BALBI, Pietro
Nacque verso la metà del sec. XV da Alvise, patrizio veneto. Fu uno dei principali esponenti del gruppo dirigente che resse le sorti della Repubblica di Venezia ai tempi della lega di Cambrai. Nel novembre del 1496 lo troviamo già savio del Consiglio, e da allora lo possiamo seguire nel suo continuo avvicendamento nel Collegio e nel Consiglio dei Dieci, per mezzo del quale poteva rimanere senza interruzione al governo dello stato, nonostante la breve durata delle singole magistrature.
Dall'ottobre 1498 all'agosto 1499 è membro dei Consiglio dei Dieci e diverse volte capo dello stesso. Nel settembre è eletto savio di Terraferma, nel gennaio 1500 savio dei consiglio e, conservando tale carica, nell'aprile, provveditore sopra l'esazione del denaro. Nel giugno è eletto nella giunta del Consiglio dei Dieci, e poco dopo savio del Consiglio. Nel settembre dello stesso anno il B., come altri responsabili della politica veneziana, non riuscì eletto al Consiglio dei Dieci e neppure in altre cariche, perché, nota il Sanuto, il patriziato era malcontento del Collegio "per le poche provision fatte" nella guerra contro i Turchi. Il 7 ottobre tentò di farsi eleggere nella giunta del Consiglio dei Dieci, e rimase ancora sconfitto. Ma l'oligarchia di governo fece in modo che alcuni dei suoi membri principali non venissero esclusi dagli affari pubblici: la sera stessa il Consiglio dei Dieci si aggregò una nuova giunta, di cui faceva parte anche il Balbi.
Egli continuava a raccogliere lo sfavore della maggioranza dei nobili (lo stesso mese veniva eletto, con l'obbligo di accettare, all'ingrato incarico di sovraintendere alla vendita dei beni sequestrati ai debitori morosi del fisco), mentre l'aristocrazia senatoria sembrava non poter rinunciare alla sua opera e lo ammetteva eccezionalmente, con voto unanime del Senato, ad intervenire alle riunioni di questo. Finalmente nel gennaio 1501 fu eletto savio del Consiglio e nel marzo savio di Terraferma. Nell'agosto di quell'anno fu escogitato un nuovo espediente per impedire l'allontanamento dal governo di alcune personalità eminenti: il Consiglio dei Dieci deliberò di eleggere per due anni tre savi sopra le acque, che non potessero essere tolti per altri offici e avessero facoltà di intervenire alle riunioni del Consiglio dei Dieci. Tra gli eletti figura anche il B., il quale il 30 settembre compare tra i quarantuno elettori del doge Loredan. Nel luglio del 1502 fu prescelto come oratore al sultano, ma rifiutò.
Eletto successivamente luogotenente in Cipro, il B. prese possesso dell'ambita carica il 16 nov. 1503. Ritornò a Venezia il 1° maggio 1506 "con ottima fama" e riprese subito il suo posto nel governo della Repubblica, prima come savio del Consiglio, poi come consigliere. Dopo aver partecipato nel maggio del 1507 alle trattative con l'ambasciatore del sultano per un accordo commerciale sui traffici con Alessandria, agli inizi di luglio assunse la carica di capitano di Padova, che tenne per un anno e mezzo. Appena ritornato, fu dal 1° dic. 1508 consigliere, e ricopriva ancora tale carica quando, cominciata la guerra della lega di Cambrai, in seguito alla rotta di Agnadello (14 maggio 1509), Venezia perse quasi completamente la terraferma. Poco dopo Padova fu riconquistata, e il B. ne fu eletto podestà il 22 luglio, pur assumendo la carica soltanto il 15 agosto, dopo aver frapposto, dicendosi ammalato, un dannoso indugio che sollevò molto malumore tra il patriziato. Il B., "qui erat pro civibus Padue malus et crudelis", commenta un cronista padovano, si distinse nella repressione contro la nobiltà di Padova ribelle alla Repubblica e nella difesa della città, durante il memorabile assedio posto dagli imperiali, al fianco del provveditore generale Andrea Gritti.
Il B. lasciò il reggimento di Padova nel febbraio del 1510, essendo stato eletto il 30 dicembre dell'anno precedente capitano generale da mar.
La sua elezione non era un riconoscimento di particolari virtù militari, che non pare possedesse, bensì il risultato di uno scrutinio dominato dall'incertezza degli elettori, i quali non potevano orientarsi su alcun candidato che fosse all'altezza del compito. In realtà il B. non esercitò mai effettivamente il comando, e neppure armò la flotta: rimase sempre a Venezia, intervenendo frequentemente, in virtù dell'ufficio, nel Collegio e in Senato.
Nell'ottobre, deposta l'inutile carica militare, riprese la consueta trafila nelle massime magistrature: il 4 fu eletto uno dei tre sopra i debiti, e il giorno dopo savio del Consiglio. Il 5 dicembre, eletto oratore a Costantinopoli, rifiutò "attento il mal suo, e volea mostrar la gamba", e la sua scusa fu accettata di stretta misura. Nel dicembre 1510 e nel marzo 1511 fu ancora eletto savio del Consiglio. Il 14 luglio 1511 il Senato deliberò di fare una giunta di tre savi al Collegio, perché nelle ultime elezioni alcuni dei più autorevoli patrizi ne erano stati esclusi. La proposta passò con stretto margine, perché vi era molta ostilità verso questi espedienti usati dall'oligarchia dominante per mantenersi al governo: nella giunta figura il B. che poi il 29 settembre riuscì regolarmente savio del Consiglio. Il 13 novembre fu eletto ancora ambasciatore al sultano, ma rifiutò.
In questo periodo il B., come la maggioranza del patriziato, era fautore di una politica molto prudente, imperniata soprattutto sull'accordo col papa. Tra il dicembre 1511 e il febbraio successivo sostenne la necessità di accettare la mediazione papale per condurre trattative di pace con Massimiliano I, e di giungere, pur di ottenere un esito favorevole, fino alla cessione di Verona o Vicenza e al pagamento di un'indennità di 20.000 ducati. Il 4 marzo 1513, quando in senato Antonio Grimani, procuratore di S. Marco e futuro doge, propose di approfittare della sede papale vacante per occupare Ravenna e le altre località della Romagna perdute in seguito alla lega di Cambrai, egli si oppose per primo alla proposta, riuscendo a farla respingere, nonostante avesse trovato l'appoggio di altri autorevoli senatori, tra i quali Marin Sanuto, il diarista.
Il B., che era stato ancora nel 1512 savio del Consiglio e poi membro della giunta del Consiglio dei Dieci, fu eletto il 28 giugno 1513 tra i dieci oratori che dovevano recarsi a Roma per rendere omaggio a Leone X dopo la sua ascesa al soglio, ma che poi non andarono in seguito al peggioramento dei rapporti tra la Repubblica e il papa. Nell'ottobre entrò contemporaneamente nella giunta del Consiglio dei Dieci e in una delle consuete giunte straordinarie del Collegio. Nello stesso mese fu inviato assieme a Domenico Trevisan presso Bartolomeo d'Alviano, per rincuorarlo dopo la sconfitta della Motta, assicurargli la fiducia della Repubblica e affiancarlo nella condotta delle operazioni. Assolvendo tale missione il B. si trovò tra i difensori di Padova, quando poco dopo la città fu nuovamente cinta d'assedio. Ritornò a Venezia il 6 febbr. 1514, ammalato gravemente, e non si risollevò più. Morì il 23 apr. 1514, pochi giorni dopo essere stato eletto per la seconda volta capitano generale da mar.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di rettori,B.a 288, ff. 14-43, passim (dispacci da Cipro); B.a 80, ff. 65, 158-202, passim (da Padova); il testamento del 12 apr. 1514 è in Sez. notarile, Testamenti Bossi,B. a 53, n. 464; cfr. inoltre, nel medesimo archivio: M. Barbaro, Arbori de patritii veneti, I, p. 115; M. Sanuto, Diarii,voll. I-XVIII, Venezia 1879-1887, passim; G. Priuli, Diarii, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXIV, 3, vol. IV, a cura di R. Cessi, pp. 167 s. e passim,e in appendice i dispacci di Andrea Gritti e dei rettori durante l'assedio di Padova del 1509; I. Bruto, Annalia quaedam, in A. Gloria, Di Padova dopo la lega stretta a Cambrai, Padova 1863, p. 60; P. Zanetti, L'assedio di Padova del 1509,in Nuovo arch. veneto, II, 1 (1891), pp. 72 s.