BONARELLI, Pietro
Di antica famiglia mercantile, padrona dei feudi di Torrette e di Castel Bompiano acquistati dalla omonima casata patrizia, figlio primogenito di Liberio di Bonarello, il B. nacque, con ogni probabilità ad Ancona, sul finire del sec. XIV.
Appartenevano alla sua famiglia quel Marcellino di Pietro, detto "Damiarta", che fu uno dei firmatari degli accordi conclusi nell'estate del 1335 tra la Comunità di Ancona ed il cardinale Albornoz, e quel Pasqualino, suo figlio, "patrone di navi" e valente ingegnere militare, caduto in battaglia durante l'assedio della rocca di San Cataldo (5 ott. 13827 genn. 1383). Il B., tuttavia, si può a buon diritto considerare il vero capostipite dei Bonarelli di Ancona. Infatti, mentre per l'addietro gli appartenenti alla sua gente sono indicati, negli atti pubblici del Comune e nelle scritture private, esclusivamente col patronimico, Pietro è invece il primo a comparire nei documenti sempre con il cognome di de Bonarellis. Soltanto con lui, inoltre, il nome della sua famiglia, sin'allora noto nel ristretto mondo delle attività commerciali e marittime della Comunità di Ancona, varcò gli angusti limiti della cerchia cittadina, acquistando rinomanza anche nel più vasto campo del mondo politico e culturale italiano del primo Quattrocento. Tenuto in grande considerazione da principi e da pontefici per la dottrina giuridica e per la sua abilità di diplomatico, il B., uomo di notevole cultura, fu in relazione anche con poeti e umanisti, come il suo conterraneo Ciriaco Pizzicolli e i due Filelfo da Tolentino.
La fama del B. si affermò tuttavia soprattutto all'epoca del concilio di Costanza (1414-1417), quando, al servizio del cardinale Ottone Colonna, in appoggio o in concomitanza con le decisioni prese nel corso dei lavori svolse un'attivissima e intelligente opera diplomatica tra i prelati e le personalità laiche intervenute al concilio, allo scopo di giungere alla fine dello scisma, di far cessare le eresie e di riformare i costumi. Dagli atti del sinodo risulta che egli fu, tra l'altro, testimone nell'esecuzione del decreto conciliare (18 maggio 1415) con cui veniva citato per la prima volta dinnanzi al concilio Gerolamo da Praga, l'eretico discepolo di Giovanni Hus, che del maestro condividerà (1416) il supplizio. Parte di rilievo egli ebbe nei maneggi e nelle trattative che portarono alla deposizione del pontefice Giovanni XXIII (maggio 1415) e, dopo la rinunzia di Gregorio XII (4 luglio 1415), a quella di Benedetto XIII (luglio 1417) e prepararono il brevissimo conclave da cui uscì papa, col nome di Martino V, il protettore del B., Ottone Colonna (8-11 ott. 1417). Familiare e uomo di fiducia del nuovo pontefice, che nutriva per lui un'affettuosa stima e a lui mostrò particolare gratitudine, il B. svolse in suo nome numerose missioni diplomatiche, delle quali senza dubbio la più importante fu quella in cui riuscì ad ottenere dal re di Francia l'approvazione dei decreti conciliari, la ratifica della deposizione dei due antipapi e il riconoscimento di Martino V come unico papa legittimo.
Morto, il 20 febbr. 1431, Martino V, anche il suo successore, Eugenio IV (17 marzo 1431-23 febbr. 1447), si giovò dell'opera preziosa del B.; il servizio presso la corte pontificia non valse peraltro a estraniare l'anconitano dalla sua città, alla cui vita pubblica lo vediamo tuttavia interessato. Oratore della Comunità a Venezia per discutere e definire le questioni pendenti tra Ancona e la Serenissima nel 1431; rappresentante delle magistrature municipali e degli interessi cittadini ai colloqui per il risarcimento dei danni arrecati dai Catalani a navi anconitane nel 1438; tra i delegati della deputazione incaricata di rappresentare la città alle cerimonie per le nozze di Francesco Sforza nell'ottobre del 1441, il B. prese attivamente parte alla politica cittadina negli ultimi quindici anni della sua vita, come risulta dagli atti consiliari della Comunità.
Morì sul finire di giugno del 1445.
Il B. aveva sposato una nobildonna, Contessa Ferretti, di antica famiglia anconitana; da lei ebbe due figli, Liberio e Giacomo, destinati a diventare famosi in tutta Italia. In una antica iscrizione, oggi purtroppo perduta, si leggeva che il B. aveva fatto erigere per la sua consorte un monumento funebre nella chiesa di S. Francesco delle Scale, monumento che sarebbe poi divenuto il sepolcro di famiglia. Con testamento del 1445 il B. lasciava al primogenito Liberio la proprietà dei feudi di Torrette e di Castel Bompiano, di cui il giovane si era reso ben degno, avendo saputo aumentare il prestigio della famiglia "propter honorem dignitatis suae et militiae".
Meno famoso del fratello minore Giacomo, Liberio - che era nato nel primo ventennio del sec. XV - si era infatti fatto conoscere ben presto per le sue doti d'ingegno e di uomo di governo, e per la sua profonda cultura: amante delle lettere, coltivò l'amicizia di poeti ed umanisti come l'anconitano Ciriaco Pizzicolli - il "pater antiquitatum", da cui fu definito "optimus Pieridum cultor" - ed il tolentinate Francesco Filelfo, che, col figlio Giovan Mario, fu con lui in rapporti epistolari. Per le sue singolari capacità politiche e militari furono ben presto affidati al giovane Liberio importanti incarichi sia in Ancona, sia in altre città d'Italia. Nel 1444 svolse un ruolo determinante nei colloqui che si conclusero con la stipulazione degli accordi di pace fra papa Eugenio IV e il conte di Pavia, Francesco Sforza, cui il pontefice riconobbe il possesso della Marca, ma come feudo papale (10 ottobre). Né lo Sforza, divenuto duca di Milano, mancò di testimoniargli tangibilmente la propria riconoscenza; così come non mancò di giovarsi della sua opera intelligente e preziosa. Nel 1450 lo nominava commissario ducale ad Alessandria e a Tortona; nel 1456, dopo che Liberio ebbe assolto ai suoi compiti di ambasciatore della Comunità di Ancona a Roma per le trattative di pace con Venezia, lo volle a Milano come podestà. Tuttavia l'anconitano non doveva vedere la fine dell'importante incarico: nel maggio del 1457, nel pieno del suo mandato, Liberio, colpito da peste, si spegneva improvvisamente a Milano.
Aveva sposato una nobildonna, Contessa dei Trinci di Foligno, da cui ebbe un figlio, di nome anch'egli Liberio, nato dopo la sua morte. Nel 1448 aveva ottenuto per sé e per il fratello Giacomo dal cardinale Prospero Colonna, nipote di Martino V, la conferma dei privilegi concessi al padre da quel papa.
Fonti e Bibl.: Ancona, Archivio Stor. Com., Atti consiliaridella Comunità di Ancona, anni 1431-1439; Corpus actorum etdecretorum magniConstantiensis concilii, IV, Francofurti et Lipsiae 1699, p. 147; Oddo di Biagio, Cronica de la edificationeetdestructione del Cassero, a cura di C. Ciavarini, in Collez. di docc.stor. antichi ineditied editi rari delle città e terre marchigiane, I, Ancona 1870, p. 123; Acta concilii Constanciensis, a cura di H. Funke, Monasterii 1896, p. 263; Ancona, Biblioteca Com., C. Albertini, Patres patriae,Catal. delle famigliepatrizie antiche edesistenti nella Città di Ancona, pp. 49, 52; C. Santoro, Gli ufficidel dominio sforzesco, Milano 1950, pp. 139 e 527; G. Saracini, Not. historiche d'Ancona, Roma 1675, pp. 496 s.; G. Colucci, Antichità picene. Diz. degli uomini illustri di Ancona, XXVII, Fermo 1796, pp. 27-29; A. Peruzzi, Storia d'Ancona, II, Pesaro 1835, pp. 321 s.; M. Morici, Dante e Ciriaco d'Ancona..., Firenze 1889, passim; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, I, Città di Castello 1961, pp. 364 ss., 391 ss., 422; V. Spreti, Enciclopedia stor-nob. italiana, II, pp. 116 s.