BERETTA, Pietro
Nato a Gardone Val Trompia (Brescia) il 22 apr. 1870 da Pier Giuseppe e da Caterina Moretti, alla sua attività è legato lo sviluppo moderno della antica fabbrica d'armi della famiglia.
Sin dal sec. XV compaiono diversi Bereta, Beretta, Berretta armaioli, bresciani o milanesi; nulla però risulta su una loro eventuale origine comune. I Beretta gardonesi provengono, molto probabilmente, da Inzino, frazione di Gardone. Lì era la vecchia fucina, datata 1500 sull'architrave, che andò distrutta dall'inondazione del 1850. A partire dal 1570 i Beretta compaiono in elenchi bresciani come "patroni" degli "edifici da fogo" (proprietari cioè delle fucine da cui uscivano le canne grezze trivellate) e come "capi maestri" (cui competevano, cioè, i diversi processi di lavorazione dell'arma), prevalentemente come "maestri da ruote" e "maestri azzalinieri", che fabbricavano i congegni d'accensione.
La fabbrica risale al 1680, a un Pietro di Lodovico, che era nato nel 1648 ed ebbe otto figli. Venivano costruite canne per archibugio e pistola, dapprana "a torcione", poi "a nastro" e più tardi "a damasco"; venivano anche prodotti alcuni pezzi di particolare pregio e lusso. Nella direzione si successero: Pier Giuseppe, nato il 18 genn. 1680; Pier Antonio Lodovico, nato il 26 marzo 1729; Pier Antonio, nato il 18 giugno 1791 e morto il 29 sett. 1853; Pier Giuseppe, nato il 27 giugno 1840 e morto il 24 giugno 1903.
La fabbrica fornì armi da fuoco alla Repubblica veneta, e, dopo la caduta di questa, all'esercito napoleonico, mentre il dominio austriaco segnò invece un periodo di stasi. Nel corso del secolo ricevette numerosi e ufficiali riconoscimenti: venne premiata tra l'altro all'esposizione universale di Parigi dell'anno 1855 e alla mostra che ebbe luogo a Brescia nel 1857.
Il B. aveva assunto la direzione dell'azienda alla morte del padre, nel 1903. Reduce da un viaggio all'estero compiuto per studiare i più moderni metodi di fabbricazione, procedette alla ristrutturazione industriale della fabbrica, e avviò quel processo di continua revisione e aggiornamento della produzione che doveva divenire tipico della ditta. Iniziò, dapprima la costruzione su larga scala di armi da caccia, che raggiunsero una discreta espansione anche sulle stesse concorrenti piazze estere. Un notevole incremento il B. ricevette, con la prima guerra mondiale, dalle commesse militari. La consistenza della mano d'opera, che può dare un'indicazione indiretta del volume della produzione, e che nel 1903 era di 118 operai impegnati nella fabbricazione di armi da caccia, passava tra il 1914 ed il 1918 da 120 a 300 operai, impegnati nella produzione militare dei fucili mod. 91 e delle pistole mod. 915.
Nel 1915 infatti era stata costruita la nuova pistola automatica mod. 915, adottata l'anno stesso dall'esercito italiano per l'armamento degli ufficiali. Più leggera, precisa, robusta e semplice di altri tipi, aveva cane interno e cal. 9. Quest'arma subì poi una serie di modifiche (negli 1818., 1921, 1934, 1935) sia nella struttura (cane esterno anche in funzione di sicura; canna fissa)sia nel calibro (7,65) a seconda delle esigenze militari e di mercato.
Nel 1918 veniva prodotto il primo fucile mitragliatore italiano, denominato "a siringa", subito adottato dalle truppe d'assalto italiane. L'arma fu il capostipite, attraverso notevoli modifiche, del mitra mod. 938 e dei suoi derivati. Nello stesso anno veniva immessa sul mercato la pistola da difesa mod. 418, tascabile, in cal. 6,35, a doppia sicura, a cane interno, che solo nel 1950 sarà sostituita dal mod. 950 a cane esterno e calibri 6,35 e .22 short.
Nel dopoguerra il B., che fu nominato cavaliere del lavoro il 9 apr. 1922, preferì non smobilitare l'azienda e concentrare invece la produzione su moderni tipi di fucile da caccia.
Nel 1922 la ditta produsse il mod. 412, monocolpo Hammerless (batterie interne) pieghevole, calibri dal 12 al 36, seguito poi dai derivati 413, 413 bis e 414. L'anno dopo veniva prodotto il mod. 401 Vittoria (cui seguirono i derivati 403 e 404), il primo fucile a due canne della ditta, a cani esterni e sistema monobloc.
Con questo sistema - adottato da allora nei fucili da caccia Beretta - le canne si innestano in un manicotto completo di ganci di chiusura e di prolungamento della bindella, ricavato in un unico blocco d'acciaio. Alla maggior resistenza ed elasticità della camera di scoppio si accompagna un fissaggio delle canne così solido da permettere la saldatura dolce delle bindelle, in modo da non aversi alterazioni metalliche e meccaniche delle canne stesse.
Sempre nell'anno 1923 veniva prodotto l'Hammerless monobloc a due canne mod. 409PB, seguito poi dai derivati 410, 410 E e 411.
L'attività della ditta non risenti della crisi degli anni '30; inoltre, l'accentuarsi della politica italiana di potenza armata permetteva al B. di programmare ampliamenti ed espansione della produzione. Nel 1932 veniva lanciata sul mercato la prima carabina a ripetizione ordinaria in cal. .22 L R, cui seguirono le .22 L R a tiro semiautomatico con caricatore da 5, 10, 20 colpi. Nel 1934 veniva prodotto il primo fucile a canne sovrapposte di produzione italiana, monobloc, batterie tipo Holland, mod. S01, seguito anch'esso poi da altri modelli derivati. Nel 1938 iniziava la produzione del moschetto automatico ("mitra" mod. 38), che fu adottato largamente dall'esercito italiano.
La consistenza della mano d'opera, che nel 1934 era di 405 unità, impegnate nella fabbricazione di armi da caccia, pistole e mitra, ammontava già nel 1935 a 880 operai; nel 1939 era salita a 1400 dipendenti, impegnati nella fabbricazione di pistole, mitra e parti di mitragliatrici, per arrivare nel 1940 a 2400. Negli anni della seconda guerra mondiale la produzione mensile si aggirò sulle 20.000 pistole e sui 20-25.000 mitra.
Dopo l'armistizio dell'8 sett. 1943 il B. subì varie pressioni dall'autorità militare tedesca perché trasferisse gli impianti di lavorazione in Alto Adige. Riuscì a resistere, e riuscì anche a salvare l'azienda dalle distruzioni che colpirono gran parte dell'industria meccanica italiana, continuando l'attività lavorativa in officine allestite in gallerie.
Anche nel secondo dopoguerra il B. procedette a progressivi ammodernamenti e potenziamenti settoriali. Il 20 febbr. 1949 la ditta prendeva la nuova ragione sociale di "Fabbrica ital. d'armi P. Beretta S. p. A.", con capitale di lire 130 milioni, successivamente aumentato il 21 dic. 1953 a 260 milioni, e il 27 nov. 1954 a 404 milioni. Nel 1951 veniva prodotta la nuova pistola cal. 9 lungo parabellum, mod. 951, adottata dalle forze armate e dalla polizia italiana; nel 1955 veniva lanciato sul mercato italiano ed estero il primo sovrapposto economico (mod. S55), monobloc, batterie interne tipo Anson, che fu seguito dai derivati S55B, S56E, S57E; nel 1957 veniva prodotto il primo fucile italiano a ripetizione ordinario, denominato "Pompa". Nello stesso anno il numero di operai impegnati nella produzione ammontava a 1500.
Il B. morì il 1° maggio 1957 a Gardone Valtrompia.
Fonti e Bibl.: Notizie indispensabili per questa biografia sono state fornite dalla ditta: in particolare la successione dei proprietari, i dati sull'ammontare della mano d'opera e della produzione, e quelli sui vari modelli fabbricati. La casa parrocchiale di Gardone Valtrompia, dalla quale erano stati attinti i dati in possesso dell'archivio Beretta, fu distrutta da un incendio nel 1797, durante i moti insurr. della Val Sabbia e della Val Trompia; l'inondazione del 1850, radendo al suolo officine ed edifici, distrusse gli archivi della fabbrica. Esemplari di antiche armi Beretta sono in vari musei, dei quali qui si ricordano l'Armeria reale di Torino e la raccolta privata Beretta di Gardone Vai Trompia.
Per una prima notizia sulla fabbricazione delle armi da fuoco nel Bresciano, e sugli antichi "archibusari" Beretta, si vedano E. Malatesta, Armi ed armaioli, Milano s. d. (ma 1939), pp. 48-50 e bibl. citata, e Storia di Brescia, III, Brescia 1964. pp. 819-884, e particolarmente pp. 871 s. e 876. Si veda inoltre J. F. Støckel, Haandskydevaabens Bedømmelse, Kopenaghen 1943, I, p. 35; F. Negri, Il fucile da caccia, Firenze 1954, pp. 49-50, 57, 75, 151; A. Gaibi, Armi da fuoco ital., Milano 1962, pp. 111-112; J. Lugs, Handfeuerwaffen, II, Berlino 1962, pp. 66, 68, 81, 106, 122, 124; L. Musciarelli, Storia univers. delle armi da fuoco, Brescia 1963, pp. 296-300. Per i brevetti dal 1915 alla morte del B., si vedano Arch. Centrale dello Stato (al numero di registrazione) e Ministero Industria e Commercio, Ufficio Centrale Brevetti (al nome dei B.; a partire dal 1933). Si veda ancora M. Zanotti, Manuale di armi e tiro, Roma 1931, pp. 39-42; Artefici del lavoro italiano, I, Roma 1956, pp. 80-81; A. Giarratana, L'industria bresciana ed i suoi uomini negli ultimi 50 anni, Brescia 1957, pp. 31, 64-69.