BATTISTI, Pietro (Pietro Battista)
Nacque nella prima metà del sec. XVII; scarse sono le notizie che abbiamo sulla sua vita. Fu predicatore dell'Ordine dei frati minori e scrisse una Scala dell'anima per arrivare in breve alla contemplatione, perfettione et unione con Dio, che uscì a Perugia nel 1674 e fu ristampata l'anno seguente a Macerata con una dedica alla nobile signora Maurizia (o Maurilia) Ferri in Palmucci e una lettera esortativa ad alcune figlie spirituali del Battisti. Nella dedica di quest'opera egli si dice imparentato con le famiglie dei Palmucci e dei Ferri, che occupavano una posizione di primo piano a Macerata. Il B. morì a Perugia secondo il Vermiglioli il 13 luglio 1677, secondo il Wadding nel 1687.
In base a un decreto del Santo Uffizio del 9 maggio 1689, la Scala, il29 nov. 1689, veniva proibita e messa all'Indice, con tutta una serie di opere che erano in circolazione già da quindici-venti anni e che, come questa, trattavano quasi tutte del "metodo breve" per arrivare alla contemplazione. Le dottrine quietiste infatti erano state diffuse nell'Umbria e nelle Marche da un sacerdote di Trevi, il Lambardi, che nel 1672 le aveva introdotte a Osimo e a Spoleto; sia il Tribunale del S. Uffizio di Perugia sia quello di Roma, d'altra parte, non avevano mancato da tempo di intervenire.
L'operetta è scritta in uno stile rapido, spoglio ed essenziale, con un linguaggio asciutto e persino arido, privo di unzione e di fiori retorici o di barocchismi, solo qua e là ravvivato da qualche rara immagine piuttosto efficace. Secondo una ripartizione ormai classica in opere del genere, si divide nei seguenti tre trattati: I "Dell'orazione, con le sue parti e affetti" (culminante nell'orazione di quiete); II "Esercizi spirituali della vita purgativa, per salire in cielo, per i suoi gradi, alla contemplazione" (e consistono essenzialmente nel fare in tutto la volontà di Dio); III "Fabbrica spirituale" (basata sopra la spropriazione totale di noi stessi per trasformarci in Dio). L'autore assicura che chiunque "calcherà" umilmente, con la debita applicazione dello spirito, i vari gradini della Scala da lui proposta, con l'aiuto divino "in pochi mesi", benché "viatore", potrà godere dolcezze indicibili di Paradiso e, "trasformato infallibilmente" nel celeste Sposo e deificato, giungerà a un'unione delle maggiori concesse in questo mondo ai viatori chiamata "divina pati". Detta unione è caratterizzata da un'estasi di volontà, assai più sicura e più perfetta dell'estasi dell'intelletto, "perché, spiega il B., come l'intelletto estatico, usato fuor di se stesso, intende non perintellezioni naturali, ma per l'infuse e soprannaturali, così la volontà in questo stato non vuole con le sue naturali volizioni, ché non l'ha più, ma con le divine; essendo uscita fuor di sé, attratta in Dio, il quale colà dentro opera col suo senso passivo e libero di lei". Vi si perviene attraverso una tecnica facile a intendere e applicare, che consiste sostanzialmente nel creare uno stato di quiete passiva totale, a mezzo di una graduale mortificazione dell'amor proprio e di un abbandono passivo alla volontà di Dio, sostituendo via via in tutte le nostre operazioni l'azione di dio e la sua volontà alla nostra, fino ad arrivare alla rinunzia totale del libero arbitrio: "È tanto grande la virtù della libertà c'ha la natura, ch'ella può rinunziare a tutto il suo volere e libertà, e affatto spogliarsene come se non l'avesse, e ciò spontaneamente". Senonché anche qui è necessario giungere alla passività totale, "perché così come ogni agente agendo repatisce, così paziente in patire riopera". Resta dunque da spogliarsi anche di quest'atto, volendo il tutto con la volontà di Dio, a imitazione di Cristo nell'orto: "non mea voluntas, sed tua fiat", quasi volesse dire: "Padre Eterno, la mia volontà voleva patir croce e morte, ma io rinunzio anco questo, e il patire che farò non lo voglio perché la mia volontà, benché santissima, lo voglia, ma solo perché la tua lo vuole, e alla mia in tutto rinunzio".
Dunque, anche il B. appartiene alla tradizione della "via breve", della "via facile", del "compendio", del "moyen court" per giungere alla unione trasformante e alla "perfezione" tramite l'abdicazione totale al libero arbitrio; tradizione ormai antica, rappresentata nel '300 sia dalla pseudo Caterina da Siena del Dialogo breve, sia dalla pseudoeckartiana Schwester Katrei, gravitanti entrambe nell'orbita domenicana; tradizione portata alle estreme conseguenze dai begardi, e ripresa in pieno nel '600 dal movimento quietista. Da noi tale tradizione culminerà nel '500 nel famigerato Breve Compendio del gesuita Achille Gagliardi, il quale anche lui, tramite fra' Battista da Crema, si riallaccia a una tradizione domenicana ancora poco esplorata. Appunto al Breve Compendio il nostro francescano si ispira, non solo nello stile tacitiano, ma in tutta la dottrina, ricalcandone addirittura alla lettera, senza minimamente menzionarlo, lunghi brani, specie nel III trattato. Secondo i seguaci di questa corrente di pensiero mistico la trasformazione in Dio è frutto di una nostra tecnica precisa, chiara, facile e infallibile, assai più che non un'operazione misteriosa e libera della grazia divina; consiste in ultima analisi nell'annichilazione totale e ultima della persona umana, rappresentata dalla sua libera volontà, concepita da costoro come essenzialmente e tutta peccaminosa, e nella presa di possesso totale in noi della volontà divina, sostituitasi alla nostra. Le conseguenze sono facili da trarsi: qualunque cosa l'uomo così annichilato voglia e operi, è Dio che in lui vuole e opera, e cessa quindi nell'uomo ogni vita morale indipendente. Conclude infatti il B. la sua operetta: "Così accade nell'Anima, ch'è giunta al terzo stato, in cui non è più la sua volontà ma solo quella di Dio, e si fa tutto come prima, ma con la divina volontà; e così l'Anima, con tal rinunzia (al libero arbitrio), si assorbisce in Dio, e del tutto perduta in sé, resta nella volontà di Dio sommamente trasformata e deificata".
Bibl: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 539 s.; G. B. Vermiglioli, Biogr. d. scrittori perugini, I, Perugia 1828, p. 202; Wadding-Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci..., III, Romae 1936, p. 287; M. Petrocchi, Il quietismo italiano del Seicento, Roma 1948, pp. 9, 55 s., 113, 117.