Abelardo, Pietro
(lat. mediev. Petrus Abaelardus) Filosofo e teologo (Pallet, Bretagna, 1079 - monastero di Saint-Marcel-sur-Saône 1142).
A. narra i casi (fino al 1129) della sua vita in una lettera detta comunemente Historia calamitatum mearum (trad. it. Storia delle mie disgrazie). Dapprima allievo di Roscellino, passò poi a Parigi alla scuola di Guglielmo di Champeaux; e come aveva criticato la soluzione nominalistica data dal suo primo maestro alla questione degli universali, così impugnò l’opposta soluzione realistica data da Guglielmo. Dopo aver insegnato a Melun e a Corbeil, tornò a Parigi, dove Guglielmo di Champeaux si era ritirato dall’insegnamento; le sue polemiche ebbero tale fortuna che il successore di Guglielmo gli cedette la cattedra di Notre-Dame. Estromesso per l’intervento di Guglielmo, A. aprì una propria scuola di dialettica a S. Genoveffa. Poi, per perfezionarsi in teologia, si recò alla scuola di Anselmo di Laon. Divenuto Guglielmo di Champeaux, nel 1113, vescovo di Châlons-sur-Marne, A. tornò alla cattedra di Notre-Dame. Al periodo di questo insegnamento appartiene il suo disgraziato amore per Eloisa, bellissima e colta nipote del canonico Fulberto, il quale si vendicò di A. facendolo evirare. A. si rifugiò nel convento di S. Dionigi, Eloisa in quello di Argenteuil. Singolare documento di questo amore restano alcune famose lettere scambiate tra i due amanti. Più tardi A. riprese l’insegnamento a Nogent-sur-Seine, ma a causa delle tesi sostenute nel De unitate et trinitate divina, scritto intorno al 1120, dovette comparire come eretico di fronte al Concilio di Soissons (1121), che diede il libro alle fiamme. Dopo altre peripezie, A. fondò a Troyes la casa del Paracleto, cioè una nuova scuola, che poi cedette a Eloisa, espulsa con le altre monache dal monastero di Argenteuil. Nel 1136 riprese l’insegnamento a Parigi alla scuola di S. Genoveffa dove ebbe scolari Giovanni di Salisbury e Arnaldo da Brescia, ma contro di lui si levò s. Bernardo, che fece condannare le sue dottrine da un sinodo riunito a Sens nel 1141. A. si appellò a papa Innocenzo II, ma Bernardo lo prevenne facendolo scomunicare. Trascorse l’ultimo periodo della sua vita nell’abbazia di Cluny, presso Pietro il Venerabile, che si adoperò per la sua riconciliazione con la Chiesa.
La produzione letteraria e filosofica di A. è assai vasta: eccellente scrittore, ottimo conoscitore degli antichi auctores, A. è abile nell’uso così dei più raffinati accorgimenti stilistici e metrici come degli strumenti logico-dialettici. Non ci sono giunti, ma ebbero largo successo ai suoi tempi, e non furono probabilmente senza influsso sulla poesia latina dei goliardi e su quella volgare dei trovatori, i carmina amatoria che A. ricorda d’aver composto per Eloisa. Ci sono giunti invece sei planctus ritmici, interessanti sia per la tecnica, che mostra la tradizione sequenziale avviata a sboccare nei lais, sia per il contenuto, che sotto veste biblica richiama simbolicamente la tormentata vicenda biografica di Abelardo. Nella stessa direzione l’Historia calamitatum e le lettere rivelano un nuovo mondo sentimentale, in cui i rapporti fra i sensi e la sfera dello spirito sono analizzati in termini che contribuiscono a definire lo sfondo psicologico e intellettuale sul quale matura la lirica trovadorica. Sono poi da ricordare: il complesso degli scritti logici, dalle glosse a Porfirio e ad alcuni libri dell’Organon di Aristotele, alla grande e matura Dialectica: in queste opere viene elaborata una ‘filosofia del linguaggio’ con un notevole interesse per il problema del valore dei termini, anche in rapporto alle opposte tesi nominalistiche e realistico-platoniche, e in vista di una teoria del sermo e del carattere logico-astratto del concetto. Importanti anche gli scritti teologici ed esegetici: il De unitate et trinitate divina e la Theologia più volte rielaborata; il commento all’Hexaëmeron e all’Epistola ad Romanos, e soprattutto il Sic et non, raccolta di testi patristici che si presentano contraddittori; simili raccolte cominciavano a essere assai diffuse, ma l’importanza di questa abelardiana sta nella teoria, esposta nella prefazione, della possibilità di accordare i testi contraddittori attraverso un’analisi del significato dei termini nei diversi contesti. Nello Scito te ipsum (o Ethica, anteriore al 1138, in doppia redazione; trad. it. Conosci te stesso, o Etica), A. accentua in modo originale, di fronte all’oggettività della legge morale, il momento dell’intenzione come fondamento della bontà o meno delle nostre azioni.
L’importanza dell’opera di A. nella storia della cultura del 12° sec. – al di là della positiva valutazione della cultura antica e dei frequenti rapporti posti tra temi della filosofia platonica e dottrine cristiane (aspetti questi che inseriscono A. nella più vivace cultura del secolo, ma non sono a lui peculiari) – sta soprattutto nella sua opera teologica: questa si caratterizza per la forte impostazione ‘sistematica’ che stacca la speculazione teologica dall’ordo temporum e dalla lectio historiae (cioè dalla meditazione della Bibbia e dal suo ordine temporale) per organizzarla attorno ad alcuni temi centrali (fides, cioè oggetto della fede, charitas, sacramentum). Insieme a tale sistematicità, e come suo strumento, si pone in primo piano, nel lavoro teologico di A., la ratio: questa non va tuttavia intesa come ‘ragione naturale’ (quale più tardi si verrà definendo in diversi contesti), ma come la ratio della tradizione agostiniana e anselmiana, sorretta dalla luce divina, cioè dal verbo che si è rivelato nella Bibbia. A fondamento dei dati rivelati, oggetto di fede, è per A. quella stessa verità che fonda il lavoro razionale-filosofico: di qui la continuità tra fede e ragione, che è approfondimento della prima e preparazione alla piena contemplazione della verità nella visione beatifica. Ma di qui anche l’impossibilità di distinguere ‘filosofia’ da ‘teologia’, anche se proprio con A. si viene a definire il termine theologia, da lui per la prima volta usato a indicare una costruzione speculativa del dato rivelato. Da notare anche che questa ratio agostiniana si viene arricchendo, attraverso la lettura dell’Organon, di una problematica logico-dialettica, aperta anche a problemi di semantica e di logica del linguaggio (di qui l’interesse degli scritti logici di A.): è questa la ratio capace di intervenire nelle contraddittorie auctoritates del Sic et non per trovarne la soluzione sul piano logico-semantico. Per l’originale impostazione del pensiero teologico (tentativo di sistematicità e uso della ragione logico-dialettica) A. è considerato, con Anselmo d’Aosta, come uno degli iniziatori del ‘metodo scolastico’.
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