Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La fama di Bruegel è legata alla rappresentazione del mondo contadino, un mondo che indaga fino nei minimi particolari del costume e dell’atteggiamento, senza compiacenze e senza idilli. In pieno Cinquecento per lo più Bruegel non decora altari, chiese, palazzi o altri luoghi pubblici, ma dipinge per gli amici e per i pochi collezionisti che lo apprezzano; la sua pittura nasce da una tensione intellettuale in ferma contrapposizione con l’arte e le teorie artistiche italiane, dominanti in campo estetico.
L’opera grafica di Pieter Bruegel il Vecchio più dei dipinti ha un ruolo determinante per lo sviluppo e il diffondersi della sua arte. Mentre i quadri vengono incamerati nelle collezioni imperiali degli Asburgo o in casa del cardinale Antoine Perennot de Granvelle, i disegni vengono incisi e immessi sul mercato dalla stamperia del fiammingo Hieronymus Cock.
La prima serie di incisioni, denominata Grandi paesaggi, esce dalla bottega di Cock nel 1555. I disegni preparatori di questi lavori sviluppano temi di paesaggio alpino, eseguiti da Bruegel durante il viaggio in Italia del 1552. In questi disegni Bruegel fonde tipi ripresi dal vero con elementi di fantasia, conferendo loro un carattere enfatico e drammatico. Una tale mescolanza riflette bene i gusti del pubblico, stanco dei meri paesaggi dal vero e desideroso di emozioni più ardite.
L’interesse di Bruegel è rivolto, secondo gli esempi italiani – Tiziano, Girolamo Muziano e Giulio Campagnola) –, a un superamento della stratificazione dei piani, tipica dei paesaggi dei pittori fiamminghi come Joachim Patinier, e a ottenere una resa della profondità spaziale in una continuità realistica.
La vera novità dei disegni di paesaggio di Bruegel è l’immediata sensazione di naturalezza; anche quando sono composizioni di studio, infatti, sono sempre originate da studi dal vero; ciò li distingue in modo fondamentale dai disegni di tutti i suoi precursori. Carel van Mander, il primo biografo di Bruegel, parlando dei paesaggi alpini, scrive che l’artista sembra abbia inghiottito le montagne durante il suo viaggio, per vomitarle poi sulle tele e sulle tavole.
Subito dopo il ritorno dall’Italia, oltre ai lavori per Cock, Bruegel inizia a lavorare a grandi composizioni allegoriche, coltivando una doppia identità artistica. A partire dal 1556 nascono i disegni preparatori per le incisioni che, stampate sempre da Cock, danno a Bruegel la fama di un secondo Bosch. Del resto la derivazione dai modelli di Bosch è evidente: particolari come la figura a cavallo del pesce più piccolo, chiusa e prigioniera dietro un’inferriata, in primo piano nelle Tentazioni di sant’Antonio, o il grande coltello con il quale viene squartata la pancia del pesce in I pesci grossi mangiano i piccoli appaiono specificatamente ripresi dai dipinti di Bosch di analogo soggetto. Ma il razionalismo umanistico e moraleggiante che traspare dalle composizioni e la lineare essenzialità con cui riesce a trasmettere l’intento didattico appartengono unicamente all’arte di Bruegel.
Nell’opera bruegeliana è sempre viva la critica alla società contemporanea che ben si riflette anche in altre serie di incisioni di carattere allegorico, come la serie dei sette peccati capitali e quella delle sette virtù. I Vizi, eseguiti tra il 1557 e il 1558, e le Virtù, eseguite a due anni di distanza dalle prime, segnano un punto di allontanamento dalle tematiche boschiane e si ricollegano alla concezione razionalistica del peccato esemplificata dal politico e letterato olandese Dirck Coornhert, anticipatore delle nuove esigenze che la società borghese e mercantile va imponendo.
L’incontro tra Bruegel e l’Italia avviene durante un viaggio che l’artista intraprende intorno al 1552. Da Anversa, dopo l’apprendistato presso Pieter Coecke van Aelst e dopo aver acquistato il diritto di maestro (1551), Bruegel parte per la Francia, spingendosi sempre più a sud. Il viaggio in Italia serve a sancire il diritto di esercitare l’arte della pittura: è quasi d’obbligo per ogni artista recarsi nei luoghi che hanno visto nascere Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Ciò che maggiormente colpisce Bruegel durante il suo viaggio sono gli scenari naturali, e apparentemente non sembra influenzato dalla pittura che da Roma va affermandosi nei territori olandesi, come era accaduto per il suo maestro.
La pittura di Bruegel può essere letta come una parodia, di straordinaria intelligenza formale, che investe tutto quel mondo di cui il pittore penetra la vacuità spirituale. Certamente l’artista conosce a fondo i manieristi olandesi (come Coecke, Floris, Key) e anche quelli italiani (come si vede nell’Adorazione dei Magi del 1564); ma gli artisti che Bruegel studia maggiormente in Italia sono quelli del Quattrocento e per lo più i prospettici. Si spiegano, così, il rigore delle piante e degli alzati, le sintesi dei gruppi e delle figure, e le geometrizzazioni delle sue opere.
Bruegel spinge quasi fino all’emblema la radicalità degli impianti che si moltiplica nella rappresentazione episodica. A questi principi si ispira per le grandi composizioni con piccole figure disposte su grandi superfici, ove i due elementi vengono fusi in una maniera del tutto nuova ed estremamente elegante: Proverbi fiamminghi (1559), Il combattimento tra Carnevale e Quaresima (1559), Giochi di fanciulli (1560). In questi dipinti è presente una viva nostalgia per il passato, tanto che per molti aspetti la pittura di Bruegel appare spiritualmente vicina al clima culturale del tardo Medioevo, all’età dei fratelli De Limbourg, prima che Jan van Eyck introducesse una pittura di spirito umanistico. In esse si ritrova un intenso spirito didattico ed enciclopedico che si unisce al rimpianto per una civiltà corale, costretta a vivere in una città ipercivilizzata in cui trionfa l’individualismo.
L’eredità italiana nell’arte di Bruegel non si ferma alle riflessioni sul passato artistico; egli resta folgorato dallo scenario e dal paesaggio naturale delle Alpi e, al contrario di tanti suoi colleghi, non vede in Roma la fine o la punta estrema del suo viaggio verso il sud.
Bruegel raggiunge Napoli ed esegue uno splendido dipinto della città vista dal mare (Il porto di Napoli, 1556); spingendosi ancora oltre giunge poi a Reggio Calabria, dove realizza il disegno dell’Incendio di Reggio – un episodio relativo a una reale incursione turca avvenuta nel 1552 – e da qui compie la traversata per Messina, di cui ci resta un’incisione (Battaglia navale a Messina, 1561).
I contemporanei di Bruegel – come Guicciardini e Lampsonius – e i suoi immediati successori (come Van Mander) considerano il pittore un secondo Bosch, facendo riferimento soprattutto all’opera grafica e – in modo troppo limitativo – all’aspetto demoniaco.
In realtà una diversa spiritualità divide profondamente i due artisti: Bosch viene secolarizzato attraverso Bruegel; Bosch è il tardo Medioevo, l’ultimo dei primitivi, mentre Bruegel è l’inizio della nuova era, il primo dei moderni. Infatti, se le creature esagitate di Bosch oscillano in un universo irrazionale, pervaso di angosce fideistiche e pieno di trabocchetti per l’Inferno, gli spiriti e i folletti di Bruegel si agitano sul solido terreno della ratio umanistica. Entrambi gli artisti sono arcaici, ma l’arte di Bosch si identifica con il suo tempo, mentre quella di Bruegel si sviluppa in antitesi al suo tempo, costruendosi sulla base di un programma artistico che va contro le impostazioni del Rinascimento.
Nonostante le diversità esistenti tra i due artisti, nella Caduta degli angeli ribelli (1562) vi è la prova eloquente di quanto Bruegel assorba profondamente l’arte di Bosch, di quanta verità quel mondo possieda per lui. Gli angeli qui hanno un carattere prettamente gotico, sono gracili immagini; nulla è preso dalla statuaria antica o dal manierismo italiano come invece ha fatto Frans Floris nel dipinto di analogo soggetto del 1554, in cui tratta gli angeli ribelli come atleti muscolosi e gli angeli come esemplari di bellezza classica. Anche nella Dulle Griet (1562), allegoria dell’avidità e dell’avarizia, ambientata in uno scenario da anticamera dell’Inferno, i motivi tipicamente boschiani ritornano con le stesse macchine diaboliche e gli animaletti infernali.
Nello stesso anno Bruegel si impegna nel raffigurare episodi tratti dal Vecchio Testamento. Il suicidio di Saul risente chiaramente del dipinto di Altdorfer intitolato la Battaglia di Alessandro (1529), con una maggiore forza e preminenza della natura sulla miriade di piccole figurine che si affollano sulla scena. Anche le due versioni della Torre di Babele – entrambe del 1563 – assieme alla Battaglia tra i filistei e gli israeliti vengono assurte a rappresentazioni allegoriche della superbia, che rimandano alla rappresentazione simbolica della Bibbia di Sebastian Franck e Dirck Coornhert, che si basa sul rifiuto dell’autorità biblica, ecclesiastica e papale.
Nel 1565, poco tempo dopo il trasferimento a Bruxelles, Bruegel realizza la serie dei Mesi. In queste opere, alla grandiosa veduta, condotta con molta profondità di campo, si unisce un sentimento potente dell’organicità della natura. L’acuta attenzione nell’indagare il microcosmo si accompagna a un respiro immenso nell’evocazione del macrocosmo. Ciò che maggiormente colpisce e impressiona è l’intensità con la quale il pittore sente la natura come un essere vivente; nei suoi paesaggi anche l’uomo diventa natura ed è sottomesso alle leggi dell’universo.
Cacciatori nella neve rivela la capacità di Bruegel di adattare i motivi tradizionali, legati alla vita del mondo contadino, a una nuova disposizione del paesaggio che si snoda su piani diagonali. La serie dei Mesi riprende temi e soggetti tratti dai libri d’ore e dai calendari. A questi e ad altre manifestazioni contadine, come le kermesse, si ispira per Danza nuziale, Nozze di contadini, Danze di contadini. I personaggi di questi quadri sono delle vere e proprie sculture: Bruegel si allontana dalle figurine piccole e gracili dei suoi primi quadri. Lo studio dell’arte italiana gli permette di trattare i contadini come gli artisti italiani trattano gli eroi biblici o della mitologia classica.
Spesso l’artista dipinge l’umanità come una massa anonima di personaggi, difficilmente distinguibili gli uni dagli altri. Le facce tonde con gli occhi fissi e leggermente strabuzzanti e le bocche semiaperte sembrano popolare il theatrum mundi che affolla molti dipinti: Andata al Calvario (1564), Predica di San Giovanni Battista (1566).
Negli ultimi dipinti prevalgono figure che giganteggiano su paesaggi desolati e i personaggi sullo sfondo, per lo più contadini o pastori, sono noncuranti degli avvenimenti che si svolgono in primo piano. Nell’animo dell’artista sembra essere sceso un cupo pessimismo. Dipinge per lo più brani di vita in cui pensieri oscuri e tetri sembrano prendere vita. La caduta di Icaro, L’agguato (1567), Gli storpi (1568), La parabola dei ciechi (1568), Il misantropo (1568) sembrano quasi rappresentare la profonda sfiducia di Bruegel nella capacità dell’uomo di costruire il proprio destino.