Italia, pietra dello scandalo
Secondo il rapporto della Commissione europea, l’Italia è divisa anche dalla corruzione: Trento e Bolzano e Valle d’Aosta si allineano con i paesi virtuosi dell’Europa settentrionale, Calabria e Campania ad alcuni paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale. Ma nell’insieme siamo in coda alla UE.
Il rapporto della Commissione europea sulla corruzione esamina il fenomeno corruttivo nei 28 Stati membri dell’Unione Europea concentrandosi sui settori (sviluppo urbano, edilizia e assistenza sanitaria) e sui segmenti di governo (regionale e locale) a maggiore rischio, sulle misure anticorruzione esistenti e sulla loro efficacia, evidenziando alcune indicazioni di policy cui i paesi membri potrebbero ispirarsi. Dalla relazione emerge che il fenomeno corruttivo è diffuso in tutti gli Stati membri dell’UE, anche se il livello di corruzione e l’efficacia delle misure adottate per contrastarla sono diversi. In particolare, risultano eterogenei i meccanismi di controllo interno delle procedure in seno alle autorità pubbliche (specialmente a livello locale), le norme sui conflitti di interesse, l’efficacia dell’azione delle agenzie di contrasto (forze dell’ordine e magistratura), le norme sull’integrità dei politici e sul finanziamento ai partiti e, infine, le statistiche (spesso incomplete) sui reati di corruzione.
L’indicatore più noto, il Corruption perception index (CPI) elaborato da Transparency international, segnala che dal 1995 al 2013 l’Italia si è attestata costantemente su valori bassi. Nel 2013, in particolare, ha riportato un punteggio di 43 – secondo una scala che va da 0 (massima corruzione) a 100 (assenza di corruzione) – classificandosi al 69° posto nel mondo su 177 paesi censiti.
Mentre i paesi del nord dell’Europa occupano costantemente le prime posizioni della classifica, i paesi dell’Europa meridionale presentano valori inferiori alla sufficienza. Anche altri indicatori come i World governance indicators, elaborati dalla Banca Mondiale, e il Global Barometer, pubblicato da Transparency international, confermano che la corruzione è molto diffusa nel nostro paese. Inoltre, l’Italia all’interno di un campione UE 27 registra la maggiore varianza su base regionale nella qualità delle istituzioni, di cui la corruzione è una delle dimensioni, con 3 aree geografiche – le Province di Trento e Bolzano e la Valle d’Aosta – che si collocano nel 10% della parte alta della classifica, allineate con i paesi del Europa settentrionale, e 2 regioni – la Calabria e la Campania – che si collocano invece nel 10% della parte bassa, accanto ad alcuni paesi del Mediterraneo e dell’Europa continentale orientale, come ha dimostrato lo studio condotto nel 2010 dall’Università di Göteborg per conto del Quality of government institute della Commissione europea.
Il livello di corruzione del nostro paese appare invece meno allarmante ma stabile nel periodo 2006-11 se si utilizzano le misure di natura giudiziaria, ossia il numero delle denunce e delle condanne per i reati di corruzione e concussione commessi da pubblici ufficiali (si rinvia su questo punto al Rapporto ANAC 2013 sul primo anno di applicazione della legge n. 190/2012).
La complessità della corruzione e le sue diverse connotazioni sono all’origine dell’esistenza di misure di diversa natura (soggettive o di percezione, esperienziali, giudiziarie), che spesso evidenziano, come nel caso dell’Italia, quanto il fenomeno sia quantitativamente sensibile alle tecniche utilizzate (‘cosa’ si misura e ‘come’ si misura). L’attenzione degli economisti per la complessa problematica della misurazione e i progressi realizzati di recente dagli accademici e dalle istituzioni nell’elaborazione di indicatori più completi e affidabili sottolineano come le misure siano rilevanti non solo per migliorare la conoscenza del fenomeno corruttivo, ma soprattutto per definire politiche di contrasto ‘adeguate’ all’entità e alle specificità con cui il fenomeno si manifesta.
A questo fine, altrettanto centrale è l’analisi qualitativa e quantitativa dei fattori che maggiormente influiscono sulla diffusione e sulla persistenza della corruzione. Il dibattito accademico offre un paradigma interpretativo consolidato che si è sviluppato nell’alveo della teoria economica del crimine elaborata da G.S. Becker nel 1968, in cui il criminale potenziale valuta i benefici e i costi dell’azione criminale.
Caratteristiche nazionali o regionali (e in particolare fattori inerenti al sistema politico-istituzionale, ai modelli culturali, all’intervento dello Stato nell’economia) influiscono sull’analisi costi-benefici del potenziale criminale determinando il livello di corruzione di un paese.
Generalmente bassi livelli di reddito ed elevata disuguaglianza nella sua distribuzione, bassi livelli di istruzione e di capitale sociale, scarsa diffusione dell’informazione, istituzioni democratiche deboli, inefficienza del sistema giudiziario, regole burocratiche complesse e poco trasparenti, elevata spesa pubblica sono aspetti che la teoria economica associa a maggiore corruzione (valgono per tutti gli studi di D. Treisman su questo argomento). In particolare, la storia politica e le tradizioni civiche e culturali di un paese (o di un’area territoriale) possono diventare uno strumento di trasmissione di ‘cattivi’ valori individuali e sociali, la cui diffusione indebolisce ulteriormente istituzioni corrotte.
In Italia, la dilatazione della spesa pubblica e la sua destinazione verso usi improduttivi o particolaristici, insieme all’erosione del capitale sociale e al processo di decentramento, sembrano aver allargato le maglie della corruzione, soprattutto nelle regioni meridionali.
Pertanto, un’analisi delle determinanti del fenomeno condurrebbe a delineare azioni di policy dirette da un lato a migliorare la qualità della spesa pubblica e delle istituzioni, come la Commissione evidenzia e raccomanda con riferimento all’Italia, dall’altra a favorire la cooperazione tra i singoli nella consapevolezza che la reputazione dell’individuo e quella del gruppo sociale cui appartiene sono inscindibilmente legate.
La percezione della corruzione
Confronto dell’indice della percezione della corruzione in alcuni paesi, tra il 1996 e il 2013. Il CPI classifica i paesi secondo una scala che va da 0 (massima corruzione) a 100 (assenza di corruzione). Fino al 2011 la scala in base alla quale i paesi sono stati classificati è 0-10. A partire dal 2012 la scala è 0-100. Per omogeneità con i valori precedenti, i valori del 2013 sono stati ricondotti alla scala 0-10.
Gli studi
Tra le più significative pubblicazioni dedicate alla corruzione italiana vanno ricordate:
- A. Del Monte, E. Papagni, The determinants of corruption in Italy: regional panel data analysis, in European journal of political economy, 2007, 23, 2, pp. 379-396;
- N. Fiorino, E. Galli, I. Petrarca, Corruption and growth: evidence from the Italian Regions, in European journal of government and economics, 2012, 1, pp. 126-144;
- N. Fiorino, E. Galli, La corruzione in Italia. Un’analisi economica, Bologna, 2013.
Un quadro normativo da rafforzare
di Vincenzo Piglionica
Un paese in cui il 97% dei rispondenti all’Eurobarometro 2013 ritiene che la corruzione sia un fenomeno dilagante; una realtà in cui i legami tra politica, criminalità organizzata e imprese destano grande preoccupazione; un corpus normativo non ancora in grado di aggredire il problema. È la fotografia dell’Italia che emerge dal rapporto dell’Unione Europea sulla lotta alla corruzione presentato nel mese di febbraio 2014, prima che gli scandali EXPO e Mose riaccendessero i riflettori su una delle piaghe più profonde del paese in un settore come quello degli appalti pubblici. Corruzione che in Italia ha interessato anche rappresentanti delle istituzioni: 30 i parlamentari della XVI legislatura indagati per reati collegati alla corruzione o per finanziamento illecito ai partiti e 28 i consigli comunali sciolti dal 2010 fino alla pubblicazione della relazione per presunte infiltrazioni criminali. Il rapporto evidenzia inoltre come i tentativi di definire un quadro giuridico in grado di garantire l’efficacia dei processi siano stati più volte ostacolati: criticate in proposito le cosidette leggi ad personam, volte a favorire politici imputati in procedimenti penali, anche per reati di corruzione. Sotto il profilo normativo, il rapporto segnala alcuni passi in avanti – come la legge anticorruzione del novembre 2012 e il successivo decreto legislativo su incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive – ma sottolinea anche come i numerosi problemi irrisolti impongano un rafforzamento del quadro giuridico di contrasto del fenomeno corruttivo.