ADAMI, Pietro Augusto
Nacque l'11 luglio 1812 a S. Giovanni all'Avena (Pisa), da David o Dario, noto commerciante di valori, e da Teresa de Coureil. In Livorno aveva fondato una banca di commercio, una delle più floride in Toscana. Il 27 ott. 1848, alla costituzione del governo Montanelli, fu da Leopoldo II nominato ministro delle Finanze, del Commercio e dei Lavori pubblici. Eletto il 23 nov. 1848 deputato al Consiglio generale della Toscana, dopo il suo scioglimento fu eletto nell'Assemblea costituente il 15 marzo 1849. Rimase nel Governo provvisorio costituito da Guerrazzi, Mazzoni e Montanelli (8 febbraio), e col Guerrazzi, dopo che questi fu dall'Assemblea proclamato dittatore (28 marzo). Escluso dall'amnistia dopo la restaurazione, si recò a Marsiglia. Di là passò a Genova, e poco dopo tornò in Toscana come testimone al processo intentato al Guerrazzi; ma, accusato di abusi nell'esercizio della carica di ministro, dovette subire nove mesi di carcere, finché non fu riconosciuta la sua correttezza amministrativa. Tornò allora alla direzione della sua banca.
L'A. fu poi tra quanti, democratici nel '48-'49, si orientarono nettamente nel '59-'60 a favore della monarchia piemontese. Nel '58 mise a disposizione del Cavour la propria organizzazione bancaria perché potesse essere lanciato in Toscana il prestito del governo subalpino; dopo la pacifica rivoluzione toscana del 27 apr. 1859, nominato membro della Consulta (11 maggio) ed eletto deputato all'Assemblea dei rappresentanti della Toscana (7 agosto), fu tra i nove firmatari della proposta presentata il 16 agosto dal marchese Girolamo Mansi, che esprimeva il "voto della Toscana di far parte di un forte Regno Italiano sotto lo scettro costituzionale del Re Vittorio Emanuele"; fece poi parte della deputazione (3 settembre) che presentò al re il voto dell'Assemblea. Nel 1860 aiutò finanziariamente la spedizione dei Mille, soprattutto sovvenzionando i volontari che partirono da Livorno.
In stretti rapporti con Garibaldi, fin dal giugno del '60 iniziò con lui trattative per la concessione della costruzione delle ferrovie siciliane, costituendo, con Adriano Lemmi, suo congiunto e anch'egli banchiere livornese, la "Società Italica Meridionale". Dopo essere entrato in Napoli, Garibaldi concesse alla società livornese (25 sett. 1860) l'appalto non soltanto per la Sicilia, ma per tutto l'ex regno borbonico.
Il contratto, redatto dal Cattaneo, firmato tre giorni dopo da A. Bertani, segretario generale della dittatura, sollevò vivacissime polemiche. Il governo dittatoriale, non consultato, si dimise, e alla Camera di Torino, nella seduta del 6 ottobre, Carlo Poerio interpellò il presidente del Consiglio sulla validità del contratto: il Cavour rispose di ritenere che la concessione eccedesse i limiti del potere dittatoriale. A ciò si aggiungeva il fatto che il 24 ag. 1860 il ministero costituzionale di Francesco II aveva già concesso alla società Gustave Delahante gran parte delle linee ora assegnate all'A. e al Lemmi.
L'A. e il Lemmi accettarono nuove condizioni, permettendo a Garibaldi di modificare il 13 ottobre il primitivo decreto. L'intera questione fu portata l'anno seguente in parlamento da U. Peruzzi, ministro dei Lavori pubblici, col quale l'A. il 30 apr. 1861 aveva firmato una nuova convenzione. Con ulteriori modifiche questa fu approvata il 13 luglio dalla Camera e il 21 luglio dal Senato: alla Società Italica Meridionale venne affidata la costruzione delle ferrovie da Taranto a Reggio Calabria, da Messina a Siracusa e da Palermo a Catania, con una diramazione fino ad Agrigento, per un complesso superiore ai 900 chilometri.
Ma l'A. non poté realizzare l'opera; in difficoltà finanziarie, cedette la maggioranza azionaria della propria compagnia alla società "Vittorio Emanuele", finanziata da Ch. Lafitte, che ottenne dal governo, nel luglio 1863, previo scioglimento della società già dell'A., la costruzione e l'esercizio delle "strade ferrate calabro-sicule",da cui derivò la denominazione della nuova società. Poiché le condizioni finanziarie dell'A. andarono sempre più peggiorando, egli dovette rinunciare all'attività bancaria e ridursi all'umile ufficio di magazziniere della Regìa dei tabacchi, prima a Ferrara, poi a Livorno e infine a Pisa, dove risiedé dal 1867 e mori il 17 dic. 1898.
Fonti e Bibl.: Atti e documenti editi e inediti del Governo della Toscana dal 27 aprile in poi, II, Firenze 1860, pp. 128-129; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, Sess. 1860, pp. 923-924; Sess. 1861, I, pp. 583-617; II, pp. 1185-1186 e 2021-2043; Documenti, Sess. 1863-64, II, pp. 1153-1162; Le Assemblee del Risorgimento, Toscana, I, pp. XXXI, XXXIV; II, pp. 382, 438; III, pp. 458-459, 475, 509, 639, 657; F. Ranalli, Le istorie italiane dal 1846 fino al 1853, II, Firenze 1855, p. 485; C. Cattaneo, Sulla concessione delle ferrovie di Napoli e Sicilia. notizie estratte dai documenti, in Il Politecnico,X (1861), pp. 77-92; E. Poggi, Memorie storiche del Governo della Toscana nel 1859-60, I, Pisa 1867, pp. 225, 235; F. Pera, Quarta serie di nuove biografie livornesi, Siena 1906, pp. 49-52; F. Martini, Il Quarantotto in Toscana, Firenze 1918, pp. 371-372; E. Michel, A. P. A., in Diz. del Risorg. naz., II, Milano 1930, pp. 14-15. C. De Biase, Il problema delle ferrovie nel Risorgimento Italiano, Modena 1940, pp. 161-162, 188.