BONO, Pietro (Piero; Petrus Bonus)
Ignota è l'origine di questa artista, che, nato nel 1417 da "mastro Batista et Margareta del fu Biagio, tedesco" (van der Straeten), fu celebrato ai suoi tempi come "praestantissimus artis musicae" e annoverato tra i più insigni liutisti dell'epoca. Incerte e lacunose sono le notizie sulla sua attività giovanile e sembra ormai da escludersi, come giustamente ha osservato il Pirrotta, che sia vissuto alla corte di Napoli insieme con Aurelio Brandolini e Iohannes Tinctoris, maestro di musica delle principesse Beatrice ed Eleonora d'Aragona, il quale non giunse a Napoli prima del 1472; di conseguenza èsoltanto in questo periodo che è possibile fissare un suo soggiorno nella città partenopea, ove si recò al servizio di Sigismondo d'Este. La sua attività di musicista ebbe inizio probabilmente dopo il 1450 presso la corte di Ferrara, ove fu al servizio di Borso d'Este che lo ebbe tra i suoi musicisti prediletti e, secondo una consuetudine del tempo, lo nominò altresì suo barbiere e medico personale, assegnandogli uno stipendio annuo di mille fiorini (Caleffini).
In un documento del 1452, esistente negli archivi di Ferrara e ritrovato dal Cittadella, egli viene indicato come figlio di Baptista de Borzeris, nome che, trovandosi anche nelle forme Burzeris e Burzellis, potrebbe essere una variante di Bruxellis (Bruxelles); tale notizia farebbe pensare ad un'origine belga, ma fino a questo momento nessuna testimonianza ha potuto avvalorare tale ipotesi. In documenti posteriori il suo nome appare poi alterato nelle forme Borzeis e Burzois, che sono alterazioni tipiche del dialetto ferrarese, ma il fatto che in tutti gli altri rogiti notarili egli venga menzionato come Burzellis o de Bruzellis indusse G. Chouquet a sostenere, nel Journal de Beaux Arts del 31 marzo 1879, l'ipotesi della sua origine belga (Haraszti), tanto che il van der Straeten affermò la probabilità di un'appartenenza alla famiglia dei Coppieter (Goedpieter). Sicura èl'origine tedesca per parte di madre, certa Margareta (o Magdalena), poi italianizzata, e questa circostanza giustificherebbe il fatto che il Tinctoris, che pur aveva avuto l'occasione di conoscerlo a Napoli, lo abbia a torto annoverato tra i musicisti tedeschi.
Stabilitosi a Ferrara, raggiunse rapidamente una posizione privilegiata anche per la munificenza del duca Borso, ma la fama della sua arte superò ben presto i confini della corte estense e nel 1456 fu a Milano al servizio di Francesco Sforza, che nello stesso anno volle raccomandarlo al duca di Modena come "distintissimo sonatore" che "crediamo che il mondo non l'habia il suo paro" (Bertolotti).
Tale era la notorietà e l'ammirazione suscitata nei contemporanei che nel 1455 A. Cornazano lo celebrò nel suo Libro dell'arte del danzare (Bibl. Apost. Vat., ms. Capponiano lat. n. 203) con un proverbio ferrarese, in cui la sua arte era paragonata alla liberalità del duca Borso e al fasto di Beatrice d'Este. E sarà ancora il Cornazano a parlarne diffusamente nel canto VIII della Sforziade, dedicandogli quelle Laudes Petri Boni Cythariste (ilcui testo, integralmente riportato in facsimile dal Pirrotta, è conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi, Nouv.acq. ital. 1472, ff. 106v-107v), che costituiscono forse la testimonianza più significativa tra le numerose consacrate alla sua figura di compositore e di eccelso esecutore. Né meno importante si rivela il giudizio espresso nel De Excellentium virorum principibus, in cui il B. viene descritto come "cantore a liuto" oltre che liutista (sembra infatti, ed è sempre il Cornazano la fonte di queste preziose notizie, che il B. amasse accompagnare il suo canto con uno strumento non meglio identificato, che viene genericamente denominato, "cetra"). Particolare interesse riveste poi la notizia, secondo la quale il B., negli ultimi anni della sua vita, pur non trascurando il suo abituale repertorio, volle dedicarsi all'esecuzione di musica polifonica, servendosi dell'accompagnamento di un tenorista, forse un suonatore di viola, che dal 1486 al 1488è stato possibile identificare in certo Francesco de la Gatta (Pirrotta).
Alla morte di Borso d'Este il B. passò al servizio d'Ercole I, marito di Eleonora d'Aragona, la cui sorella Beatrice aveva sposato Mattia Corvino, re d'Ungheria. Il suo prestigio presso la corte estense aumentò per il ricordo che di lui serbava la duchessa Eleonora dall'epoca del suo soggiorno napoletano e in seguito anche Beatrice, che aveva introdotto la civiltà italiana del Rinascimento nella corte di Buda, ove la musica era tenuta nella più alta considerazione e non era inferiore a nessuna delle corti occidentali, volle presso di sé il B., facendone richiesta alla sorella tramite l'intervento di C. Valentini, ambasciatore della casa d'Este presso Mattia Corvino (lettera del 3 ag. 1486). La richiesta non fu rifiutata e nello stesso anno il B. si recò presso la corte ungherese e vi si trovava ancora nel 1488, allorché seguì il re Mattia a Vienna, da dove il 13 genn. 1488inviò una lettera al marchese Francesco Gonzaga, nella quale, raccomandando il nipote Ludovico Manzone, dichiarava di essere stato "fidel servitor de la casa Gonzate" (Bertolotti) e aggiungeva di trovarsi presso il re e la regina d'Ungheria che "lo vedono e odono graziosamente" (Canal). Da questa lettera è possibile arguire che il B. sia stato al servizio dei Gonzaga non solo sotto Francesco, ma, come suppone il Canal, anche sotto i suoi predecessori; inoltre non è improbabile che alla morte di Borso d'Este, allorché nel 1471il duca Niccolò, spodestato da Ercole I, riparò a Mantova, il B. lo abbia seguito nell'esilio. È comunque sicuro che trascorse gli ultimi anni al servizio di Mattia Corvino, sia a Vienna sia in Ungheria, ed anzi tale era il favore di cui godeva che seguì spesso i sovrani durante i loro viaggi. Nel 1490, alla morte di Mattia, abbandonò la corte di Buda e, sebbene da questo momento manchino notizie sulla sua vita, è possibile che abbia fatto ritorno a Ferrara, ove si trovava la sua famiglia. Morì infatti nella città estense il 20 sett. 1497e fu sepolto in S. Domenico.
Virtuoso tra i più rinomati del suo tempo, fu celebrato da insigni umanisti che vollero esaltarne le doti di esecutore e di compositore. Tra gli altri, Battista Guarino il Vecchio gli dedicò l'elegia Ad Petrum Bonum citharistam rarissimum (Modena 1496), in cui l'artista ferrarese viene paragonato ad Anfione, Arione, Orfeo e allo stesso Apollo per la sua abilità di far "parlar la cetra ora in lieti, ora in mesti modi". Ammirato universalmente non solo per la perfezione del suo modo di suonare, ma per il timbro del suo liuto, A. Brandolini volle ricordarlo nel trattato De laudibus musicae et Petri Boni Ferrariensis (ilcui manoscritto è conservato nella Biblioteca della cattedrale di Lucca) e Iohannes Tinctoris lo celebrò nel suo De inventione et usu musicae (Napoli, circa il 1484, per i tipi di Francesco del Tuppo), esaltando non solo le sue doti di esecutore, ma i pregi delle sue composizioni. Purtroppo tutte le sue musiche sono andate perdute e pertanto utilissima si rivela la testimonianza del Tinctoris, il quale, palesando l'entusiasmo in lui suscitato dal maestro ferrarese, lodava le sue "superinventiones", che con ogni probabilità possono considerarsi "improvvisazioni" di carattere strumentale scaturite dalla sua fantasia o trascritte da melodie popolari e adattate con mirabile virtuosismo a tutte le possibilità tecniche offertegli dal liuto. Tali trascrizioni strumentali, spesso improvvisate e derivate da canti popolari, come la Viola novella, le storie di Giovanni II e di Attendolo Sforza, d'Isotta e di Sigismondo Malatesta e altre canzoni, che probabilmente costituivano il "cantus cum admirandis modulorum superinventionibus" cui allude il Tinctoris, furono gradualmente private dei testi e delle parti vocali, assumendo carattere decisamente strumentale che precorre la "canzone da sonar" e costituisce forse l'origine della progressiva evoluzione della forma sonata (Haraszti).
Ricordato ancora da R. Maffei nel capitolo sugli strumenti dei suoi Commentariorum Urbanorum Libri octo et triginta (Basileae 1530) e da P. Cortese nel secondo volume, De vitandis passionibus deque musica adhibenda post epulas, dei suoi De cardinalatu libri tres (Castro Cortesio 1510; questo testo, riportato in facsimile dal Pirrotta, si rivela particolarmente importante per le notizie concernenti la tecnica e lo stile della musica per liuto nel XV secolo), fu esaltato da F. Beroaldo nel suo Epigramma ad Petrum Bonum Citharedum (in Varia opuscula epigrammata ac ludicra, Romae 1530), che viene considerata una tra le pagine più significative della letteratura pietroboniana. Una ulteriore testimonianza della fama raggiunta dal B. nel suo tempo è offerta dalle numerose medaglie-ricordo riproducenti la sua effigie, tra cui celebre è quella eseguita dal cesellatore Giovanni Boldu nel 1457 e conservata nel Münzkabinett di Berlino.
Bibl.: L. N. Cittadella, Notizie amministrative storiche e artistiche relative a Ferrara..., II, Ferrara 1868, p. 711; A. de La Fage, Essais de diphtérographie musicale..., Paris 1864, p. 66; A. Cappelli, Notizie di Ugo Caleffini notario ferrarese del sec. XV…, in Atti e mem. delle RR. Deputaz. di st. patria per le provincie modenesi e parmensi, II (1864), pp. 298 ss.; P. Canal, Della musica in Mantova..., Venezia 1881, p. 9; E. van der Straeten, La musique aux Pays-Bas avant le XIX siècle, VI, Bruxelles 1882, pp. 110-112; E. Motta, Musici alla corte degli Sforza, in Arch. stor. lombardo, XIV (1887), 4, pp. 53 s.; A. Bertolotti, La musica in Mantova (1400-1600), Milano 1890, pp. 12 s., 18; L. Fökövi, Musik und musikalische Verhältnisse in Ungarn am Hofe von Matthias Corvinus, in Kirchenmusikalisches Jahrbuch, XV (1900), pp. 10 s.; G. Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919, p. 421; O. Gombosi, Vita musicale alla corte di Re Mattia, in Corvina, XVII (1929), p. 112, K. Weinmann, J. Tinctoris und scin unbekannter Traktat De inventione et usu musicae, Regensburg-Rom 1917, passim; G. F. Hill, A Corpus of Italian Medals of the Renaissance before Cellini, Cambridge 1930, tav. 79, n. 416; E. Haraszti, P. B.,luthiste de Mathias Corvin, in Revue de musicologie, XXXI (1949), pp. 73-85; Id., Les musiciens de Mathias Corvin et de Béatrice d'Aragon, in La musique instrumentale de la Renaissance. Etudes réunies et présentées par Jean Jacquot, Paris 1955, pp. 47 s., 59; G. Reese, Music in the Renaissance, New York 1959, pp. 148, 719; G. Barblan, Vita musicale alla corte sforzesca, in Storia di Milano, IX, Milano 1951, pp. 802 s.; The New Oxford History of Music, III, Ars Nova e Umanesimo (1300-1540), a cura di A. Hughes e G. Abraham, Milano 1964, p. 332; H. J. Moser, Paul Hofhaimer,Ein Lied-und Orgelmeister des deutschen Humanismus, Hildesheim 1966, pp. 18, 72; N. Pirrotta, Music and cultural tendencies in 15th century Italy, in Journal of the American Musicological Society, XIX (1966), 2, pp. 140 ss.; E. Haraszti, P. B., in Die Musik in Geschichte und Gegentrart, II, Kassel-Basel 1952, coll. 117-119.