ACCOLTI, Pietro
Figlio di Benedetto, illustre giureconsulto aretino di antica famiglia nobile del contado di fazione ghibellina e popolare, e di Laura Federighi fiorentina (suo padre, Carlo, fu noto giureconsulto), nacque a Firenze il 15 marzo 1455: dalla città d'origine dei genitori ricevette la doppia denominazione di aretino e fiorentino.
Nel 1481, appena terminato il corso di giurisprudenza presso lo Studio di Pisa e prima ancora di aver ottenuto la laurea in diritto (da lui però conseguita nello stesso anno), per iniziativa di Lancellotto Decio e Guido Aretino e la pressante insistenza di Francesco Accolti, zio di Pietro e illustre maestro di diritto, vien nominato lettore di diritto canonico.
Secondo l'Ughelli l'A. si sarebbe trasferito a Roma sotto Innocenzo VIII e, per le benemerenze acquisite sotto quel pontificato nel disbrigo di delicatissime questioni, sarebbe stato nominato nel 1492 da Alessandro VI auditore di Rota. Il Cerchiari invece argomenta, basandosi sul fatto che l'A. fu decano prima del De Grassis e che quest'ultimo divenne auditore nel 1485, che l'A. fosse già auditore nel 1484. Ai fini di una precisa datazione non va però taciuto che non prima del 1485 l'A. ottenne il permesso di allontanarsi dallo Studio di Pisa.
Decano di Rota dal 17 nov. 1500, ricoprì tale carica sino al 4 apr. 1505, anno della sua nomina a vescovo di Ancona. Ciò non gli impedì tuttavia - come si ricava dai Libri rationum,VIII, anni 1507, 1508, dell'Archivio della S. Rota - di prendere ulteriormente parte alle sedute della medesima. Dal 1505 al 1514, con tutta probabilità, vescovo di Ancona (circa la sua residenza non sappiamo molto di positivo), nel concistoro di Ravenna del 10 marzo 1511 creato da Giulio II cardinale col titolo di S. Eusebio, ottenne nello stesso anno l'amministrazione dei vescovadi di Cadice e Maillezais (sino al 1521 il primo, sino al 1518 il secondo). A tali Chiese si aggiungono l'amministrazione delle diocesi di Arras dal 1518 al 1523 e di Ancona nel 1523 (di tale vescovado mantenne egli sempre il titolo, onde la denominazione "Anconetanus" così frequente in atti e documenti), e, ancora, il vescovado di Cremona, nel quale subentrò al nipote Benedetto, dal 1524 - così il Mazzuchelli e lo Eubel, mentre lo Chacon fa assegnare all'A. tale vescovado da Adriano VI nel 1523 - al 1529 e quello di Ravenna nel 1524. Ebbe inoltre, come cardinale vescovo, a partire dal 18 dic. 1523, le diocesi suburbicarie di Albano (sino al 20 maggio 1524), di Palestrina (20 maggio-15 giugno 1524) e, infine, di Sabina (dal 15 giugno sino alla morte).
Candidato alla tiara nel conclave seguito alla morte di Leone X in cui si mostrò deciso avversario del partito imperiale - come tale lo designa il Manuel - ottenne cinque voti nel primo scrutinio e sette il 3 genn. 1522. L'Aretino non gli risparmia in tale occasione la sua sferzante satira, e ne mette a nudo la moralità non sempre ineccepibile (Roma: Se Ancona o Grassi toccassi sedere sulla sedia di Pietro? Pasquino: Allor ti veggio da figli adulterin porre a iacere). In realtà, il Mazzuchelli nell'albero genealogico della famiglia Accolti attribuisce all'A, tre figli: Caterina, che prese il velo claustrale; Adriano, non meglio identificato, ma di cui si sa che viveva nel 1521; Benedetto, che sarebbe stato impiccato a Roma nel 1564.
Anche se non sempre in veste di primo attore, partecipa egli tuttavia in modo assai attivo ai principali avvenimenti politico-ecclesiastici della sua epoca.
Nel concilio ecumenico lateranense V (1512-17), fa parte della commissione terza istituita il 13 giugno 1513 e incaricata dell'esame della Prammatica Sanzione e delle questioni concernenti la fede (al posto di "Reverendissimus dominus sancti Eustachii", come reca il Mansi, XXXII, col. 797 è da leggersi sancti Eusebii"). Accompagna Leone X, che gli fu sempre largo di grazie e favori, a Bologna nel dicembre 1515 e spicca nelle conversazioni e trattative per il concordato proseguite con il cancelliere Duprat ed i principali personaggi del seguito di Francesco I dopo la partenza di Leone X. Di lui disse il Duprat essere il più colto e letterato membro del collegio cardinalizio.
Decisivo il suo contributo nella congregazione generale del 15 dic. 1516, preparatoria della XI sessione, nella quale venne discussa l'abrogazione della Prammatica Sanzione (il suo nome non figura però fra i cardinali presenti alla sessione, del 19 dic. 1516), ed a quella del 13 marzo 1517 in preparazione alla XII sessione sulla quale possediamo un rapporto del cardinale Pucci ed in cui, oltre varie decisioni canoniche, fu approvata la bolla di chiusura del concilio. Alla sua rara competenza giuridica ricorre più volte Leone X, che affida a lui, oltre che al cardinale Grimani, l'incarico di giudicare la causa avverso la sentenza assolutoria del vescovo di Spira nei confronti di Reuchlin portata in appello a Roma dall'inquisitore Hoogstraeten.
Il Reuchlin in una lettera del 10 febbr. 1515 diretta all'A. dà espressione alla sua soddisfazione per avere avuto la fortuna di un tanto giudice e lo supplica di volerlo liberare dai suoi nemici. E in un'altra del 13 nov. 1518 lo prega di influire positivamente sul nuovo giudice cardinale Iacobazzi e lo scongiura a far del tutto onde si porti a termine il processo che, data la piega a lui favorevole, viene ostacolato dai suoi avversari nel suo libero proseguimento. Dopo un primo parere assolutorio emesso il 22 luglio 1516 dalla commissione degli esperti (creata, come pare, su istanza dell'A.), ma non concretizzatosi in giudizio a causa di un "mandatum de supersedendo" di Leone X, fu ripreso il processo, che terminò il 23 giugno 1520 con l'annullamento della sentenza di Spira e la condanna di Reuchlin.
Fin quando tutto poté procedere con una certa indipendenza, e cioè fin quando la causa di Reuchlin non entrò nell'ombra di quella di Lutero, sembra che l'A. si comportasse in maniera sufficientemente equilibrata ed oggettiva. Nel concistoro del 19 maggio 1517 vien chiamato, insieme con i cardinali Remolino e Farnese, ad esprimere il suo parere sugli atti processuali contro i cardinali Petrucci e Sauli sospetti di aver complottato contro la vita del papa e a pronunciare il giudizio definitivo. Quasi certamente al suo suggerimento è dovuto l'arresto del cardinale Riario, implicato nella congiura. Nel concistoro del 28 apr. 1523 l'A. viene incaricato da Adriano VI di sorvegliare, insieme con il Carvajal e il Cesi, il processo contro il Soderini.
Ma se l'A. ha goduto di una certa risonanza, molto limitata in effetti per mancanza di qualsiasi studio critico che ne illumini e la personalità e l'attività, ciò è dovuto principalmente al fatto che al suo nome è legata la bolla di condanna di Lutero - la Exsurge Domine - pubblicata a Roma il 15 giugno 1520.
Già nel concistoro del 9 genn. 1520 era stato deciso, dopo un tonante discorso di accusa di un curiale, di riprendere il processo contro Lutero; ma appena il 1 febbraio fu nominata da Leone X la commissione di teologi avente il compito di esaminare un certo numero di proposizioni sospette. A presiedere tale commissione fu chiamato, insieme con il Gaetano, l'A., che già da tempo apparteneva alla cerchia dei consiglieri più intimi del papa nelle questioni di Germania. Ed essi furono a capo anche della II commissione di teologi, che terminò i suoi lavori con un giudizio relativamente mite, come pure di quella che può essere considerata la III commissione, composta, oltre ai due cardinali, dallo Eck e da un certo Dr. Johannes. In seno ad essa sorse il vero e proprio abbozzo della bolla, la cui stesura non poteva spettare ad altri che al canonista Accolti.
Sarebbe tuttavia grave errore considerare la bolla nella sua totalità come opera sua. Essa è da ritenersi piuttosto, quanto al contenuto dogmatico - le quarantuno proposizioni di Lutero condannate - opera precipua dello Eck sulla base del giudizio dei teologi di Lovanio, di qualche suggerimento della II commissione e della sua particolare esperienza (soprattutto le proposizioni concernenti il primato). L'A. diede invece, per parte sua, forma al giudizio, secondo le regole del diritto e dello stile ufficiale curiale (le "clausole di palazzo", di cui parla il Sarpi). Il progetto di bolla, presentato nei concistori del 21 e del 23 maggio (ne furono pero tenuti altri due il 25 maggio e il 1 giugno) recava una condanna in blocco delle proposizioni e non un giudizio specifico per ognuna di esse come avrebbe voluto il Gaetano.
L'A., che mantenne una posizione media, pur nella sua non profonda cultura teologica, o forse proprio in forza di essa, tra il focoso, polemico Eck e il più cauto, profondo Gaetano, fu incaricato di convocare i generali degli Ordini religiosi e altri teologi per definire nel secondo concistoro la questione rimasta ancora aperta nel primo e cioè se le proposizioni di Lutero fossero da condannarsì in blocco (tesi dello Eck) o singolarmente. Ma se in tale occasione vinse la tesi estrema, alla ferma posizione dell'A. è dovuta poi, contro il cardinale Pucci, che si sarebbe risentito per esser stato posposto all'A. (così il Pallavicino sulla scorta degli appunti del Morone, ma si veda anche la critica dello Schulte e la messa a punto del Kalkoff) e che esigeva una condanna immediata di Lutero, la monitio charitativa che concedeva a Lutero lo spazio di sessanta giorni per ritrattarsi. Stando a quanto ne diceva il piuttosto ciarliero Chr. Scheurì, l'A. sarebbe stato nelle questioni di fondo contro il riformatore tedesco, ma ciò non gli avrebbe impedito di esprimere al papa il suo giudizio negativo sull'attività controversista del Prierias. In realtà l'A. si riprometteva dalla condanna di Lutero il ritorno alla Chiesa dei suoi principali fautori.
Probabilmente per il fatto che l'A. fu l'estensore della bolla contro Lutero, è stato a lui attribuito un Opus contra Lutheri doctrinam, a cui accennano e il Fabroni, che riporta la indicazione con un "narrant",e il Mazzuchelli, che si richiama ad una testimonianza dell'Oldoini. Tale opera non appare infatti né nello Hurter né vien ricordata dal Lauchert, il quale invece al suggerimento e all'incitamento dell'A. attribuisce una Oratio ad Carolum Caesarem contra Martinum Luterum, edita a Roma nell'ottobre del 1520 ed il cui autore G. A. Modesto si trovava almeno nel 1521 come segretario alle dipendenze dell'Accolti.
Anche Adriano VI si serve in diverse circostanze dell'opera dell'Accolti. Nel concistoro dell'11 febbr. 1523 viene a lui affidato l'incarico di preparare la minuta dei brevi da inviarsi ai principi cristiani per invitarli alla concordia ed incitarli a concludere fra loro una tregua di tre o quattro anni e, sempre nel mese di febbraio, è possibile trovare il suo nome fra i membri della commissione cardinalizia incaricata di avanzare proposte per l'abolizione dei nuovi uffici creati sotto Leone X. Quanto al suo atteggiamento nei confronti del programma di riforme curiali così arditamente concepito da Adriano VI, senza voler né accettare né escludere, come sembra bene al Pastor, quanto afferma il Sarpi, e cioè che siano stati il Pucci e il Soderini a frapporvi alcuni ostacoli, è da tenere presente la testimonianza di indubbio valore di Egidio Canisio secondo cui "Reformationi Anconitanus restitit".
Sotto il pontificato di Clemente VII, l'A. si trova a far parte della commissione cardinalizia deputata ad occuparsi delle cose di Germania già il 9 dic. 1523. E proprio in tale settore si ha di lui un parere del 1531, probabilmente, pubblicato dal Friedensburg. In opposizione al Gaetano, che pur di giungere ad un accordo con i luterani consigliava concessioni che rasentavano se non superavano gli estremi limiti del possibile, l'A. dissuade energicamente il papa da una eccessiva condiscendenza che avrebbe potuto portare ad una sua deposizione da parte di un concilio.
Nel concistoro del 4 febbr. 1530 viene a lui affidato il compito di predisporre il necessario per la incoronazione di Carlo V a Bologna. Ma pur in altre gravi e delicate questioni - quale quella concernente la causa matrimoniale di Enrico VIII d'Inghilterra - toccò all'A. una parte tutt'altro che secondaria. Come si può desumere anche dagli Acta consistorialia, egli fu tra i maggiori canonisti che si occuparono della vertenza. Di lui ci resta un progetto di risposta (pubblicato dallo Ehses) alla lettera piena di lagnanze e accuse scritta il 6 dic. 1530 da Enrico VIII al papa. In esso, oltre la cristallina trasparenza delle ragioni canoniche, nella struttura solida e decisa, nell'espressione sicura e misurata, si manifesta chiara la coscienza del diritto della Sede Apostolica a pronunciare la sua parola di giustizia nelle cause spirituali e del dovere di difendere nella loro integralità le "libertà ecclesiastiche". Accanto a tale progetto di risposta impallidisce quello dell'occasionalmente suo antagonista cardinale Pucci.
Morì in Roma l'11 dic. 1532 e fu sepolto, stando agli Acta consistorialia, in S. Maria del Popolo, secondo qualche altro autore, in S. Eusebio.
Il Sadoleto, in una lettera del gennaio 1533 al cardinale Benedetto nipote dell'A., ne esalta in modo superlativo la scienza, l'autorità, la gravità, l'umanità. E anche se il nome del destinatario potrebbe far sospettare dell'oggettività delle lodi elargite, non pare vi sia in esse troppa esagerazione. Ma tale giudizio è tuttavia da completarsi con uno sguardo a taluni aspetti della sua personalità religiosa fin qui non toccati e non esenti da gravi ombre. Basandosi sui benefici dall'A. goduti si potrebbe delineare una buona parte della carta geografico-ecclesiastica d'allora. Soltanto nel periodo che va dal marzo 1513 al luglio 1515 egli ottiene, in ordine di tempo, benefici e commende nelle diocesi di Osma, Salanianca, Ivrea, Quimper, Cremona, Barcellona, Milano, Brescia, Orense, Lugo, e oltre a ciò gli viene assegnata da Leone X il 19 marzo 1513 una pensione annua di 2000 ducati. In questo stesso periodo egli è vescovo di Ancona e amministratore delle diocesi di Cadice e Maillezais. E perché i proventi della Chiesa di Cadice, bloccati per disposizione del re, fossero consegnati ai procuratori dell'A., scrive Leone X, alla fine del 1513, una lettera accorata a Ferdinando il Cattolico. Né fu esente l'A. da un cieco nepotismo, cancro della Chiesa dell'epoca. Nel 1514 fa subentrare nella sede anconitana, riservandosi però la collazione dei benefici, il titolo, i frutti della mensa episcopale, il nipote per parte del fratello, Francesco Accolti, in età di appena sedici anni. Alla rinuncia di Francesco, del quale non si sa se mai abbia messo piede in Ancona, ne riprende l'amministrazione (secondo il Gams, citato dallo Eubel, tra Francesco e l'A. vi sarebbe stato un altro Accolti di nome Nereo), per cedere poi il vescovato ad un altro nipote per parte della sorella, Baldovinetto de' Baldovinetti. Nella diocesi di Cadice fa subentrare, riservandosi i frutti dell'amministrazione, ecc., il nipote Benedetto Accolti, al quale lascia pure, con riserva dei frutti, la Chiesa di Ravenna. Eletto cardinale con il titolo di S. Eusebio, lo mantiene, pur divenendo frattanto cardinale vescovo con i titoli ricordati, sino al 5 maggio 1527, in cui poté passarlo a Benedetto, sacerdote indegno e che avrebbe fatto parlare di sé.
Accanto alla più che vasta cultura giuridica, alla levigata esperienza politica manca all'A., che pur fu sempre un tenace assertore della tradizione e un paladino nella difesa delle "libertà ecclesiastiche",una vita permeata e fermentata di spirito interiore, religioso. In ultima analisi, la Chiesa vien vista da lui più nel suo aspetto di istituto giuridico e tradizionale (ben spesso degradato a fonte di guadagno) che non come realtà profondamente spirituale e programma di vita. Amante dello sfarzo (si fece costruire un magnifico palazzo in Roma), di moralità non sempre edificante, cacciatore abilissimo di prebende, nepotista, per troppi aspetti ben lontano dalla figura del buon vescovo, questa creatura dei papi medicei non fu certamente l'uomo di chiesa che richiedevano i tempi in cui visse e operò.
Scritti: Di lui si hanno, oltre quanto ricordato, alcune decisioni legali che si trovano inserite nella Raccolta delle decisioni della Sacra Rota: di esse fa menzione il Cantalmai. Secondo il Mazzuchelli dell'A. si avrebbe un Tyrocinium de iure edito a Firenze, per Petrum Cecconcellum, nel 1629. Il Fabroni parla, più cautamente, del Tyrocinium come di opera a lui attribuita, senza pronunciarsi ulteriormente. È necessario tener presente che nel sec. XVII fiorì un altro Pietro Accolti - 1578-1627 - condiscepolo di Urbano VIII, lontano nipote del cardinale, e come lui professore allo Studio di Pisa. E proprio questo Pietro Accolti avrebbe pubblicato nel 1620 in Firenze e presso lo stesso editore un'opera dal titolo Tyrocinium de iure et iustitia.La omonimia, la quasi completa uguaglianza dei titoli, la stessa città di edizione con la sola differenza di data (potrebbe anche trattarsi di una seconda edizione), laddove nel 1620 sarebbe apparso il volume del secondo Pietro Accolti, consigliano prudenza in tale attribuzione fin quando non si siano ritrovati e collazionati gli esemplari delle due edizioni.
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