BIZZARRI, Pietro
Nato nel 1525 in Umbria, egli si dice talora "Perusinus", talaltra "Sentinas", cioè di Sassoferrato Castello, come afferma il Giacobilli (Bibliotheca Umbriae, Fulgineae 1568, p. 221), basandosi sull'antico nome del fiume che scorre presso questa città. Sembra che trascorresse l'adolescenza e parte della giovinezza a Venezia, dove si sarebbe convertito ben presto (secondo la sua testimonianza, almeno a partire dal 1543) alla religione evangelica.
All'evangelismo egli approdò probabilmente passando attraverso l'influsso di Erasmo, la cui presenza era nell'ambiente veneto di quegli anni ben forte e viva e l'impronta del quale si riconosce nelle caute e rare espressioni del B. intorno alla religione, nella sua convinzione che esista un solo cristianesimo al di là della molteplicità dei riti, nelle sue speranze conciliari ed ecumeniche.
Le prime notizie precise intorno alla vita del B. risalgono al suo soggiorno inglese. In Inghilterra egli era già sullo scorcio della prima metà del secolo, essendo stato costretto, come dichiarava, a lasciare l'Italia a causa delle sue convinzioni religiose. Vi frequentava il circolo di Bernardino Ochino, dove era conosciuto come "Petrus Perusinus" e dove si trovò a contatto, fra gli altri, con Francis Russell, duca di Bedford. La protezione di questo gli valse l'ammissione al St. John's College di Cambridge: il 4 luglio 1549 una commissione regia incaricata di visitare l'università gli riconosceva lo stesso grado accademico che aveva avuto "in partibus transmarinis". A Cambridge conobbe probabilmente Martin Butzer, in morte del quale scrisse un componimento in versi latini. In seguito cominciò a frequentare la corte, mettendo la sua abilità di poeta e il suo talento oratorio al servizio di Edoardo VI e dei suoi cortigiani.
Sembra godesse anche della protezione di James Stuart, fratello di Maria di Scozia. La sua principale protettrice fu però la regina Elisabetta, alla quale il 5 dic. 1561 egli dedicò un trattato, De Principe, che si trova manoscritto al British Museum. Nello stesso anno la regina gli assegnò una pensione vitalizia annua di 80 ducati d'oro, che avrebbe continuato a correre sia che egli fosse in Inghilterra, sia che ne fosse lontano. Nel 1565 il B. era di nuovo a Venezia, dove fece stampare da Aldo un volume di componimenti vari e poesie. In quegli anni fu in corrispondenza con Annibal Caro e Bernardino Tomitano, che qualche anno prima aveva subito un processo per aver tradotto in italiano le parafrasi erasmiane del Vangelo di Matteo. La natura di questa corrispondenza non è tuttavia tale da consentirci di avanzare congetture circa l'ambiente che il B. aveva frequentato prima del suo trasferimento in Inghilterra e nemmeno di stabilire un legame fra lui e determinati circoli culturali italiani: si tratta di lettere occasionali, scritte al fine di ottenere da qualche personalità illustre un omaggio poetico per la regina Elisabetta (il Caro rifiutò allegando ragioni di salute, il Tomitano, Benedetto Varchi ed altri acconsentirono), che il B. si proponeva di includere nel volumetto aldino.
Il volumetto comprende: un trattato De optimo principe dedicato alla regina Elisabetta e leggermente diverso dal manoscritto conservato al British Museum; un trattato De bello et pace dedicato alla regina Maria di Scozia; tre discorsi Pro philosophia et eloquentia,Aemilii accusatio et defensio,Pro L. Verginio contra Ap. Claudium dedicati al duca di Bedford; e la raccolta delle rime, componimenti alquanto scialbi, dedicati quasi tutti a personalità della corte inglese. I tre discorsi non sono nulla di più di quelle esercitazioni retoriche che il loro titolo promette; i trattati dedicati alle due regine sono invece dei pamphlets composti a sostegno della politica di Elisabetta. Il primo è un'alquanto disgregata raccolta di luoghi comuni sulla figura del buon principe (che in parte ripropongono i temi della pubblicistica filoelisabettiana) e di consigli molto concreti di natura strategica e militare. Il secondo, diretto a distogliere Maria di Scozia dai propositi bellicosi e a indurla a un atteggiamento conciliante, è una compilazione talvolta quasi letteralmente fedele, ma non priva di garbo e di organicità, di temi pacifisti erasmiani. La compilazione presenta solo due tratti originali: il B. riprende tutti gli argomenti da Erasmo raccolti nel Dulce bellum inexpertis e nella Querela pacis contro la guerra in generale, dirigendoli contro la guerra civile: e inoltre esprime la speranza che l'organizzazione di incontri e discussioni in materia religiosa, analoghi a quelli che erano stati tenuti nel 1541 a Ratisbona, potesse metter fine al dilagare delle discordie e dei conflitti di carattere confessionale in Europa.
Nel 1567 il B. era di nuovo in Inghilterra e, ottenuta dal vescovo Jewel, su istanza dell'arcivescovo Parker, la prebenda di Alton Pancras, nella Chiesa di Sarum, che fruttava 20 sterline l'anno, accarezzava l'idea di dedicarsi alla carriera ecclesiastica. Ma nel 1570, deluso nella speranza di un avanzamento e non sembrandogli di essere sufficientemente apprezzato in Inghilterra, ottenne una licenza e partì per il continente con lo scopo di stamparvi le sue opere. Sull'itinerario e la durata di questo viaggio non possediamo notizie: certamente il B. finì per ritornare a Venezia, ma non prima di aver preso contatto con la corte dell'elettore di Sassonia. Infatti nel gennaio del 1573 lo troviamo a Basilea, dove fece stampare due opere storiche, ambedue dedicate ad Augusto di Sassonia.
A Basilea il B. strinse con Basilio Amerbach e Teodoro Zwinger una conoscenza abbastanza confidenziale, tale da consentirgli, qualche mese più tardi, di affidare ai due l'incarico di chiedere per lui informazioni sulla figlia diciottenne di Pietro Martire Vermigli, della quale aveva sentito parlare e che progettava di sposare. Il progetto gli stava molto a cuore: egli trova toni accorati per lamentare la propria vita solitaria e per celebrare lo stato coniugale, ma i due basileesi non dimostrarono troppa sollecitudine nell'intervenire e il progetto. naufragò.
Da Basilea il B. si recò presso l'elettore di Sassonia, per ricevere il compenso per la dedica dei suoi due libri, e da Augusta ritornò a Venezia, molto verosimilmente con il proposito di stabilirvi dimora. Qui però i suoi amici lo informarono, come scrisse allo Zwinger, che egli era ormai sospetto agli inquisitori come eretico e che, se si fosse fermato più a lungo nella città, avrebbe avuto poche speranze di sfuggire alle loro mani. Così egli decise di ritornare ad Augusta e, avendo ottenuto dal Senato il permesso di insediarsi nella città e dall'elettore di Sassonia una pensione di 100 talleri l'anno, si comprò una casa in una bella località e decise di fermarvisi. Sono di questo periodo (maggio-dic. 1573) i suoi sfortunati progetti matrimoniali.
Nella città di Augusta il B. strinse rapporti con i cittadini più autorevoli - il nome che ricorre più spesso è quello di Giovan Battista Hainzeller - e alla corte dell'elettore godette della stima e dell'ammirazione di Hubert Languet. Nel novembre 1573 il Languet inviava come modello di eloquenza a Philip Sidney una lettera del B. ed esprimeva il rammarico che l'Inghilterra si fosse lasciata sfuggire i servigi che un tale uomo poteva rendere con il suo stile e la sua eloquenza. Il B. tuttavia non trascurava le proprie relazioni inglesi: dell'ottobre 1573 è una lettera con la quale egli comunicava a lord Burghley una serie di particolari sugli affari di Roma.
Non sappiamo quanto sia durato il soggiorno del B. ad Augusta né conosciamo le ragioni che lo spinsero a lasciare la città. Certo è che nel 1579 lo troviamo ad Anversa dove frequentava la casa e la cerchia di Cristoforo Plantin e aveva stretto amicizia con i membri della colonia genovese. Nell'ambito dell'Accademia dei Confusi, fondata dai genovesi di Anversa, e sotto lo stimolo di Benedetto Pasquali e Iacopo Spinola, il B. scrisse una storia annalistica di Genova, che il Plantin stampò. Alla fine della stampa, munito di una commendatizia firmata da Andrea Moneglia console e da Girolamo Balbi e Benedetto Moneglia, consiglieri della nazione genovese di Anversa, si recò a Genova per donare l'opera ai reggitori della città, i quali gli rimborsarono le spese del viaggio, ma lo delusero nelle sue speranze di ulteriori ricompense.
Non è escluso che questa ingratitudine del Senato genovese sia stata provocata almeno in parte da Uberto Foglietta, dal 1576 storico ufficiale della Repubblica, che proprio allora stava portando a termine una sua storia della città. In una lettera al Senato genovese del 1581 il Foglietta definiva l'opera del B. come una "porcheria scritta in lingua pedantesca e senza alcun giudizio, nella quale non era né natura né nervo né spirito historico, la quale oltre a questo era piena di tante eresie, e anche in tutto e per tutto favorevole agli eretici, che il piùgran nemico della cattolica religione in Sassonia non averia potuto scrivere peggio". A sentire il Foglietta, la commissione dell'Indice avrebbe individuato nell'opera del B. ben cento passi inquinati d'eresia: ed è vero che la Senatus populique Genuensis historia compare nell'Indice di Sisto V dell'anno 1590. Ma la presenza fra i libri condannati di questa unica opera del B., nella quale, contrariamente alle affermazioni del Foglietta, l'autore si accosta alle questioni religiose con sorvegliatissima cautela e con grande preoccupazione di distacco e obiettività (a meno che non si vogliano considerare eresie le lodi tributate ad Augusto di Sassonia), autorizza il sospetto che il Foglietta stesso non fosse stato, per ragioni di concorrenza, estraneo alle decisioni della commissione dell'Indice: forse era stato lui stesso a incaricarsi di attirare l'attenzione sull'ambiguo curriculum del suo rivale.
Ritornato ad Anversa, il B. riprese, tra le preoccupazioni finanziarie e i malanni, gli studi di storia. Nel 1581 egli visitò a Leida Giusto Lipsio e gli lasciò il manoscritto di una storia universale in otto volumi nella speranza che il Lipsio potesse trovare un editore che pubblicasse la opera a proprie spese. Nel 1582 concludeva un nuovo lavoro, questa volta di storia persiana, che è l'ultima sua pubblicazione della quale si abbia certa notizia.
Anche quando il B., lasciando il genere di disquisizioni ed esercitazioni con cui aveva cominciato la propria carriera di scrittore, passò ad occuparsi prevalentemente di storia mantenne il suo stile e la sua cura degli effetti retorici. Le sue opere sono chiare e gradevoli compilazioni di opere precedenti, frutto di relazioni, di lettere e di conversazioni, e hanno valore solo come testi di orientamento e di informazione provvisoria su problemi di attualità, come i vari episodi della guerra ottomana o la guerra di Fiandra. Per documentare quello che egli chiama il carattere giornalistico dell'opera del B., il Fueter osserva che, per esempio, alla fine della storia persiana, nell'ultimo foglio, dopo gli emendanda, sono aggiunte le ultime notizie da Costantinopoli, quasi fossero telegrammi arrivati a redazione ultimata.
Di fronte alle guerre e ai conflitti religiosi il B. ha un distacco che confina con l'inerzia convinto com'è che le religioni sono sottoposte a quella stessa legge di mutamento che regola l'avvicendarsi degli imperi, del diritto e del costume, che le convinzioni di coscienza non resistono alla forza delle armi e che inevitabilmente la religione dei vincitori finisce per trionfare nei paesi vinti. Tuttavia fu una guerra di religione, la guerra di Fiandra, ad ispirargli le sue migliori pagine storiografiche: pagine nelle quali l'umana simpatia per i ribelli, pur non arrivando mai a indurre l'autore a infrangere la legge di obiettività e di ritegno che si era imposta, animano e tendono la sua prosa, danno ai suoi personaggi nitidezza di profili, dignità di portamento, precisione, autonomia, individualità, ai conflitti movimento e drammaticità.
L'ultima notizia che abbiamo sulla vita del B. è una lettera da lui scritta nel 1586 dall'Aia a lord Burghley, nella quale dà un resoconto dettagliato dei suoi lavori letterari e accenna a versi di recente pubblicazione. L'anno e il luogo della morte non sono conosciuti.
Opere: Gli Opuscula varia furono stampati a Venezia nel 1565. Alcune delle poesie latine ivi raccolte furono ristampate dal Gherus in Deliciae CC Italorum poetarum, Francoforte 1608, p. 521, e in Carmina illustrium poetarum Italicorum, II, Firenze 1719, pp. 250-55. Il suo componimento latino in morte di Martin Butzer si trova in Historia vera de vita,obitu,sepoltura,accusatione haereseos... Domini Martini Buceri et Pauli Fagii, s.l. 1562, ff. 80v-81r. Altri due componimenti celebrativi si trovano in Il tempio della divina signora donna Geronima Colonna d'Aragona, Padova 1568, II, ff. 32v-33r.
Le altre opere sono: Historia della guerra fatta in Ungheria dall'invittissimo Imperatore de' Christiani,contra quello de' Turchi: con la narratione di tutte quelle cose che sono avvenute in Europa dall'anno 1564 all'anno 1568, Lione 1568, e, con un titolo leggermente diverso, 1569; una traduzione latina dell'autore stesso fu stampata sotto il titolo di Pannonicum Bellum sub Maximiliano II Romanorum et Solymano Turcarum Imperatoribus gestum, Basilea 1573; il primo trattato di questo volume è incluso da Jacques Bongars nel suo Rerum Hungaricarum scriptores varii, Francoforte 1600, e da Mattia Bell nella sua ristampa, Vienna 1746. Cyprium Bellum inter Venetos et Selymum Turcarum imperatorem gestum, Basilea 1573 e Anversa 1583; una traduzione francese, Histoire de la guerre qui s'est passée entre les Venitiens et la Sainte Ligue contre les Turcs,pour l'Isle de Cypre ès années 1570,1571, et 1572, a cura di F. de Belleforest, fu pubblicata a Parigi nel 1573. Senatus populique Genuensis rerum domi forisque gestarum historiae atque annales: cum luculenta variarum rerum cognitione dignissimarum,quae diversis temporibus,et potissimum hac nostra tempestate contigerunt,enarratione, Anversa 1579; per non interrompere il filo annalistico del racconto l'autore ha lasciato da parte alcuni degli episodi più importanti della storia della Repubblica, a ciascuno dei quali ha dedicato una breve trattazione alla fine dell'opera: De Prima Christianorum in Syriam expeditione,De bello saraceno seu Mauritano per Genuenses gesto,De bello Pisano,De bello adversus Fridericum secundum,De bello Veneto; seguono: Perbrevis tractatus in quo summatim atque paucissimis verbis de universu reipublicae Genuensis statu et administratione disseritur e Leges novae reipublicae Genuensis a legatis Summi Pontificis,Caesaris et Regis Catholici... conditae et Genuae die XVII martii 1576 publicatae; alcune parti di quest'opera sono state ristampate dal Grevio nel Thesaurus antiquitatum et historiarum Italicarum, Lione 1704-25. Rerum Persicarum historia,initia gentis,resque gestas ad haec usque tempora complectens: accedunt varia opuscula diversorum scriptorum ad historiam Persicam recentiorem spectantia, Anversa 1583 e Francoforte 1601 (l'edizione di Francoforte contiene alcuni opuscoli che non si trovano nella precedente). De principe tractatus, manoscritto, British Museum, Royal Mss. 12 A, 48.
Il Giacobilli gli attribuisce inoltre un'opera De moribus Belgicis, senza dare altre indicazioni. Della Storia universale lasciata manoscritta al Lipsio non abbiamo ulteriori notizie. Il B. stampò una nuova edizione de La santa. Comedia di Mario Cardoini a Venezia nel 1566.
Fonti e Bibl.: Nella sezione manoscritti della Biblioteca Universitaria di Basilea si conservano sette lettere del B.: Fr. Gryn. II,8, pp. 150-51; lettere a Teodoro Zwinger del 5 maggio e del 28 maggio 1573; G II, 31, pp. 522-27: lettere a Basilio Amerbach del 20 settembre, 10 ottobre, 3 novembre, 10 nov. 1573 e 17 giugno 1574. Vedi ancora Lettere di XIII huomini illustri…, a cura di T. Porcacchi, Venezia 1571, ff. 426-27; A. Caro, Lettere familiari, II, Firenze 1959, pp. 324-25; A. Neri, Not. e doc. ined. intorno a O. Foglietta e P. Bizaro, in Giorn. ligustico di archeol. storia e belle arti, III (1876), pp. 421-50; L. Einstein, The Italian Renaissance in England, New York 1903, pp. 98, III, 213; R. H. Bainton, B. Ochino, Firenze 1940, p. 93; E. Fueter, Storia della storiografia moderna, Napoli 1944, I, pp. 147-48; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1560, Roma 1949, pp. 40-41; Dictionary of National Biography, II, pp. 565-67.