BELLI, Pietro
Nacque a Lecce forse verso il 1680, secondo le notizie biografiche riferite dal D'Afflitto. Studiò e si laureò presso l'università di Napoli, donde fece presto ritorno alla città nativa, dedicandosi all'attività letteraria, con speciale interesse allo studio della lingua latina. A Lecce sposò (sempre secondo il D'Afflitto) Isabella Castriota Scanderbeg.
Pastore arcade col nome di Ario Idumeneo, fu guidato nella sua opera poetica dal gusto e dalle idealità artistiche dell'accademia di cui era membro. Vari suoi componimenti comparvero nelle raccolte delle Accademie leccesi degli Speculatori e degli Spioni (Lecce 1747, p. 55) cui era iscritto, ma il suo vasto canzoniere non fu probabilmente mai pubblicato e ne rimane traccia soltanto per qualche testimonianza indiretta.
Intorno al 1730 si decise ad abbandonare definitivamente Lecce e a trasferirsi a Napoli. Portava con sé la traduzione in volgare della Syphilis sive de morbo gallico del Fracastoro, e sembra che per primo portasse a termine l'impresa cui si accingeranno, nello stesso giro di anni, Sebastiano degli Antoni, Antonio Tirabosco e Vincenzo Benini.
Inseritosi nell'ambiente colto della città partenopea, nella quale fu ospite del consigliere Cesare Bosco, ebbe modo di avvicinare e frequentare G. B. Vico, e fu proprio il Vico, forse perché debitore verso il gentiluomo leccese per qualche aiuto in "urgenti bisogni", a compilare per conto del B. la dedica della traduzione a mons. Ernesto von Harrach (La Sifilide di Girolamo Fracastoro, tradotto da P. B. e dedicata all'eccellentissimo e reverendissimo signor Ernesto de' conti d'Harrach, Auditore della Sagra Ruota Romana, in Napoli 1731).
Non -mancano in questa prosa vichiana originali asserzioni sopra, l'"ampia scienza sublime del Diritto naturale", e nemmeno difetta il tentativo, seppur limitato nei confini necessariamente angusti dello scritto d'occasione, di dar rilievo al nesso esistente fra storia del diritto naturale e storia filosofica dell'umanità. "Ma particolare rilievo - annotava acutamente il Croce - merita quel che segue, cioè il legame che Vico riconosce ed enuncia tra la scienza dell'umanità e la politica della libertà" in una pagina "che si direbbe gli piacesse di nascondere nella dedicatoria di un libro estraneo e sotto altro nome". Meno interessante è la seconda prosa vichiana premessa allo scritto del B.: la prefazione, ove tuttavia si colgono interessanti giudizi sui traduttori nella "toscana poesia", da Giovanni della Casa al Bembo, da Giovanni Andrea dell'Anguillara al Caro, al Bentivoglio, fino al Marchetti, traduttore di Lucrezio, su cui il Víco esprime un parere negativo, del resto perfettamente conforme al giudizio che dava anche dell'originale.
La traduzione del B., decorosamente atteggiata alla didascalica solennità dell'originale, si ricorda ancora in forza dell'autorità indirettamente attribuitale dalle due prose vichiane. Di per sé è un modesto esempio di poesia didascalica conforme al gusto classicheggiante e scientifico del Settecento.
Il B. morì a Napoli il 20 ag. 1751.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 676; E. D'Afflitto, Mem. degli scrittori del Regno di Napoli, II Napoli 1794 p. 90; G. B. Vico, Opuscoli, in Opere ordinate e illustrate da G. Ferrari, VI, Milano 1852, p. 130 s.; A. Foscarini, Catal. degli scrittori salentini, Lecce 1894, p. 27; B. Croce, Aneddoti di varia letter., II, Bari 1953, pp. 222-231; D. G. Paladini, Guidadi Lecce, Lecce 1952, pp. 167 ss.