora a una serie di dipinti che rappresentano alberi, una serie di grande bellezza e forse il prodotto più affascinante del suo momento cubista. Mondrian sottopone i rami degli alberi a un processo di ortogonalizzazione. Cerca di rendere evidente la griglia intrinseca alla figura, che per lui è versione figurativa dell’ordine intimo cui si adeguano tutti i fenomeni naturali. Applica una tecnica di astrazione rigorosissima. I contorni si aprono, sfondo e soggetto si confondono, le linee tendono a seguire un andamento ortogonale.
Il cubismo di Mondrian ha caratteristiche molto originali. Non ama i soggetti tipici dei cubisti, ritratti e nature morte sono troppo legati all’arte tradizionale. Parte dalla osservazione delle facciate dei palazzi di Parigi. Come i futuristi, vede nel fenomeno della grande città un’opera d’arte collettiva dei tempi moderni. È colpito soprattutto dai muri messi a nudo dalle demolizioni parziali degli edifici che, semidistrutti, rivelano un ordine strutturale di piani ortogonali e linee rette. Ricorre al procedimento usato nella serie degli alberi, ma la crisi è in agguato perché la riduzione all’ortogonale produce un reticolo “troppo dogmatico”, un equilibrio troppo perfetto e inerte.
Lo scoppio della prima guerra mondiale sorprende Mondrian in Olanda e quello che doveva essere un breve soggiorno estivo diventa una lunga permanenza, che terminerà nel 1919. Contatti discontinui con gli ambienti artistici olandesi, le condizioni generali d’incertezza dovute al conflitto, portano Mondrian a rallentare la produzione artistica e all’approfondire il proprio programma estetico.
Con l’entusiasmo dell’autodidatta mette insieme una cultura filosofica aggiornata; studia gli scritti di Gerardus P. J. Bolland, filosofo neohegeliano della scuola di Leida, i primi pensatori romantici, come Novalis e Hölderlin e gli ultimi simbolisti francesi, soprattutto Mallarmé. Si interessa di teosofia, una disciplina filosofica e contemplativa che coniuga l’evoluzionismo darwiniano ad aspetti mistici e prescrizioni di tradizione orientale.
La poetica di Mondrian si basa sulla convinzione che esista una verità che egli chiama “l’universale”. È il principio unitario di tutto, l’essenza del reale, l’unità che sta sotto la molteplicità dei fenomeni della natura. Il compito dell’artista è cogliere l’universale attraverso un salto contemplativo ed esprimerlo secondo un criterio di bellezza. La formulazione teorica di questo criterio prende le mosse dalla meditazione su scritti neohegeliani dove la bellezza è un equilibrio di opposti. L’opera d’arte ha il compito di esprimere questo rapporto di armonia e accompagnare l’evoluzione dell’umanità verso una società futura consapevole, progredita e pacifica.
Dopo un primo periodo di isolamento, all’arrivo in Olanda, comincia uno scambio di lettere con gli altri artisti che praticano arte astratta. Tra tutti, trova una speciale sintonia con Theo van Doesburg sui problemi dell’astrazione geometrica in pittura. L’affinità è tale che, nel 1917, si uniscono in un’associazione e pubblicano un periodico, “De Stijl”, che attrae la collaborazione di artisti e architetti dalle idee moderniste. Sullo sfondo di “De Stijl” prende le mosse anche il movimento che conosciamo come neoplasticismo (in olandese Nieuwe Beelding, “Nuova Plastica”). Un movimento che affonda le radici nel pensiero poetico di Mondrian e cresce nell’esperienza di altri architetti e designers da Theo van Doesburg a Vilmos Huszár (1884-1960) poi anche lo scultore Georges Vantongerloo (1886-1965), Jacobus Johannes Pieter Oud, Bart van der Leck, Gerrit Thomas Rietveld e László Moholy-Nagy .
Mondrian studia i rapporti reciproci di linee rette e piani di colore, alla ricerca di un’armonia che raggiungerà soltanto dopo il suo rientro a Parigi nel 1920. Attraverso l’impiego della matematica ordisce un sistema di linee rette che si intrecciano a intervalli regolari secondo un modulo costante. E ottiene una griglia che vincola tutti gli elementi del dipinto a un unico piano. Il grande dipinto a scacchiera è risultato del nuovo metodo di lavoro. Ma Mondrian non è soddisfatto: questi dipinti sono soltanto un aggregato monocorde di colori temperati e linee a intervalli regolari, quindi un insieme ripetitivo e non armonico.
Nel giugno 1919, finita la guerra, Mondrian rientra a Parigi. Negli anni Venti e Trenta conduce una vita sociale piuttosto vivace, nonostante la sua personalità ascetica e solitaria e le difficoltà economiche che lo costringono a mantenersi dipingendo crisantemi per il mercato. Entra in contatto con circoli artistici come “Cercle et Carré” (1930) e la rivista-movimento “Abstraction Création” (1932). Matura una predilezione per musiche e danze come il fox-trot e il charleston, che in quegli anni approdano in Europa sostenute dal grande successo della Revue Nègre di Josephine Baker, al Théâtre des Champs Élysées nel 1925.
A Parigi riflette sull’ostacolo della ripetizione e lo risolve prima liberandosi della griglia modulare poi agendo sui colori. Nei suoi scritti teorici aveva sempre promosso l’uso dei colori primari, come unici colori “reali” e adatti a un’arte veramente moderna. Dipinge piani di colore puro (giallo, rosso o blu), li associa a campiture di non colore (bianco o grigio) e linee nere. Forgia così un nuovo vocabolario di elementi dalle funzioni chiaramente distinte. Ogni elemento raggiunge la massima forza visiva, ma nessuno deve risultare dominante, affinché non si istituisca un rapporto gerarchico. Dosa le proporzioni e le ripetizioni in modo intuitivo, bilancia gli spessori delle linee nere e la dialettica oppositiva tra piani di colore e non colore.
I grandi capolavori che tutti associamo al nome di Mondrian nascono negli anni parigini dal 1920 al 1932. Nei suoi scritti definisce l’armonia raggiunta nei dipinti di questi anni “equilibrio statico”. Infatti la linea retta nera, il piano di colore puro, i rapporti ortogonali sono modulati secondo tipologie compositive fisse, cui i critici, per comodità di studio hanno persino dato un nome: il “tipo aperto”, il “tipo centrale”, il “tipo periferico” e la serie dei tableaux losangiques. I dipinti del “tipo aperto” sono qualificati da un piano di non colore che si apre sul limite della tela; quelli del “tipo centrale” nascono da un incrocio di linee che fa da perno asimmetrico alla composizione. E infine, nel gruppo dei dipinti di “tipo periferico” si distingue chiaramente un piano quadrangolare che ingenera ai lati un sistema di linee e piani colorati.
Mondrian realizza anche una serie di circa 16 dipinti a losanga, tele di formato quadrato regolare, ruotate di 45° a poggiare su un angolo. Alcuni critici trovano che Mondrian abbia sperimentato questo formato perché influenzato dal dibattito sulle linee rette oblique nell’arte astratta e in architettura. La questione vedeva protagonisti alcuni collaboratori di “De Stijl” e soprattutto Theo van Doesburg. Negli anni Venti egli elabora una propria poetica, l’elementarismo, in cui sostiene che in pittura occorre ruotare di 45° il rapporto originario neoplastico (quello ortogonale), offrendo così un fondamento teorico all’impiego delle linee oblique.
In realtà i tableaux losangiques di Piet Mondrian sono connessi soltanto marginalmente a quella questione. Mondrian ama questo formato soprattutto perché gli permette di sperimentare nuove possibilità di equilibrio. Le linee verticali e orizzontali istituiscono rapporti ortogonali tra loro ma si giovano della dissonanza con i margini obliqui della tela generando un’armonia fatta di contrasti. Non solo, il quadrato poggiante su un angolo agisce come potenziale moltiplicatore dei rapporti e degli elementi del dipinto. Una minima variazione, come lo spessore di una linea o l’orientamento di un piano avvia nel formato a losanga una amplificazione “geometrica” dalle variazioni inesauribili.
Con un procedimento uguale e inverso ai romantici, Mondrian proietta l’età dell’oro in un futuro evoluto. Nella sua visione, i dipinti sono un prototipo pittorico delle leggi universali dell’arte e della vita, in vista di una società dove arte e vita, estetica ed etica siano fuse. All’inizio degli anni Trenta Mondrian raggiunge il vertice dell’economia e dell’equilibrio; diviene meno percettibile la distinzione in tipologie, per un momento sembra che la sua arte sia perfettamente consonante al suo programma.
Ma non è così, l’arte di Mondrian vive in evoluzione continua, il pensiero è sempre un gradino oltre la pratica, la ricerca è incessante. In risposta a una critica che accusa il neoplasticismo di essere un sottoprodotto accademico e decorativo del cubismo scrive su “Cahiers d’Art” del gennaio 1931: “la linea e il colore sono il luogo e il mezzo attraverso cui tutto viene espresso [...]. I piani rettangolari, formati dalla pluralità di linee rette in opposizione rettangolare ([...] sono dissolti nella loro omogeneità e ne emerge il solo ritmo, lasciando che i piani siano nulla”.
Un’ansia distruttiva domina l’artista che dopo avere raggiunto un’armonia fatta di elementi statici e distinti tra loro, come i piani e le linee nere, pone le basi per la svolta che porterà ai grandi dipinti degli anni Quaranta. Mondrian mette in discussione uno dopo l’altro gli elementi del vocabolario classico, come in Composizione con giallo, blu e doppia linea del 1933, uno dei primi dipinti dove la linea nera orizzontale viene raddoppiata. La campitura bianca tra le due linee nere ha uno spessore così esiguo, da essere una linea essa stessa. Mondrian cancella la distinzione tra piano e linea, e prosegue su questa strada, moltiplica le linee alla ricerca di un intreccio che esprima un insieme ritmato, dove non si riconosca più né un fulcro generatore né un orientamento, e nemmeno una distinzione di funzioni tra gli elementi della composizione. Finalmente con Place de la Concorde (1938-1943) fa il salto decisivo. Associa le linee e le campiture bianche a tratti di colore che non sono né piani né linee e così scardina definitivamente il sistema codificato negli anni Venti, alla ricerca di una pittura di puro ritmo, che esprima puro movimento.
La politica aggressiva della Germania, il ristagno della vita culturale a Parigi, spingono Mondrian a meditare l’opportunità di cambiare paese. Gli Stati Uniti sembrano la meta ideale. In quel paese, già dal 1926 i suoi dipinti partecipano a numerose esposizioni, la maggior parte delle quali patrocinate dalla Société Anonyme di Katherine Dreier. Hilla Rebay, artista e moglie di Salomon Guggenheim nel 1930 gli aveva fatto visita a Parigi e aveva acquistato un suo dipinto. Moholy-Nagy e Gropius avevano fondato una nuova Bauhaus a Chicago e ventilavano a Mondrian l’eventualità di una cattedra. Tuttavia, per ragioni di opportunità Mondrian sceglie una meta più vicina, Londra. Nella capitale inglese frequenta gli amici conosciuti a Parigi, ma anche Peggy Guggenheim che ricorda nelle sue memorie la passione dell’artista, ottimo ballerino di charleston, per la musica negra. Partecipa a qualche esposizione ma appena si presenta l’occasione, ed è il settembre del 1940, parte per New York.
Mondrian arriva a New York preceduto da una certa fama. Coltiva la passione per la musica dai ritmi sincopati, il rag-time e scopre con ammirazione l’ultima novità, il boogie woogie. Ama ballare da solo nel suo studio ma anche in locali alla moda come il Café Society Downtown. È invitato a prendere parte alla American Abstract Artist Association e frequenta i ritrovi e le mostre dell’associazione. Mondrian a New York è un uomo di grande popolarità, espone assiduamente in gallerie importanti come la Valentine Dudensing Gallery e Art of this Century di Peggy Guggenheim. Scrive su riviste specializzate, il suo lavoro e la sua vita sono oggetto di articoli sui quotidiani. In mostre recenti è stato dimostrato che lo studio di Mondrian a New York diventa presto centro di attrazione per numerosi giovani artisti. Alcuni diventano suoi amici oltre che seguaci come Charmion von Wiegand (1898-1983), Harry Holtzman (1912-1994), Fritz Glarner (1899-1972), altri come Burgoyne Diller (1906-1965), Leon Polk Smith (1906-1996) o Ilja Bolotovskij (1907-1981) subiscono la sua influenza più a distanza. In questi anni attenua il rigore teorico dell’estetica e dimostra una creatività più flessibile che affascina e coinvolge i giovani astrattisti americani. Mondrian ha ormai più di 68 anni e numerose difficoltà di salute, ma il suo genio è inesauribile. Realizza dipinti impensabili solo cinque anni prima, con quella vitalità artistica e la capacità di intercettare gli stimoli esterni che è di poche grandi personalità nella storia. La serie New York – New York City e Broadway Boogie Woogie, col trattamento scabro della superfici, saranno un grande insegnamento per i futuri sviluppi dell’astrattismo, soprattutto in America.
Victory Boogie Woogie è l’ultimo dipinto di Mondrian. Incompiuta, è una tela dal formato a losanga, realizzata con una tecnica mista di pittura e collage. A New York scopre i nastri adesivi colorati e li usa durante la lavorazione di dipinti. Mondrian vuole comunicare un senso di movimento, di ritmo palpitante. Aveva già provato con la serie dei dipinti New York – New York City e Broadway Boogie Woogie, dove introduce un sistema di linee colorate, ma nel quale – e sono parole sue – “c’era ancora troppo di vecchio”, troppo di statico. Nell’ultimo dipinto non è possibile stabilire una gerarchia di funzioni: il bianco che potrebbe fungere da sfondo in realtà balza davanti, sopra i blocchi colorati. Lo stesso si può dire per le campiture di colore. Non ci sono più nemmeno le linee colorate, solo scie di coriandoli dove il colore sembra incastonato in uno strato unitario di pittura densa e materica. Prevale un senso pervasivo di ritmo.
Mondrian attraversa tutta la storia della pittura della prima metà del Novecento, dal simbolismo, al cubismo e alle avanguardie, fino a tentare le possibilità più estreme della nuova arte astratta. Tuttavia è evidente la chimera implicita alla ricerca di Mondrian. Come segnala anche Jean Clair in Critica della modernità (1983), il progetto di scoprire lo spirito del mondo ed esprimerlo attraverso l’arte fallisce perché sconfina nell’utopia. E questo scacco accomuna Mondrian a Kandinskij, a Malevič, cioè tutti gli artisti che, quasi epigoni dei romantici, continuano a fare arte nell’orizzonte teorico dell’idealismo.