ASCHIERI, Pietro
Nacque a Roma il 26 marzo 1889, da Emilio, scultore, e da Emma Crispi. Studiò disegno sotto la guida del padre; si laureò a Roma in ingegneria civile nel 1913, dopo essere stato allievo di G. Calderini, G. Giovannoni e G. Milani. La sua educazione artistica fu quindi condizionata dallo stanco stilismo, già fortemente eclettico, del quale i suoi maestri erano gli esponenti più qualificati nell'ambiente romano, sostanzialmente chiuso alle nuove problematiche che andavano prendendo forma in Europa, anche se disposto ad accoglierne alcuni risultati formali da catalogare nel proprio repertorio stilistico. L'A., sin dall'inizio della sua attività di architetto, si dimostra perfettamente inserito nel clima architettonico romano che condizionerà poi con la sua prepotente figura, ma del quale accoglie e conduce sino alle estreme conseguenze tutti i motivi sia deteriori sia positivi. Nel 1914 vinse il pensionato Stanziani per l'architettura. Reduce dalla guerra 1915-18, partecipò negli anni seguenti ad alcuni importanti concorsi: per il monumento ai Caduti di Bologna, 1923; per il monumento-ossario ai Caduti romani, 1923; per la sistemazione dello sbocco del ponte Vittorio Emanuele a Roma, 1924, usando un linguaggio eclettico non privo di accenni baroccheggianti, memore dell'insegnamento stilistico ricevuto.
Nel 1926, insieme con L. Ciarrocchi, M. De Renzi, M. Marchi, G. Vetriani e G. Wittinch, costituì il gruppo "Aschieri" e partecipò al concorso per il nuovo "quartiere dell'artigianato" in Roma, che doveva ospitare gruppi di abitazioni e di laboratori artigiani distinti per corporazioni in un'area triangolare situata nei pressi di Porta San Paolo. Il progetto dei gruppo A., che risultò vincitore del 10 pren-úo, aderiva mediante una scenografica simbolizzazione all'astrattezza sociale ed economica dei tema e si qualificava per la ricerca di superamento delle posizioni accademiche tramite un linguaggio architettonico non privo di allusioni avveniristiche (l'A. stesso amava richiamarsi al futurismo come origine delle proprie esperienze), alle quali tuttavia non faceva riscontro la scolastica impastazione urbanistica del complesso.
Nel 1928 l'A. partecipò al concorso per il palazzo delle Poste e Telegrafi di Napoli con un progetto scenograficamente eclettico, che gli valse l'invito, rifiutato, al concorso di secondo grado.
Nel 1929 costruì a Roma alcune casette-modello per conto dell'I.A.C.P. nel quartiere Garbatefia, dove l'Istituto, in occasione del XII congresso della Federazione internazionale delle abitazioni e dei piani regolatori, aveva dato incarico all'architetto Plinio Marconi di disegnare la planimetria di un piccolo quartiere popolare, che venne poi realizzato mediante un concorso al quale aderirono vari gruppi di progettisti; le case dell'A., nella loro semplicità e nella chiarezza del loro impianto, costituirono una delle sue opere migliori e comunque l'episodio più felice del complesso. Nel 1927 l'A. aveva aderito alla costituzione del M.I.A.R. (Movimento italiano per l'architettura razionale), che si proponeva di introdurre in Italia la nuova dimensione operativa che caratterizzava il movimento moderno internazionale; le condizioni politiche, economiche e sociali del nostro paese resero assai spesso sterili i tentativi innovatori che si presentavano talora con caratteristiche ambigue, presenti anche nell'opera dell'A., specie nell'attività di urbanista.
Nel 1929, al congresso della Federazione internazionale delle abitazioni, già ricordato, vennero presentati al pubblico due progetti di piani regolatori per Roma: del gruppo "Urbanisti Romani" (Piacentini, Piccinato, Nicolosi, ecc.) e del gruppo "La Burbera" (Giovannoni, Fasolo, Limongelli, Venturi, Aschieri, Giobbe, Boni, Foschini, Del Debbio, Neri). Quest'ultimo proponeva fra l'altro la devastazione del centro barocco della città mediante due sventramenti ortogonali (un "cardo" e un "decumanus"), al cui incrocio era prevista un'enorme piazza creata con la distruzione di una vasta porzione del tessuto urbano fra via di Propaganda Fide, via della Mercede, via del Gambero e via Frattina: retorico ed anacronistico progetto che non venne attuato.
Sempre del 1929 è l'opera più significativa dell'attività dell'A.: il pastificio Pantanella a Porta Maggiore, in Roma, anche se nel rigoroso geometrismo compositivo è evidente il tentativo di simbolizzare le caratteristiche funzionali dell'edificio.
In questa, come nelle opere che seguono, l'A. tenta una mediazione fra la raziorializzazione elementaristica propria delle esperienze italiane che si richiamavano al movimento moderno e le esigenze espressive invocate dagli architetti accademici: così egli sviluppa una ricerca tesa a modellare superfici e volumi mediante un trattamento decorativo degli stessi elementi architettonici, che richiama sia esempi del tardo espressionismo tedesco sia esperienze "novecentiste"italiane, in una simbiosi la cui ambiguità concettuale viene riscattata da una convinta partecipazione personale.
Le numerose case di abitazione costruite dall'A. in Roma, a corso Trieste, sulla via Salaria, in via Dandolo, in piazza della Libertà 20 (questa, del 1930, si può considerare senz'altro la migliore opera dell'A. nel campo dell'architettura domestica), dimostrano quanto ora si è detto, sia nel risalto dato agli elementi di facciata (ingressi e balconi), sia nella composizione degli spazi interni di un particolare gusto scenografico che è una delle non ultime componenti delle sue esperienze. L'intensa attività svolta appunto nel campo della scenografia teatrale e cinematografica (l'A. insegnò tale disciplina presso la facoltà di architettura di Roma, dal 1938, e presso il Centro sperimentale di cinematografia dal 1935 al 1937), può aiutare a comprendere tale aspetto della sua architettura e il richiamo alle esperienze futuriste.
Della sua attività scenografica si ricordano, oltre alle scene e ai costumi per i film Nerone (1922) e Scipione l'Africano (1937) e i bozzetti scenici e figurini per il Nabucco al Maggio fiorentino (1933), scene per: Fedra di Pizzetti (Roma, Teatro Reale dell'Opera, 1935; ne fu anche regista), Suor Angelica, Gianni Schicchi di Puccini (ivi, 1935), Mosè di Rossini (Firenze, Maggio Fiorentino, Teatro Comunale, 1935), Alceste di Gluck (ivi, Boboli, 1935 e Roma, Teatro dell'Opera, 1936), Lucrezia di O. Respighi (Milano, La Scala, 1937), I giganti della Montagna di Pirandello (Firenze, Maggio Fiorentino, Boboli, 1937), Gloria di Cilea (Roma, Teatro Reale dell'Opera, 1938), Turandot di Puccini (Milano, La Scala, 1938), Salomè di Strauss (Roma, Teatro Reale dell'Opera, 1939), Aiace ed Ecuba di Euripide (Siracusa, Teatro Greco, 1939), Rigoletto diVerdi e Tosca di Puccini (Verona, Arena, 1939).
Nel 1932 partecipò insieme con E. Montuori al concorso per la stazione di Firenze, presentando un progetto nel quale il monumentalismo dell'impianto veniva equilibrato da una sobrietà volumetrica che riscatta in gran parte anche altre opere dello stesso periodo, quali la Casa di lavoro per ciechi di guerra (Roma 1931), l'Istituto di statistica, l'Istituto di chimica alla città universitaria di Roma (1934).
Nel 1933 presentò al concorso per la stazione marittima di Napoli un progetto nel quale venivano abbandonati i moduli classicistico-monumentali ancora presenti nelle opere sopra citate, per aderire ad una più rigorosa modernità d'impianto, vivificata da un!espressiva articolazione volumetrica; nel 1935 partecipò con V. Morpurgo al concorso per un ponte sul Tevere davanti al Foro Mussolini (od. Foro Italico), adottando una soluzione corretta e priva di retorica. Nel 1935 ricevette la medaglia d'oro e il Grand Prix all'Esposizione internazionale di Bruxelles.
Il progetto redatto insieme con Bernardini e Peressutti per il concorso per il Palazzo dei ricevimenti e congressi, indetto dall'Ente dell'Esposizione 1942 di Roma, segna al contrario il ritorno a un monumentalismo e ad un esibizionismo scenografico privi della misurata e quasi ironica qualificazione espressiva delle sue opere migliori, difetti ancor più evidenti nel progetto presentato al concorso di secondo grado. Fra le sue ultime opere ricordiamo il palazzo della Civiltà italiana all'Eur, perfettamente ambientato nella parata scenografica che caratterizza tale infelice complesso. Obbligato all'inattività a causa di una lunga e dolorosa malattia, l'A. si spense a Roma l'11 Marzo 1952.
Bibl.: R. Papini, Il concorso per il quartiere dell'Artigianato in Roma,in Architettura e Arti decorative,VI(1926-27), 1, pp. 67-86; R. Marconi, Concorso per il piano regolatore della città di Brescia, ibid.,VII (1927-28), 1, pp. 251-270; Il concorso per il palazzo delle Poste e Telegrafi a Napoli, ibid.,IX(1929-30), 1, pp. 3-26; Casette modello dell'Istituto Case Popolari di Roma alla Borgata Giardino Garbatella, ibid.,pp. 254-275; Casa sul Lungotevere, in Casabella,V (1932), n. 60, pp. 12-19; M. P. e N. d. R., La nuova casa di lavoro per i ciechi di guerra,in Architettura,XI(1932), pp. 3-26; R. Pacini, La città universitaria di Roma, ibid., XII (1933), pp. 475-495; La Quadriennale Rmnana, ibid., XIV(1935), pp. 137-140; Progetto per la Piazza e la Mostra della romanità all'E 42, ibid.,XVIII (1939), numero speciale, pp. 46 s.; V. B. Morpurgo, P. A.,in Rass. critica di Architettura, IV (1951), n. 22, p. 2; G. Caniggia, Il clima architettonico romano e la città universitaria, in La Casa,VI(1959), pp. 272-299; P. Marconi, P. A. architetto romano (1889-1952), in Architettura. Cronache e Storia, VII (1961-1962), pp. 204-207, 348-351, 420-423, 492-495, 564-567, 636-639, 708-711, 780-783, 852-855; Enciclopedia Italiana, Appendice I,p. 167; H. Vollmer, Alliem. Lexikon der bildenden Künstler des XX. Jahrhs., I,p. 72; Enciclopedia dello Spettacolo, I,coll.998 s.