GUALDI (Gualdi Lodrini), Pietro Antonio
Nacque a Nembro (nei pressi di Bergamo) il 23 dic. 1716 da Simeone di Domenico Lodrini e da Maria Zuccotti, e fu battezzato il 26 dicembre. Nell'atto di battesimo figura con l'unico cognome Lodrini, ma in documenti successivi e nelle fonti viene ricordato alternativamente con uno solo dei due cognomi o con entrambi. Nelle sue opere pittoriche si firmò esclusivamente come "Pietro Gualdi". Tra il 1726 e il 1732 risulta abitare stabilmente con la famiglia a Nembro: ne è assente per la prima volta nel 1733, come si evince dal census animarum di quell'anno; ma vi è registrato nuovamente nel 1741 (Noris, p. 282).
Nell'ottobre del 1743 ebbe dalla moglie, Annunciata Ragazzoni, il primo figlio, Domenico Leandro; l'anno seguente nacque il secondo, Simone Leopoldo. Fino al 1748 il G. risiedette a Nembro, ma di lì a poco si trasferì nel vicino paese di Alzano, nei cui registri parrocchiali ricorre con la famiglia senza interruzione fino al 1764. In questo intervallo di tempo gli nacquero altri sei figli.
La formazione del G. avvenne, secondo Francesco Maria Tassi, per nove anni presso Fra Galgario (Vittore Ghislandi) e per altri cinque in Roma, alla scuola di Placido Costanzi; ma, come si è visto, il pittore risulta essere assente dai registri parrocchiali della città natale per solo otto anni. Nulla si conosce dell'attività romana del G.; né l'apprendistato a Roma sembra improntare significativamente la produzione nota del pittore, ciò che ha dato modo a Noris (p. 284) di dubitare della notizia fornita da Tassi. Si può invece affermare con sicurezza che il soggiorno romano del G. sia effettivamente avvenuto, perché dal 5 agosto al 2 sett. 1737 venne ricoverato presso l'ospedale dell'Arciconfraternita dei Bergamaschi, secondo quanto risulta dall'inedito registro degli infermi (Roma, Archivio dell'Arciconfraternita dei Bergamaschi, CB V. 84: Ospedale 1728-1794). Sono tuttavia ancora da stabilire la durata e le caratteristiche di un tale soggiorno: è infatti senz'altro da escludere che egli sia stato a bottega come garzone presso Costanzi; né il G. ha lasciato traccia di sé negli archivi dell'Accademia di S. Luca.
L'unica opera che si potrebbe far risalire al periodo della formazione in ambito locale, quindi almeno precedente il 1737, è una copia attribuitagli da Noris (p. 280) da un originale di Fra Galgario, il Giovane con tricorno (Bergamo, Accademia Carrara), nel quale, secondo un'ipotesi che la critica più recente non ha però accolto, molti vollero invece vedere un ritratto del Gualdi. A ogni modo, nel cosiddetto "catalogo Borsetti" dell'Accademia Carrara del 1796 figura un ritratto del G. (Paccanelli et al., p. 270 n. 76).
Al ritorno in patria dopo l'esperienza romana, il G. si dedicò alla pittura devozionale; fu attivo in ambito locale, usufruendo delle opportunità date dalle numerose ristrutturazioni di chiese parrocchiali.
Né le guide sette-ottocentesche, né la letteratura di viaggio, tuttavia, hanno preso in considerazione la sua figura, segnalata solo da Tassi in margine alla biografia di Fra Galgario (1793) e, sulla sua scorta, da Locatelli (1867). Noris (1990) ha per primo riassunto gli sporadici interventi critici sul pittore, affiancandovi una ricognizione negli archivi della Bergamasca che gli ha permesso di precisare molti dati biografici; ha ricostruito in tal modo il catalogo del G., arricchendolo di proposte attributive e delineando la figura di un pittore eclettico, che attinge a vari modelli prediligendo l'area veronese e veneziana, senza raggiungere però autonomia e pienezza di ispirazione.
Nel 1745 il G. firmò la Madonna con i ss. Giuseppe e Antonio sull'altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova a Fresine. Alla stessa data viene fatta risalire in opuscoli locali una Madonna con Bambino nella chiesa di S. Maria al Ponte a Malegno, altrove assegnata ad anonimo del sec. XVII (A. Bartolini - G. Panazza, Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, I, s.l. 1980, p. 138, ill. a p. 134). Ma entrambe le opere sono state finora ignorate dalla critica.
La Madonna di Fresine, unica opera certa di un decennio ritenuto finora inspiegabilmente improduttivo, è un'importante acquisizione al catalogo del Gualdi. Anche la Madonna di Malegno presenta affinità con altri dipinti noti del pittore, ricordando tanto i suoi brani migliori nella fisionomia e nell'atteggiamento del volto della Vergine ed esibendo cifre a lui proprie come il pavimento a mattonelle e l'elaborato vaso bronzeo, quanto mostrando vistose incertezze nella prospettiva del leggio e durezze nel trattamento dei cherubini.
A partire dal 1754 si scalano le opere del G. prese in considerazione dalla critica. È di quell'anno la Deposizione, firmata, in S. Sisto a Colognola, che all'impostazione classicista di stampo cinquecentesco accosta durezze espressioniste nel Cristo morto e giustappone il dettaglio ricercato dei vasi bronzei. A un periodo vicino alla Deposizione Noris (p. 296) situa la Vergine del Rosario, santi e anime purganti della chiesa della Ss. Trinità a Serina.
Qui il G. raggiunge un discreto effetto di monumentalità grazie al sottinsù della Vergine, dei santi e della gradinata. All'altezza dell'osservatore sono, invece, posti i busti delle anime purganti che emergono dalle fiamme, il brano più riuscito della tela. Nel complesso la pala ha un'atmosfera seicentesca; ma nelle anime purganti si possono facilmente individuare riferimenti all'analogo tema generalmente diffuso nel territorio bergamasco e trattato in varie versioni dal più anziano conterraneo Giovanni Carobio (G. Bonetti - M. Rabaglio, Il teatro dell'aldilà. Le anime purganti, in Arch. storico bergamasco, n.s., 1995, n. 2, pp. 79-95). Ha infine il sapore di una citazione l'affinità della robusta anima purgante maschile ai piedi della Vergine con l'analoga figura maschile di spalle della tela di Carlo Innocenzo Carloni, del 1755 circa, in S. Andrea a Malegno.
Il G. lavorò anche in seguito a Colognola. Per S. Sisto realizzò la Vergine del Rosario e santi, firmata nel 1755 secondo un contratto sottoscritto il 23 settembre dell'anno prima, e nel 1774 i due laterali nel coro, perduti. In S. Giovanni Battista eseguì alcuni lavori per l'altare di S. Antonio da Padova, non più conservati, pagati nel luglio del 1770.
Nel 1757 il G. firmò la tela con i Ss. Francesco di Sales e Luigi Gonzaga, oggi nel seminario del Paradiso a Bergamo. Il Martirio dei ss. Gervasio e Protasio della parrocchiale di Bariano, la sua pala più ambiziosa per dimensioni e complessità di richiami, e anche la più riuscita, è firmata e datata 1758.
Il G. costruisce una scenografica macchina compositiva non priva di suggestioni da carceri piranesiane, in cui inscena un dramma fitto di rimandi romani commentato da una corale ambientazione simile a quella dei "sacri monti"; indulge in preziosità materiche e coloristiche nelle stoffe e nei calzari dei personaggi in primo piano, rischiarati da una luce di ascendenza veneta; e contemporaneamente avvolge di tenebrosità la scena di martirio impostata sulla diagonale, facendo uso di colori pastosi e compiacendosi di variare posizioni ed espressioni degli accigliati aguzzini.
Nel 1760 fu pagato per l'ovale con la Vergine del Carmelo e santi in S. Croce a Gandino. Orientata in senso decisamente veneto è la tela con il Ritrovamento di Mosè in S. Rocco a Viana (nelle vicinanze di Nembro), firmata e datata 1761; per la stessa chiesa avrebbe lavorato otto anni più tardi, realizzando à pendant il S. Rocco in carcere; le due opere controllate e accurate, non prive di un certo fascino, escono dai consueti modelli del G., esecutore di pale devozionali di modesta portata e dallo schema più volte ripetuto, e semmai sono vicine alla sua unica prova ad affresco che si conosce, i quattro pennacchi con figure bibliche femminili nel santuario di Roncallo a Pontida, di cui uno firmato e datato 1765. Di qualità non eccelsa, queste ultime opere mostrano tuttavia quella che sembra essere una cifra stilistica tipica del G., la presenza di tessuti rigati e dai colori accesi, che si articolano in pieghe e movenze di varia difficoltà. I quattro pennacchi di Roncallo accompagnano un ovato centrale sagomato con l'Incoronazione della Vergine.
È difficile individuare un vero e proprio percorso evolutivo nella produzione del G.; ma negli anni Settanta si può notare una generale tendenza all'irrigidimento delle forme, ritagliate da una luce più netta e algida che nelle soffuse atmosfere degli anni precedenti, come per esempio accade nelle due pale d'altare per S. Giovanni Battista ad Aviatico, S. Giuseppe col Bambino e s. Antonio di Padova e i Ss. Francesco di Sales, Luigi Gonzaga e Mauro che benedice gli storpi del 1772. Nella stessa chiesa, in una data vicina al 1778, il G. eseguì anche un S. Francesco in estasi di non eccelsa qualità. Ai primi anni Settanta Noris (pp. 294, 296) riconduce la Vergine in gloria e santi della parrocchiale di Bergamo Longuelo e l'Immacolata e s. Feliciano della chiesa dell'Annunciata a Serina, già riconosciutagli su base documentaria (Inventario degli oggetti d'arte, p. 417).
È infine collocata da Noris (p. 283) intorno al 1780 l'ultima opera firmata del G., e unica certa prova ritrattistica: il Ritratto del canonico Mario Lupo, ora a Bergamo, Ateneo di scienze, lettere ed arti.
Anche qui la qualità è discontinua e oscilla tra le mani bianchissime, ben disegnate e modellate, il volto, indagato con accuratezza in cerca della verità fisionomica, e la prospettiva scorretta dei libri e il rigido attacco della maschera del viso ai capelli e al colletto. L'impostazione geometrica dello sfondo, articolato tra una severa architettura di stampo classico e un lontano paesaggio con rovine, è non priva di ambizione; se in gioventù il G. si era esercitato a copiare Fra Galgario, qui se ne discosta per attingere ad atmosfere di stampo già neoclassico.
Tra le proposte inedite pubblicate da Noris per l'estensione del catalogo del G. si possono citare, fra le più convincenti, i Ss. Mauro e Placido del monastero di S. Grata a Bergamo, i Ss. Luigi Gonzaga e Giovanni Nepomuceno in S. Pietro a Chignolo d'Isola e il bel Santo domenicano che appare a una morente in S. Rocco a Vertova; mentre sia le fisionomie sia il modellarsi geometrico dei panneggi della S. Teresa e della S. Elena nel santuario di Verdello non sembrano richiamarsi ad alcuna opera documentata del pittore.
L'ultima notizia dell'attività del G. risale al 1° ott. 1784, data in cui "Pietro Gualdi professore di pittura" stimò i quadri provenienti dall'eredità Bettame (Paccanelli, p. 123 n. 167). Non si conosce alcuna opera successiva a questa data, che si pone anche come nuovo termine post quem per la data di morte del G., ancora non definita.
Fonti e Bibl.: F.M. Tassi, Vite de' pittori scultori e architetti bergamaschi (1793), rist. anast. a cura di F. Mazzini, II, Milano 1969, pp. 73 s.; P. Locatelli, I pittori bergamaschi. Studi critico-biografici, Bergamo 1867, p. 433; Inventario degli oggetti d'arte d'Italia, I, Provincia di Bergamo, Roma 1931, ad ind.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, V, Bergamo 1959, pp. 160, 164; Chiese parrocchiali bergamasche, a cura di L. Pagnoni, Bergamo 1979, pp. 14, 58, 67, 73, 85, 343, 346; M.C. Gozzoli, Vittore Ghislandi detto Fra' Galgario, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Settecento, I, Bergamo 1982, pp. 9, 14, 109, 117; F. Noris, P. G. Lodrini, ibid., III, ibid. 1990, pp. 277-305 (con bibl.); G. Sebastiano Pedersoli - M. Ricardi, Guida di Val Camonica e valli confluenti, s.l. 1998-99, p. 801; R. Paccanelli et al., Giacomo Carrara (1714-1796) e il collezionismo d'arte a Bergamo. Saggi, fonti, documenti, Bergamo 1999, pp. 261 n. 20, 270 n. 76; R. Paccanelli, Tra erudizione e mecenatismo: itinerario biografico di un collezionista illuminato, ibid., p. 123 n. 167; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 162.