BRACCI, Pietro
Nato a Roma, pronipote dell'omonimo scultore settecentesco, da Andrea e Faustina Righetti il 29 maggio 1864, benché si laureasse in giurisprudenza e nella pratica della vita esercitasse l'ufficio di segretario del Consorzio pontino, si dedicò tuttavia alle lettere e alla politica e si formò nell'atmosfera della Cronaca bizantina e dell'editoria sommarughiana. Ma, altrimenti da non pochi dei suoi stessi amici e coetanei di parte cattolica, il Salvadori per esempio, il B. fu sin dalla prima giovinezza risolutamente avverso al "bizantinismo" e al Carducci, che di quel "bizantinismo" gli parve il frutto corruttore e il pericoloso corifeo. Non ch'egli fosse, come il Carducci sprezzantemente scrisse di poi, "degli affezionati e fedeli alla signoria d'avanti il 1870"; anzi il B., pur non tacendo la propria avversione alla Sinistra e ai moti d'elevazione democratica, pur atteggiandosi a precursore delle ideologie nazionalistiche-autoritarie, professate poi dal D'Annunzio nelle Vergini delle rocce (1895), accettò sempre decisamente la realtà del nuovo Stato italiano, il regime di separazione fra Chiesa e Stato sancito dalla legge delle Guarentigie; volle partecipare alla vita politica del paese, non fu certo insensibile ai problemi sociali e alla necessità che se ne ispirassero e compenetrassero i partiti politici; propugnò una sorta di liberalismo conservatore all'inglese, che l'avvicinò, anche con un'attiva collaborazione giornalistica, alla milanese Idea liberale del conte A. Sormani, non senza mostrare tuttavia, e nel contempo, anche un aperto e critico interesse per i problemi che veniva dibattendo, nell'ultimo decennio del secolo, la pubblicistica di Guglielmo Ferrero. Tanto egli era, d'altronde, persuaso dell'irrevocabilità dello Statuto albertino e della stabilità dell'istituto monarchico da negare, di contro ai triplicisti, per antifrancesismo, il pericolo d'un'infiltrazione repubblicana da oltr'Alpe e la convenienza d'una politica di arrendevolezza alla Duplice, alla Germania in ispecie. Ma appunto perché cattolico e liberale, e amico non solo di cattolici più o meno liberali, come il Fogazzaro e il Salvadori, ma di "moderati" come il Panzacchi e il Del Lungo (donde la sua diuturna collaborazione alla fiorentina Rassegna nazionale con lo pseudonimo di Guido Fortebracci), credette sinceramente che del progressivo inserimento dei cattolici nella democrazia italiana il maggior nemico fosse la mentalità fra giacobina, massonica e neopagana, anticlericale ancora più che anticattolica, la quale pur negli anni delle Odi Barbare e nei successivi improntava l'opera e la scuola del Carducci. Donde l'ardimento in verità un poco donchisciottesco, di concepire e distendere una serie di Odi barbare (1884), di fattura carducciana e di sostanza "cristiana", ch'egli sperò invano di veder pubblicate dal Sommaruga, magari per intercessione del Carducci dal quale invano sollecitò per lettera "il campo franco". Rifiutatogli il manoscritto e dal Sommaruga e dal Loescher, presso cui sperava intervenisse Domenico Gnoli, il B. stampò a proprie spese il fascicoletto Ante lucem. Odi barbare (Roma 1885), cui segui tosto un'ode a Giosuè Carducci e una lunga serie di articoli nella Rassegna nazionale. Più accorto dei letterati cattolici ex-bizantini" o "anti-bizantini", come il Salvadori e il padre Manni, i quali, carducciani nella poetica e nello stile, unicamente miravano a correggere o a cristianeggiare - il Carducci, il B. si volse, invece, a una, sia pur unilaterale, passionale e immetodica, stroncatura del Maremmano, cercando di individuare il punto debole della sua poesia e infine proclamando in un famigerato scritto sulla Rassegna nazionale del 16 dic. 1896 "la necessità di averlo abbattuto".
La critica del B. parve alla generazione carducciana mero frutto di risentimento, di vanità e di partigianeria, ma è facile scorgervi oggi ben altro: tanto la voce d'una delusione che venne manifestandosi fra gli stessi discepoli del Carducci nell'ultimo decennio del secolo scorso, quanto l'avviamento a una radicale, ma fondatissima, distinzione fra poesia e non poesia nel Carducci. Il B. fu, invero, tra i primi ad accentuare il valore paesistico-intimistico della poesia carducciana, pur nell'assurdo errore di rinfacciare la scarsa esattezza delle descrizioni e lo svarione geografico del Resegone; fu tra i primi a preferire le Rime Nuove alle Odi barbare e ai successivi Rime e ritmi, condannando l'apparato retorico e l'occasionalità delle grandi odi celebrative, e avvertendo fin dal 1889, con formula destinata a durare, che nel Carducci "invece del poeta troviamo il professore". Che l'anticarduccianesimo del B. fosse, ben più che ideologico e confessionale, stricto sensu "critico" risulta, d'altronde, non solo dal metodo conforme al quale venne in questi anni medesimi elaborando i propri saggi letterari, ma dall'avversione ch'egli non tacque per il preziosismo classicistico del Pascoli (il quale nell'individuazione e condanna della "retorica" carducciana pur gli era compagno).
Il B. aveva il senso della poesia e della storia, e in senso storico-politico, da tardo neo-guelfo, ereditò e discusse altresì i problemi della metrica barbara e della prosa italiana, pur senz'avvedersi di contraddire così all'indiscriminata e probabilmente politico-pratica ammirazione per il D'Annunzio, cui voleva attribuire, più o meno convertendolo e cristianizzandolo, una funzione di "vate", rinnovatore delle lettere e della coscienza nazionale. Ma, se il dannunzianesimo del B., visibile pur nell'atmosfera e nell'ambiente delle novelle Il romanzo di Ruggero (Milano 1894), echeggianti però anche il perbenismo di romanzieri borghesi d'oltr'Alpe, Octave Feuillet, per esempio, e Bourget, fu, soprattutto in sede critico-storica, un errore manifesto, feconda e novatrice fu invece la polemica del B. contro i "fontanieri" e il cosiddetto metodo storico, la rivendicazione disceverante della critica desanctisiana, dell'originalità dell'Aminta (nel che precorse il Carducci), della poesia della Gerusalemme contro i comparatisti per generi letterari, l'interpretazione neo-desanctisiana del Leopardi contro i pseudo-adoratori del pessimismo e i fautori delle teorie lombrosiane (onde non esitò nel '98 a rendere omaggio anche soverchio alle scritture leopardiane del Carducci, in quanto ispirate al riconoscimento della umanità e pietà umana del Recanatese).
Mediocre e caduca, invece, l'attività più propriamente poetico-narrativa del B., troppo viziata da echi e carducciani e dannunziani, ma non scevra di abilità stilistica e metrica, tanto nelle forme "barbare" quanto nei ritmi tradizionali. Ed è significativo che il Pascoli, da lui bistrattato come classicista ancora più che come poeta, certo inconsapevolmente e inintenzionalmente trasferisse tale quale nella brutta sua ode per Giuseppe Galliano il primo verso di una poesia del B. sul tolstoiano principe Andrea ("Tutto ravvolto ne la tua bandiera", Scritti vari, p. 276).
II B. morì a Roma il 16 nov. 1902.
Bibl.: Il meglio dell'opera del B. (sebbene un ovvio scrupolo abbia disgraziatamente suggerito di non inserirvi gli articoli anticarducciani) è negli Scritti vari (Roma 1904), corredati da importanti lettere al B. e da un'appendice necrologico-celebrativa. Sul B. cfr. B. Croce, La letteratura della nuova Italia, VI, Bari 1945, p. 85 s.; E.De Michelis, D'Annunzio a contraggenio, Roma 1963, pp. 64-66; G. Natali, Guido Fortebracci carducciano anticarducciano, rist. in Ricordi e profili di maestri e amici, Roma 1965, pp. 211-221. Per la polemica carducciana (agli articoli elencati da F. Leonetti, Carducci e i suoi contemporanei, Firenze 1955, togliere, per attribuirli invece allo scolopio Ermenegildo Pistelli, quelli a firma "Daniele" e aggiungere La parola d'un poeta, in Rassegna nazionale, XX, vol. CII [1898], pp. 389-90), cfr. G. Carducci, Confessioni e battaglie, II, in Opere, ed. naz., vol. XXV, pp. 387 s.; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, II, Bari 1948, pp. 10 ss.; G. Borelli, in G. Rabizzani, Bozzetti di letteratura italiana e straniera, Lanciano 1914, pp. 437 s.; L. Russo, Carducci senza retorica, Bari 1957, pp. 82 s. Per le relazioni col Salvadori, cfr., del B., Scritti vari, pp. 63 ss.; Rassegna nazionale, 1º marzo 1892, p. 136, e, del Salvadori, Lettere, a cura di P. P. Trompeo e N. Vian, Firenze 1945, pp. 68 s., nonché i rinvii dell'editore C. Calcaterra in Liriche e saggi, I, Milano 1933, p. 264, n. 1. Per la stroncatura dell'Epos pascoliano e la difesa che ne sostenne il Pistelli, cfr. P.Vannucci, Pascoli e gli Scolopi, Roma 1950, pp. 154 s. Per la collaborazione del B. alla Rassegna nazionale e le critiche diquest'ultima all'anticarduccianesimo del proprio collaboratore, cfr. G. Licata, La Rassegna nazionale, Roma 1968, ad Indices (con le precisazioni recensitive di P. Treves, in Rassegna pugliese, IV, [1969], p. 508).