ACCIARITO, Pietro
Nacque ad Artena (Roma) il 27 giugno 1871, da Camillo. Aperta una bottega di fabbro in via Machiavelli, al principio del 1897 fu costretto ad abbandonarla per mancanza di lavoro; in pari tempo entrò in contatto con le correnti socialiste e con la stampa anarchica. Il 22 aprile di quell'anno, appostatosi lungo la via Appia ad attendere il re Umberto che si recava ad assistere alle corse all'ippodromo delle Capannelle, lo assalì col pugnale, ma venne disarmato e arrestato prima di portare a compimento il suo proposito. Interrogato, negò di essere stato spinto da moventi politici e di appartenere a gruppi anarchici, attribuendo alle precarie condizioni economiche la ragione del suo gesto. Tuttavia, dopo l'attentato si ebbero a Roma numerosi arresti di persone sospette di socialismo o anarchia (tra cui Romeo Frezzi, che morì misteriosamente in carcere) e avvennero per le strade manifestazioni pro e contro la condanna dell'Acciarito.
Al processo, celebrato il 28 e 29 maggio, l'A. prese la parola per accusare le ingiustizie della società e la parzialità della corte giudicante. Fu condannato alla pena dell'ergastolo.
La sua vicenda giudiziaria ebbe un seguito, poiché non si rinunziò, nell'infuocato momento politico, alla ricerca di complici e di mandanti. Rilasciato in istruttoria alla fine del '97 un primo gruppo di sette anarchici, all'inizio del 1899 furono tradotti in giudizio altri cinque presunti complici, tra i quali Aristide Ceccarelli. L'accusa era di avere istigato e sostenuto l'A. nel suo disegno delittuoso, attraverso rapporti stabiliti presso l'Unione socialista. Il 22 giugno alle Assise di Roma si ebbe il secondo processo, nel quale l'A. intervenne come testimone a carico dei cinque anarchici. Risultò, però, che le accuse dell'A. al Ceccarelli e agli altri erano state ottenute dal direttore del carcere di Santo Stefano attraverso pressioni e mediante le delazioni di tale A. Petito, suo compagno di cella. L'A. ammise di avere stilato la sua confessione dietro promessa di amnistia. Ne derivarono emozione nell'opinione pubblica, interpellanze parlamentari, incidenti in tribunale, fino alle dimissioni dell'intero collegio di difesa; il processo venne di conseguenza rinviato e insabbiato.
L'A. trascorse in carcere il resto della sua vita. Un ricorso in Cassazione, col patronato di Saverio Merlino, venne respinto. Il sovrano volle erogare però un sussidio ai suoi familiari.
Mori nel carcere di Montelupo Fiorentino il 4 dic. 1943.
Fonti e Bibl.: Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. gen. della pubbl. sicurezza, Uff. Riservato (1879-1912)b. 3, Attentato A. e agitazioni pro A.;Arch. di Stato di Roma, Procura generale presso la Corte d'appello di Roma,b. 2, Corrispondenza... relativa ai processi di P. A.;G. Ascoli (avvocato difensore dell'A.), P. A.,Firenze 1897 (con facsimile di lettere scritte in carcere dall'A.); M. Marino-Lucca, I rei per passione: Caserio, A., Angiolillo,Roma 1897; C. Caputo, La patria di P. A., Artena,Foligno 1898; E. Sernicoli, I delinquenti dell'anarchia, 1894-1899,Roma 1899, spec. pp. 87-98; A. Angiolini, Cinquanta anni di socialismo in Italia,Firenze 1902, p. 332; A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia,Napoli 1954, p. 35.