PICCINELLI, Pietro Bortolo
PICCINELLI, Pietro Bortolo (Piero). – Nacque a Scanzo, piccolo borgo vicino Bergamo, il 28 luglio 1865, unico figlio maschio di Giuseppe, imprenditore del cemento, e di Maria Giulia Brentani.
In seguito alla morte prematura della madre, avvenuta il 9 aprile 1870, fu cresciuto da Maria Rosa Sirtoli (1845-1919), sposata dal padre il 30 agosto 1873. Completò i suoi studi presso il collegio dei gesuiti di Schwyz (cantone della Svizzera cattolica) dove si trasferì con il cugino Giuseppe del ramo di Trescore Balneario (località limitrofa a Bergamo) della famiglia Piccinelli.
Laureatosi in chimica industriale, scelta sulla quale ebbe sicura influenza il successo imprenditoriale del padre, fu per tutta la vita studioso appassionato di mineralogia e geologia. Collaborò, negli anni immediatamente successivi alla laurea, con Louis Claude Duparc dell’Università di Ginevra e costituì nel corso di tutta la sua vita una pregevole raccolta di minerali. Sposò il 15 maggio 1893 la nobile Maria Teresa Edvige Albini (1874-1933), figlia di un importante imprenditore cotoniero attivo nella Bergamasca; dal matrimonio nacquero sette figli: Giuseppina (1896), Giuseppe (1898), Giovanni (1902), Carla (1905), Pia (1907), Silvio (1908) e Gasparino (1910). La famiglia stabilì la sua residenza a Bergamo nella prestigiosa villa cittadina paterna prospiciente l’Accademia Carrara. Acquistata dal padre nel 1887, a essa egli preferì sempre la storica villa famigliare di Scanzo.
Il 1893 fu anche l’anno della sua svolta imprenditoriale, che avvenne in settori affini a quelli dell’Italiana Cementi, l’industria paterna nella quale non ricoprì mai, finché il padre fu in vita, alcuna carica operativa limitandosi, dal 1895 al 1905 (anno in cui la società passò sotto il controllo dei fratelli Pesenti), al ruolo di azionista alle annuali assemblee dei soci per poi interrompere anche tale partecipazione.
Come il padre aveva individuato nei propri terreni di Scanzo marne adatte alla produzione di ottimi leganti idraulici, così il figlio Piero identificò in Mozzate, una località del Varesotto dove era solito recarsi per battute di caccia, terreni argillosi adatti alla produzione di materiali refrattari contenenti una particolare argilla adatta alla produzione di gres ceramico. Si trattava di un prodotto dalle caratteristiche analoghe al klinker, un materiale da costruzione dalle qualità straordinarie per la produzione di rivestimenti, pavimentazioni e decorazioni oltre che particolarmente resistente agli agenti atmosferici. Sempre nel 1893 Piccinelli, dopo aver acquisito le cave e i terreni individuati, inaugurò il suo primo stabilimento avviando la produzione di refrattari e di pietra ceramica.
Quest’ultima era una produzione pionieristica in Italia, generatrice nei decenni successivi della litoceramica, termine che identificò il prodotto nazionale assimilabile al klinker, sino ad allora appannaggio esclusivo dei Paesi del Nord Europa, e del quale Piccinelli fu il primo produttore in Italia. Proseguendo nella ricerca nel settore dei materiali da costruzione, nel 1902 estese la sua attività ai luoghi natii. Dopo aver anche lì individuato terreni adatti alla produzione di gres, raccolse i capitali necessari costituendo la Dottor Piccinelli & C. sas per il loro acquisto e l’edificazione in Sorisole, località limitrofa a Bergamo, di uno stabilimento per la produzione di manufatti in gres, conferendole al contempo anche lo stabilimento di Mozzate.
Il gres, come il klinker, stava rivoluzionando il settore delle costruzioni per le sue peculiarità altamente innovative ottenute con particolari miscele di argille e specifici processi di cottura. Particolarmente adatto per la realizzazione di tubature, per la resistenza all’usura del tempo e degli agenti atmosferici, fu protagonista nei lavori di risanamento e di sviluppo dei centri urbani iniziatosi in Italia a fine Ottocento. Come il klinker anche il gres era da sempre importato dal Nord Europa fino a quando, grazie al genio imprenditoriale di Piccinelli e di tre ingegneri milanesi, Guido Parravicini, Pietro Curletti e Giuseppe Murnigotti – i quali, con un’analoga e autonoma iniziativa, nel 1887 aprirono un piccolo stabilimento a Colognola (nei pressi del capoluogo bergamasco) –, fu avviata per la prima volta nel nostro Paese la sua produzione. La forte domanda, proveniente in particolare da Milano, permise il rapido sviluppo dei due stabilimenti, che divennero due giganti del settore con una produzione giunta, nell’immediato primo dopoguerra, a coprire complessivamente un terzo di quella nazionale.
Nel 1907, con l’attività in rapida espansione, Piccinelli trasformò la sua società in s.p.a. con la definitiva denominazione di S.A. Industria Ceramica Nazionale e sede legale in Bergamo, nell’abitazione in piazza Carrara, e con sede amministrativa in Mozzate.
Come il padre, egli seppe sfruttare appieno le potenzialità di tale natura giuridica raccogliendo azionisti facoltosi scelti tra parenti, affini e conoscenti, in grado di fornire i capitali necessari alla rapida espansione dell’attività. Diversamente dal padre, invece, se ne assicurò il controllo acquisendo la maggioranza del capitale sociale (50,67%) condivisa con il suocero, cavalier Giovanni Albini. Dopo il forzato ritiro a vita privata del padre e l’abile acquisizione del controllo dell’Italiana Cementi da parte dei fratelli Pesenti, Piccinelli estese i suoi interessi al settore del cemento. Nel 1906 entrò come socio minoritario e consigliere nella Società cementi e calci di Valle Brembana in occasione dell’aumento del capitale sociale deliberato per l’acquisizione di terreni nel Monferrato e in Valle Brembana (Bergamo) adatti alla produzione, rispettivamente, del pregiato cemento Portland e di calce e cemento.
Gli impianti entrarono in funzione nel 1907 ma la società, costituita solo due anni prima, si trovò presto in difficoltà finanziaria a causa dell’eccessivo indebitamento conseguente agli ingenti investimenti realizzati. Così, nel 1909, il Consiglio di amministrazione accettò la proposta avanzata da Piccinelli di rilevare l’intera attività per il tramite della sua società. Nel 1918, grazie a cospicui aumenti del capitale sociale che raggiunse i 5.000.000 di lire, Piccinelli proseguì nel suo progetto industriale con l’inaugurazione dello stabilimento di S. Stefano di Magra (La Spezia) dedito alla produzione di materiali refrattari a completamento della gamma dei prodotti da costruzione, con indubbi vantaggi competitivi sui suoi concorrenti e, in particolare, sulla Italiana Cementi dei fratelli Pesenti della quale rimase, nel settore del cemento, l’unica concorrente in Bergamasca. Un successo imprenditoriale che appariva inarrestabile fino a quando, nel 1920, Piccinelli fu improvvisamente colpito da una grave malattia inizialmente diagnosticatagli come incurabile. Con i figli ancora troppo giovani perché potessero prendere le redini della società, era indispensabile trovare una soluzione immediata. Le storie imprenditoriali delle famiglie Piccinelli e Pesenti si intrecciarono nuovamente e, come era stato per l’Italiana Cementi del padre nel 1906, la soluzione venne dai fratelli Pesenti ai quali Piccinelli cedette la società, al fine di monetizzare i propri capitali a favore della numerosa famiglia. Il 3 novembre 1920 il Consiglio di amministrazione dell’Italiana Cementi deliberò l’acquisizione della maggioranza delle azioni della S.A. Industria Ceramica Nazionale, nominando Cesare Pesenti presidente del Consiglio di amministrazione e il fratello Antonio consigliere, mentre Piccinelli mantenne la carica di consigliere delegato, sebbene con poteri limitati, ed entrò nel Consiglio di amministrazione dell’Italiana Cementi (in virtù della quota azionaria sempre mantenuta), carica tenuta fino alla sua tragica morte.
Alla società i Pesenti applicarono la politica industriale ormai consolidata nelle loro numerose acquisizioni, volta a massimizzare l’efficienza e la specializzazione produttiva. Per la Ceramica Nazionale significò il disgregamento e la sua incorporazione: nel 1921 il settore del cemento, pari al 17% della produzione dell’Italiana Cementi, fu acquisito; quello dei materiali refrattari di S. Stefano di Magra venne letteralmente smontato, mentre lo stabilimento di materiali in gres di Ponteranica, promettente ma non strategico per i fratelli Pesenti, fu ceduto al suo principale concorrente bergamasco, la Società del gres - ing. Sala, divenuta così leader nazionale nel settore. Restava lo storico stabilimento di Mozzate, dedito principalmente alla produzione di litoceramica, per il quale nel 1922 Piccinelli, che nel frattempo si era inaspettatamente ripreso, ottenne il suo conferimento nella neocostituita S.A. Industria Ceramica Piccinelli. La società rimase inizialmente ancora sotto il controllo giuridico della famiglia Pesenti, che ne deteneva l’80% e con Cesare Pesenti presidente, mentre Piccinelli, in qualità di consigliere delegato, ne riprese il controllo produttivo. Nel 1933, alla morte di Cesare Pesenti, si realizzò il definitivo affrancamento dalla famiglia Pesenti con, prima, la vicepresidenza di Piccinelli (1933) e poi la presidenza (1934) accompagnata dall’ingresso dei figli Giovanni e Silvio, nominati rispettivamente direttore e procuratore della società, e dal cambio di denominazione in S.A. Ceramiche Piccinelli.
Nonostante queste vicissitudini, Piccinelli non interruppe mai le sue ricerche nel campo della litoceramica. Cosciente della qualità superiore dei klinker tedeschi, nel 1929 iniziò la loro importazione, unitamente all’assunzione di tecnici germanici che lavorarono a Mozzate per circa un ventennio, ottenendo miglioramenti significativi nella qualità del prodotto e sperimentando con successo l’innovativo processo della sua colorazione. Grazie anche all’opera del figlio Giovanni, laureatosi in chimica all’Università di Genova nel 1927, la ‘litoceramica Piccinelli’ divenne uno standard di qualità che si affermò sia nell’edilizia residenziale sia nella realizzazione di importanti opere pubbliche e monumenti: la litoceramica grigia dell’Università Bocconi di Milano, quella blu del Palazzo dello sport di Roma realizzato dall’architetto Pierluigi Nervi, quella marrone delle stazioni di servizio autostradali dell’Agip, quella crème-caramel degli edifici residenziali realizzati a Milano dall’architetto Luigi Caccia Dominioni, il Palazzo dell’arte di Milano e la Torre dei Venti a Bergamo ne sono alcuni significativi esempi. Anche l’arte seppe apprezzare la sua qualità e, soprattutto ancora a opera del figlio Giovanni, nel secondo dopoguerra numerosi furono gli scultori che frequentarono lo stabilimento di Mozzate, tra i quali Giacomo Manzù e Arturo Martini.
Confermando la plurisecolare tradizione di famiglia, Piccinelli si distinse anche nell’impegno civico e sociale. Nel 1906, in seguito alle dimissioni forzate del padre, fu eletto membro del consiglio della Camera di commercio, da cui si dimise nel 1921 a causa dei problemi di salute, dopo essere stato membro della giunta esecutiva nel biennio 1912-14. Sempre nel 1906 fu eletto nel Consiglio comunale di Bergamo dove rimase solo fino al 1908, quando si dimise con altri 26 consiglieri provocando la crisi dell’amministrazione Suardo.
Più significativo fu il suo impegno sociale che coinvolse la storica residenza di Scanzo. Nel 1927 costituì la Pia fondazione Piero Piccinelli, di cui fu presidente fino al 1937, quando il figlio Silvio lo sostituì alla presidenza, carica tuttora appannaggio della famiglia.
Donata successivamente alla Diocesi di Bergamo, in essa confluirono per sua iniziativa e, in seguito, dei figli Giovanni e Silvio, tutte le proprietà di Scanzo. Ospitò inizialmente una scuola di economia domestica per le ragazze senza istruzione (chiusa nel 1942) e un ricovero per anziani indigenti che, affidato alle suore orsoline di Gandino, prosegue tuttora nella sua attività ospitando oltre 200 anziani. L’impegno imprenditoriale e sociale fu coronato da due massime onorificenze: nel 1924 fu insignito (come il padre) del titolo di cavaliere dell’Ordine al merito del lavoro per lo sviluppo dato all’industria della litoceramica, mentre il 28 maggio 1927 con un breve, papa Pio XI riconobbe alla famiglia Piccinelli il titolo nobiliare di conte.
Morì tragicamente la mattina del 25 novembre 1937, in uno scontro frontale causato dalla fitta nebbia sul tratto autostradale Bergamo-Milano, all’altezza di Agrate, mentre si recava allo stabilimento di Mozzate per incontrare imprenditori francesi con cui concludere l’acquisto e l’installazione di un innovativo forno a tunnel Allied.
Dopo la sua morte fu il figlio Giovanni a prendere le redini della società, riuscendo però solo nel 1953 a realizzare l’ambizioso progetto paterno. L’attività proseguì fino agli anni Sessanta quando il processo imitativo, alimentato anche dall’uscita di tecnici formatisi al suo interno, inondò il mercato dell’edilizia di prodotti litoceramici qualitativamente più scadenti, ma economicamente più competitivi e, quindi, preferiti nel mercato residenziale in forte espansione, ebbe un ruolo determinante nella crisi che colpì la società e che portò alla cessazione della sua attività nel 1969.
Fonti e Bibl.: Le fonti utilizzate – reperite negli archivi della Camera di commercio, del Comune di Bergamo, della Italcementi, negli archivi parrocchiali e all’Archivio di Stato di Bergamo – sono dettagliatamente indicate in G. Beltrame, Giuseppe Piccinelli tra imprenditorialità ed impegno civico, Brembate Sopra, 2009.
C. Fumagalli, La Italcementi. Origine e vicende storiche, Bergamo 1964, passim; A. Lupini, La Camera di Commercio di Bergamo, Bergamo 1984, ad ind.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, VIII, Bergamo 1990, ad ind.; U. Zanetti - P. Rizzi, Un istituto per anziani alle soglie del duemila, Bergamo 1994, ad ind.; F. Barbieri - R. Ravelli, Storia dell’industria bergamasca, I, Bergamo 1996, ad ind.; V. Zamagni, Italcementi, dalla leadership nazionale all’internazionalizzazione, Bergamo 2005, ad indicem.