BURATTI, Pietro
Nacque il 13 ott. 1772 a Venezia, da Petronio e dall'olandese Vittoria Van Uregarden, dove la sua famiglia, bolognese d'origine, si era trasferita da parecchi anni, aprendo una banca che permise, specie agli inizi, cospicui guadagni. Il padre era assai più interessato agli impegni mondani che alla famiglia e ai suoi stessi affari, sicché l'educazione dei figli rimase affidata, sostanzialmente, alla madre, donna bigotta e di rigidi principî. All'istruzione scolastica provvedeva un ex gesuita, l'abate A. Bagozzi, modesto precettore, che al B. ispirò comunque l'interesse per la poesia, destando in lui anche "un certo amor proprio con esperimenti accademici che si davano ogni anno alla presenza di molte persone". Il B. continuò questi studi, piuttosto disordinati e superficiali, fino ai diciott'anni, quando fu costretto a interromperli bruscamente perché chiamato a lavorare, come fattorino e copialettere, presso il banco paterno; e tale ufficio mantenne, controvoglia, fino ai trent'anni, senza però che ciò gli impedisse - com'egli stesso racconta - di percorrere "tutta la trafila delle umane follie, rovinando e la salute e la borsa", tra caffè e teatri, tra giochi d'azzardo e facili amori.
Sempre più intensa diveniva, intanto, la sua attività letteraria, incoraggiata e seguita anche dall'amico Pietro Negri. Soprattutto - per quanto possiamo desumere dai testi superstiti, fra i molti che afferma di avere smarrito o distrutto di proposito - compose poesie in lingua italiana (anacreontiche, odi, sonetti d'occasione che non si scostano dai moduli più logori di un'arcadia convenzionale), non disdegnando però neppure l'esercizio della satira in dialetto veneziano. L'unica opera che pubblicò fu comunque una versione - anch'essa improntata ad uno scolastico classicismo - dell'Ester di Racine (Venezia 1795), alla quale seguirono le traduzioni di numerose odi oraziane, di alcuni carmi catulliani, dell'Europa di Mosco e, con esiti più gustosi e personali, un libero rifacimento in dialetto della sesta satira di Giovenale.
Pochi anni dopo il trattato di Campoformio, i Buratti, fors'anche perché ne avevano risentito le conseguenze economiche, decisero di trasferirsi a Bologna. Il B. rifiutò di seguire il padre e ciò, a suo dire, perché a Venezia si sentiva legato da "un certo amoreto", né poteva "resister a l'idea de lassar un paese" cui doveva la sua "riputazion vernacola". In effetti l'ispirazione della sua poesia, di cui il dialetto era diventato l'insostituibile strumento espressivo, era ormai inscindibilmente legata alla società veneziana; ma certo, a farlo decidere, fu soprattutto la prospettiva della vita libera e spensierata che avrebbe potuto permettersi lontano dalla sorveglianza della famiglia. Per anni, infatti, usufruendo di un assegno di duemila ducati, trascorse il suo tempo nell'ozio più beato, alternando le sue prestazioni di cavalier servente della contessa Porzia ad altre avventure galanti, primeggiando in una cerchia di borghesi e di aristocratici che lo adulavano e lo temevano per l'arguzia e la comicità spesso grossolana e sboccata, ma sempre efficace e godibile, delle satire che egli scriveva a getto continuo, con inarrestabile prontezza ad ogni invito e ad ogni anche banale occasione.
Delle vicende politiche ebbe modo di occuparsi di rado, un po' per scarso interesse, un po' per timore delle possibili reazioni. Si può rammentare comunque che, dopo aver mostrato, nei confronti di Napoleone, un atteggiamento abbastanza conciliante (cfr. il sonetto del 1806 Per la venuta di Napoleone a Venezia), non mancò in seguito di criticarlo (cfr. A Napoleone in occasione dell'ultima guerra coll'Austria), né di censurare con acredine la Pronea (1808) del Cesarotti. Espressioni benevole ebbe invece per gli Austriaci, almeno se dobbiamo giudicare dalla canzone A Venezia rigenerata dall'augusta presenza del suo benefico imperatore e re Francesco I l'a. 1814. Più sincera, tuttavia, oltre che poeticamente più notevole, va considerata la satira in cui, un anno prima, aveva descritto le misere condizioni della città durante l'assedio e la triste sorte di un paese "vendùo e rivendùo" (Lamentazion al prefetto di Venezia nel blocco dell'anno 1813): testo che il B. aveva solo letto privatamente, durante un pranzo, ma che, non appena conosciuto dalle autorità, provocò l'arresto dell'autore (15 genn. 1814) da parte del governatore Francesco Seras e la condanna (scontata peraltro a domicilio) a un mese di prigione.
Nell'agosto del 1816, con decisione improvvisa (per "scontar col matrimonio la colpa de un passo falso"), sposò la sua governante, Arcangela Maria Brinis, dalla quale avrà quattro figli: Petronio, Cornelia, Vittoria e Antonio. Nel novembre dello stesso 1816 lo raggiunse la notizia che il padre era morente e, quando poté giungere a Bologna, era già spirato, lasciandogli un'eredità piuttosto esigua (1.500 bolognesi e un cammeo). Ne concluse che il padre avesse voluto così vendicarsi della satira in cui l'aveva deriso per i suoi amori di ultrasettantenne con la marchesa De' Buoi; ma nella decisione, s'intende, avevano pesato dissensi e rancori che si erano fatti sempre più gravi dopo il suo rifiuto di seguire la famiglia a Bologna.
Le nuove responsabilità di marito e di padre, nonché la contrazione subita dalle sue entrate, convinsero il B. a una vita più prudente e meno dispendiosa. Poté comunque acquistare un podere a Zero Branco (Treviso) e, nel '20, una villa a San Bughè, luogo di villeggiatura situato sul cosiddetto terraglio tra Venezia e Treviso; i suoi soggiorni in campagna divennero così sempre più frequenti e prolungati, senza però che rinunciasse mai alla vita di società, né, tanto meno, alla sua poesia satirica e giocosa.
Meritano di essere ricordati, a questo proposito, alcuni episodi: nel '17un certo Filippo Scolari, che il B. aveva preso di mira per la sua presunzione e pedanteria (cfr. Avvertimento a Ippolito Larisco), sporse querela contro di lui; la polizia lo costrinse allora alla promessa - peraltro subito infranta - di rinunciare in futuro a scrivere satire. A un poemetto satirico in ottave, L'elefante, gli diede lo spunto, nel '19, un fatto di cronaca (la fuga cioè di un elefante che, condotto a Venezia per il carnevale, aveva messo a soqquadro la città, impegnando a lungo la polizia in una caccia assai ricca, a quanto pare, di situazioni eroi-comiche): non si lasciò sfuggire, tra l'altro, con qualche sarcastico accenno, la coincidenza dell'arrivo a Venezia, proprio nello stesso giorno, dell'imperatore Francesco I, ma ridicolizzò soprattutto il comportamento del marchese Maruzzi: ne seguì un processo che si concluse, per il B., con un'altra condanna ad un mese di prigione. Nel '20-21 portò a termine la sua composizione più vasta, la Strefeide (opiù esattamente Vita,miracoli,e matrimonio de Nicoleto Strefi Grego,Pot-pourri. Ossia,Chiapa-tuti), poema in sette canti che, nonostante la sua prolissità e le troppe pagine scurrili, si fa apprezzare almeno a tratti per qualche quadro d'ambiente (quello, per es., del salotto della Benzon-Querini) e per la raffigurazione di taluni personaggi. Qualche anno dopo ebbe notizia che, a sua insaputa, era stata pubblicata (con la falsa data di Amsterdam 1823) una sua raccolta di poesie e si preoccupò che gliene potessero derivare nuove e più gravi noie con la censura; si affrettò pertanto a dichiararne ufficialmente l'apocrifia, in una Protesta datata 15 febbr. 1824.
In realtà alla pubblicazione dei propri versi si era sempre mostrato assai restio, non volendo esporsi "a la forfe [forbici] del Censor / che tagia, e aprova co no va più ben" e preferendo piuttosto rinunciare a "l'onor / de lusso tipografico, fatal / a chi scrive per impeto de cuor" (Epistola dalla campagna al n. u. Giov. Maria Contarini). Solonel '17aveva acconsentito che il Gamba ne includesse una scelta nella sua Collezione di testi dialettali; ma anche in quell'occasione aveva voluto dichiarare apertamente la sua consapevolezza del valore contingente della propria poesia (cfr. L'autor a la Musa).
È un giudizio d'altronde che, rapportato al carattere medio della sua poesia, possiamo riconoscere sostanzialmente esatto e senza anzi che, a parte qualche eccezione, ci si debba rammaricare molto per il fatto che parecchi testi rimangono tuttora inediti. Certo mancavano al B. da un lato una preparazione culturale adeguata, dall'altro quella capacità, che fu dei maggiori poeti satirici dell'800, di cogliere e di rappresentare i difetti della società contemporanea anche al di là delle manifestazioni più appariscenti e quotidiane; i suoi strali hanno così, troppo spesso, il tono del pettegolezzo e della maldicenza e i suoi personaggi restano nella memoria soprattutto per le loro caratteristiche esterne, fisiche, ben di rado riuscendo a diventare esponenti tipici di una certa classe sociale e di un determinato momento storico; e troppo spesso, ancora, le sue poesie si esauriscono nella ricerca di battute d'effetto, immediatamente godibili al ristretto pubblico di commensali o di amici di caffé cui venivano di solito declamate, mentre la stessa ammirata fluidità del suo linguaggio confina quasi sempre con la faciloneria. Di solito, insomma, siamo assai più vicini alla comicità grossolana di un Baffo, che alla grande arte di un Porta e di un Belli, sicché, mentre sembra ormai impossibile condividere gli incondizionati entusiasmi dello Stendhal, più persuasiva, tutto sommato, può apparire la caustica valutazione dello stesso Porta, che nelle poesie del B. trovava "una eccessiva verbosità, qualche ripetizione d'idee ed anco qualche pantalonata". Ciò non significa però che, entro la vastissima produzione del B., che rimane pur sempre il maggiore dei poeti dialettali dell'Ottocento veneto, manchino pagine originali e testimonianze di una singolare forza rappresentativa, rintracciabili, almeno episodicamente, nella già ricordata Lamentazione, nell'Elefante, nella Strefeide, oancora in testi come Brindesi contro l'età dell'oro,L'omo,Battua al principe Porzia, ecc.
Nell'impossibilità di indicare qui i vari temi che attrassero la sua attenzione, mette conto comunque ricordare che numerosissime furono le poesie tese a celebrare o a schernire attrici e cantanti che si succedevano sulle scene veneziane, di cui fu assiduo frequentatore. E forse proprio questa sua passione per il teatro, e per la musica in particolare (egli stesso, si sa, aveva fama d'essere un buon violinista), può spiegare anche il suo interesse per le rime per musica. Compose infatti un gran numero di "canzonette" che, musicate da G. B. Perucchini o, più di rado, da Albert Guillion, ottennero un largo e meritato successo (ma celebre, fra tutte, divenne La note xe bela, ammirata e imitata anche da Rossini). Almeno un cenno, infine, meritano altre composizioni in cui pure la vena satirica del B. lascia il posto ad accenti più misurati e cordiali o a commosse rievocazioni (Elogiode la stua,Epistola dalla campagna al ... Contarini,Mia madre Vittoria, ecc.).
Un grande dolore aveva avuto dalla lunga, fatale malattia del figlio Petronio, il quale si spense nel maggio 1827 "per consunzione, coperto di piaghe, dopo sette anni di sofferenze crudeli". In tale occasione scrisse appunto i suoi versi più accorati e patetici (Sfogo malinconico per la morte del mio primogenito). L'anno successivo si recò a Bologna, dove soggiornò, con la famiglia, parecchi mesi; al ritorno apprese che nel frattempo si era diffusa la notizia della sua morte e il curioso episodio non mancò di risvegliare il suo estro satirico. Un'ultima polemica ebbe, nel 1832, con quello che era stato il suo primo editore (cfr. Epistola a B. Gamba).
Morì a Mogliano Veneto (Treviso) il 20 ott. 1832.
Opere: Il corpus più completo delle poesia è conservato al Civico Museo Correr di Venezia, nei codd. P. D. 73b-87b, nella diligente trascrizione di Matteo da Mosto, resa autorevole anche da una premessa e da varie note dell'autore; ma testi del R. conservano anche vari altri mss. di biblioteche venete (per es. della Querini-Stampalia di Venezia, della Comunale di Padova, ecc.). Trascurando le molte edizioni occasionali di singole poesie, le scelte antologiche più importanti sono: Collezione delle migliori opere scritte in dialetto veneziano, a cura di B. Gamba, VIII, Venezia 1517; Poesie e satire di P. B. Viniziano corredate di note preliminari ed annotazioni scritte dallo stesso autore, Amsterdam (ma Verona) 1823; Poesie la maggior parte inedite..., Lugano 1854; Poesie di P. B. veneziano, I-III, Venezia 1864-67 (condotta, ma con gravi arbitri, sulla copia Da Mosto, è ancora l'edizione più vasta; il terzo volume, dedicato alle poesie italiane, contiene alle pp. III-LXIX notizie Della vita e delle opere di P. B. veneziano); Il fiore della lirica veneziana, a cura di M. Dazzi, Venezia 1959, III, pp. 11-62.
FontieBibl.: E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane..., III, Venezia 1830, p. 116; Le lettere di Carlo Porta e degli amici della Cameretta, a cura di D. Isella, Milano 1967, pp. 257 s.; B. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, Venezia 1832, pp. 177, 187 s. (e cfr. la nuova ediz. a cura di N. Vianello, Venezia-Roma 1959, pp. 189 s., 199-201); notizie biografiche nei necrologi non firmati apparsi nell'Antologia, XLVIII(1832), n. 21; nell'Ecodi Milano, 31 ott. 1832; nel Corriere delle dame, 3 nov. 1832; nella Gazzetta privilegiata di Venezia, 8 nov. 1832; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant'anni, Venezia 1855, p. 359; E. Castelnuovo, Della poesia vernacola veneziana, in Nuova Antologia, 15 apr. 1883, pp. 622-32; V. Maiamani, Ilprincipe dei satirici veneziani, Venezia 1887; Id., P. B. e la società venez. del suo tempo. Analisi di un suo poemetto..., Torino 1890; C. Musatti, Un grande attore e B., in Riv. teatrale ital., XIII (1909), pp. 221 s.; D. Valeri, Un poemetto ined. del satirico venez. P. B., Castiglione d. Stiviere 1910 (su cui v. la recens. in Giorn. stor. d. lett. ital., LIX[1912], pp. 455 s.; una ristampa dello stesso opuscolo a Firenze 1958); R. Barbiera, Attraverso un periodo di letteratura veneziana, in La lettura, XXV (1925), 5, pp. 321-328; G. Damerini, Il centenario del poeta satirico P. B., in Riv. di Venezia, 1932, pp. 463-74; R. Barbiera, Luci ed ombre nella vita e nell'opera del poeta satirico veneziano P. B., in Marzocco, 18dic. 1932; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, pp. 120 s., 761-63; A. Pompeati; Storia della letter. ital., Torino 1953, IV, p. 17; M. Dazzi, B. nel giudizio di Stendhal,con riferimenti a Manzoni,Porta,Pellico,Byron, in Nuova rivista storica, XI, (1956), pp. 502-11 (dove è anche l'indicazione completa dei luoghi in cui Stendhal parla del B.); Id., P. B. (1772-1832), in Atti dell'Istituto veneto di sc., lett. ed arti, CXVI(1957-58), pp. 20 1-39.