Pietro Aretino e Anton Francesco Doni: Opere
PIETRO ARETINO
È molto difficile parlare di Pietro Aretino scrittore con quella serenità e quell'equilibrio che l'opera sua merita. Lasciati da parte i documenti più sfacciati della sua esuberante personalità e anche i riferimenti all'opera ricattatoria del «flagello dei principi» («infame» sì, ma «uomo libero per grazia di Dio»), resta da esaminare con completezza quanto ha lasciato nell'ambito della storia letteraria e, in modo particolare, nella narrativa e nel teatro. La lingua dello scrittore, tutt'altro che di fonte popolare com'egli la vantava, non fosse che per ragioni petrarchiste, anzi ben fondata su basi umanistiche per le lettere e per le arti nel soggiorno perugino e nei primi contatti con l'ambiente romano, merita studi condotti sul fondamento di buone edizioni dei suoi testi: solo alcune di esse hanno già veduto la luce.
Dell'inutilità di continuare, sia pure per ragioni morali, perfino di natura risorgimentale, come fu per il De Sanctis e per il Settembrini, a combattere l'uomo e lo scrittore come immorale e scellerato disse, da par suo, Arturo Graf in Un processo a Pietro Aretino. L'ampio studio venne raccolto in Attraverso il Cinquecento, uscito la prima volta nel 1888. A quasi novant'anni dalla sua apparizione non molto è cambiato nel giudizio comune intorno all'autore dei Ragionamenti (quelli, s'intende, della Nanna, dell'Antonia e della Pippa), finalmente ora rinverginati col titolo di Sei giornate da Giovanni Aquilecchia, a cui si deve la pubblicazione dei testi originali (Ragionamento e Dialogo): se ne dirà più avanti. L'Aretino dovrebbe pur sempre essere considerato come un personaggio eccezionale dell'età sua, solo che si ricordino i rapporti che ebbero con lui Clemente VII, Francesco I e Carlo V imperatore. Non bastano invece le lunghe ricerche biografiche e archivistiche di Alessandro Luzio, dal 1888 al 1923, né la divulgazione (non priva d'interesse per lo studio del politico) apprestata da Alessandro Del Vita, dal 1935 al 1961. Grande divulgazione hanno poi avuto ed hanno le biografie, e non tutte romanzate, ma indubbiamente di seconda mano, e comunque lette con fortuna nelle lingue francese e inglese in cui sono state scritte. Predomina il lato pittoresco e, se si vuole, drammatico della vita dell'intemerato polemista e ricattatore; abbondano gli aneddoti delle sue lotte letterarie con nemici che avevano appreso da lui il mestiere (come il Franco, che finì la propria vita impiccato) e con avversari di valore come il Doni, privi però del mordente necessario per un simile antagonista, che non si disdisse (almeno in Roma) nemmeno per aver ricevuto pugnalate quasi mortali e temibili minacce di prigione. Ma anche per quanto riguarda lo scrittore, data la scarsezza di testi originali nelle maggiori biblioteche (e perfino di quelli permessi dalla censura con nomi fittizi) e, soprattutto, posta la mancanza di ristampe adeguate di numerose opere, è difficile trovare critici che abbiano esaminato con compiutezza tante migliaia di pagine in prosa e in versi. A tutt'oggi, l'edizione del 1609 delle Lettere ha avuto solo la ristampa dei primi due libri: degli altri quattro è difficile avere la possibilità di un esame diretto, e spesso il lettore si rassegna a cercare qualche lettera isolata in antologie d'interesse prevalentemente figurativo. Una guida alla lettura viene, comunque, da chi ha esaminato l'Aretino da diversi punti di vista e, quindi, si presenta spoglio di preconcetti che riaffiorano anche in manuali e in storie della letteratura, data la necessità di inserire l'uomo e lo scrittore in un quadro generale del Cinquecento.
Un posto a parte, sia pure per studi che si potrebbero dire goethianamente d'occasione, va lasciato a Benedetto Croce, che con l'amico Karl Vossler aveva già discusso sull'Aretino a proposito dello studio di questo del 1900 Pietro Aretinos kunstlerisches Bekenntnis: e si veda una lettera senza data, ma di quell'anno, nel Carteggio Croce-Vossler, 1899-1949, uscito, con prefazione di Vittorio de Caprariis, nel 1951. Il Croce è titubante rispetto al pensiero dell'Aretino sull'arte figurativa e dice recisamente: «Ha fatto bene a rivolgere l'attenzione all'Aretino; ma in una storia propria di teorie è difficile far entrare scrittori come l'Aretino che non sono abbastanza consci delle ragioni delle loro affermazioni. Queste ribellioni del buon senso contro la pedanteria sono da paragonarsi, mi sembra, ai proverbi, pregni di verità ma che non fanno scienza, e non fan parte della Storia della scienza. Ma sono interessanti kulturgeschichtlich». Quale documento della cultura e del costume del suo tempo l'Aretino è dal Croce abbondantemente citato ne La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, del 1915; ma si tratta di testimonianze varie che non investono la personalità dell'autore e tanto meno quella dell'uomo, così famigerato per chi lo esamina dietro una lunga tradizione di denigratori e di acerrimi moralisti. Trascurando altri studi particolari ed eruditi (di cui è dato riferimento nella nostra Nota bio-bibliografica), vanno ricordati del Croce due studi di indubbio valore nella storia della critica aretiniana. Il primo è incluso in pagine su La «commedia» del Rinascimento (in Poesia popolare e poesia d'arte: studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, del 1933): sono messi in evidenza l'esuberanza di vita dello scrittore e il suo far teatro anche al di fuori delle regole, e si parla della sua umanità e della sua schiettezza fuori dalla «leggenda nera» che fu, semmai, il primo a desiderare sulla sua attività di giudice del suo tempo. Si afferma che «nella sua mobilissima natura, egli si sentiva non solo, qual era di solito, avido e insaziabile di piaceri, lupo rapace, ma anche, a volta a volta, agnello dolce, anima idilliaca, pietosa, religiosa, mente riflessiva, e, sopratutto, era capace d'innalzarsi alla pura contemplazione artistica e d'indugiarvisi, facendosi in essa tutto semplice e tutto buono». (Rispecchia la concezione, che il Croce ebbe del barocco e che non molti condivisero e condividono, la seguente riflessione: «Si suol affermare che, come scrittore, l'Aretino precorse il secentismo e il barocchismo; invece, se mai, continuò in più cose il Trecento, e al barocco fu intimamente avverso, egli che non gustò i troppi nudi di Michelangelo e amò la fiorente sanità di Tiziano, e, quando nello scrivere par che baroccheggi, lo fa ora per celia ora per aperta esagerazione adulatoria»), Di grande finezza anche il secondo, Considerazioni su Pietro Aretino (raccolte nel 1952 nel volume III di Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento): pur tenendo conto del famoso capitolo della Storia del De Sanctis e delle note sull'arte dell'Aretino, si considerano la particolare natura dello scrittore, il suo gusto per le arti figurative, la sua lotta contro il pedantismo, e nei famigerati Ragionamenti. pur fra le esagerazioni verbali dell'opera, dai più definita oscena, si mostrano umanità e delicatezza e, comunque, vivacità di rappresentazione; e anche del teatro e delle lettere è fatto il debito conto. Dei libri di argomento religioso si mostra la sostanziale falsità e si ricorda che, in questa parte, tali scritti anticiparono l'avvento del gusto barocco.
Un lavoro d'insieme su Pietro Aretino tra Rinascimento e Controriforma ha scritto Giorgio Petrocchi, nel 1948: è considerata la sostanziale tristezza della carne del gaudente e ricattatore, ma insieme è valutata la eccezionale vitalità dell'uomo e dello scrittore. Anche le opere religiose, di solito trascurate dalla critica, sono esaminate analiticamente allo scopo di notare nello stile dell'Aretino una costante di natura popolaresca e istintiva nella deformazione quotidiana della realtà. L'intera attività dell'autore, dalla narrativa al teatro, è considerata nell'arco della sua vita con larghezza d'informazione, documentata del resto da un'ampia bibliografia. Anche le rime, le pasquinate e i poemi cavallereschi sono presi in esame adeguatamente, e così la poetica, l'arte e il linguaggio. Lo studioso, come dice nella premessa del suo lavoro, era partito dall'esigenza di un nuovo esame delle opere ascetiche, ma aveva poi allargato il suo lavoro a un'indagine d'insieme, soprattutto per lo studio delle ragioni della sua adesione alla Controriforma, e, quindi, «sui motivi preponderanti della sua poetica e del suo linguaggio, sull'integrale lettura della sua opera, sulle sue relazioni con la cultura e con la sensibilità del tempo». Il Petrocchi viene in tal modo confermando una necessità e una conclusione: «In una parola riimmettere l'Aretino nel Rinascimento, donde i numerosi ritratti di cui è ricca la bibliografia aretinesca parevano averlo estraniato, anche se coloristicamente insistevano sullo sfondo pittoresco in cui visse e oprò». Lo studioso (a cui si deve anche una pregevole edizione del Teatro, più avanti ricordata) è tornato sul suo autore con una comunicazione, Le pasquinate, l'Aretino e i libellisti del Cinquecento raccolta nel volume I fantasmi di Tancredi: saggi sul Tasso e sul Rinascimento, del 1972.
Una silloge di studi, tutti ragguardevoli per ricerche erudite e indagini critiche, ha dato nel 1957 Giuliano Innamorati col titolo Pietro Aretino: studi e note critiche (e, in copertina, Tradizione e invenzione in Pietro Aretino), che è appunto quello della seconda parte del libro; la prima riguarda con vari contributi il settore Per la storia della critica. La parte più originale della silloge è data dalle pagine su l'Opera Nova, dove si mette in evidenza la formazione culturale e artistica dell'Aretino a cominciare dal petrarchismo, senza tener conto delle vanterie dello scrittore come figlio della natura e nemico delle lettere. Notevoli sono anche le pagine sulle pasquinate, sui sonetti lussuriosi, sulla prima Cortigiana (di cui lo studioso darà un'edizione). Una terza parte è costituita da La nascita delle «Lettere», considerate come il capolavoro dello scrittore, opera in cui meglio si rivela l'umanità dell'Aretino e, nella loro immediatezza, si svolgono le sue intuizioni e i suoi giudizi in merito alle arti figurative. Nuovi contributi dell'Innamorati (tra i più meritevoli nel campo degli studi contemporanei) sono il profilo dell'Aretino compreso nei Minori della serie letteraria del Marzorati, nel volume il del 1961; il profilo del Dizionario biografico degli Italiani, volume IV del 1962 (e, in opuscolo, 1966) e, infine, Lo stil comico di Pietro Aretino (su «Paragone», del 1963). La complessa personalità dell'autore cinquecentesco è vista in tutti i suoi atteggiamenti, anche in quelli più discussi e controversi, al fine di fissare il peculiare carattere d'uno stile e d'una visione del mondo e di dare allo scrittore della Cortigiana e dei Ragionamenti il posto che merita nel suo secolo e nelle lettere italiane.
Fra tutti i contributi stranieri eccelle, per larghezza di ricerca (fino alle innovazioni filologiche recate dall'Aquilecchia, non utilizzate nella trattazione, ma registrate nella parte bibliografica) e per equilibrio di presentazione, un volume di Johannes Hòsle, Pietro Aretinos Werk, uscito a Berlino nel 1969.
Un settore degno di attenzione negli studi aretiniani riguarda i testi. La scarsezza di edizioni veramente degne di opere famose ha influito sui giudizi della stessa critica più avveduta. D'altro lato, non è nemmeno facile tracciare un quadro rigoroso delle conquiste filologiche relative a scritti di un autore definito «infame» e messo in quarantena nelle pubbliche biblioteche coi vari Erotica e simili. Basti però dire che, nel quadro di Tutte le opere di Pietro Aretino nei «Classici Mondadori», uscì nel 1960 un volume di Lettere. con II primo e il secondo libro a cura di Francesco Flora, con note storiche di Alessandro Del Vita (e questa edizione, basata su nuovi criteri, farà mettere in disparte tanto il Primo quanto il Secondo libro delle lettere, curati da Fausto Nicolini per gli «Scrittori d'Italia», nel 1913 e nel 1916): nella medesima collezione milanese, sotto la nuova direzione di Dante Isella, è apparso, nel 1972, il Teatro a cura di Giorgio Petrocchi. È quindi augurabile che, pur dopo la morte del Flora e del Del Vita, i restanti quattro libri delle Lettere vengano riediti con cure filologiche. Non va tuttavia dimenticata, per un vivo gusto naturalistico e per i giudizi sulle arti figurative, la scelta delle Lettere curata da Sergio Ortolani, nel 1945, nell'«Universale Einaudi». Della già ricordata edizione della prima inedita Cortigiana. a cura dell'Innamorati, si aggiunga che nel 1970 è uscita nella «Collezione di teatro» dell'Einaudi. Una menzione va fatta per gli Scritti scelti dell'Aretino, presentati e annotati con diligenza da Giuseppe Guido Ferrerò nel 1970 per i «Classici italiani» dell'U.T.E.T., diretti da Mario Fubini: il volume era stato preceduto dagli Scritti scelti dell'Aretino e del Doni nel 1951, con nuove cure riediti nel 1966. Di notevole importanza è l'edizione dei cosiddetti Ragionamenti.a cura di Giovanni Aquilecchia col titolo Sei giornate (negli «Scrittori d'Italia» del 1969): coi testi originali del Ragionamento della Nanna e della Antonia (1534) e del Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa (1536). L'edizione, ampiamente dotata di note e di indici, era stata preceduta da un contributo dello studioso, Per l'edizione critica delle Sei giornate (prima e seconda parte dei Ragionamenti) di Pietro Aretino (in «Italian Studies», del 1962). Utile è dello stesso Aquilecchia una Nota su Pietro Aretino e la lingua zerga (in «Atti e memorie» dell'Arcadia del 1967, negli Studi in onore del Custode Generale Alfredo Schiaffali): le osservazioni giovano a comprendere vari passi oscuri degli scritti aretiniani. Fra i testi si possono ricordare le Lettere sull'arte con commento di Fidenzio Pertile, rivedute da Carlo Cordié, a cura di Ettore Camesasca (uscite nel 1957-1960, in tre volumi, di cui il III è in due tomi: con ristampa della Vita di Pietro Aretino di Gian Maria Mazzuchelli nella seconda edizione del 1763).
Quanto riguarda il teatro dell'Aretino fa parte del volume sul Teatro del Cinquecento annunciato nella presente collezione: a tale volume il lettore è rimandato per ogni opportuna delucidazione. A ogni modo, per lo stretto rapporto che è fra la narrativa e il teatro dello scrittore, non sarà vano fare qualche segnalazione essenziale: e basti citare Le Commedie di Pietro Aretino di Tommaso Parodi, scritto del 1912 raccolto a cura di Benedetto Croce nel volume postumo Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica (del 1916) e Commedie di Pietro Aretino di Mario Baratto, del 1957, entrato nel 1961 a far parte dei Tre saggi sul teatro: Ruzante-Aretino-Goldoni. Se il primo critico ricerca nell'Aretino problemi di ideologia, basati su una amara visione dei vizi della società italiana, il secondo coglie e illustra in modo particolare la vivacità artistica e la rappresentazione di alcuni aspetti dell'anima umana in un determinato momento storico.
Un ampio studio sulla cultura umanistica, in merito agli autori classici, ha dato Ettore Paratore con Pietro Aretino rielaboratore di Virgilio (in Spigolature romane e romanesche, del 1967: originariamente destinato agli Studi in onore di Carmelina Naselli dove vide la luce nel 1968). Al lavoro ampio, nutritissimo di riferimenti filologici, si unisca una nota di Guido Davico Bonino: Aretino e Virgilio: un'ipotesi di lavoro (su «Sigma», del 1966).
Una parte, che avrà indubbiamente nuovo sviluppo in avvenire, se saranno apprestate nuove edizioni di testi, riguarda la lingua dell'Aretino. Sulle peculiarità dello stile dello scrittore Cesare Segre ha steso importanti note in Edonismo linguistico nel '500 (del 1953), raccolto in Lingua stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana (del 1963): il mondo e il linguaggio di molte opere sono ben caratterizzati nella complessa atmosfera culturale di un secolo quale il Cinquecento. Un esame particolare del manierismo dell'Aretino, con speciale riguardo alle opere religiose, si trova in Georg Weise, Manieristische und friihbarocke Elemente in den religiosen Schriften des Pietro Aretino (in «Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance», XIX, 1957, pp. 170-207).
Quanto concerne le arti figurative e le testimonianze (descrizioni, giudizi e relazioni umane) dell'Aretino è stato abbastanza studiato. Già si è detto del saggio del Vossler, del 1900, e dell'opinione del Croce sul valore delle teorie sull'arte. Un contributo di notevole valore ha dato poi Lionello Venturi con Pietro Aretino e Giorgio Vasari, del 1924, quindi in Pretesti di critica, del 1929: si mette bene in luce l'influsso dell'Aretino sul Vasari per alcuni giudizi, come risulta dalla seconda redazione delle Vite (del 1568). E detto, nella conclusione: «... nel 1550 [nella prima redazione delle Vite] il Vasari concepisce tutta l'arte del rinascimento come un continuo progresso, sino a raggiungere la perfezione assoluta sovrumana in Michelangelo. Nel 1568 invece, indica le individuali perfezioni di Michelangelo, di Raffaello e, sebbene indirettamente, di Tiziano. E cioè alla perfezione assoluta e astratta il Vasari sostituisce le perfezioni relative e concrete delle singole individualità. Alla concezione teologica dell'arte è sostituita la concezione storica. Naturalmente perché tutte le Vite avessero potuto elevarsi al grado di storia, sarebbe stato necessario che per tutti gli artisti il Vasari si fosse posto il problema critico, come se lo pose nel 1568 per Michelangelo, Raffaello e Tiziano: ma per tutti gli altri il Vasari non sentiva un interesse critico cosi appassionato, né aveva ricevuto l'impulso chiarificatore di un ingegno più acuto e più profondo del suo, qual era l'ingegno di Pietro Aretino». Dell'importanza del gusto e dei giudizi dell'Aretino nella critica del Cinquecento, in particolare nei rapporti fra la scuola toscana e quella veneta (anche in relazione allo sviluppo di alcune tendenze critiche nel Pino e nel Dolce) il Venturi dice ancora nella Storia della critica d'arte (e si veda la prima edizione italiana, riveduta e integrata dall'autore nel 1945).
Con nuove ricerche storiche Mario Pozzi ha scritto sul «Giornale storico della letteratura italiana», del 1968, suggestive Note sulla cultura artistica e sulla poetica di Pietro Aretino: è esaminata la nuova concezione dell'arte, quella del colorismo veneziano di contro al gusto disegnativo tosco-romano. Interessa di un lavoro, condotto tecnicamente con tutti i sussidi dell'indagine biografica e culturale su vari personaggi del secolo, sulle loro teorie d'arte, sul loro gusto, sulle loro polemiche, tener presente quanto è detto nella conclusione: «Se l'Aretino non avesse avuto un peso così grande nei confronti delle élites culturali e della classe politica, se non avesse avuto questa capacità di interpretare e di dirigere l'opinione pubblica, forse non ci accadrebbe di parlare di lui come di un personaggio essenziale della cultura cinquecentesca. Troppo facile sarebbe il ridimensionarlo o, addirittura, l'escluderlo dal quadro della letteratura artistica cinquecentesca, se ci soffermassimo solo su quello che la pagina dice, senza tener conto della risonanza delle sue affermazioni e della sua capacità di influenzare direttamente o indirettamente i massimi esponenti della politica e della cultura». Del medesimo Pozzi l'ampio studio su L'«ut pictura poésis» in un dialogo di L. Dolce (sul «Giornale storico», del 1967), già metteva in rilievo la posizione dell'Aretino nel quadro della cultura artistica del Cinquecento; ed è noto che, nel Dialogo della pittura del Dolce, l'Aretino è efficace interlocutore.
Dell'importanza storica dell'Aretino i critici sono, in complesso, tutti convinti; della sua opera di teatro o delle sue testimonianze di critico d'arte figurativo non si sente dire che bene da alcuni anni a questa parte, e le stesse Lettere sono un documento della vita politica e culturale del tempo, oltre che dell'umanità dello scrittore estroso e sensuale, ma anche tenero e sincero e generoso. Se poco si considerano le opere poetiche o religiose, non grande è, per ora, la perdita. Invece la leggenda nera dell'«infame» è dura a morire: la figura dell'uomo pubblico, del dissacratore di miti letterari, del ricattatore prende ancora il sopravvento sullo scrittore, sull'artista.
A questo riguardo la testimonianza del Croce nelle citate Considerazioni su Pietro Aretino (raccolte, come si è detto, nel 1952 nel volume III di Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, opera di grande diffusione e, si aggiunga, suggestione sui lettori) è degna di ricordo per scrupoli d'interpretazione e, magari, anche per reticenze non mai vinte in merito all'oscenità riprovata da secoli nei Ragionamenti. Il Croce, dopo aver parlato in generale dell'autore e in particolare delle mediocri o nulle opere di ispirazione religiosa («forse in ossequio alla sua costante ortodossia cattolica, contro la quale, lui così satirico, non pronunziò mai parola»), così afferma: «Più lungo e difficile discorso sarebbe da fare dei Ragionamenti, cioè della maggiore sua opera, che fu collocata per giusto giudizio comune tra i libri osceni, perché sebbene non si possa negare che qua e là contengano tratti deliziosi per freschezza di impressioni e per verità, dei quali qualcuno io ho riferito nel mio scritto sulle sue opere, anche più copiosi sono i tratti in istile che si potrebbe chiamare ossessivo, nei quali si direbbe che egli oltrepassi la delicatezza della verità poetica e ne offenda il pudore per conseguire l'immediatezza della realtà e giustificare il suo vanto di aver superato lo stile del Boccaccio in ciò, che il grande autore del Decamerone dava dipinture artistiche, ma lui la vita stessa, calda e fremente». E, dopo un esempio significativo di stile, dove anche si mette in luce l'umanità dello scrittore, il Croce osservava: «Lo stile dei Ragionamenti è solo per eccezione di questa candidezza che fa sentire l'artista e il poeta, e generalmente vi si sente l'uomo che non riesce a sciogliere la sua anima poetica dall'attrazione che prova per la materia bruta di essa, che troppo fortemente gli parla. Mi spiego perciò la perplessità in cui gli editori entrano se ristampare o no un libro così singolare come i Ragionamenti con le sue opere di carattere letterario, come le Commedie, la Tragedia e le Lettere».
Come si è già detto, negli «Scrittori d'Italia», diretti da alcuni anni da Gianfranco Folena, sono entrati i Ragionamenti. nel 1969, col titolo di Sei giornate: l'edizione, eccellente sotto tutti gli aspetti, a cura di Giovanni Aquilecchia, è da considerare un punto fermo per la fortuna del maggiore Aretino, autore non facile da comprendere per l'immediatezza delle sue impressioni di vita.
Godere del suo stile anche nelle pagine esteriormente più sensuali e ardite è una conquista di lettori liberi da tradizioni accademiche, ma anche da titubanze moralistiche non mai scomparse nel fondo della loro coscienza di uomini. L'abitudine alle arti figurative, in particolare ai nudi, potrebbe facilitare, in uno scrittore «visivo» quale l'Aretino, il godimento degli elementi stilistici in sé e per sé.
Tuttavia, poiché in odium auctoris anche le opere dell'Aretino nella loro totalità sono dalla comune opinione considerate opera poco meno che diabolica, occorre riaprire quel «processo», come fece il Graf, da cui in alto si son prese le mosse per la presente nota introduttiva. E vero che il Croce, nelle suddette Considerazioni, diceva inconcludente un processo del genere: per cui è «fuor di luogo domandarsi se egli fosse buono o cattivo», dato che «in certo senso egli stava di là dal bene e dal male». Ma piace concludere con le stesse parole con cui il poeta di Medusa, molti e molti decenni fa, dava termine al suo scritto, da considerare sempre attuale: «O prima o poi si troverà chi rinarri, nel modo che dai tempi è richiesto, la vita di Pietro Aretino, e non sarà un accusatore, né un panegirista, ma uno storico. Non so quali nuove e particolari notizie potrà recare l'opera sua; ma la leggenda, credo, ne sarà sparita, e ne terrà il luogo questo giudizio: Pietro Aretino non è, moralmente parlando, peggior del suo secolo, e come scrittore vale più di parecchi che godono assai miglior fama di lui».La vita di Pietro Aretino è tanto intrecciata con le sue opere che studi e ricerche recenti impongono di esaminare tutto alla luce di nuovi punti di vista: si deve soprattutto tener conto della genialità istintiva del personaggio e della sua stessa esigenza d'effetti in società, fra cui primissimo quello che nasce dal vanto di affermarsi incolto e solo ispirato da Natura. La giovinezza dell'autore, esaminata a lungo con spoglio di più archivi, va rinarrata dietro le risultanze suggerite dall'esame della sua produzione giovanile, già trascurata dagli specialisti; e, poiché artefice di questa nuova pagina della vita dell'Aretino è Giuliano Innamorati, studioso che tanti contributi ha dedicato all'autore, è opportuno, per non commettere arbitrii nel riferire da altre fonti, partire dal suo profilo biografico del 1962 (e a sé in opuscolo, col ritratto dipinto da Tiziano, nel 1966).
Nato ad Arezzo, nella notte fra il 19 e il 20 aprile 1492, Pietro si chiamò Aretino dalla sua patria; oggetto di calunnie e di maldicenze, egli stesso non diede molta materia da discutere ad amici e detrattori in merito al padre, un calzolaio. Pare che costui si chiamasse Luca; lasciò la famiglia per fare il soldato e tornò per morirvi in povertà nel 1551, molto vecchio, e non compianto dall'ormai famoso figlio. Pietro ebbe sempre per lui rancore, e forse non senza ragione. Luca (che forse aveva cognome Del Tura) ebbe contrasti con la moglie Tita (o Margherita) Bonci (o del Boncio); d'una famiglia «non troppo oscura» dice l'Innamorati «se tra i fratelli di lei si possono annoverare un giurista, Nicolò, lettore allo Studio di Siena, ed un canonico, Fabbiano, ambedue sicuramente presenti e partecipi alla educazione del nipote Pietro». Tita, che era bellissima, fin da far da modella a una Vergine dipinta sulla porta di San Piero, ebbe una lunga relazione col nobiluomo Luigi Bacci; nella casa di costui venne allevato Pietro; coi suoi fratelli, dopo l'abbandono da parte di Luca, egli venne aiutato, anzi sostentato dal nobile protettore. La strada sarebbe stata aperta, in modo più che opportuno, a studi regolari per una futura carriera mercantile o, in genere, borghese; ma il carattere vivace e indubbiamente indisciplinato e inquieto del ragazzo lo impedì. Diventato celebre, l'Aretino si vanterà di non aver nulla imparato a scuola: il che è, per lo meno, eccessivo. Comunque, dopo saltuari insegnamenti magari impartiti nell'àmbito familiare, il giovane si allontana da Arezzo e si porta a Perugia. Qui si trovava già nel 1510, protetto dall'umanista Francesco Bontempi: e venne presto in dimestichezza con artisti e letterati. Contrariamente al vanto plebeo di essersi fatto da sé al di fuori di ogni cultura, si interessò di lettere e di arti fino a mostrare predisposizione per la pittura e ad acquisire quelle conoscenze che mostrerà in più occasioni nei suoi giudizi su artisti contemporanei. L'Aretino diede notizie fantasiose sulla sua giovinezza, ma i suoi nemici non furono da meno e, quindi, per il periodo perugino parlarono di nera miseria. Invece come pittore e poeta venne stimato dalle migliori famiglie; e nel 1512 in Perugia (per le stampe di Nicolò Zoppino in Venezia) pubblicò una raccolta di versi Opera Nova del Fecundissimo Giovene Pietro Pletore Arretino, zoe Strambotti Sonetti Capitoli Epìstole Barzelette et una Desperata. Quest'operetta che pochi conoscono è importante: mostra la formazione dell'Aretino, che non fu un misero lavorante nella bottega d'un libraio, ma un giovane attento alla produzione letteraria del suo tempo, incline sì all'improvvisazione di origine popolare e lontano da una vera disciplina umanistica, eppure capace di far sue esperienze di altri autori, anche dei più validi. Indubbiamente nella città umbra rivelò il suo carattere violento eppur faceto, rissoso eppure incline alla contemplazione della natura; ma poco si sa delle sue avventure, e forse non furono nemmeno rilevanti.
Passato a Roma nel 1517 (dopo un soggiorno a Siena, come si sa da documenti e da una testimonianza dell'autore), con la protezione del famoso finanziere e mecenate Agostino Chigi, fece parte del mondo cortigiano della Roma di Leone X. Alla Farnesina del Chigi, sulle rive del Tevere, godette della familiarità di Raffaello e dei suoi aiuti e scolari. In quell'ambiente l'Aretino mise in evidenza le sue qualità di poeta espressivo nella satira e nella evocazione, pittore a sua volta, come gli amici lo erano col pennello, di ambienti, dalla corte pontificia al suburbio plebeo, dalla vita dei nobili agli umili mestieri, anzi evocatore della massa enorme di chi viveva a scrocco e di avventure in quella capitale della Cristianità, splendida città del Rinascimento. Per l'immediatezza nel reagire ai molti eventi contemporanei potè essere lodato e temuto per satire personali e, quando fu il momento storico, per pasquinate attribuite all'anima del popolo dell'Urbe. Solo dal 1520-1521 si hanno documenti sull'attività dell'Aretino in Roma. Lo Strascino da Siena ricorda nel suo Lamento, e con lodi, un'opera perduta dell'autore, Il Regno de la Morte. Una Farsa del 1520, che si crede dell'Aretino, testimonia della sua maturità d'artista: è caratterizzata da grande potenza espressiva, una delle qualità predominanti della sua figura di autore. Alla morte di Leone X (24 novembre 1521), con violente pasquinate di indubbio immediato successo, operò in favore del suo protettore cardinale Giulio de' Medici; ma a ben poco riuscì l'arte eccezionale del poeta satirico, se fu eletto al trono pontificio un fiammingo pensoso e austero, che prese il nome di Adriano VI. E allora l'Aretino continuò nelle pasquinate con l'appoggio e l'assentimento di quanti erano disillusi dall'avvento di un papa moralizzatore. Però, un mese prima che il nuovo pontefice giungesse a Roma, alla fine del luglio 1522, il poeta lasciò la città che non era più adatta per le sue avventure poetiche: i rischi erano troppo grandi, se tutti indicavano lui stesso come autore delle più violente pasquinate contro Adriano e la sua Corte. Protetto sempre da Giulio de' Medici, andò a Bologna, Arezzo e Firenze; nel 1523 lasciò a malincuore il cardinale e accettò di diventare familiare di Federigo Gonzaga, marchese di Mantova; gli restò la consapevolezza di essere desiderato da vari potenti e, come in seguito mostrerà, non lascerà cadere nel nulla la lezione che gli dava la sorte, quella di poter scegliere il suo destino. Adriano VI, nel proibire le pasquinate, mise al bando l'Aretino: il cardinale fiorentino, per non compromettersi scopertamente, lo affidò al suo parente Giovanni dalle Bande Nere, che teneva il campo a Reggio: l'amicizia fra i due personaggi fu bella e sincera, e la lettera, in cui l'Aretino descriverà la morte dell'audace capitano per grave ferita riportata in battaglia, è tra le più eloquenti della letteratura italiana.
Morto Adriano VI nel settembre 1523 ed eletto al soglio pontificio il cardinale de' Medici col nome di Clemente VII, l'Aretino tornò in Roma col pieno favore del papa e del popolo. Solo che il nuovo datario pontificio, Giovanni Matteo Giberti, non tollerava tanto facilmente gli atti spavaldi del poeta satirico né le sue inframmettenze nelle cose della Corte. Quando il poeta riuscì a far scarcerare dal papa stesso l'incisore Marcantonio Raimondi che aveva riprodotto sedici disegni erotici di Giulio Romano, e volle anzi commentarli con sedici sonetti, il potente Giberti lo costrinse ad abbandonare Roma per evitare il rischio di finire in carcere. L'Aretino andò ad Arezzo e poi a Fano, al campo di Giovanni dalle Bande Nere (dove fu presentato a Francesco I re di Francia). Nel novembre del medesimo 1524, per mostrare di non aver risentimenti col papa e col datario, scrisse alcune canzoni celebrative, ma nella prima redazione della commedia La Cortigiana (che è merito dell'Innamorati avere riesumata di recente) mostra la sua simpatia e insieme la sua critica al mondo romano, dove aveva trovato modo di realizzare apertamente sé stesso con mosse da geniale avventuriero in un mondo di trafficanti, di prostitute e di mezzani. Lo stesso Innamorati ha messo in evidenza, nell'«Argomento» e nel «Prologo» di tale redazione della commedia, affermazioni di poetica antipetrarchistica, antiaccademica e antiletteraria: e di esse bisogna tener conto fin d'ora anche per alcune delle maggiori opere dell'autore che si vorrebbero solo ispirate da Natura e che sono invece strettamente legate, in reazione, al momento letterario.
Per le pasquinate dell'aprile 1525 scoppiarono nuovi fieri contrasti fra l'Aretino, tornato in Roma, e la Corte: il datario, esasperato, cercò di farlo uccidere da un Achille della Volta che riuscì solo a sfigurare l'Aretino. Lo scandalo fu grande. Né il pontefice rese giustizia al poeta colpito di pugnale. L'Aretino ripartì da Roma per Mantova, appena sanato dalle ferite. E di là, dopo aver ossequiato il marchese Federigo, andò dal suo amico Giovanni dalle Bande Nere, che, nel Mantovano, operava contro gli imperiali. Ma la morte di tale prode capitano (fine del novembre 1526) mostrò di quale sentimento fosse capace il cinico e spudorato Aretino quando si trattava di parlare di un amico e di un eroe: tali sono i motivi sostanziali della nota lettera a Francesco degli Albizzi. Alla Corte di Mantova lo scrittore stette fino al marzo 1527: abbozzò un poema in onore dei Gonzaga (Marfisa, che non fu compiuta) e iniziò la commedia II Marescalco, ora conosciuta solo dal testo rielaborato e pubblicato nel 1533. Incline ad amori (e anche al momentaneo vagheggiamento di qualche giovinetto, come un tal «figliolo del Bianchini»), finì con lo scontentare lo stesso marchese; e, subodorando il peggio, si rifugiò a Venezia.
Nella città della laguna trovò amici nuovi negli artisti e protettori negli stessi responsabili della politica della Serenissima. Lo scrittore con le sue lettere potè passare come un giudice esperto della politica, a cominciare dalla sua predizione del sacco di Roma e dalla sua valutazione dei rapporti tra Francia e Spagna (e Impero) e dalla sua assoluta, anche se ben calcolata, ammirazione per la libera Venezia. Comunque la sicurezza di una vita tranquilla era rinsaldata ad opera dei potenti, a cominciare dal doge Andrea Gritti.
Grandissima fu l'attività letteraria dell'Aretino in Venezia, e, in anni che giungono fino alla morte (21 ottobre 1556), fu un continuo trionfo dell'infame ma veritiero consigliere dei principi, dell'autore di opere perfin sacre, dell'estensore di lettere che sono alcune fra le più belle e pensose che siano state scritte, pur tra vanti e alterigie di ogni genere; ma, da questo punto di vista, parlare della vita dell'Aretino equivarrebbe a parlare della sua opera, e alla trattazione letteraria di una così varia produzione - dai cosiddetti Ragionamenti alle Carte parlanti, dai Sette Salmi de la penitenzia di David alla Vita di san Tommaso beato - è opportuno rimandare il lettore. Di grande importanza sono il Ragionamento del 1534 e il Dialogo del 1536 e le commedie: al Marescalco del 1533 fecero seguito nel 1534 la Cortigiana in una nuova redazione, l’lpocrito e la Talanta nel 1542, il Filosofo nel 1546. Sta a sé la tragedia Orazia nel medesimo '46.
Per quanto riguarda una bibliografia, sia delle opere, sia della critica, è da osservare che, sebbene non si manchi di buoni strumenti per la seconda, poco si è fatto nel nostro tempo per un elenco ragionato degli scritti dell'autore. La leggenda nera di chi ha lasciato i cosiddetti Capricciosi e piacevoli ragionamenti (ora da citare nelle due parti distinte e autentiche, Ragionamento della Nanna e della Antonia e Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippo) e soprattutto i non del tutto autentici Sonetti lussuriosi, perséguita l'organicità e l'utilità di un'edizione completa dei suoi scritti profani e sacri, artistici e documentari: una produzione fra commerciale e scandalistica delle sue pagine libere ha mescolato spesso scritti che solo cataloghi attardati di biblioteche attribuiscono a messer Pietro, cioè la Zaffetto e la Puttana errante (in versi), ambedue del suo «creato» Lorenzo Vernerò (o Venier). E, quanto al Ragionamento dello Zoppino, pubblicato a seguito dell'edizione postuma che va sotto il nome dei già citati Capricciosi e piacevoli ragionamenti. sarà bene non ritenerlo più dell'Aretino anche se ha pari materia narrativa e satirica e qualche movenza affine di stile. Lo scritto, fuori del corpo dell'edizione del 1584 e del testo dell'opera, merita di essere esaminato a parte dalla critica filologica e letteraria al pari delle pagine introduttive del libro: Il Barbagrigia stampatore agli amatori del sapere s[alute]. Tali pagine - da considerare nella produzione completa dello Zoppino - sono documenti della storia del costume e, insieme, offrono uno specchio della letteratura erotica e satirica del Cinquecento.
Noto, anche per la personalità del suo autore, è un Essai de bibliographie arétinesque traitant des éditions en Italien: è stato messo alla fine di una buona antologia di testi (L'Arétin), messa insieme e tradotta da Guillaume Apollinaire con una appendice (Paris, Mercure de France, 1912, «Collection des plus belles pages»). Il libro ha una vivace introduzione e, nella stessa appendice che contiene l’Essai) un Abrégé de la Vie de Pierre Arétin (del Mazzuchelli, che l'Apollinaire scrive sempre Mazuchelli). Tale Essai è stato riprodotto da altri posteriormente, o almeno utilizzato come lavoro messo insieme dietro l'Enfer della Bibliothèque Nationale.
Intanto, in mancanza di una bibliografia ragionata della critica sull'autore, è da utilizzare quanto è stato apprestato dai vari studiosi a complemento delle loro ricerche. Consigliabile è la Bibliografia degli scritti sull'Aretino inserita da Giorgio Petrocchi al termine della sua monografia, Pietro Aretino tra Rinascimento e Controriforma (Milano, Soc. Ed. «Vita e pensiero», 1948), alle pp. 343-80. Essa è suddivisa nelle seguenti parti: I, Le fonti (nn.i 1-46), II, Monografie (nn.i 47-65), in, Opere generali (nni. 66-124), IV, Saggi sull'opera e la personalità dell' Aretino (nn.i 125-207), V, Studi storico-biografici (nn.i 208-79), VI, Sul teatro (nn.i 280-345), VII,> Sull'Aretino poeta (nn. i 346-77), VIII, Sugli scritti sacri (nn.i 378-90), IX, Sull'epistolario (nn.i 391-7), e X, Sui rapporti con la pittura (nn.i 398-436). Per la bibliografia delle opere il Petrocchi rimanda al Graesse (da integrare e correggere), al Brunet (Manuel du librane, I, pp. 401-17), a Cesare Levi, all'Apollinaire (per l'Essai de bibliographie arétinesque), ai Salvioli e ad altre opere, menzionate dallo studioso nel corso del suo lavoro. L'indice dei nomi dei libri agevola il lettore nelle varie suddivisioni.
Un'ampia bibliografia a tutto il 1958 apprestata da Ettore Camesasca si trova in una pubblicazione che sarà più avanti descritta: quella delle Lettere sull'arte di Pietro Aretino, commentate da Fidenzio Pertile e rivedute da Carlo Cordié, a cura appunto del Camesasca: del volume iii il tomo II (che contiene la suddetta bibliografia) è alla data del 1960 ed è uscito a Milano, Edizioni del Milione, nella collana «Vite lettere testimonianze di artisti italiani», 3 [III/2]. Il Repertorio bibliografico si trova alle pp. 537-69. Si dichiara che oltre le pubblicazioni citate dal Mazzuchelli sono elencate quelle a cui si rinvia nelle altre parti dell'opera; in più si trovano indicati gli studi sull'Aretino ai quali non si è fatto specifico accenno. La bibliografia, in ordine alfabetico di autore, comprende anche le opere dell'Aretino. Degli scritti non sono date indicazioni editoriali per i libri, né per gli articoli usciti in periodici sono segnate le pagine: si dà solo l'anno. Alcuni riferimenti ad opere generali (o di argomento diverso, anche se affine) lasciano il lettore solo nella ricerca che concerne l'Aretino. Il rinviare, senza altra indicazione, all'Archivio di Stato di Firenze (come a p. 561) offre solo una prima traccia.
Un rapido schizzo bibliografico, per le edizioni di opere dell'Aretino e per la critica relativa all'autore, dal 1941 al 1968, è stato apprestato sotto forma divulgativa da C. Cordié, Pietro Aretino, in «Cultura e scuola», n.° 30, a. VIII (aprile-giugno 1969), pp. 12-22: è messo in evidenza il contributo degli studi più recenti sulla complessa personalità dell'Aretino e si afferma la necessità di valutare esattamente l'impronta che la cultura del Cinquecento recò alla singolare natura (di scrittore e di uomo) del personaggio. Lo stesso Cordié ha steso una rassegna della critica aretiniana nella comunicazione Gli studi su Pietro Aretino, oggi (in «Atti e memorie della Accad. Petrarca di lettere, arti e scienze», N. S., vol XL, anni 1970-72 (uscito nel 1974), pp. 127-68. Una «voce» importante nella trattazione della biografia e della formazione intellettuale e artistica è stata stesa - con corredo bibliografico - da Giuliano Innamorati, nel Dizionario biografico degli Italiani, IV, 1962, pp. 89-104 (e quindi a sé in opuscolo, con l'aggiunta iniziale del ritratto eseguito da Tiziano: Pietro Aretino, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966): è valutato con sicurezza l'influsso della cultura del tempo sulla critica e sull'arte dell'Aretino e si loda nelle Lettere il capolavoro dell'autore; nei Ragionamenti è visto un frutto ragguardevole della felice natura artistica di lui. Dell'Innamorati è anche da segnalare, come breviario introduttivo, il profilo biografico: Pietro Aretino, nella divulgata pubblicazione Letteratura italiana, serie I minori, vol. II (Milano, Marzorati, 1961, collana «Orientamenti culturali»), alle pp. 1019-47, con pagine sulla vita, sulle opere e sulla fortuna, con annessa bibliografia. Lo scritto mira a rivalutare nei suoi atteggiamenti d'artista l'Aretino, spesso considerato solo come un autore rappresentativo e documentario e, quanto alla creazione letteraria, un irregolare, uno scapigliato, un esagitato. L'arte dell'Aretino rientra nella sfera più tecnicamente letteraria del Rinascimento; lo studioso ha messo in evidenza la preparazione sottile e attenta del poeta nell'Opera Nova del Fecundissimo Giovene Pietro Pictore Arretino, citata dall'unico esemplare della Marciana (edizione veneziana di Nicolò Zoppino, 1512). Individuata la poetica dello scrittore nella sua vantata immediatezza («… tutto è ciance, eccetto il far presto e del suo»), si vede nelle Lettere un progressivo affinamento delle qualità espressive dell'autore. È comunque fatta sentire la mirabile vivacità di molte opere, e anche in quelle cosiddette sacre (più per proponimenti pratici che per ispirazione) è messo in evidenza l'elemento terreno e carnale, e perfino quello visivo, di natura idillica, osservato con compiacenza dal Croce. Di un libro dell'Innamorati e di vari suoi saggi si darà ancora notizia più avanti. Di questo profilo critico e bibliografico si faccia fin d'ora ricordo per gli utili ragguagli che raccoglie.
La mancanza di una edizione critica, o almeno filologicamente corretta, di tutte le opere dell'Aretino ha forse impedito alla critica un esame completo ed esauriente della sua personalità e della sua opera. Dalle pagine famose di Francesco De Sanctis ad altre ragguardevoli di Benedetto Croce si osserva che più in saggi che in monografie si trovano utili e decisivi giudizi intorno a un autore discusso e poco conosciuto nella sua peculiare originalità. Si indicheranno più avanti storie letterarie, saggi e studi che mostrano il grande interesse recato dalla critica, soprattutto da quella italiana, a un artista della parola che non si intende senza una piena conoscenza della tradizione novellistica, dal Boccaccio al Cinquecento; e s'aggiungano i larghi interessi dell'Aretino per la critica dell'arte figurativa nella lotta che si venne affermando, nel gusto, fra Firenze e Venezia. Si è sentita più di una volta l'esigenza, nel tempo nostro, di lavori complessivi sulla figura e sull'opera dell'Aretino, quasi si dovesse fare il punto su una personalità delle più complesse e contraddittorie del Rinascimento.
Una monografia costruita letterariamente con cura, ma senza un deciso fondamento filologico e storico, è apparsa alla critica quella di Giovanni Laini, Il vero Aretino: saggio critico (Firenze, Barbèra, 1955: opera uscita «sotto gli auspici della Società degli Scrittori Svizzeri e del Fondo Nazionale Svizzero per ricerche scientifiche»). Osservazioni varie sull'Aretino si trovano nei capitoli che trattano dei Momenti e motivi della sua arte (VIII), de II suo realismo (XIV), de II suo spirito critico (XV), e anche de L'ironia aretinesca (XIX) e de II barocchismo dell' Aretino (XX). Di qualche anno prima era un ampio studio monografico: quello, già indicato in precedenza, di Giorgio Petrocchi, Pietro Aretino tra Rinascimento e Controriforma (del 1948). La ricca e diseguale personalità dell'Aretino, il suo abbandono alla sensualità anche se con una tristezza cupa che fu del suo tempo, il suo senso del male e della lussuria (quando si parla del «gran peccatore») sono giudicati nell'esigenza della creazione artistica, qualche volta istintiva per innegabili doti di natura ma anche conscia per una educazione letteraria, sottilmente intrapresa e condotta fra mille contraddizioni. Lo scrittore e il polemista sono sentiti nell'atmosfera del Rinascimento. Il volume, ricco di osservazioni puntuali sulla lingua e sull'arte dell'Aretino, esamina la posizione spirituale e culturale del personaggio, valutato come un temperamento irregolare e seguace della libera natura per sua stessa confessione. D'altro lato, si tiene conto, secondo quanto la critica moderna meglio ha messo in luce, dell'adeguarsi sottile e cosciente del letterato e del critico d'arte figurativa alla cultura del tempo. In tal modo si limita l'estrosità impulsiva dell'Aretino e si considera anche la sua arte più immediata come un frutto della tendenza a farsi una nuova cultura e a trovare in essa la risoluzione d'una esuberante natura di polemista, di ricattatore e di sensuale. Tra i capitoli più notevoli del libro sono il II, Il momento ideale e culturale, il III, Poetica, arte e linguaggio, il IV, Lettura della prosa narrativa (con un esame fine e guardingo dei momenti artistici dello scrittore, troppo facilmente accusato di immoralità, anzi di pornografia vera e propria), e l’VIII, Le «Lettere» come storia di un'arte. Ragguardevole è, nella trattazione del Petrocchi, il superamento del moralismo che spesso condiziona l'esame dell'opera letteraria dell'Aretino, forse anche per un'accademica forza d'inerzia dura a scomparire. Così dice il critico: «L'uomo è quello, e l'opera sua posa su quella testa e su quelle spalle. Pure si rende necessario che la valutazione di un'arte così nuova e complessa non si compia sopra un puro disegno moralistico. L'Aretino stesso può ingannare con le continue dichiarazioni diffamatorie ed encomiastiche, come col voler far posare l'attenzione del lettore su «l'artifizio vero» che è quello che «nasce dal naturalmente vivace in la penna». Ma la poetica è una via verso la poesia, non altro che il fermentare delle idee e degli umori di uno scrittore come l'Aretino. E così l'immagine dell'uomo del suo tempo è una strada per giungere allo scrittore deciso e fermato nell'opera d'arte, la quale non dovrà essere il terrapieno da cui s'estraggono i materiali per edificare il ritratto puro e semplice dell'uomo vizioso e ribaldo» (op. cit., pp. 340-1).
Dell'attività critica di Giuliano Innamorati si è già detto in precedenza per una «voce» e un «profilo» che fanno veramente da introduzione alla conoscenza dell'Aretino. La ricerca poggia su una base storica e filologica di indubbia importanza, al fine di definire nella sua unità la varia ed estrosa natura dell'Aretino scrittore e critico d'arte. Prima necessità è stata quella di sistemare una personalità così dichiaratamente figlia della natura e di considerarla nel mondo riflesso e meditato della cultura. Una sua importanza riveste la storia della critica per discutere particolari problemi della leggenda dell'Aretino, leggenda sorta per volontà stessa dello scrittore e polemista. Nel volume dell'Innamorati, Pietro Aretino. Studi e note critiche (Messina-Firenze, D'Anna, 1957, «Biblioteca di cultura contemporanea», LVI), alle pp. 7-89, si veda il capitolo Per la storia della critica: con qualche diversità, specialmente nei titoli dei paragrafi e col titolo Note sulla fortuna critica di Pietro Aretino, esso aveva già visto la luce in «Studi Urbinati di storia, filosofia e letteratura», a. xxviii, N. S., B, n.° 1-2 (1954), pp. 22-78. È molto utile rifare il percorso della critica sull'Aretino, dai tempi dell'autore ai nostri, al fine di evitare errori insidiosi nella disavveduta lettura delle opere e nella isolata testimonianza di documenti biografici. Al termine di tale rassegna, collegata con l'esame delle maggiori testimonianze critiche sull'Aretino, lo studioso si augura pertanto che «presto una concreta e organica attività di restauro e di commento interrompa la soverchiante improbabilità di lettura dell'opera aretinesca; onde sia fondatamente recuperata sul piano della storia culturale e letteraria, problema per problema e nella connessione dei singoli testi, la varia ricchezza informativa ed espressiva di un'opera sconcertante e stimolante, quale è quella di Pietro Aretino». La monografia dell'Innamorati (spesso citata dal capitolo centrale Tradizione e invenzione in Pietro Aretino, titolo posto in copertina) si distingue per avere sottolineato con tutti i mezzi della ricerca filologica la preparazione culturale dell'autore: soprattutto con lo studio dell'Opera Nova del Fecundissimo Giovene Pietro Pletore Arretino, zoe Strambotti Sonetti Capitoli Epistole Barzellete et una Desperata (del 1512) si considera la lunga preparazione dell'artista e si mette in luce il suo interesse per l'arte a cominciare dalle prove di pittore nel giovanile periodo perugino. Questo testo, segnalato dal D'Ancona (che si domandava chi fosse quel tal pittore) e utilizzato dal Luzio per questioni biografiche, è stato studiato per la prima volta nel suo valore letterario: ed è stato immesso, come sperava il critico, «nella storia viva dell'Aretino» attraverso una lettura accorta e precisa. Da tale inizio letterario prendono le mosse manifestazioni dell'Aretino credute improvvisazioni ed estrosità, e a fondo si valutano anche certe riflessioni letterarie (di antiletterato) delle commedie e degli stessi Ragionamenti. Altre pagine illustrano l'attività dell'Aretino dal 1517 al 1521, la sua attività all'ombra di Pasquino, i famigerati Sonetti lussuriosi, la prima Cortigiana. il passaggio da Roma a Mantova e infine la «nascita delle Lettere», opera intesa come il capolavoro dell'artista per doti di poesia e di umanità. A questo libro dell'Innamorati, come complemento, vanno aggiunti alcuni altri saggi: in particolare Lo stile comico di Pietro Aretino («Paragone», a. XIV, n.° 162, Letteratura, giugno 1963, pp. 6-28) e, per alcune decise affermazioni sulle fonti aretiniane del Marino, non solo per la Strage degli innocenti, ma anche per molte prose, la Murtoleide, i ternari ecc., l'articolo La strage degli innocenti («Mattino dell'Italia centrale», a. VI, n.° 4, del 4 gennaio 1952, p. 3). Dato che, conglobati nella monografia di cui sopra, in particolare da parte di critici stranieri sono citati come se non avessero avuto ulteriori svolgimenti nell'opera d'insieme, meritano di essere menzionati vari saggi e studi usciti in precedenza: Prime note aretinesche («Inventario», a. v, n.° 5-6, ottobre-dicembre 1953, pp. 162-72), La nascita delle «Lettere» (ivi, a. VI, n.° 1-2, gennaio-aprile 1954, pp. 101-17), Le rime giovanili dell'Aretino («Paragone», a. V, n.° 60, Letteratura, dicembre 1954, pp. 46-58). Una vivace comunicazione accademica fu quella intitolata Situazione degli studi su Pietro Aretino, in «Atti e memorie della Accad. Petrarca di lettere, arti e scienze», N. S., voi. XXXVI, anni 1952-1957 (uscito nel 1958), pp. 261-86.
Una recente monografia, dovuta a un italianista straniero (e quindi assai meritevole di lodi per la sottile comprensione del linguaggio e dell'arte dello scrittore), è quella di Johannes Hòsle, Pietro Aretinos Werk (Berlin, Walter de Gruyter & Co., 1969). Il volume tratta dell'opera complessiva dell'Aretino in modo da uscire dai limiti della sua leggenda ed entrare nel vivo della storia. È studiato il suo cammino dall'Opera Nova ai Sonetti lussuriosi e sono considerate tutte le sue prove artistiche, dalle commedie ai poemi, dai Ragionamenti all'Orazia. La bibliografia è ben condotta e, nel campo della critica, sono utilizzati i contributi del Petrocchi e dell'Innamorati come documenti della critica italiana contemporanea. Sono anche citati critici stranieri, di solito trascurati o ignorati dalla critica italiana. Nel complesso l'opera di J. Hosle è un'ordinata e armonica disamina intorno a una figura che la tradizione moralistica ha reso fin troppo pittoresca; e di essa sono valutati adeguatamente i motivi letterari e critici che hanno dato un posto duraturo all'Aretino nel campo della prosa d'arte e in quello dei giudizi sulla pittura veneziana e, per alcune pagine famose, su Michelangelo. Un quadro, reso con linearità espressiva nella sua descrizione piana e contenuta, di motivi e atteggiamenti (anche di quelli che hanno sollevato scalpore nella critica di più secoli) è lo schizzo iniziale, Biographie, Legende, Forschung (pp. 1-35). Del volume di J. Hosle si veda, per alcune osservazioni, la recensione di C. Cordié, in «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Classe di Lettere e Filosofia, ser. III, vol. III (1973), pp. 1221-4.
Inseriamo, per quanto non ne abbiamo conoscenza diretta, una menzione per un'opera d'insieme: Paul Larivaille, L'Arétin entre Renaissance et Maniérisme, 1492-1537 (Université de Lille iii, Service de reproduction des thèses, 1972, in due tomi); cfr. utilmente la segnalazione di Riccardo Scrivano, in «La Rass. d. lett. it.», a. 77, ser. VII (1973), pp. 393-4.
Importante, nello studio dell'attività letteraria dell'Aretino, è fissare criticamente i testi. Fra di essi il più famigerato è quello dei Ragionamenti, per tanti secoli confuso, per la sua stessa materia, con libri pornografici di scarso o nessun valore. Di solito ristampato dietro l'edizione cosiddetta di Bengodi 1584 (londinese), ha un titolo che non è dovuto all'autore e riunisce il Ragionamento e il Dialogo stampati a Venezia per la prima volta, con la data di Torino, uno nel 1534 e l'altro nel 1536, da Francesco Marcolini. A seguito di ricerche, che saranno più avanti ricordate nella Nota critica al testo, Giovanni Aquilecchia ha ristampato le due parti originali col titolo di Sei giornate e col sottotitolo Ragionamento della Nanna e della Antonia (1534). Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa (1536) (Bari, Laterza, 1969, «Scrittori d'Italia», 245), completando l'edizione con una nota critica, un apparato critico, un glossario e un indice dei nomi. Ha cosi dato la prima edizione dell'opera, già studiata nella sua genesi e nel suo svolgimento. Il direttore della collezione degli «Scrittori d'Italia», Gianfranco Folena, ha accompagnato l'edizione, a mezzo di un inserto, con una sua dichiarazione che illustra l'importanza linguistica e letteraria dell'opera aretiniana nella storia della prosa antiaccademica del Cinquecento, di Aretino e Doni, di Giovio e Caro, fino a Bruno, nei suoi «collegamenti interni e nelle diverse motivazioni della rivolta contro la tradizione classicistica». È fatto richiamo al prezioso ricupero testuale dell'opera. L'Aquilecchia, «piuttosto che alle posteriori edizioni pubblicate vivente l'Aretino, sulle quali si fonda poi la vulgata, ha dato credito alla prima veste - contro la prassi editoriale consueta che suole fondarsi sulla presunta «ultima volontà" dell'autore - perché essa offre un dettato più omogeneo e coerente, non sfigurato da errori e da arbitrari interventi editoriali, a cui sembra che l'autore rimanesse indifferente; anche se non mancano successivamente presumibili interventi redazionali, che non hanno tuttavia carattere sistematico, tutti registrati in un esauriente apparato di varianti: una soluzione che solleverà probabilmente interessanti discussioni di metodo e di fatto». Il Folena mette in evidenza la nota filologica che traccia, con una vastissima esplorazione bibliografica, la storia delle vicende editoriali del testo.
In genere, per quanto riguarda altre opere dell'Aretino, bisogna ancora attenersi alle stampe del Cinque e del Seicento, e questo perfino nel campo delle Lettere. in parte riedite criticamente prima ad opera di Fausto Nicolini e poi di Francesco Flora e Alessandro Del Vita. Alla edizione parigina del 1609 - di cui nella Nota critica ai testi del presente tomo - è necessario fare ricorso perché è l'unica che si possa adoperare per i libri III-VI in citazioni e ragguagli. E, data l'occasione, si segnalino per la loro importanza che le collega alla biografia del personaggio le Lettere scritte al Signor Pietro Aretino, da molti Signori, Comunità, Donne di valore, Poeti, & altri Eccellentissimi Spiriti. Divise in due libri sacre al Revermo Cardinal di Monte (Venetia, Marcolini, Con privilegio MDLI, in due volumi, con lettera di dedica dell'editore Francesco Marcolini Forlivese). E si indichi la ristampa moderna delle Lettere scritte a Pietro Aretino emendate per cura di Teodorico Landoni (Bologna, presso Gaetano Romagnoli, 1873, «Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII. In appendice alla collezione di Opere inedite o rare», dispensa CXXXII, volumi due, ciascuno in due parti). È da tener presente che la raccolta di tali corrispondenti - una scelta, s'intende - era stata fatta dal medesimo Aretino: un'opera del genere è quasi il prolungamento - come documento e forse anche come commento - delle lettere di lui.
È opportuno considerare, accanto alla raccolta delle lettere apprestata dallo stesso autore, la pubblicazione di lettere isolate, dal suo tempo a oggi. Essenziale è risalire agli autografi, conservati in collezioni pubbliche o private. Un elenco di pubblicazioni apprestate fra l'Otto e il Novecento si vede negli Scritti scelti dell'Aretino, a cura di Giuseppe Guido Ferrerò (Torino, U.T.E.T., 1970: che è II edizione interamente rifatta di un testo del 1951, come è detto più avanti), alla p. 39. Si aggiunga quanto ha comunicato Roberto Cantagalli, Il «mecenatismo» di Cosimo I e due lettere inedite di Pietro Aretino (estratto dall'«Annuario dell'Istituto tecnico statale «G. Galilei»», 1966). Le due lettere (che si trovano all'Archivio di Stato di Firenze: Mediceo del Principato, f. 372, cc. 253, 254r, 255r, 256r), datate da Venezia, 19 e 27 giugno 1545, sono dirette al duca Cosimo I: sono pubblicate alle pp. 7-11. Si ricorda a p. 6 come nel Ruolo degli Stipendiati della Corte medicea nell'anno 1553 (Archivio di Stato suddetto, Depositeria, Salariati, reg. 399, alla c. 134) si legge: «Pietro Aretino, habita in Venezia, poeta, con provv.ne di scudi 64». Utili notizie sono date sui rapporti fra l'Aretino e il duca, e sulla sorveglianza che, a Venezia, costui faceva fare del personaggio, alla fin fine da considerare un dente cariato, non da estirpare, ma da coprire d'oro, come facevano altri potenti dell'epoca e ben maggiori d'importanza, come Carlo V e Francesco I. Sempre utile è Benedetto Soldati, Pietro Aretino a Carlo V (Lettere inedite), in Studi dedicati a Francesco Torraca nel XXXV anniversario della sua laurea (Napoli, Perrella, 1912), pp. 29-37, con quattro lettere dall'archivio di Simancas.
Nella produzione giovanile sono da notare i componimenti satirici attribuiti all'Aretino da una concorde tradizione. Sono da indicare sempre, per l'esattezza dell'edizione e l'accuratezza del commento, le Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave e l'elezione di Adriano VI, pubblicate ed illustrate da Vittorio Rossi (Palermo, Clausen, 1891). Esse sono state ristampate, prive però del completo commento storico, nelle Poesie, raccolte a cura di Gaetano Sborselli, del quale sarà detto fra poco. Per la sua grande divulgazione e anche per l'intreccio romanzesco (più romantico che documentario ed erudito, come volevano i due autori) si consulti un'opera che va sotto il nome di Pasquino. Cinquecento pasquinate scelte comentate e annotate da Renato e Fernando Silenzi con una Ricostruzione storica dei fatti delle figure e degli ambienti (Milano, Bompiani, 1932). In molti casi, come la critica ha seguito quasi in modo paradigmatico, Pasquino vuol dire Aretino dall'età di Leone X a quella di Adriano VI e a quella di Clemente VII. La vita dell'Aretino, nel soggiorno romano, è sottilmente legata alla Corte papale e alle pasquinate fino alle pugnalate di Achille della Volta. (Una più ampia edizione, a cura degli stessi Silenzi, è la seguente: Pasquino. Quattro secoli di satira romana, Firenze, Vallecchi, 1968, collana «I volti di Roma»),
Di autenticità molto dubbia è il testamento (una diceria in prosa) dell'elefante Artimone, testamento burlesco che potrebbe essere stato scritto dal giovane Aretino in Roma, come, nel pubblicarlo da un codice Cicogna, Vittorio Rossi opinò nella rivista «Intermezzo», I (1890), pp. 625-44 e, quindi, negli Scritti di critica letteraria, vol. II, Dal Rinascimento al Risorgimento (Firenze, Sansoni, 1930, pp. 223-42). Tale saggio va menzionato per le osservazioni fatte sull'Aretino e la sua produzione satirica e letteraria: per la patina dialettale veneta si dice che può essere attribuito «senza scrupoli» al copista del codice Cicogna, che «ne spalmò tutte le scritture da lui esemplate, alcune certo in origine toscane». (Dice il Rossi: «Se colla mia ipotesi la indovinassi, il componimento che ho pubblicato acquisterebbe importanza anche come uno dei primi frutti di quell'ingegno sbrigliato, ma forte e vivo; anzi come la prima manifestazione di quel suo spirito audacemente maledico, che doveva essere la sua forza e la sua fortuna»). La morte dell'elefante, che Leone X volle effigiato da Raffaello sulla torre presso alla porta del palazzo Vaticano, è del principio del giugno 1516. Il testamento cominciò a correre per Roma poco dopo. E fu uno dei tanti testamenti burleschi dell'epoca: è ricordato dall'Aretino nella Cortigiana.
Dei «pronostici» dell'Aretino - così uniti a molte vicende della vita dello scrittore, specialmente nell'atmosfera della politica e della pubblicistica del Cinquecento - alcuni sono stati conservati. Si veda in modo particolare l'importante pubblicazione di uno dei maggiori studiosi dell'Aretino, lo storico e archivista Luzio: Un pronostico satirico di Pietro Aretino (MDXXXIIII) edito e illustrato da Alessandro Luzio (Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1900, «Biblioteca storica della letteratura italiana», vi). Esso si trovava - schedato per errore come di Pietro Bruni Aretino - nella Hofbibliothek di Vienna. Il testo presentato e commentato in modo esemplare è uno dei documenti più interessanti dell'attività pubblicistica dell'Aretino: esso concerne il 1534. Invece frammenti di un pronostico redatto per il 1527 si trovano in un'altra pregevolissima pubblicazione del Luzio: Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga (Torino, Loescher, 1888); nel volume - alle pp. 69-70 - si veda fra i documenti anche la famosa pasquinata, o frottola, Pax vobis brigata. Si menzioni - in merito a fra Mariano Fetti, buffone e piombatore papale - Una satira inedita di Pietro Aretino pubblicata, con sua attribuzione, da Giovanni Alfredo Cesareo, in Raccolta di studii critici dedicati ad Alessandro D'Ancona festeggiandosi il XL anniversario del suo insegnamento (Firenze, Tip. Barbèra, 1901, pp. 175-91: Confessione di mastro Pasquino a fra Mariano martire et confessore) e, quindi, in Studii e ricerche su la letteratura italiana (Palermo, Sandron, 1900), pp. 323-47. Da menzionare una comunicazione di Franca Ageno, Un pronostico dell'Aretino in un manoscritto Hoepli («Lettere italiane», XIII, 1961, pp. 449-51: il pronostico riguarda il 1529).
Diremo con l'Innamorati (nel suddetto profilo, p. 1045) che i «cosiddetti Sonetti lussuriosi non fruiscono a tutt'oggi di decenti cure editoriali. Il settecentesco Libro del Perché li conserva contaminati e confusi insieme ad una varia produzione pornografica che all'Aretino è attribuita per comodità di fama, ma che non gli compete affatto».
Un'impresa, che non è stata esente da critica per la sua provvisorietà nel campo della filologia, eppure ha recato vantaggi nella divulgazione delle opere dell'Aretino, è stata quella dell'editore Gino Carabba di Lanciano con la collezione «Scrittori italiani e stranieri». Si tratta di una specie di corpus aretinesco, di cui diamo i titoli dei singoli libri, i nomi dei curatori e l'anno di pubblicazione: Ragionamenti (a cura di Dario Carraroli, s. a., ma 1914, in due volumi: coi cosiddetti Capricciosi e piacevoli ragionamenti); Ragionamento de le Corti (Guido Battelli, 1923); Le carte parlanti (F. Campi, 1926); Prose sacre (Ettore Allodoli, 1926; scelta antologica da II Genesi, L'Umanità del figliuol di Dio, Vita di Maria Vergine, Vita di Santa Caterina, Vita di S. Tommaso d'Aquino, Sette salmi) -, Poesie (Gaetano Sborselli, 1930 e 1934, vol. I, Poesie burlesche: Astolfeida, Orlandino, I capitoli ai Signori, Pasquinate. Mastro Pasquino [Pax vobis brigata]. Sonetti spicciolati-, vol. Il, Poesie serie: Poemi, con La Marfisa e Angelica-, Stanze, con Stanze in lode della Sirena e Stanze libere; Ternari, con In morte del duca d'Urbino, In laude dell'Imperatore, In gloria di Giulio III, In gloria della regina di Francia e In laude del duca d'Urbino; Sonetti, e Canzoni e madrigali con Canzone a Francesco I, Canzone alla Vergine, Madrigali e Dialogo tra Amante e Amore); Lettere scelte (Guido Battelli, s. a., ma 1913); Teatro (Nunzio Maccarrone, 1914, in due volumi). Del teatro dell'Aretino sarà fatto ricordo in altro volume della presente collezione ricciardiana; ma qui non si trascuri, per la sua diffusione, il volume de Le Commedie di Pietro Aretino, nuovamente rivedute e corrette. Aggiuntavi l’«Orazia» tragedia del medesimo, Edizione stereotipa (Milano, Sonzogno, 1875, «Biblioteca classica economica», 25: la Prefazione era a firma di Eugenio Camerini: ristampa 1930). Non si dimentichi l'edizione de L'Orlandino. Canti due di messer Pietro Aretino (Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 1868 («Scelta di curiosità inedite o rare dal secolo XIII al XVII», dispensa XCV, ristampa fotomeccanica, Bologna, Forni, 1968). E va anche fatto cenno di una ristampa de L'Umanità di Cristo (Roma, Colombo, 1945). Per le opere di argomento religioso è opportuno ricorrere alle stampe antiche, fra le quali è da preferire con l'Innamorati l'edizione aldina, evidentemente curata dall'autore, con sei opere in due tomi (In Vinegia, nel MDLI [e nel MDLII], in casa de' figliuoli d'Aldo).
Delle Lettere e del problema che le concerne per il testo e, in molti punti, per la datazione (per quanto debbano essere considerate un'opera artistica, non un documento storico) sarà detto in modo particolare nella Nota critica ai testi. Si citino, senz'altro, coi loro differenti criteri, le due edizioni rimaste interrotte dalla morte dei curatori: la prima in ordine di tempo, a cura di Fausto Nicolini (Il primo libro delle lettere, Bari, Laterza, 1913, e Il secondo libro delle lettere, ivi, stesso editore, 1916, in due tomi: l'uno e l'altro libro nella collana «Scrittori d'Italia», 53 e 76-77), e la seconda, a cura di Francesco Flora con note storiche di Alessandro Del Vita (Lettere. Il primo e il secondo libro, Milano, Mondadori, 1960, «I classici Mondadori», sezione Tutte le opere di Pietro Aretino). Della scelta del Battelli si è già detto per il cosiddetto corpus dell'editore Carabba che sulla sovracoperta dei suoi volumi mise senz'altro: «Opere di Pietro Aretino». Inizialmente l'impresa mondadoriana per Tutte le opere dell'Aretino era stata affidata a un cultore dell'arte e della letteratura del Cinquecento, appunto il Del Vita: e se ne veda l'annuncio anonimo su «L'Italia letteraria», a. XII, N. S., n.° 19, del 31 maggio XIV [= 1936], p. 5, L'opera omnia dell' Aretino. Il Del Vita - con un articolo dall'identico titolo dell'annuncio precedente -, nel n.° 39, del 18 ottobre, p. 5, fece presente la necessità di un'edizione completa dello scrittore mostrando l'indispensabile urgenza di un commento storico e letterario ai vari scritti da curare nel testo. Al vedere dimenticate dal Del Vita le edizioni Carabba, fra cui alcune curate da lui stesso, Gaetano Sborselli - ancora col titolo L'opera omnia dell' Aretino - nelle Lettere (al direttore del periodico), al n.° 40, 25 ottobre, p. 2, rivendicò l'opera propria e di altri studiosi per ristampe che avevano non poco contribuito alla fortuna dell'Aretino nel settore degli studi e della scuola, a cominciare da quella universitaria.
Per quanto riguarda l'arte figurativa si vedano le già citate Lettere sull'arte di Pietro Aretino, commentate da Fidenzio Pertile e rivedute da Carlo Cordié, a cura di Ettore Camesasca (Milano, Edizioni del Milione, 1957- 1960, «Vite lettere testimonianze di artisti italiani», 3, in tre volumi, di cui il III è in due tomi). Con un testo dichiaratamente provvisorio è data l'ultima lezione delle lettere aretiniane, secondo un criterio che si è poi visto seguito dall'edizione Flora; è stata tenuta per base l'edizione parigina del 1609 con integrazioni delle intestazioni di varie lettere e note a pie di pagina. Ragguardevole è, nel settore dell'arte figurativa, l'opera critica del compianto Pertile, pubblicata con diligenza dal Camesasca. Si veda quindi nel volume terzo, tomo I, dopo una necessaria Premessa del Camesasca, la ristampa con note e chiarimenti della Vita di Pietro Aretino di Gian Maria Mazzuchelli, nella II edizione del 1763, con postille supplementari del Camesasca e rinvii ai saggi sugli artisti menzionati nelle lettere. Tali saggi o Biografie degli artisti sono nel tomo II, insieme col citato Repertorio bibliografico. L'opera, curata con larga conoscenza dell'arte cinquecentesca dal Camesasca, come si nota anche dal materiale illustrativo ricco e vario (pregevolissimo per l'iconografia dell'Aretino), si chiude con un Indice dei nomi per le lettere, la Vita del Mazzuchelli e i commenti, di per sé fondamentali per l'ambiente dello scrittore e le sue relazioni artistiche e letterarie.
Va fatta menzione di una scelta delle Lettere, a cura di Sergio Ortolani (Torino, Einaudi, 1945, «Universale Einaudi», 48): presentata in una vivace prefazione, essa mostra un gusto prevalente per il lato descrittivo e pittoresco; e forse dell'Aretino induce a considerare la figura dell'amatore della bellezza e della natura più che il polemista sensuale, non poche volte ricattatore e falso. Da citare sono anche le Lettere su Tiziano, a cura di Liana Bortolon (Milano, Mondadori, 1967, collana «I grandi artisti di tutti i tempi. Serie d'oro»).
Per entrare nel campo delle antologie (evidentemente scarse per il fatto che non sono richieste dai programmi scolastici, come per altri classici) si citi, senz'altro, quella che ha indotto in non pochi errori di testo il grande Francesco De Sanctis, come il Croce ha messo in evidenza per alcune citazioni dall'autore: Opere di Pietro Aretino ordinate ed annotate per Massimo Fabi precedute da un discorso intorno alla vita dell'autore ed al suo secolo (Milano, Francesco Sanvito, 1863): con la Orazia. la Cortigiana. il Capitolo a Francesco I re di Francia, le Stanze in lode della Sirena e alcune Lettere. Il discorso su citato è di Philarète Chasles: tradotto e inserito nell'edizione (e il Fabi si dichiara estraneo a tale inserimento), riporta lettere dell'Aretino tradotte dal francese. Per tali testi creduti originari dell'Aretino e come tali usati, al De Sanctis fu rivolta l'accusa di aver manipolato i brani, mentre semmai gli si poteva muovere rimprovero di essersi troppo ciecamente fidato dell'edizione italiana che aveva in lettura. L'edizione di tali Opere venne ristampata a Milano, Brigola, nel 1881. Sulle presunte colpe del Fabi sono intervenuti, in passato, il Croce in difesa del De Sanctis (in F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, nuova edizione a cura di B. Croce, vol. II - Bari, Laterza, 1912, «Scrittori d'Italia», 32-, nella Nota finale, pp. 436-7) e, in recriminazioni contro il Fabi, L. Russo in alcune lezioni postume (Pietro Aretino, in «Belfagor», XVII, 1962, p. 1). Illustra tutta la questione, sgravando il Fabi dell'accusa di falso, C. Cordié nel suo saggio, Il «caso Fabi» e la critica italiana su Pietro Aretino (in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini), vol. I, Padova, Liviana, 1970, pp. 406-26: le citazioni dai vari critici dalla fine dell'Otto a tutto il corrente Novecento, documentano la fama e la leggenda dell'Aretino.
Antologie moderne sono le seguenti: Le più belle pagine di Pietro Aretino, scelte da Massimo Bontempelli (Milano, Treves, 1923, «Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi», 15: con ristampa nel 1936) e Piacevoli e capricciosi ragionamenti, a cura di Antonio Piccone Stella (Milano, Bompiani, 1945, «Il centonovelle: novelliere antico e moderno», 4) con una vivace presentazione di cui va sempre tenuto conto - dal titolo L'arte dell' Aretino -, ma con un testo esemplato su testi infidi, come quello del Carraroli per i cosiddetti Capricciosi e piacevoli ragionamenti. Si noti intanto nel titolo una specie di inversione di termini per cui pochi si sono avveduti che questa è una antologia con un titolo diverso dai soliti. La scelta, con brani ben «tagliati» e muniti di titoli, è stata fatta per le opere: Capricciosi e piacevoli ragionamenti. con quarantatré brani; Ragionamento de le Corti, con tre brani; Le carte parlanti, con diciotto brani. Seguono cinque brani dagli scritti religiosi e nove brani dalle lettere. Note e Notizie bibliografiche sono pregevoli pur fra varie altre indicazioni malsicure dal punto di vista linguistico e filologico. Interessanti i dati che si riferiscono a Roma e alla vita del Cinquecento.
Un posto a sé per la cura filologica e la ricchezza dell'informazione erudita ha la seguente antologia, a cui faremo ricorso più avanti per il Doni: Scritti scelti di Pietro Aretino e di Anton Francesco Doni, a cura di Giuseppe Guido Ferrerò (Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1951, «Classici italiani» n.° 37; ristampa 1966, con aggiunte nel solo settore bibliografico a p. 46 per ragioni editoriali). Il medesimo Ferrerò ha rifatto quasi integralmente il suo lavoro nel volume (nella stessa collana, apparso alla data del 1970): Scritti scelti di Pietro Aretino. La bibliografia è aggiornata e la silloge è molto ricca perché ora contiene tre pasquinate, la Cortigiana. il Marescalco, un'ampia scelta dai Ragionamenti (chiamati - dietro l'edizione laterziana dell'Aquilecchia - Sei giornate), e, quindi, pagine dalle Carte parlanti. da L'Ipocrito, da La Talanta, da Il Filosofo, l’Orazia, e una larghissima raccolta di Lettere in numero di centoventisei. Chiude la serie un mannello di pagine dalle opere religiose (da II Genesi e da I quattro libri de la Immanità di Cristo). Un indice dei nomi facilita la consultazione del volume. La medesima collezione dei «Classici Italiani» ha pubblicato l’Orazia nel volume La tragedia classica dalle Origini al Maffei, a cura di Giammaria Gasparini (Torino, U.T.E.T., 1963, e, in ristampa, nel 1968, alle pp. 217-300, con note biografiche, bibliografiche e al testo della tragedia dell'Aretino, considerata nell'arco della tragedia cinquecentesca e valutata nella sua importanza storica e artistica). Una vivace scelta, munita di notizie critiche e bibliografiche e di un commento illustrativo, è contenuta nel già citato volume Cinquecento minore, a cura di Riccardo Scrivano (Bologna, Zanichelli, 1966, «Classici italiani», I0), alle pp. 638715; si è tenuto conto anche delle opere sacre per elementi descrittivi tipici nello stile dell'autore.
Per valutare opportunamente la fortuna di un autore famigerato come l'Aretino, più che alle monografie e agli studi organici è doveroso ricorrere ai manuali e alle enciclopedie che si rivolgono a un vasto pubblico. Equanime nei giudizi e ben informata, anche se in modo succinto, è la voce Aretino, Pietro dell' Enciclopedia italiana di lettere, scienze ed arti, dovuta a Giuseppe] Fat[ini], vol. IV, 1939 [e, in riproduzione fotolitica, edizione 1949], pp. 166-8 con tre illustrazioni. Informative sono le numerose voci del Dizionario letterario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature (1947-1949, e ristampe), dovute a E[ttore] A[llodoli], voci delle quali è fatta registrazione negli Indici del vol. ix; a M[assimo] B[on]t[empelli] è dovuta la voce Lettere. vol. iv, p. 307. Nel Dizionario letterario Bompiani degli Autori (vol. I, 1956) la voce dell'Aretino è stata stesa con molti particolari biografici e varie illustrazioni da Alessandro] D[el] V[ita], alle pp. 99-103: sono messi in evidenza l'importanza pubblicistica e politica del personaggio e l'interesse storico della sua figura, «senza riscontri, degna di brillare di viva, se non pura luce nel firmamento degli uomini illustri del «gran secolo».
Un documento del modo con cui l'Aretino uomo e scrittore è stato valutato nel mondo universitario italiano - con cautela, con curiosità, qualche volta con sospetto, anche dopo il saggio del De Sanctis - è dato dalla Storia letteraria d'Italia scritta da una Società di Professori: si veda difatti nell'ottimo manuale II Cinquecento di Francesco Flamini (Milano, F. Vallardi, s. a., ma 1902) quanto si dice con buona informazione, ma senza eccessiva adesione al mondo del letterato e dell'artista, anzi con molte limitazioni per una fama rapidamente innalzatasi in favore del libellista e non meno rapidamente rovinata (pp. 404-10). Così nella terza edizione dell'impresa (ormai denominata solo Storia letteraria d'Italia) ne II Cinquecento di Giuseppe Toffanin (1929 e successive edizioni a cominciare dalla II, del 1941) non è celata una certa ammirazione per lo scrittore e anche per il politico, ma non è meno negata la fiducia all'uomo. (Si veda nel libro v, Incolti, inquieti e poeti, il capitolo i, Pietro Aretino, alle pp. 284-310: il personaggio minutamente studiato nelle sue varie manifestazioni letterarie e pubbliche, è comunque valutato come un essere d'eccezione nel tempo turbinoso che fu suo, quello del Rinascimento fra Umanesimo e Riforma). Come indice scolastico di una valutazione (che, non toccando i cosiddetti Ragionamenti. non eludeva un giudizio sull'Aretino più controverso) si possono menzionare altri manuali della Casa Francesco Vallardi, intesi dai più come paradigmatici nel campo della scuola superiore e, in particolare, universitaria. Anzitutto - nella collezione della «Storia dei Generi Letterari Italiani» - si veda La tragedia di Emilio Bertana (s. a., ma dei primi del secolo XX): alle pp. 72-5, tra le tragedie storiche, viene esaminata l’Orazia del malfamato Aretino e si deve pur conchiudere, nonostante irregolarità di concezione e di forma (e non poteva essere in modo diverso con un temperamento di quella fatta e con la stessa disciplina del verso eroico): «Con tutto ciò l’Orazia è di gran lunga la più notevole e pregevole fra tutte le storiche (e forse anche non storiche) tragedie del secolo XVI». Nella stessa collezione si veda quanto riguarda l'Aretino nel volume primo de La commedia di Ireneo Sanesi (s. a., ma 1912; e in II edizione riveduta e accresciuta nel 1954, alle pp. 285-302): non si può fare a meno di riconoscere l'importanza della commedia dell'Aretino per la sua vivacità e lo stesso suo carattere rappresentativo, ma non si vede bene in che rapporto la manifestazione scenica sia con quelli che sono i capolavori dello scrittore, i Ragionamenti e le Lettere. La divisione per generi ha obbligato il critico a vedere separatamente la produzione dell'autore, per giunta inquadrato nel capitolo IV, La commedia erudita del Cinquecento. Una maggiore libertà di trattazione avrebbe permesso di notare agevolmente qualità teatrali nelle narrazioni e, qualche volta, anche nelle lettere, soprattutto in quelle di argomento familiare. Un posto vivacissimo, in relazione anche alle pasquinate, fu lasciato all'Aretino da Vittorio Cian in un'altra opera della «Storia dei generi letterari italiani», cioè ne La satira: nel volume - da considerare secondo - Dall' Ariosto al Chiabrera (Milano, F. Vallardi, 1938-1939), alle pp. 94-102 e passim. Il polemista e l'uomo sono sentiti nel loro adeguarsi alla natura come elemento di espressione dell'Italia del tempo e per quanto concerne Pasquino della Roma papale. Il Cian si era più volte occupato dell'Aretino nelle sue ricerche cinquecentesche; si vedano in modo particolare Un buffone del secolo XVI. Fra Mariano Fetti («La cultura» del Bonghi, N. S., a. 1 [vol. 1], n.° 20, del 13 giugno 1891, pp. 650-5), con molti riferimenti al buffone spesso citato dall'Aretino, e Pietro Aretino per l'Ariosto: un capitolo dimenticato, riprodotto con prefazione e note (Torino, Tipografia palatina, 1911, per nozze Mazzoni-Pellizzari). Una sagace e informata presentazione dell'Aretino, fatta al lume della critica moderna, è quella di Ettore Bonora nella Storia della letteratura italiana diretta da Emilio Cecchi e da Natalino Sapegno, nel volume di vari autori II Cinquecento (Milano, Garzanti, 1966). Nell'ampia trattazione su II classicismo dal Bembo al Guarini è dato un congruo spazio (anche per brani scelti e commentati) alla commedia (pp. 342-50) e alla tragedia (p. 394-7) e, quindi, alla varia produzione, anche a quella libera, e alle lettere (pp. 411-31); i Ragionamenti. anche secondo quanto disse l'autore in modo paradossale, sono visti nel loro valore di trattato morale coi limiti che l'argomento imponeva («… pur restando nel dominio della carnalità e della comicità, che fu il più suo, egli seppe appropriarsi da geniale orecchiante pensieri e modi stilistici della letteratura del suo tempo: meno rappresentativo dunque della civiltà rinascimentale di quanto pensassero i critici del secolo scorso, perché di essa comprese soltanto quello che volle comprendere; certamente capace di trarre partito dalla cultura rinascimentale più di quello che non lascerebbe supporre la sua professione di scrittore tutto istinto e naturalezza»). Del Bonora, come anticipazione delle sue pagine nell'impresa garzantiana, è da menzionare bibliograficamente il volume Critica e letteratura nel Cinquecento (Torino, Giappichelli, 1964, «Università di Torino, Pubblicazioni della Facoltà di Magistero», 26: si veda nell'Indice dei nomi quanto riguarda l'Aretino).
La produzione teatrale dello scrittore cinquecentesco ha attirato le simpatie dei critici (e dei professori per i loro corsi accademici), anche quando valutavano con sospetto il carattere libero, anzi osceno, dei Ragionamenti. o non potevano celare nella biografia del personaggio motivi ingrati che andavano dalla vanteria al ricatto. Si può segnalare la notevole fortuna dell'Aretino uomo di teatro. Per prima cosa vanno menzionate le pagine di Ferdinando Neri, ne La tragedia italiana del Cinquecento (Firenze, Tip. Galletti e Cocci, 1904, «Pubblicazioni del R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Sezione di Filosofia e Filologia» e ristampa fototipica autorizzata, Torino, Bottega d'Erasmo, 1961), pp. 79-87. E sentita l'importanza della tragedia come documento di storia letteraria; e sono apprezzati l'umanità dello scrittore e il suo ideale di cultura e di vita. (A p. 86: «L'Orazia ha dunque una sua vita interiore, concepita con forza sullo sfondo di Roma storica come l'Aretino la sentì; egli trasse la sua tragedia dalla figurazione vivace, che alla sua mente era apparsa di tra le pagine di Livio, e volle che i personaggi si movessero e parlassero secondo quel suo concetto»). Accanto a vari studi sul teatro dell'Aretino, menzionati dal Neri per qualche particolare felice, è opportuno, col critico (p. 86 cit., nota 2), riportare un pensiero di Antonio Virgili, Francesco Berni, Firenze, Succ. Le Monnier, 1881, p. 117. Il Virgili, «accanto alla solita broscia aretinesca», trovava tratti veramente belli e notabili e, quindi, osservava: «L'Aretino, con tutta la sua ignoranza, sembra aver avuto più vivo il sentimento dell'antichità Romana, di tanti e tanti letteratoni del secolo». A questo proposito si potrebbe anche spezzare una lancia per il rifacimento popolaresco (e non solo parodico per partito preso) dell'episodio di Enea e Didone con larghi riferimenti storici al sacco di Roma di cui in pagine dei Ragionamenti da vari critici mal giudicate per incomprensione dello stile e della visione del mondo dell'uomo Aretino.
A proposito di tale episodio dei Ragionamenti e dei motivi culturali che si notano nell'opera stende alcune osservazioni Guido Davico Bonino, in Aretino e Virgilio: un'ipotesi di lavoro («Sigma», di Genova, n.° 9, marzo 1966, pp. 41-51). Si osserva appunto come premessa all'indagine: «In una figura bifronte come quella dell'Aretino, il profilo dell'uomo senza lettere, sempre pronto al dileggio verso l'ostentazione culturale dei contemporanei, tronfio per contrasto, col condimento d'una sfacciataggine sguaiata, dei doni «naturali» del proprio estro, e quello del letterato perfettamente agguerrito, padrone d'ogni strumento della sua attrezzeria retorica, tendono di continuo a sovrapporsi». A sua volta, con una serrata indagine Ettore Paratore, proprio partendo dall'episodio virgiliano dei Ragionamenti. c precisamente dal Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippo, illustra Pietro Aretino rielaboratore di Virgilio (in Studi in onore di Carmelina Naselli, vol. II, Università di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1968, pp. 223-69; e prima nel volume Spigolature romane e romanesche, Roma, Bulzoni, 1967, «Pyramidion», 2, pp. 115-65). Contro la proclamata incoltura dell'Aretino, esaltata anche in tempi recenti da una critica che tende al populismo più indistinto, si tien conto della formazione intellettuale dell'autore, della sua conoscenza dei classici antichi, della sua accettazione - in forma singolarmente originale - dei motivi letterari dell'epoca. Nella minuta indagine condotta dallo studioso, filologo classico e lettore sottile dei moderni, si valuta l'interesse delle intuizioni dell'Aretino anche nei confronti della tradizione degli studi virgiliani dell'età sua e, soprattutto, per l'interpretazione di alcuni punti controversi del testo del libro IV del l'Eneide, base del rifacimento popolaresco di cui nei Ragionamenti (nella diretta eco del sacco di Roma). Dice il Paratore al termine del suo studio, con un giudizio che mette in evidenza la preparazione culturale dell'autore e la considera perfino come illuminante nel campo della critica filologica: «L'Aretino ci si è dunque rivelato anche testimonianza indiretta di prim'ordine nella storia della tradizione manoscritta e dell'esegesi del L. iv dell'Eneide. Questo è argomento capitale che ci permette di concludere che le sue pagine non sono da considerare affatto un capriccioso travestimento snaturatore del testo virgiliano, ma una meditata rielaborazione che ne ha conservato la primordiale sostanza, palesandoci nel problematico poligrafo un ingegno letterario capace anche di inattese impennate favorevoli a quella tradizione culturale di cui volgarmente Io si vuol raffigurare irreconciliabile avversario». Le osservazioni del Paratore si attagliano molto bene alla valutazione solita per i valori culturali del teatro dell'Aretino, in special modo nella tragedia Orazia. Dello studioso si ricordi la relazione preliminare d'un importante convegno di studi, Nuove prospettive sull'influsso del teatro classico nel '500, negli «Atti del convegno sul tema: Il teatro classico italiano nel '500 (Roma, 9-12 febbraio 1969)», Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, «Problemi attuali di scienza e di cultura», quaderno n.° 138), pp. 9-95. Si noti a p. 85 un riferimento al Maco della Cortigiana dell'Aretino, «un autore in cui la componente classica appare relegata nello sfondo, operante da lungi».
Pari alla fortuna dei cosiddetti Ragionamenti sotto veste più o meno editorialmente corretta (per evitare l'accusa facilissima di pornografia da parte delle autorità, come già in passato, sotto il segno dell'Index librorum prohibitorum, dal 1558 in poi, si colpì tutta l'opera dell'«Infame») è quella delle opere teatrali. Per prima si segnali l'inclusione dell' Ipocrita nel volume de ha commedia italiana a cura di Mario Apollonio (Milano, Bompiani, 1947, collana «Pantheon»): da notare la presentazione dell'opera da parte del critico. In uno dei volumi delle Commedie giocose del '500, a cura di Anton Giulio Bragaglia, e precisamente nel II (Roma, Colombo, 1947, «Classici dell'umorismo», al n.° 24) trova posto la Cortigiana. Nel 1950 si pubblica La «Orazia». Tragedia di Pietro Aretino secondo la stampa veneziana del MDXLVI appresso Gabriel Giolito de Ferrari con a fianco un intarsio scenico di Giovanni Orsini per la buona recitazione (Milano, Edizioni della S.T.D., cioè della Scuola del Teatro Drammatico di Milano). Si passa all'inserzione - fra il Machiavelli e il Ruzzante - del Marescalco in una silloge del Teatro italiano, vol. 1, Le origini e il Rinascimento, a cura di Silvio D'Amico (Milano, Nuova Accademia Editrice, 1955, collana «Thesaurus litterarum», sezione «Teatro di tutto il mondo»). Una buona edizione, munita di glossario, ha dato Carla Cremonesi per la Talanta (Milano, Rizzoli, 1956, «Biblioteca Universale Rizzoli», 1047-1049; in II edizione, s. a., ma 1968). Nulla più dei prologhi della Cortegiana e del Marescalco si trova, in appendice, nelle Commedie del Cinquecento, a cura di Aldo Borlenghi, nel volume I (Milano, Rizzoli, 1959, «I classici Rizzoli»): lo studioso, nell'abbondare con autori e opere di solito più trascurati dai lettori, avrà pensato che la fama dell'Aretino è già sufficientemente assicurata dalle varie ristampe nel campo del teatro. L'Orazia ricompare ne II teatro tragico italiano: storia e testi del teatro tragico in Italia, a cura di Federico Doglio (Parma, Guanda, i960: viene riprodotto il testo dall'edizione Fabi, Milano, Sanvito, 1863, senza indicare che si tratta di un'antologia varia). Dal punto di vista del testo, nessuna novità si può registrare trattandosi di ristampe non sottoposte a speciale indagine critica. Del Marescalco è uscita anche una riduzione di Maner Lualdi (Milano, Edizioni de «Il teatro delle novità», i960). La riduzione - con la divisione in due tempi, il primo con gli atti I e II e il secondo con gli atti iii, iv e v - era stata apprestata per la prima rappresentazione del secolo XX al Teatro Olimpico di Vicenza e quindi al Teatro Sant'Erasmo di Milano. La recita di opere dell'Aretino è desiderabile al fine di saggiare l'importanza che egli ebbe nel teatro del suo tempo; si profila la necessità di interpretare in modo efficace il suo linguaggio, in pretto toscano cinquecentesco. Ed è anche da ricordare una ristampa della Cortigiana. con nota introduttiva e a cura di Adriano Spatola (Bologna, Sampietro, 1967, «Piccola collana «70»», 14). Una recente edizione di Tutte le commedie dell'Aretino, a cura di G. B. De Sanctis è apparsa a Milano, presso l'editore Mursia, nel 1968: utile come silloge di testi («Grande Universale Mursia», Letteratura, 53, Classici antichi e moderni, 30). Con grande perizia filologica è stata condotta da Giorgio Petrocchi l'edizione del Teatro (Milano, Mondadori, 1972, «I classici Mondadori», nella serie di Tutte le opere di Pietro Aretino). Sono raccolte le commedie - e della Cortigiana anche la prima redazione del 1525-6 l'Orazia. Utilissimo è il Glossario.
Si è già visto con la rassegna storica dell'Innamorati (monografia citata) come la critica intorno all'Aretino oscillasse fra la condanna dell'uomo e una celata ammirazione per lo scrittore; nell'opera sua e nella stessa azione di polemista audace e ricattatore si è visto solo un documento del tempo (e, questo, anche dietro il capitolo della Storia di Francesco De Sanctis, suggestionato da vivaci prese di posizione di Philarète Chasles). Invece di valutare stile e immaginazione si sono giudicate le opere dell'Aretino nella morale del Cinquecento. È opportuno considerare la vita dell'Aretino secondo che la documentazione lo permette a distanza di secoli. E, quanto all'opera, ammesse le innegabili doti dell'artista, non resta che valutarla nei suoi elementi costitutivi senza esaltazioni o denigrazioni.
Nell'àmbito della biografia non v'è di meglio ancor oggi, per citare un lavoro complessivo, de La vita di Pietro Aretino scritta dal conte Giammaria Mazzuchelli bresciano (In Padova, MDCCXLI, Appresso Giuseppe Cornino, Con licenza de' superiori): una ristampa, dalla critica dichiarata non buona, è quella di Milano, Coi tipi di Francesco Sonzogno e Comp., 1830. Va usata - più che di solito non si faccia: e, il più delle volte, essa nemmeno è citata - l'edizione seconda «riveduta, ed accresciuta dall'Autore» (In Brescia, MDCCLXIII, Presso Pietro Pianta, con licenza de' superiori). È stata ristampata nelle Lettere sull'arte di Pietro Aretino commentate da Fidenzio Pertile e a cura di Ettore Camesasca, già citate, al vol. III, tomo I, Biografia dell' Aretino (Milano, Edizioni del Milione, 1959, con commento alle pp. 107-271). Se si pensa che, dalla morte dell'Aretino (1556) e dalla condanna delle sue opere all'Indice (1558) in poi, ogni indagine veramente erudita era come preclusa dalla esecrazione del personaggio e della sua creazione letteraria, quella sacra compresa, è da lodare nel Mazzuchelli un critico efficace per lo studio di un autore così controverso. (Nella critica odierna viene messa in relazione la Vita, tanto nella I quanto nella II edizione, con la voce Aretino negli Scrittori d'Italia, vol. I, parte II, In Brescia, MDCCLIII, Presso Giambatista Bossini, pp. 1010-9).
La si cita spesso per la genesi del capitolo sull'Aretino della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis e la si mette in relazione anche alla condanna fatta da Luigi Settembrini nelle sue Lezioni di letteratura italiana; e perciò è opportuno menzionare ancora una volta la biografia estrosa ma vivace, anche se erronea per molti particolari, di Philarète Chasles. Poiché tale studio non è sempre citato con esattezza bibliografica, si ricordi che L'Arétin, sa vie et ses ceuvres uscì sulla «Revue des Deux Mondes», 3e sèrie, t. IV, Octobre-Décembre 1834, alle pp. 197-228, 292-312 e 730-68 (e precisamente nei fascicoli del 15 ottobre, del I° novembre e del 15 dicembre). Su estratti che recano le sole date del 15 ottobre e del I° novembre, si veda, anche per utili indicazioni sulla pubblicazione nel periodico, Claude Pichois, Philarète Chasles et la vie littéraire au temps du romantisme, t. II, Notes, Appendices, Bibliographie (Paris, Librairie José Corti, 1965), pp. 469-70. Lo scritto venne raccolto - alle pp. 379-495 - nelle Etudes sur Shakspeare, Marie Stuart et l'Arétin. Le Drame, les Maeurs et la Religion au XVIe siècle, par M. Philarète Chasles, Professeur au Collège de France (Paris, Amyot, 1852). Il libro è spesso citato come uscito nel 1851, ma questa data si trova solo nella prefazione. Il saggio sull'Aretino, tradotto per cura dell'editore Sanvito e inserito nel libro a insaputa del traduttore Massimo Fabi, è connesso con l'incresciosa vicenda delle lettere dell'Aretino riportate dal De Sanctis dietro la traduzione italiana del saggio di Philarète Chasles: egli ebbe troppa fiducia nel testo usato, come osservò il Croce scolpando il grande critico dall'accusa di frode che si è riversata ingiustamente sul Fabi. Il saggio di Chasles uscì comunque nelle Opere di Pietro Aretino ordinate ed annotate per Massimo Fabi precedute da un discorso intorno alla vita dell'Autore ed al suo secolo (Milano, Francesco Sanvito, 1863), alle pp. 1-124, e, quindi, in II edizione (ivi, Carlo Brigola, Editore, Librario e Commissionario, 1881), alle pp. 9-113. Tutte e due le volte il saggio ha titolo L'Aretino. Sua vita e sue opere. A sé è ricomparso - con poche correzioni formali - col titolo La vita di Pietro Aretino, a cura di Egisto Roggero (Firenze, Istituto Editoriale «Il Pensiero», 1915, «Collezione rara del «Pensiero»»). Ha qui gravi errori di stampa, per cui Ginguené diventa Gingriène, p. 24, come già nella prefazione del curatore a p. vii, dove si trova in allegra compagnia con Bayele e Dresmenil, cioè con Bayle e Dumesnil; del resto, la Vita, in anticipo ali e Poesie rare dell'Aretino, già da noi ricordate, recava un'abbondante, quanto equivoca, propaganda di pubblicazioni dì interesse sessuologico, sì di vantata esigenza scientifica accanto al Codice dell'amore indiano, ma anche con un altro tipo di réclame di Nudi: meravigliose riproduzioni di modelle viventi, oltre che di apparecchi e accessori d'igiene sessuale ecc. Come è noto, la divulgazione dei Ragionamenti, frammezzo opere di nessun valore letterario, ha pregiudicato nel pubblico degli intenditori letterari la valutazione di un artista così singolare, a cui, per giunta, venivano attribuite opere pornografiche non sue.
Su una fonte di notevole interesse (anche per le discussioni relative alla sua paternità pseudo-berniana) si veda Enrico Sicardi, L'autore dell'antica «Vita di Pietro Aretino», nella Miscellanea nuziale Rossi-Teiss (Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1897), pp. 295-314.
Sulla vita dell'Aretino sono fondamentali gli studi che Alessandro Luzio venne componendo dal 1880 al 1923. Sono ancora oggi da ritenere validissimi per tutto quanto riguarda la biografia del personaggio e i suoi atteggiamenti di pubblicista. Oltre le edizioni di testi dell'Aretino, già menzionate, si vedano i seguenti contributi: L'«Orlandino» di Pietro Aretino («Giornale di filologia romanza», t. III, fasc. 1-2, gennaio-giugno 1880, pp. 68-84); Le opere ascetiche di Pietro Aretino («Fanfulla della domenica», a. II, n.° 22, del 30 maggio 1880, pp. 1-2); una recensione a Giorgio Sinigaglia, Saggio di uno studio su Pietro Aretino, con scritti e documenti inediti, Roma, Tip. di Roma, 1882 («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. I, 1883, pp. 330-7, nella Rassegna bibliografica); Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e la Corte dei Gonzaga (Torino, Loescher, 1888); Altre spigolature tizianesche («Archivio storico dell'arte», III, 1890, pp. 209-10, con riferimenti all'Aretino); P. Aretino e Pasquino («Nuova Antologia», ser. in, vol. XXVIII, I° luglio-16 agosto 1890, pp. 679-708); una recensione a Vittorio Rossi, Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave di Adriano VI («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. XIX, 1892, pp. 80-103, nella Rassegna bibliografica: il Luzio credeva dell'Aretino sia il Testamento dell'elefante donato a Leone X dal re del Portogallo e morto nel 1516, sia la Farsa messa dal Rossi in appendice al proprio lavoro); L'Aretino e il Franco. Appunti e documenti (ivi, vol. XXIX, 1897, pp. 229-83); Aretin und sein Haus («Die Zeit» di Vienna, Band xi, n.° 121, 23 Janner 1897, pp. 57-8); Ancora i ritratti dell' Aretino («Il Marzocco», a. x, n.° 29, del 16 luglio 1905, p. 2). Si unisca, come ultima testimonianza di un appassionato interesse alla figura dell'Aretino nel suo tempo, una recensione a Le più belle pagine di Pietro Aretino curate dal Bontempelli («La Stampa», a. lvii , n.° 290, del 6 dicembre 1923, p. [3]).
Si profila nella critica aretiniana una singolare situazione: quella di non scendere a esaminare l'apporto specifico dello scrittore alla letteratura del Cinquecento (e tanto meno a non recriminare sui suoi atteggiamenti liberi e spregiudicati), ma di considerare la figura di lui come eccezionale nel campo della pubblicistica. Il «flagello de' principi» è visto come un personaggio di primo piano nella politica del tempo, o almeno nel settore degli «imi che comandano ai potenti» (cioè dei consiglieri più o meno occulti che si valgono della nascente efficacia della stampa per influenzare l'opinione pubblica e, quindi, l'azione dei monarchi e dei governanti). Non lungo è il passo - almeno ad opera di alcuni scrittori della nostra epoca - dalla biografia alla storia, anche se più di una volta tale storia è piuttosto romanzata, anzi assume la forma narrativa della rievocazione fine a sé stessa e, persino, del romanzo. Non è nemmeno facile dividere nettamente la produzione critica nel campo biografico e la letteratura divulgativa che attrae per la vivacità della ricostruzione aneddotica, e, come è avvenuto anche per altri casi nel passato (che si tratti di Isabella d'Este o di Marco Datini), un agile libro espositivo e pittoresco può valersi di dotte pubblicazioni altrui per utilizzarne documenti e indagini particolari. Un posto a parte va lasciato ad un libro di Pierre Gauthiez, già benemerito per la pubblicazione di documenti: L'Italie du XVIe siècle. L'Arétin (1492-1556), pubblicato a Parigi, da Hachette, nel 1895. L'ampia ricostruzione, che si vale anche di lettere inedite (ad esempio, di quella dell'Aretino a Speron Speroni, da Venezia, 23 ottobre 1555), è una specie di affresco dell'Italia del tempo e presenta la figura dello scrittore come tipica. In tale disegno la parte letteraria è considerata non in sé, ma nel suo valore di documento storico. Non era difficile cadere in errori di fatto nel settore delle lettere cinquecentesche, per allusioni e riferimenti vari. Da parte della critica italiana non poteva essere messo sotto silenzio il fatto che lo studioso francese aveva largamente utilizzato i lavori biografici del Luzio, e che, per di più, era caduto in errori di informazione e di valutazione; si veda al riguardo l'ampia recensione di Enrico Sicardi («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. xxx, 1897, pp. 470-86, nella Rassegna bibliografica).
Con vivacità narrativa ricostruisce la vita del libellista e del pubblicista politico Edward Hutton, P.A., The Scourge of Princes (London, Bombay, Sidney, Constable and Co., 1922: il bel ritratto di Tiziano, nei paesi anglosassoni, è un lasciapassare per un personaggio così caratteristico della vecchia Europa). Da parte francese due lavori, non privi di buone intenzioni, ma non completamente informati sull'autore tanto studiato dagli specialisti, sono stati, nel 1937, quello di P. G. Dublin, La vie de l'Arétin (Paris, Fernand Sorlot: con un parallelismo accentuato fra l'Aretino e il Molière perfino per i fatti della vita) e un saggio di C[onstantin] Antoniade compreso in Trois figures de la Renaissance: Pierre Arétin, Guichardin, Benvenuto Cellini (ivi, Desclée De Brouwer & Cie, 1937, pp. 15-160, con Notes bibliographiques, alle pp. 329-31). Qui è dato rilievo agli studi del Luzio, ma anche è insufficiente ed erronea l'informazione critica generale, a parte gli errori di citazione col Rossi e col Bertani, dati come Rosso e Bertoni, e col saggio del Graf, Un processo a Pietro Aretino dato come riprodotto nel volume Attraverso il Cinquecento del 1926, che è invece una tardiva e postuma ristampa. Il giudizio finale è pittoresco, ma non aggiunge nulla a quanto è già noto: «... s'il avait le courage d'attaquer à distance et la piume à la main, il ne brillait pas par le courage physique: la peur des coups le faisait filer doux. Avec ses astuces et ses ruses l'Arétin est un type de comédie. La comédie, il la joua toute sa vie, il est le personage comique du drame où devait mourir l'Italie. L'Arétin est le produit d'une époque de désorientation des esprits, de relàchament des mceurs, de décadence enfin dont il est l'illustration vivante. Il nous enseigne en méme temps jusqu'où peut aller l'homme libéré de toute contrainte intérieure ou extérieure, jusqu'où méne l'individualisme sans frein, que n'éclaire plus aucune spiritualité». Quanto allo scrittore, nell'introduzione (p. 12), si dichiarava: «L'Arétin connut une gioire vraiment insolente; on finit méme par voir en lui un grand écrivain. Mais, à sa mort, tout sombra dans l'oubli. Personne ne le lit plus. Et ce qui demeure après lui, c'est le seul souvenir de son abjection». Il titolo, che in precedenza è piaciuto per il suo carattere pittoresco («flagello de' principi»), torna nel volume, illustrato nei luoghi e nelle persone, di Thomas Caldecot Chubb, Aretino Scourge of Princes (New York, Reynal & Hitchcock, 1940): ancora una volta la figura dell'Aretino, nell'atmosfera drammatica dell'età sua, ha il sopravvento sull'esame dell'opera letteraria e pubblicistica, e offre motivi a un'ampia biografia. Una breve ricostruzione di Rulph Roeder - col capitolo Aretino - è nel volume d'insieme The Man of the Renaissance. Four Lawgivers. Savonarola. Machiavelli. Castiglione. Aretino (New York, The Wicking Press, 1933: il capitolo si trova alle pp. 483-533). L'opera è anche apparsa in Inghilterra: London, G. Routlege & Sons, 1934.
Dalla biografia romanzata al romanzo (o, almeno, al quadro) storico talora non c'è che un passo. Senza citare opere che hanno messo sulla scena l'Aretino come personaggio, si menzionino i seguenti lavori narrativi: G[iulio] Marchetti Ferrante, Rievocazioni del Rinascimento (Roma nel Quattrocento - Lorenzo dei Medici - I Rovere - Riario - Giulio II - Leone X - Chigi il Magnifico - Tullia d'Aragona - L'Aretino), Bari, Laterza, 1924, alle pp. 239-67; Antonino Foschini, L'Aretino (Milano, L'Editoriale Moderna, 1931, e quindi ivi, Bartolozzi, 1933, con ristampe in testa ai Ragionamenti, ivi, Corbaccio-Dall'Oglio, 1951 e 1960); Gustav Regler, L'Aretino: romanzo, traduzione italiana anonima (Milano, Mondadori, 1962). Si trascuri, in quanto curiosità narrativa della seconda metà dell'Ottocento, il lungo racconto di Giovanni Villanti, L'Aretino in Roma: studi del XVI secolo (Palermo, Stabilimento operai tipografi, 1869 [e in copertina: Luigi Pedone Lauriel Editore, 1870], con l'indicazione: «Pubblicato nella Rivista Siculo». Da ricordare alle pp. 3-10 quanto riguarda I XVI rami e i XVII sonetti; alle pp. 91 e 111 si parla di liti fra l'Aretino e un Bacci, quello stesso a cui è legata la sua discussa origine.
Liberato il terreno da una produzione più aneddotica che biografica (sin di ispirazione romanzesca), è doveroso tener conto di quei contributi che si valgono di un uso accorto dei documenti intorno a una vita tutt'altro che facile da comprendere e da valutare. Per quanto non abbia alcuna simpatia per l'Aretino, anzi lo veda impersonare qualità che son tutte all'opposto di quelle da lei ammirate in Vittoria Colonna e in altri personaggi dell'epoca, si citi per una riesumazione Giuseppina Sassi, Figure e figuri del Cinquecento: Pietro Aretino, Vittoria Colonna e il Marchese del Vasto («Nuova Rivista Storica», xii, 1928, pp. 554-88). Per indagini svolte soprattutto negli archivi ad Arezzo è opportuno registrare la varia attività di Alessandro Del Vita, passato dall'esame di testimonianze dell'Aretino nel campo dell'arte allo studio della sua biografia e, in genere, alla illustrazione del suo tempo. (E qui il divulgatore ha spesso preso la mano al critico inducendolo a una produzione di saggi e studi, indubbiamente versatili ma poco utilizzabili in senso scientifico anche per quanto riguarda usi e costumi del Rinascimento). Degni di menzione sono, fra le pubblicazioni cinquecentesche del Del Vita, i seguenti lavori sull'Aretino: Una poesia inedita di Giorgio Vasari («Il Vasari», vii, 1935, pp. 5-29, con in appendice: Stanze a Pietro Aretino, qui ripubblicate nella lezione data dallo Scoti- Bertinelli e con nuove note illustrative); Le cause della fortuna e della polenza di Pietro Aretino (ibid., dall'a. vii, 1935, all'a. x, 1939), quindi in volume - dedicato al Luzio - L'Aretino. Le cause della sua potenza e della sua fortuna, Arezzo, Edizioni della Casa Vasari, 1939, rielaborato con speciale riguardo al senso politico e alla potenza di pubblicista dello scrittore nel volume L'Aretino «uomo libero per grazia di Dio» (ivi, Edizioni Rinascimento, 1954: vari elementi di questa ricostruzione biografica sono utilizzati nelle note storiche che accompagnano l'edizione mondadoriana delle Lettere. curata dal Flora, vol. I, 1960). Utili, per nuovi documenti riguardo alla nascita dell'Aretino, sono le Notizie e documenti su Pietro Aretino («Il Vasari», VIII, 1936-1937, pp. 140-52); ma già a chiarificazione di quanto riguarda Medoro Nucci, d'Arezzo, di cui in Luzio, La famiglia di Pietro Aretino, cit., si menzionino le Note su un nemico minore dell' Aretino (ivi, VI, 1933-1934, pp. 136-41). Un medaglione offre L'Aretino compreso in un volume di Figure del '500 (Firenze, Vallecchi, 1944), dove sono anche pagine che interessano a proposito della cortigiana Imperia, di Leone Leoni e di Alessandro de' Medici. Servono a illustrare opere e vita dell'Aretino due pubblicazioni divulgative del Del Vita: Galanteria e lussuria nel Rinascimento (Arezzo, Edizioni Rinascimento, s. a., ma 1952: anche con riferimento a Lorenzo Veniero e alle sue pubblicazioni libere) e Vita gaudente e bizzarra nel Rinascimento [in copertina: nella Rinascenza] (ivi, Edizioni Rinascimento, 1961) con accenni alle Carte parlanti. Si è fatto riferimento a studi che servono per documentare i tempi dell'Aretino e illustrano molti particolari delle sue opere, oltre quanto ben risulta da edizioni e studi di V. Rossi e di G. A. Cesareo e quanto si potrebbe menzionare per contributi di Pompeo Molmenti per Venezia e di Pio Paschini per Roma. Ora si citi, per vari capitoli, la raccolta postuma di Domenico Gnoli, La Roma di Leon X. Quadri e studi originali annotati e pubblicati a cura di Aldo Gnoli (Milano, Hoepli, 1938). Lo studio - complesso e intenso - della vita dell'Aretino in funzione (o, anche, in giustificazione) della sua opera pubblicistica conferma quello che Arturo Graf aveva scritto sull'importanza dello scrittore in Attraverso il Cinquecento (Torino, Loescher, 1888, e quindi 1916 e - col nuovo nome editoriale di Chiantore - 1926): citatissimo è lo scritto in esso raccolto, Un processo a Pietro Aretino. che sempre si può utilmente consultare insieme con altre pagine sui pedanti, sui buffoni e sulle cortigiane del tempo. Se ne tiene conto nella presente rassegna bibliografica nella speranza che il «processo» non possa più essere riaperto, almeno all'insegna del vantato immoralismo dell'autore. Munito di bibliografia avvicina il lettore all'Aretino un buon profilo steso da Mario Baratto, nel Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, vol. I (Torino, U.T.E.T., 1973), pp. 102-8.
Si è più volte fatto riferimento alla produzione teatrale dell'Aretino e alla critica che la concerne (sia nei manuali, sia nelle opere generali sullo scrittore). Non è facile separare lo scrittore della Talanta da quello dei Ragionamenti, ed è perciò arbitraria una divisione troppo rigida fra il narratore e l'uomo di teatro. Ad ogni modo - rimandando al volume 28 della presente collezione ricciardiana, Teatro del Cinquecento - non sarà inutile qualche nuovo accenno alla critica, dagli ultimi dell'Ottocento ai nostri giorni. Anche una scelta può essere indicativa in merito al gusto dei critici, vòlti con grande interesse al commediografo (e anche al trageda, per quanto talvolta col sospetto di trovarsi di fronte ad un'esercitazione), ma - almeno qualche tempo fa - con titubanza e perfino disdegno per l'autore dei cosiddetti Ragionamenti e (secondo una leggenda dura a morire) dei Dubbi amorosi e di altre false attribuzioni. Va intanto segnalato, di Cesare Levi, un Saggio bibliografico delle commedie e dell'« Orazia» di Pietro Aretino e della critica su di esse («Rivista delle biblioteche e degli archivi», XX, 1909, pp. 79-89; in appendice: L'Aretino personaggio di teatro). Tra le schede bibliografiche alcune sono di grande importanza per la documentazione sull'opera teatrale dell'autore e la critica relativa. Interessano in varia maniera: Enrico Perito, «La Talanta» di P. Aretino (Girgenti, Prem. Uff. Tipogr. Formica e Gaglio, 1899) e Diodoro Grasso, L'Aretino e le sue commedie: una pagina della vita morale del Cinquecento (Palermo, Reber, 1900). Una nuova trattazione è quella di Ulisse Fresco, non trascurata dalla critica posteriore: Le commedie di Pietro Aretino (Camerino, Tip. Savini, 1902). Una utile riesumazione è quella di Edoardo Gennarini, Imitazione e originalità nella «Talanta» di Pietro Aretino («Giorn. it. di filol.», XI, 1958, pp. 236-45). Una recente pubblicazione critica è quella dovuta a Giorgio Bàrberi Squarotti, L'Aretino uomo d'ordine. L'anticommedia del «Marescalco» («Bimestre: quaderno bimestrale di cultura», n.° 22/23 - a. iv, n.° 5-6-, settembre-dicembre 1972, pp. 5-15). Uno studio efficace su Lingua e polemica teatrale nella «Cortigiana» di Pietro Aretino ha dato Mario Tonello nella raccolta di studi su autori vari, Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento, presentazione di G. Folena (Padova, Liviana, 1970, «Quaderni del circolo filologico-linguistico padovano», 2), pp. 203-89. Nel settore comparatistico si segnalino: Fernando Stacchiotti, «L'Orazia». La «Sofonisba» e l'«Orazia». L'«Horace» e l'«Orazia». Moralità dell' Aretino (Camerino, tip. Macchi, 1907) e Bice Stocchi, L'«Orazia» dell'Aretino e l'«Horace» del Corneille (Napoli, E. Pietrocola, 1911). Quest'ultima scheda è stata inserita nei suoi utilissimi elenchi da Ferdinando Neri, Gli studi franco-italiani nel primo quarto del sec. XX (Roma, Fondazione Leonardo per la cultura italiana, 1928, «Guide bibliografiche», 40-41-42, e in ristampa anastatica, Torino, Bottega d'Erasmo, 1970), al n.° 1228, per i rapporti dell'Aretino col teatro classico francese. E, poiché, per i temi e le tradizioni, sono fatti due altri riferimenti ai nn.» 3169 e 3170, si possono menzionare, da un punto di vista comparatistico, scritti che rientrano in una bibliografia generale. Si vedano quindi: Giovanni Mari, Storia e leggenda di Pietro Aretino (Roma, Loescher, 1903, per Michel de l'Hòpital, Chasles, Gauthiez, e Le fils de l'Arétin di H. de Bornier) e Henri Hauvette et Martin Paoli, L'Arétin au théàtre («Bulletin italien», IV, 1904, pp. 202-21, per Le Courtisan parfait di Gabriel Gilbert, 1668; Pasquino di G. Mari, 1903; e Le fils de l'Arétin di H. de Bornier, 1895). In un posto a parte stanno, fra i migliori saggi sull'Aretino commediografo e, in genere, scrittore in tutta la varietà della sua opera, Tommaso Parodi per Le Commedie di Pietro Aretino, del 1912, nel volume Poesia e letteratura. Conquista di anime e studi di critica. Opera postuma a cura di B. Croce (Bari, Laterza, 1916, «Biblioteca di cultura moderna», 81) e Mario Baratto, Commedie di Pietro Aretino, in «Belfagor», XII (1957), pp. 361-402 e 506-39, e nel volume Tre saggi sul teatro: Ruzante-Aretino-Goldoni. Venezia, N. Pozza, 1961, «Collana di varia critica», xxiii, pp. 71-155. Quest'ultimo lavoro del Baratto riassume criticamente le ricerche antecedenti sulla formazione dell'Aretino uomo di teatro e le mette in relazione con le restanti manifestazioni della sua attività di scrittore e di polemista, e, in certo modo, di moralista. Nella Nota bibliografica (volume citato, pp. 231-2) sono utili riferimenti al «manierismo» dell'Aretino anche riguardo alla produzione giovanile, al teatro e all'esperienza cortigiana, «che prelude a tanta parte dell'opera» di lui.
Uno sguardo cronologico sulla produzione critica, che si potrebbe definire generale, aggiunge nuove e, in parte, ragguardevoli schede sull'Aretino. Una pubblicazione, che non manca mai di essere citata per la sua importanza, è quella di Karl Vossler, Pietro Aretinos kunstlerisches Bekenntnis (Heidelberg, «Neue Heidelberger Jahrbùcher», x, 1900, pp. 38-65). L'Innamorati nel suo volume (pp. 56-60) ha messo in evidenza come il critico tedesco, in recensione alla History of Literary Criticism in the Renaissance di J. E. Spingarn, esaminasse in modo particolare la cultura dell'Aretino, il suo impegno, la sua coscienza intellettuale. Anche il Gaspary nella sua storia letteraria, presto tradotta in italiano, e il Graf, avevano parlato della «modernità» dell'Aretino. Il Vossler, allo scopo di valorizzare la rivoluzione culturale dello scrittore (e, in questo, più che non il ribelle Celimi nella sua Vita e nei suoi Trattati), decisamente afferma che l'Aretino è il primo che «senza studi umanistici, senza un serio lavoro, senza ordinate cognizioni si sia procurato un posto preminente nella letteratura». È vista l'importanza dello studio delle arti figurative sulla preparazione letteraria, almeno in un primo tempo, ed è valorizzato, sotto il segno della creatività, il mondo delle Lettere inteso di solito come documento o poco più. Si ricordi, a proposito di questo studio, una lettera del Croce all'amico, senza data, ma dell'anno 1900. Si parla della difficoltà di far entrare in una storia delle idee «scrittori come l'Aretino che non sono abbastanza consci delle ragioni delle loro affermazioni. Queste ribellioni del buon senso contro la pedanteria sono da paragonarsi, mi sembra, ai proverbi», ecc. Così dice il Croce in Carteggio Croce-Vossler, XS99-X949, con prefazione di Vittorio de Caprariis (Bari, Laterza, 1951, «Biblioteca di cultura moderna», 488), pp. 15-6.
Del volume di Carlo Bertani, Pietro Aretino e le sue opere secondo nuove indagini (Sondrio, Stab. tipo-litografico Emilio Quadrio, 1901), si dica che, per un tono encomiastico che soverchia la trattazione e per scarso interesse filologico rispetto a problemi di attribuzione e di critica del testo, è meno utile di quanto non sembri a prima vista. È da apprezzare lo sforzo di incentrare nella vita e nell'opera dell'autore problemi che furono dell'età sua. Non va taciuta l'importanza di una recensione di Abd-el-Kader Salza apparsa sul «Giorn. stor. d. lett. it.», vol. xliii (1904), pp. 88-117, al Pietro Aretino del Bertani, a Storia e leggenda di Pietro Aretino del Mari e alla Vita dell'infame Aretino, lettera CI et ultima di Anton Francesco Doni fiorentino pubblicata da Costantino Arila (Città di Castello, Coi tipi dell'editore S. Lapi, 1901, «Rara: biblioteca dei bibliofili», 3). Ci sono limiti significativi nel recensore, per eccessivo moralismo nei confronti dell'Aretino, ma si nota anche un'adesione a ricerche di scienza «positiva» in merito al suo carattere eccezionale di immorale, come ha messo in evidenza l'Innamorati nella sua rassegna storica (volume citato, pp. 54-6). E vanno aggiunti i meriti relativi al contributo informativo offerto «intorno agli anni giovanili (specie quelli «perugini») di Pietro».
Dell'interesse del Croce per l'Aretino si è già detto a proposito della lettera scritta al Vossler. Ma il filosofo non si era ancora soffermato sull'opera letteraria di lui in modo particolare. Così per quanto riguardava la questione delle lettere dell'Aretino desunte dalla traduzione italiana del saggio di Philarète Chasles, il Croce nella sua edizione 1912 della Storia della letteratura italiana del De Sanctis (Bari, Laterza, negli «Scrittori d'Italia», nn.1 31-32, al vol. 11, pp. 436-7), fece ricerche al fine di scagionare il De Sanctis dall'accusa di aver manipolato le lettere dell'Aretino, accusa che era stata mossa dal Fradeletto sull'«Ateneo veneto», ser. XII, vol. I, gennaio-giugno 1888, pp. 38-9 e note. Parimenti nella stesura de La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza (Bari, Laterza, 1915, «Scritti di storia letteraria e politica», VIII), in vari luoghi di cui all'indice dei nomi, utilizza le opere dell'Aretino dalle commedie ai Ragionamenti.come documenti del costume, in particolare in merito agli usi spagnoli e agli ispanismi del linguaggio dell'epoca. È da considerare il fatto che, in un altro luogo dell'opera, il Ragionamento dello Zoppino è valutato come scritto a sé stante, e non dell'Aretino, come vuole una erronea attribuzione. Un saggio degno di rilievo è quello che riguarda l'atteggiamento, non propriamente satirico, dell'Aretino e certe sue doti di umanità e di idillica contemplazione della vita in Poesia popolare e poesia d'arte (I edizione, ivi, Laterza, 1929, coli, cit., XXVIII). Si nota come, nella sua ricerca della semplicità, lo scrittore sia stato intimamente avverso al barocco, motivo che è però discutibile. Si mette in evidenza un temperamento di artista figurativo per le descrizioni. Le note critiche si trovano felicemente espresse nel saggio su La «commedia» del Rinascimento, e abbracciano anche il mondo familiare delle lettere. Il gusto della documentazione storica caratterizza lo scritto su Un sonetto dell'Aretino e un ritratto di Maria d'Aragona, marchesana del Vasto, nella Miscellanea Armanni del 1938, e quindi negli Aneddoti di varia letteratura, vol. I (Napoli, Ricciardi, 1942), pp. 282-91, e infine nel corpus barese delle opere del filosofo, - nella II edizione dell'opera, con aggiunte, interamente riveduta dall'Autore, vol. I (Bari, Laterza, 1953, coll. cit., xli), pp. 359-65. Si tratta della moglie di Alfonso d'Avalos e del sonetto, non più raccolto, Tre Marie in sembiante almo e giocondo. Alle impressioni di gusto, che avevano guidato le pagine di Poesia popolare e poesia d'arte, vanno aggiunte le Considerazioni su Pietro Aretino, del 1951, raccolte in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, vol. III (ivi, Laterza, 1952, coll. cit., lx), pp. 78-83. Viene meglio valutato il temperamento dello scrittore e, nel superare il ritegno verso la materia trattata nei Ragionamenti, si dice che «in un certo modo egli stava di là dal bene e dal male», si mettono in miglior luce pregi della sua realizzazione artistica, e si conclude: «Bisogna pensare che egli aveva uno spirito di poeta che non poteva venir meno e rifiutarsi a se stesso». Resta pur sempre qualcosa di limitativo nel giudizio del Croce; non poteva essere altrimenti nel quadro del Cinquecento. Altre testimonianze si trovano nella stessa opera al vol. I,1945 (coll. cit., xxxv),p. 85, per quanto riguarda le polemiche di Niccolò Franco contro l'Aretino; al voi. II, sempre 1945 (coll. cit., XXXVI), pp. 198207, per i Libri sulle Corti (col Dialogo delle Corti e le parole rivolte al Coccio, giovane ben dotato per gli studi, al fine di dissuaderlo dall'aderire alla vita delle Corti per amore di libertà). Ancora al voi. Ili, predetto, l'Aretino è menzionato per quanto riguarda un noto caso letterario (nel capitolo su Antonio Brocardo, alle pp. 62-71).
Allievo di Arturo Graf nell'Università torinese, Attilio Momigliano non restò indifferente al mondo artistico dell'Aretino nella sua già citata Storia della letteratura italiana (I edizione: 1936), pp. 221-7. Si mette in evidenza che «la vera vocazione dello scrittore furono l'oscenità e il vituperio»: la stessa avversione alla vita di Corte è subordinata alla volontà di spadroneggiare in un ambiente, non da sdegno morale. Non sono valutate come riuscite le vivacissime commedie perché in esse l'insieme non s'accorda con le caricature. Dichiarando che non valeva la pena di fermarsi sulle opere serie, sulla tragedia Orazia e sugli scritti religiosi, il critico esamina i Ragionamenti che, per essere dell'Aretino il libro «in cui si rispecchiano meglio il suo temperamento di sensuale sfrenato e sudicio e la sua pratica della mala vita, sono la sua opera migliore». Questo è detto, anche se si notano i difetti dello sfogo e dell'improvvisazione in quanto è artisticamente più vivo. Altre osservazioni limitative toccano lo stile dell'Aretino. Si tengono perciò presenti, nel complesso, i difetti della sua personalità. (Cosi si dice: «... certo il suo genio lo portava verso gli aspetti deteriori della realtà; e solo la mancanza di serietà artistica gli impedì di ottenere in questo campo gli effetti del Folengo e di diventare uno dei grandi scrittori del secolo»).
Dal sagace medaglione di Francesco Flora - Aretino e il mestiere della parola - contenuto nella Storia della letteratura italiana, vol. Il, Il Cinquecento, il Seicento, il Settecento, parte i (Milano, Mondadori, 1941, pp. 408-43: e successive edizioni) va desunto un ammirativo giudizio sull'artista. La perfezione formale è raggiunta nei momenti felici. Ma spesso l'Aretino usa della parola per suoi fini pratici e non per puro gusto di creatore: più facilmente cade nei difetti connessi con la sua natura sanguigna e sensuale. Delle pagine del Piccone Stella (poste a introduzione della antologia del 1943) si è già detto; l'elemento creativo è messo in primo piano nel godimento della realtà e nella finzione, polemiche comprese. In un mondo letterario, dove, artifici a parte, è grande il valore assunto dalla lingua come espressione poetica, l'Aretino è un autore singolare. Degno di citazione è un saggio di Lorenzo Fontana, Indole e lingua di Pietro Aretino («Lingua nostra», VIII, 1947, pp. 19-23): sono lodati gli elementi idillici e visivi dello scrittore, il suo abbandonarsi al fascino della fantasia, il suo realismo libero e spontaneo, anche se mescolato con le lotte del momento. Un profilo vivace e pertinente dell'opera complessiva il Fontana ha dato nei Lineamenti ideali di uno scrittore senza ideali: Pietro Aretino («Convivium», 1947, pp. 690-702: si tien conto del valore realistico e rappresentativo degli scritti religiosi). Della monografia di Giorgio Petrocchi (1948) si è già detto; e si registri, dello studioso, una comunicazione radiofonica (in un ciclo di vari autori su La letteratura italiana del Rinascimento), precisamente su Le pasquinate, l'Aretino e i libellisti del Cinquecento («Terzo programma: quaderni trimestrali», 1961, n.° 3, pp. 179-186: il contributo è ora stato raccolto dall'autore nel suo volume I fantasmi di Tancredi: saggi sul Tasso e sul Rinascimento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1972, «Aretusa: collezione di letteratura», 29), pp. 327-39. Del medesimo critico, a presentazione della ristampa dei Ragionamenti a cura di Renato Roversi, nella ristampa bolognese del 1965, si ricordi anche il vivace articolo Riappare il «divino» Aretino («La Fiera letteraria», a. xli, n.° 7, del 24 febbraio 1966, p. 15, rubrica Libri). Dopo aver descritto in modo particolare una pasquinata («ricca di colore ambientale, da far pensare ad un Belli ante litteram») il critico cosi afferma: «Gran personaggio questo Aretino, questo «membro puzzolente della diabolica falsità", questo «solenne poltrone», ovvero «stima di tutti i furfanti», «colosso de' goffi», «tagliaborse de' principi», «sorbitore a giornata di uova marcie», come ebbe a definirlo il suo primo critico «militante», il Doni (e con termini che oggi la critica è costretta a sottintendere!), ma uno che lo conosceva per bene. Gran personaggio, emblematico, uomo del nostro Rinascimento; sul quale c'è ancora molto da scrivere, in lungo e largo per la sua opera così ricca di fermenti e di spunti, e anche di insospettate fonti, come tra breve avrà modo di documentare il Paratore. Abbiamo ricordato qualche cosa delle sue pasquinate, ma c'è ancora da lavorare molto attorno alla sua prosa narrativa, alle relazioni coi pittori veneti, al teatro, persino agli scritti religiosi». Sul manierismo dell'Aretino, già trattato in varie occasioni dai critici (come è documentato dall'Innamorati nelle sue linee di storia della critica, volume citato), con speciale riguardo alle opere religiose, si legga lo studio di G[eorg] Weise, Manieristische und friihbarocke Elemente in den religiosen Schriften des Pietro Aretino («Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance», XIX, 1957, pp. 170-207).
Della vita e dell'opera dell'Aretino si occupa in una vivace riesumazione accademica Luigi Russo: Pietro Aretino («Belfagor», XVIII, 1962, pp. 1-17: tali note sono state composte alla data del luglio 1961). La riesumazione si snoda in vari capitoli ricchi di citazioni: I, La fortuna di Pietro Aretino-, II, Vita dell'«infame» o «divino» Pietro Aretino-, iii, Pietro Aretino critico d'arte-, iv, L'estetica «in nuce» dell'Aretino e la sua antipedanteria, e v, L'Aretino scrittore. A sua volta Salvatore Battaglia si occupa con intelligenza de La sublime infamia di Pietro Aretino nel recensire il volume I delle Lettere mondadoriane, editori Flora-Dei Vita: recensione che si legge raccolta in Occasioni critiche: saggi di letteratura italiana (Napoli, Liguori, 1964), pp. 62-6. In occasione dell'annunciata raccolta di Tutte le opere di Pietro Aretino, a proposito del predetto volume I delle Lettere. il Battaglia afferma: «Era tempo che si pensasse a restituire l'Aretino alla lettura dei moderni in un'edizione accessibile e a riproporlo alla cognizione letteraria con più consapevole misura critica». Si noti una riflessione sul momento storico: «Quel che qui si vorrebbe mettere in chiaro è che una presenza come quella dell'Aretino nella vita italiana del Cinquecento è da considerarsi assolutamente coerente con il costume umano e politico che s'era venuto atteggiando nelle più grandi città italiane. E una riflessione sul suo fenomeno non può limitarsi a segnalare i puri valori formali, ma dovrà fare i conti con un contenuto che, prima d'interessare gli umori del letterato, è realtà incombente, che aderisce alla psicologia degli uomini come buccia di serpe, di cui essi si spogliano e rivestono ad ogni mutar di stagione. E in una cultura come l'italiana che da circa due secoli aveva riscoperto l'idea e il sentimento della prassi individualistica e utilitaria, del particolarismo organizzato, dell'esperienza edonistica, della squallida arte di governo dissociata da ogni responsabilità morale, il fenomeno dell'Aretino era congeniale e si direbbe improcrastinabile. Nessuno prima di lui aveva estratto dalla propria coscienza tante cose torbide e virulente, o per lo meno nessuno le aveva dichiarate in un linguaggio cosi perentorio e ostensivo. Il «divino» e «infame» Aretino, come lo chiamavano rispettivamente i suoi entusiasti ammiratori e i suoi implacabili emuli è, sì, un mostro, ma in una società in gran parte mostruosa» (p. 65, e, per la precedente citazione, p. 62).
Un posto tutto particolare, fondamentale per gran parte dei critici, va riservato a quanto concerne l'Aretino e il suo interesse per le arti figurative. Dell'edizione delle Lettere sull'arte, commentate da Fidenzio Pertile a cura di Ettore Camesasca, si è già parlato. Una scelta di lettere di notevole interesse per le arti ha dato Paola Barocchi in Scritti d'arte del Cinquecento, tomo I (nella presente collezione, vol. 32/1), pp. 255-8, per la sezione iv, Pittura-scultura-poesia-musica, 592-3, per la sezione v, Pittura e scultura, con commento e 1059 con Nota ai testi (e bibliografia). Non solo per completezza bibliografica si può registrare di Salvator Ruju un opuscolo su Le tendenze estetiche di Pietro Aretino (saggio critico), uscito a Sassari, Tipogr. e Legatoria G. Gallizzi & C., 1909: un suo P. Aretino critico d'arte, annunciato in preparazione, non risulta pubblicato. Un saggio perspicace per l'affermato influsso dell'Aretino sul Vasari è quello di Lionello Venturi, Pietro Aretino e Giorgio Vasari, datato del 1922, pubblicato nei Mélanges Bertaux del 1924 e quindi raccolto, dopo una prima edizione del libro a Torino, Biblioteca italiana di Edoardo Persico, 1928, in Pretesti di critica (Milano, Hoepli, 1929), pp. 53-72. Sergio Ortolani tratta di Pietro Aretino e Michelangelo («L'arte», xxv, 1922, pp. 15-26: il concetto dell'Aretino sull'opera di Michelangelo è sentito come molto prossimo a quello che ne aveva il Vasari) e illustra Le origini della critica d'arte a Venezia (ibid., XXVI, 1923, pp. 1-17, con un esame dei giudizi dell'Aretino alle pp. 5-13). Una nota particolare ha steso Giovanni Becatti con Plinio e l'Aretino («Arti figurative: rivista d'arte antica e moderna», a. II, 1946, pp. 1-7: «Non mentalità storica di critico d'arte, dunque, ma brillante sensibilità di eclettico giornalista. Retorico, esteriore, ampolloso quando vuole fare il sapiente, sa essere a volte arguto, gustoso, penetrante, quando è più spontaneo e immediato»). Testimonianze e giudizi dell'Aretino sull'arte si trovano, in particolare con la citazione di lettere a Michelangelo, nel volume di Carlo Ossola, Autunno del Rinascimento. «Idea del Tempio» dell'arte nell'ultimo Cinquecento (Firenze, Olschki, 1971, «Biblioteca di «Lettere italiane»», IX), alle pp. 46 e nota, 271 e nota, e 278.
Le ricerche critiche di Lionello Venturi e di Sergio Ortolani hanno continuato, con diversi punti di vista, quanto riguarda i rapporti fra l'Aretino e le arti figurative. Il Vossler aveva detto, fin dal suo studio del 1900, che non si valuta la poetica dell'Aretino nel campo delle lettere senza una comprensione di quanto gli aveva insegnato il mondo dell'arte, specialmente la pittura. Si è anche già tenuto conto degli anni di Perugia e di Roma e dell'amicizia del giovane poeta con pittori, e scultori, ad esempio nella villa d'Agostino Chigi sul Tevere: nella maturità l'amicizia per Tiziano e il Sansovino avrebbero ancor meglio determinato una poetica basata sul genio creatore e innovatore a dispregio di ogni fondamento teorico letterario e comunque intellettualistico. Per la documentazione data dalle Lettere con affermazioni in favore del colorismo veneziano in contrapposizione al gusto toscano (e anche romano) per il disegno e la linearità della forma, facilmente in rapporto ad alcune famose descrizioni dell'autore (sia di dipinti, come è per Michelangelo, sia di visioni di natura) si è potuto dire che nella letteratura si era trasportata un'esperienza che era stata, in special modo, della pittura. Caratteristica era stata l'affermazione del Venturi sul realismo dell'Aretino: «Nel campo della pittura un simile realismo critico è la conseguenza della pittura di Tiziano e dei veneziani in generale, e si trova quindi in opposizione con la tradizione fiorentina, a cui il Vasari apparteneva» (nei citati milanesi Pretesti di critica, p. 6). A limitare l'elogio, forse eccessivo, di un Aretino «capo riconosciuto, adorato e odiato degli «scapigliati»» del tempo nella critica, sia letteraria, sia figurativa, sopraggiunsero le ricerche di Sergio Ortolani (delle quali nelle indicazione di sopra: e si ricordi anche la scelta delle Lettere già citata). Ancora di più viene a limitare un riconoscimento della schiettezza innovatrice dell'Aretino Mario Pozzi in alcune ricerche che storicamente chiariscono la posizione del critico e dello scrittore. Si vedano anzitutto le Note sulla cultura artistica e sulla poetica di Pietro Aretino («Giorn. stor. d. lett. it.», cxlv, 1968, pp. 293-322). Le osservazioni molteplici e l'illustrazione largamente documentata dell'influenza dell'artista e del critico non escludono che l'Aretino abbia avuto una eccezionale importanza nell'opinione pubblica del suo tempo anche nel settore della pittura. Era dunque «un personaggio essenziale della cultura cinquecentesca». Una precedente indagine del medesimo studioso concerne L'«ut pictura poesis» in un dialogo di Lodovico Dolce («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. cxliv, 1967, pp. 234-60): nel Dialogo della pittura, intitolato l'Aretino del Dolce (Venezia, Giolito, 1557) si cerca di distinguere quanto è dovuto specificatamente all'Aretino e quanto è dovuto invece alla cultura e alle intuizioni del Dolce. Non si nasconde che il Dolce tratta il Tintoretto in maniera poco generosa e che ignora Paolo Veronese e, d'altra parte, non si avvede della continua evoluzione di Tiziano. Anche per le polemiche, i giudizi e le descrizioni, sia pure sensuali ed estrose, dell'Aretino entra nel mondo della cultura una nuova valutazione dell'arte veneziana. («Venezia aveva così compiuto il passo decisivo; ormai si era inserita nell'ambito dell'arte italiana e in una posizione di eccellenza che nessuno poteva più permettersi di disconoscere. La pittura veneziana esisteva; contro di essa si potrà polemizzare, come farà il Vasari nella seconda edizione delle Vite, ma non la si potrà più ignorare o considerare una semplice appendice dell'arte tosco- romana, come si era fatto fino allora», art. cit., p. 260, nota).
Al pari del Folengo l'Aretino è citato nella storia della cultura per le sue divagazioni relative a Adamo e Eva e al Serpente tentatore; si veda Antonello Cerbi, Il peccato di Adamo ed Eva. Storia della ipotesi di Bever land (Milano, Soc. Ed. La Cultura, 1933), alle pp. 81-2 per gli elementi letterari de La Genesi con la Visione di Noè (Venezia 1545; con un confronto con l'edizione censurata del 1635); cfr. p. 90.
Per quanto riguarda la lingua, si è citato un saggio di L. Fontana, ma va fatto il dovuto posto ad acute osservazioni critiche di Cesare Segre, Edonismo linguistico nel '500 («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. cxxx, 1953, in particolare alle pp. 164-7), contributo raccolto in Lingua stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana (Milano, Feltrinelli, 1963, «Critica e filologia, Studi e manuali», I), con vari riferimenti all'Aretino di cui all'indice dei nomi. Sempre utili sono alcune note sulla posizione dell'Aretino nella questione della lingua, di cui in Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana (Firenze, Sansoni, 1960, «La civiltà europea»), p. 378 e nota. E si aggiungano dell'aquilecchia le numerose osservazioni nella Nota critica della sua edizione laterziana delle Sei giornate, 1969, pp. 422-7 e, su un particolare aspetto della lingua popolaresca dello scrittore, la Nota su Pietro Aretino e la lingua zerga (in «Atti e memorie dell'Arcadia: accademia letteraria italiana», serie 3, vol. IV, fase. 4°, 1967; Studi in onore del Custode generale Alfredo Schiaffini), pp. 3-17.
Nella produzione critica, anche occasionale, che riguarda l'Aretino alcuni saggi e schizzi trattano di particolari problemi o rievocano alcune qualità dello scrittore e dell'uomo. Osservando, fin dove è possibile, un ordine cronologico si possono consultare i seguenti contributi: Giuseppe Battelli, Esame critico sulla vita di Pietro Aretino attribuita al Berni (Torino, Stab. tip. Ferrerò, 1888: in discussione col Luzio e col Graf); Andrea Maurici, Il cortigiano secondo il Castiglione e l'Aretino (Terranova Sicilia, Cronaca Siciliana Editrice, 1890, estratto dalla «Cronaca Siciliana»); Giuseppe Sanesi, Un libello e una pasquinata di Pietro Aretino («Giorn. stor. d. lett. it.», vol. XXVI, 1895, pp. 176-94: contro Paolo Giovio); Guido Battelli, L'amor sacro e profano e una lettera dell' Aretino («Vita d'arte: rivista mensile d'arte antica e moderna», a. v, vol. IX, gennaio-giugno 1912, pp. 1-2: la lettera è diretta al patrizio veneziano Agostino Brenzone, e si tratta di sapere se l'Aretino ha ispirato il quadro di Tiziano o se ne è stato ispirato) e Le dimore dell' Aretino a Firenze («Illustrazione toscana e dell'Etruria», 1940, n.° v, maggio, pp. 14-5 con tre illustrazioni); Giovanni Rabizzani, L'Aretino in iscorcio («Il Marzocco», a. xviii, n.° 45, 9 novembre 1913, p. 2: vivace riesumazione dietro il vol. I delle Lettere. edizione Nicolini); Giuseppe Prezzolini, Qui giace l'Arétin ... (in Uomini 22 e città 3, Firenze, Vallecchi [1920]: l'articolo è del 1914); Ettore Allodoli, Aretino religioso (in Vecchi e Novi. Forestieri e Nostrali (Milano, Sandron, 1923, «Biblioteca «Sandron» di Scienze e Lettere», 89), alle pp. 37-47, e II «flagello dei principi» («Idea», settimanale, a. VIII, 1956, n.° 19, p. 2); Guido Mazzoni, La poesia burlesca di Pietro Aretino («Il Marzocco», a. xxxv, n.° 16, del 20 aprile 1930, p. 1: in recensione al vol. I delle Poesie, edizione Sborselli); Paolo Orano, Aretino pubblicista («Corriere della Sera», a. lvi, n.° 20, del 23 gennaio 1931, p. 3); Massimo Bontempelli, L'Aretino (in Verga l'Aretino Scarlatti Verdi. Nuovi discorsi, Milano, Bompiani, 1941; e, quindi, in Sette discorsi, ibid., 1942; in Introduzioni e discorsi, ibid., 1945, collana «Delfini: Cultura», 13, e in Italienische Profile. Acht Reden. Ubertragen von Hanns Studniczka mit einer Einleintug von Egon Vietta, Hamburg, H. Goverts Verlag, 1943); Pietro Pancrazi, L'Aretino in casa sua (ne II giardino di Candido, Firenze, Le Monnier, 1950, pp. 93-8: l'articolo è del 1938 e riguarda il soggiorno veneziano con una attenerita comprensione degli affetti dell'uomo e dei suoi interessi di artista).
Resta a dire della fortuna dell'opera dell'Aretino (o dello pseudo-Aretino) nel mondo. Per quanto riguarda Guillaume Apollinaire «curatore di edizioni dell'opera aretinesca, traduttore, bibliografo e commentatore di essa» - e nei primi tempi visto un po' in cagnesco dagli studiosi italiani e perfin creduto, evidentemente, pseudonimo di persona inesistente o di comodo - basti rimandare al cit. volume dell'Innamorati, p. 60, nota 79. Per l'Inghilterra si veda utilmente Mario Praz, Machiavelli in Inghilterra e altri saggi (Roma, Tumminelli, 1942, «Nuova biblioteca italiana», 8), e in nuova edizione, col titolo Machiavelli in Inghilterra ed altri saggi sui rapporti letterari anglo-italiani (Firenze, Sansoni, 1962, «La civiltà europea»).
Tra gli studi di letterature moderne comparate vanno almeno segnalati due saggi: l'uno di John M. Lothian, Shakespeare Knowledge of Aretino's Plays («The Modem Language Review», xxv, 1930, pp. 415-24) e l'altro di Oscar James Campbell, The Relation of «Epiccene» to Aretino's «Il Marescalco» («Publications of the Modem Language Association of America», xlvi, 1931, pp. 752-62: l'opera di Ben Jonson è citata dietro l'edizione di Aurelia Henry, 1906).
In campo bibliografico utile è il manuale di Marino Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti in opere di autori o traduttori italiani ecc. (Firenze, Sansoni Antiquariato, 1951, «Biblioteca bibliografica italica», I).
Un recente lavoro di G. Aquilecchia, Per l'attribuzione e il testo del «Lamento d'una cortigiana ferrarese», in Tra latino e volgare per Carlo Dionisotti, vol. I (Padova, Editrice Antenore, 1974, «Medioevo e Umanesimo», 17), pp. 3-25, illustra un passo della terza giornata del Ragionamento della Nanna e della Antonia (1534) anche in merito all'attribuzione del Lamento vantata a sé stesso dall'Aretino.