PIETRAPERZIA BRANCIFORTE BARRESI, Francesco
PIETRAPERZIA BRANCIFORTE BARRESI, Francesco. – Nacque a Militello il 17 marzo 1575 da Caterina Barresi, marchesa di Militello, e da Fabrizio Branciforte Barresi.
Quest’ultimo era figlio di Giovanni Branciforte, conte di Mazzarino, e di Dorotea Barresi, ultima erede del casato omonimo di cui ereditò i titoli, fra cui quello del principato di Pietraperzia. Dorotea, dopo un secondo matrimonio con il cugino Vincenzo Barresi, marchese di Militello, morto precocemente, aveva sposato Juan de Zúñiga e si era trasferita a Madrid dove era stata nominata governatrice della casa dell’infante Filippo III. Francesco trascorse i primi anni della sua vita insieme alla nonna, a corte. Quasi nulla si sa della sua infanzia, della sua prima giovinezza e della sua formazione.
Nel 1600 Francesco ebbe i primi contrasti con il padre Fabrizio, principe di Butera, a causa della gestione finanziaria del patrimonio familiare. Come quello di gran parte della nobiltà siciliana, il patrimonio dei Branciforte era sottoposto a una serie imponente di soggiogazioni ed era amministrato dalla Deputazione degli Stati. Francesco rimproverava al padre una condotta sconsiderata, in grado di compromettere l’eredità. Il problema del debito, pari a circa 200.000 scudi, venne risolto dal principe di Butera, grazie anche al forte interessamento del viceré Lorenzo Suarez de Figueroa duca di Feria, con la stipula di accordi matrimoniali fra Francesco e Giovanna d’Austria, figlia di don Juan de Austria, il fratellastro di Filippo II. Grazie alla mediazione del viceré, Filippo III si impegnava a essere particolarmente generoso con i Branciforte. La sposa, oltre al patrimonio di relazioni cortigiane, avrebbe portato una dote di circa 60.000 scudi e un vero e proprio tesoro in argenterie, corredo e gioielli. Inoltre, avrebbe avuto una rendita personale annua di 3000 scudi. In occasione delle nozze il principe di Butera avrebbe elargito al figlio titoli e feudi, mantenendo per sé solo un vitalizio di 10.000 scudi annui, la ratifica di tutti gli arrendamenti e le soggiogazioni fino a quel momento stipulati e la possibilità di disporre della dote della nuora per il pagamento dei debiti che gravavano anche su Francesco: un accordo che non sarebbe stato rispettato.
L’arrivo di Giovanna d’Austria a Palermo e la conoscenza da parte di quest’ultima della situazione finanziaria del casato segnarono la fine dei buoni rapporti fra il principe di Butera e il viceré. Quest’ultimo, infatti, su sollecitazione della gentildonna, inviò al Consiglio d’Italia una memoria con la quale denunciava la condotta fraudolenta del principe e il conseguente danno del patrimonio della famiglia. Inoltre, il viceré emanò un decreto nel quale il principe veniva indicato come prodigo: l’obiettivo era quello di privarlo della facoltà di alienare e soggiogare parti del suo patrimonio. All’arrivo del viceré Juan Fernández Pacheco, marchese di Villena, il principe di Butera riguadagnò credito; tuttavia, il nuovo viceré non voleva inimicarsi una principessa di sangue reale. Pertanto, nell’ottobre del 1607, egli intraprese un viaggio verso Militello, dove la coppia viveva e di cui Francesco, il 19 ottobre 1605, morta la madre Caterina, aveva ricevuto il titolo di marchese. Obiettivo della visita era quello di comporre le divergenze fra il principe di Butera e il figlio. Tale obiettivo sembrò raggiunto nel settembre del 1609.
La coppia composta da Francesco e Giovanna era affiatata. L’11 gennaio 1605, a Napoli, nacque Margherita, primogenita, seguita negli anni successivi dalle sorelle Flavia, nata a Napoli il 3 giugno 1606, e Caterina, nata a Napoli il 4 maggio 1609. Ambedue morirono in tenera età – Flavia a due anni non compiuti e Caterina a quattro anni – e furono sepolte a Militello.
Il 16 ottobre 1608, per ordine regio, Francesco ebbe conferma del mero e misto imperio sul marchesato di Militello e concessione del loro esercizio senza controllo da parte dei sindacatori del Regno. A Militello Francesco trascorse gran parte della sua vita, dando vita insieme alla moglie a una corte raffinata. Egli promosse l’affermazione culturale di alcuni esponenti del luogo (letterati come Pietro Carrera, Filippo Caruso e Mario Tortelli; giuristi come Mario Gastone; scultori come Giambattista Baldanza) e attirò artisti (pittori come Filippo Paladino e Mario Minniti; argentieri come Giuseppe Capra). Il marchese di Militello, infatti, si dedicava allo studio delle lettere, della matematica, delle scienze naturali, della filosofia e della teologia. Come narra il cronista Filippo Caruso, egli compose due commedie, oggi perdute, Il turco fedele e I due pellegrini, un trattato, anch’esso perduto, sull’amore onesto, Il Cis, e un trattato, incompiuto, su La Ragione di Stato. Il gusto per il teatro era condiviso dalla moglie, che si dilettava nelle composizioni musicali: i signori di Militello mettevano a disposizione il loro ricco guardaroba per permettere alle diverse accademie cittadine ricchi allestimenti scenici.
Particolare impegno Francesco riversò nella creazione di una biblioteca pubblica, edificata accanto al palazzo signorile. All’interno degli scaffali scolpiti, divisi in sette ordini e chiusi da ante di ferro, si contavano 8.580 volumi: libri di storia e medicina, nonché opere controversistiche e teologiche oltre alla letteratura da intrattenimento. Vi erano inoltre le novità librarie, oltre ad alcuni scritti inseriti nell’Indice dei libri proibiti. Funzioni di bibliotecario ricopriva il gesuita Pietro Carrera. La sezione della biblioteca dedicata alla giurisprudenza era amministrata da Francesco Petronio, al bisogno inquadernatore e legatore di libri.
Nel 1616 i marchesi di Militello incaricarono il tipografo Giovanni Rossi di allestire una tipografia, che da quel momento pubblicò le opere di letterati del territorio: la prima opera fu Il gioco degli scacchi di Pietro Carrera. La biblioteca, dotata di un’armeria e di ‘distilleria’, un gabinetto per esperimenti scientifici, divenne così il cuore culturale di Militello: fra le sue mura si riuniva un’accademia palatina, presieduta dal marchese, che nei mesi estivi, per sfuggire la calura, si ritrovava in una tenuta campestre.
Pari interesse Francesco riservò al decoro urbano di Militello. Non è possibile ascrivere con certezza alla sua personale committenza la costruzione, effettuata nel 1602, della torre campanaria della chiesa madre della cittadina o l’incanalamento delle acque della sorgente Zizza, completato nel 1605 per convogliare il flusso al centro dell’abitato. Con certezza, sono frutto della volontà dei marchesi di Militello la fontana della Zizza, prospicente il palazzo, realizzata nel 1607, il monastero dei padri domenicani, fondato nel 1613, e l’abbazia di S. Benedetto, progettata da padre Valeriano di Catania, priore di Cirami. La prima pietra dell’edificio fu posta l’8 settembre del 1616, in occasione del genetliaco della marchesa. Per quindici giorni Militello fu allietata da pubbliche feste realizzate grazie a venti commedianti e a numerosi musicisti, che eseguirono anche brani musicali composti da Giovanna. Nel 1617 venne ampliata e rettificata la via Leone, oggi via Porta della Terra. Nel 1620 venne realizzata la fontana di S. Vito. Nel complesso, la cittadina di Militello fu al centro di un piano di ristrutturazione urbanistica, tanto importante da condizionare la ricostruzione dell’abitato dopo il terremoto del 1693 e l’espansione dei secoli seguenti.
Francesco promosse anche la realizzazione di un Codice di diritto municipale, oggi perduto.
Nel 1617, dopo l’arrivo a Palermo del viceré Francisco de Castro, conte di Castro, che appoggiava il principe di Butera, si riaprì la contesa fra Francesco e il padre. Il vescovo di Siracusa, Juan Torres de Ossorio, si incaricò di trovare una mediazione fra i due contendenti, ma le divergenze erano molteplici. Francesco chiedeva l’esautoramento del padre dalla gestione del patrimonio, ricordando come le donazioni a lui fatte prima del matrimonio non avessero mai avuto seguito e come il decreto che bollava il principe come prodigo non fosse mai stato effettivamente vigente. Per rafforzare la sua posizione il marchese di Militello allegava la lista di creditori del padre. Inoltre è probabile che egli procedesse anche in altri modi per discreditare la figura del principe: un memoriale anonimo del 1618 ne ricorda le responsabilità di capofamiglia e ne mette in luce la dissipazione e la miseria umana. Ciononostante le trattative proseguirono per concludersi il 15 marzo 1621. Gli accordi, presi di concerto con il viceré, prevedevano la revoca del decreto infamante nei confronti del principe di Butera e la cessione da parte di questi di tutto il patrimonio a Francesco, primogenito. Il principe si riservava il controllo delle terre nelle quali avrebbe soggiornato, il seggio in Parlamento, l’esercizio del mero e misto imperio e la conferma delle nomine effettuate negli anni precedenti.
Nel mese di febbraio del 1522, Francesco lasciò Militello per recarsi a Messina ad accogliere il nuovo viceré Emanuele Filiberto di Savoia. Arrivato a destinazione, si ammalò gravemente. Il 21 febbraio, Francesco dettò le sue ultime volontà, nominando erede universale la figlia Margherita. Il 23 febbraio, all’età di quarantasette anni, morì.
La sua scomparsa improvvisa impressionò fortemente i contemporanei. Filippo Caruso nelle sue Cronache militellesi narra che a Catania il corteo funebre fu accolto da uno scampanio a mortorio di tutte le chiese della città. Giunta a Militello, la salma venne prima ospitata nel convento di S. Francesco d’Assisi, per essere trasferita, la notte del 1° aprile di quello stesso anno, con una cerimonia affollatissima, prima nella chiesa madre di S. Nicolò per le esequie e poi nella chiesa del monastero di S. Benedetto per la sepoltura.
Dopo la morte del figlio, il principe di Butera impugnò il testamento e nominò erede del casato il suo secondogenito Giovanni. Tuttavia, Filippo IV ordinò al viceré di tutelare Margherita e Giovanna, che vennero reintegrate nel possesso dei beni della famiglia Branciforte: si trattava ormai di poca cosa poiché il patrimonio rendeva appena 2.800 onze all’anno, una somma insufficiente per il mantenimento di un casato nobiliare. Il denaro che permetteva il mantenimento di un certo prestigio proveniva dai guadagni degli investimenti di Giovanna, che aveva messo a frutto le sue risorse personali e aveva intentato una causa alla figlia per sciogliere la comunione dei beni stipulata al momento delle nozze, questo al fine di proteggere la sua dote dall’avidità del suocero. Nel 1623 una decisione del sovrano revocò tutti i provvedimenti presi dal principe di Butera in favore del secondogenito Giovanni. Nel 1625, in virtù delle nozze fra Margherita e Federico Colonna duca di Tagliacozzo, il patrimonio confluì all’interno di quello della famiglia romana.
Il 19 marzo 1996 il sepolcro di Francesco Branciforte è stato aperto e sono state condotte molteplici analisi sui resti trovati all’interno della tomba. I rilievi condotti autorizzano a pensare che con tutta probabilità Francesco morì per avvelenamento da arsenico, ingerendo alimenti ai quali era stata mescolata una pozione contenente anidride arseniosa.
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