CAMPILLI, Pietro
Nato a Frascati (Roma) il 30 nov. 1891 da Desiderio e da Enrica Ranelli, in una famiglia di agricoltori benestanti, dopo aver conseguito il diploma di ragioniere, si laureò presso il R. Istituto di scienze economiche e commerciali di Roma. Fin da. giovanissimo militò nelle file dell'Azione cattolica, divenendo prima dirigente locale della Gioventù cattolica, poi della Federazione degli universitari cattolici (FUCI) come presidente del circolo romano. Per la competenza acquisita negli studi e nella pratica professionale fu ben presto, fin dagli anni precedenti la prima guerra mondiale, un esponente di rilievo delle organizzazioni cattoliche operanti nel campo economico-sociale, con un ruolo di dirigente nella Federazione nazionale degli impiegati e commessi, in quella delle unioni agricole e nelle cooperative di produzione e lavoro. Nel 1918 figurava segretario della Federazione bancaria italiana (fondata a Milano l'8 genn. 1914 quale organismo di coordinamento tra le banche cattoliche), sindaco dell'Istituto per le case popolari in Roma e sindaco supplente della Società di illuminazione elettrica; già membro del consiglio d'amministrazione della Federazione italiana fra le casse rurali e artigiane (fondata a Bologna nel 1914), diveniva anche presidente della Federazione laziale di questo ente. In tale veste partecipò al congresso nazionale delle casse rurali dei settembre 1918, tenendo la relazione sui problemi del Mezzogiorno. Fu successivamente direttore della Federazione bancaria italiana, consighere della Banca nazionale della cooperazione e della Banca regionale e, a coronamento di una carriera che lo vedeva emergere sempre più nella gerarchia dei responsabili del settore creditizio legato agli organismi cattolici, direttore dei Credito nazionale (organo finanziario della Federazione bancaria it aliana).
In campo politico, negli anni della prima guerra mondiale, il C., sulla scia delle indicazioni pontificie, si mostrò molto critico nei confronti dell'intervento italiano: nel gennaio 1918, partecipando al II congresso delle giunte diocesane di azione cattolica, egli - insieme con G. Bertini, V. Mangano e G. Miglioli - votò contro un ordine del giorno che invitava i cattolici italiani "a contribuire alla resistenza della patria nell'ora presente", perché giudicato intinto di toni sciovinistici. Negli anni del dopoguerra fu anche presente nell'azione dei cattolici in campo politico per la'fondazione del Partito popolare italiano (PPI). Nel novembre-dicembre 1918, infatti, partecipò alla "piccola costituente" del partito, nel cui consiglio nazionale venne eletto ai congressi di Napoli (aprile 1920), Venezia (ottobre 1921) e Torino (aprile 1923). Ma il suo ruolo politico fu di primo piano soprattutto in ambito locale, nel Lazio. Ritenuto su posizioni troppo avanzate, nell'agosto 1919 egli venne escluso dalla direzione della sezione romana, di cui era stato uno dei fondatori e dei primi dirigenti, ma pose ugualmente la sua capacità e il suo attivismo al servizio del partito nella campagna per le amministrative del 1920 (durante la quale fu anche fatto segno a un attentato), che si concluse con un successo elettorale del PPI e con la elezione del C. al Consiglio provinciale di Roma (VI mandamento, Frascati): in esso, come segretario del gruppo consiliare popolare, sostenuto dai deputati laziali dei partito, egli guidò con fermezza l'opposizione. Nel 1923, dopo l'ascesa di Mussolini alla presidenza dei Consiglio, decadde dalla carica per lo scioglimento dei Consiglio provinciale, avvenuta nell'ambito della riorganizzazione degli enti locali voluta dal fascismo per esercitare un maggior controllo sulla periferia. L'avvento al potere del fascismo pose in particolare difficoltà il C. che, come amministratore bancario, esercitava un ruolo importante nell'azione volta a finanziare il partito popolare e le organizzazioni cattoliche.
Ciò avvenne fin dai primi mesi del 1923, quando, nell'intento di tagliare alla radice le fonti di sostentamento del PPI, Mussolini decise un intervento sul Banco di Roma sostituendo la vecchia dirigenza cattolica con elementi di maggiore affidamento nelle persone del presidente F. Boncompagni Ludovisi e dell'amministratore delegato C. Vitali. Questi già nel febbraio decideva la sospensione di ogni forma di sovvenzione a partiti politici e giornali: tra gli altri ne erano colpiti L. Sturzo e il C., il quale - come amministratore di giornali di ispirazione popolare - fino al gennaio precedente riceveva dal Banco 17.000 lire mensili. Nell'aprile del 1923 lo stesso Boncompagni, lamentandosi per le conclusioni antifasciste del congresso popolare di Torino, chiese prima agli amministratori dei Credito nazionale, finanziariamente collegato con il Banco, una riduzione dei sussidi "assai considerevoli" accordati al PPI; quindi stigmatizzò con il ministro De Stefani l'avvenuta elezione fra i consiglieri nazionali del partito del C., "fiduciario degli antichi amministratori dei Banco" di Roma (De Rosa, Storia del Banco di Roma, 11, pp. 383 s.). Per questa politica di sperperi - la cui responsabilità era addossata principalmente all'ex amministratore delegato del Banco di Roma, G. Vicentini, esponente del PPI e consigliere delegato della Federazione bancaria italiana e del Credito nazionale - il Credito veniva additato come uno dei principali colpevoli della crisi dei Banco. La situazione precipitè quando, nel giugno 1923, il Credito nazionale e le banche cattoliche con esso consociate - nel tentativo di conquistame il controllo - rastrellarono 220.000 azioni dei Banco di Roma portando a 900.000 il totale di azioni da esse possedute. Il De Stefani, accogliendo in pieno le indicazioni del Vitali, ne appoggiò le richieste presso Mussolini, trasmettendo a questo (luglio 1923) un promemoria dell'amministratore del Banco di Roma, in cui, per favorire il salvataggio di questo, si ritenevano almeno necessari la destituzione del Vicentini e del C. e un intervento che obbligasse il Credito alla restituzione delle azioni del Banco in suo possesso. In effetti, l'11 ag. 1923, il Credito fu costretto a cedere alla Banca d'Italia l'intero pacchetto per il prezzo complessivo di 49.000.000. Mussolini però, sulla base di considerazioni politiche (in un momento in cui riteneva di aver ancora bisogno di un atteggiamento benevolo da parte dei Vaticano e del mondo politico e finanziario cattolico), non solo non volle provocare l'immediata chiusura dell'istituto di credito cattolico (come avrebbe voluto il De Stefani), ma fini per accogliere la sola richiesta di allontanamento del C., consentendo la pennanenza del Vicentini alla sua guida (A. De Stefani, Baraonda bancaria, Milano 1960, pp. 356-376: per il fallimento dei Credito nazionale e delle banche cattoliche consociate, avvenuto negli anni 1926-1929, in un mutato contesto politico, e che portò allo smantellamento della rete creditizia cattolica, con la chiusura di 74 istituti di credito e oltre 1000 sportelli, vedi pp. 496 s.).
Il C. rimase fino al 1926 presidente della Federazione laziale delle casse rurali e operaie: in quell'anno figurava anche presidente della IAC (Imprese agricole commerciali), consigliere dell'APE (Anonima popolare editoriale), della SAOD (Società apostolica Orsini Ducas, operante nel settore agricolo), della SIAT (Società anonima imprese agricole toscane), della Società anonima mobiliare (di cui ta presidente il Vicentini) e della SIBA società italiana bonifiche agrarie).
Sciolto d'autorità il PPI, in cui nell'ultimo periodo era stato membro della giunta esecutiva, il C. per alcuni anni, estraniatosi dalla vita politica, rimase anche ai margini del mondo degli affari. Ritornò in lizza nei primi anni Trenta, operando soprattutto nel settore immobiliare: nel 1934 figurava consigliere della Società anonima fornaci tiberine e della Società immobiliare tirrena e sindaco della SATER (Società anonima terreni edili Roma); nel 1943 appariva consigliere della Società italiana per condotte d'acqua, di cui divenne l'anno dopo vicepresidente e amministratore delegato. Frattanto ricominciava a tessere rapporti personali e di affari con ambienti ed. esponenti del mondo cattolico di Roma e del Lazio. Fu così pronto nel 1943 a riprendere la sua militanza politica: gia nel maggio c'è traccia della sua presenza a riunioni insieme con Gronchi, Gonella e Spataro; dall'estate di quell'anno partecipò al processo di fondazione della Democrazia cristiana con l'elaborazione delle Idee ricostruttive, di cui egli fu uno degli estensori per la parte economico-sociale; fu anche uno dei principali tramiti con le fonti di sostegno finanziario del nuovo partito. Dal luglio 1944 fece parte del consiglio nazionale e dall'agosto 1945 della direzione nazionale. Rappresentò la Democrazia cristiana dapprima nel comitato economico del Comitato di liberazione nazionale (CLN), poi, designato alla Consulta nazionale, venne nominato membro della commissione economica del ministero per la Costituente.
Nelle elezioni del 2 giugno 1946 fu eletto deputato nel collegio del Lazio ed entrò, come ministro del Commercio con l'Estero e vicepresidente dei Comitato interministeriale per la ricostruzione (CIR) nel secondo ministero De Gasperi. L'azione del C. in questi due incarichi fu improntata da un lato dal tentativo di inquadrare il problema della ricostruzione dell'industria italiana nell'ambito di un suo rapido reinserimento nel mercato internazionale, mostrandosi egli contrario a politiche eccessivamente defiazionistiche e vincolistiche (provvedimenti che liberalizzavano l'import-export di prodotti tessili e, in parte, di quelli caseari), dall'altro, proprio per evitare interventi antiliberisti, come la proposta delle sinistre di introdurre un calmiere dei prezzi, fu favorevole - in sintonia con il ministro socialista dell'Industria, R. Morandi - a istituire gli enti comunali di consumo e creare ristoranti popolari e mense aziendali per alleviare i bisogni alimentari degli strati più poveri della popolazione e degli operai a basso salario (settembre 1946: proposta del CIR). Il suo ruolo all'interno del governo acquistò maggiore importanza dopo le dimissioni del Corbino.
Fu il C., il 16 sett. 1946, a illustrare nel Consiglio dei ministri il programma economico-finanziario dei governo, fondato sull'accrescimento delle entrate fiscali al livello prebellico per ottenere la stabilizzazione della lira; sull'emissione di un prestito redimibile al 5% con la rinuncia al consolidamento del debito; sulla formulazione di un "piano" di lavori pubblici per la ricostruzione; e sulla normalizzazione dei rapporti sociali, con la stipula di un accordo di tregua salariale. In particolare riscosse l'approvazione del gruppo dossettiano il tentativo del C. di abbozzare un "piano" di interventi per la ricostruzione del paese. Il 2 ottobre fu accolta la domanda di ingresso dell'Italia nel Fondo monetario internazionale (FMI) e nella Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), per cui il C. si era impegnato a fondo.
In qualità di ministro per il Commercio con l'Estero, egli, nel gennaio 1947, accompagnò negli Stati Uniti il presidente dei Consiglio De Gasperi, invitato dal governo americano. Il C. vi negoziò, insieme con il direttore generale della Banca d'Italia, D. Menichella, un prestito in dollari da parte della Import-Export Bank.
Venne ottenuta una somma relativamente modesta, 100.000.000 di dollari, e per di più sottoposta a clausole restrittive tali ("allo scopo di aiutare particolari settori dell'industria italiana a recuperare ed espandere i loro mercati di esportazione c Gambino, p. 306 n.) da renderlo praticamente utilizzabile soltanto a fini propagandistici. Più importanti risultarono le concessioni fatte direttamente dal governo americano, che prevedevano lo sblocco dei beni italiani congelati in USA, il rimborso di 50.000.000 di dollari per le spese sostenute per le truppe americane occupanti, la promessa di aiuti in grano e carbone alla cessazione del programma UNRRA e l'avvio di negoziati per un trattato commerciale per la riduzione bilaterale delle barriere doganali. Il complesso dei risultati ottenuti era percepito come un segnale della disponibilità del governo americano ad aiutare la ripresa dell'economia italiana in cambio del consolidamento del sistema democratico nel quadro politico occidentale.
Al rientro in Italia della delegazione, la crisi di governo aperta da De Gasperi, il quale - nonostante le pressioni esercitate su di lui da più parti - riteneva ancora non maturo il momento dell'estromissione dei comunisti dalla compagine ministeriale, fu diretta, tra l'altro, a consegnare in mani più gradite agli Americani la direzione della politica economica: pertanto, con la motivazione della necessita di unificare i ministeri del Tesoro e delle Finanze, il comunista Scoccimarro dovette lasciare la guida di quest'ultimo dicastero (il PCI si contentò di tre incarichi, Lavori Pubblici, Grazia e Giustizia e Trasporti): l'uomo scelto da De Gasperi fu proprio il C., che a Washington si era trovato in singolare sintonia con gli interlocutori americani ed era "considerato un coming man per le sue caratteristiche di spericolato uomo d'affari" (C Daneo, La politica economica della ricostruzione 1945-1949, Torino 1975, p. 214).
È stato notato che la circostanza che i principali dicasteri economici fossero affidati a democristiani e, in particolare a due uomini politici come il C. e Vanoni (ministro dei Commercio con l'Estero) che erano stati l'uno elaboratore per la parte economica delle Idee ricostruttive della DC, l'altro tra i partecipanti alla stesura del cosiddetto "codice di Camaldoli", aveva il significato preciso di una "svolta" nella politica economica richiesta da tempo in "certi ambienti della Democrazia Cristiana", in patticolare dai gruppi dossettiano e gronchiano (P. Barucci, Ricostruzione, pianificazione, Mezzogiorno, Bologna 1978, pp. 132 s.). Ciò avrebbe originato la reazione dei gruppi di destra, sfociata nella prima campagna scandalistica della Repubblica, che prese avvio - proprio durante il dibattito per la fiducia, il 14 febbraio - da un intervento dei deputato separatista siciliano A. Finocchiaro Aprile, il quale accusò il C. di aver favorito speculazioni in borsa e il Vanoni di aver percepito una liquidazione troppo elevata come commissario uscente della Banca nazionale dell'agricoltura. La commissione parlamentare d'inchiesta, istituita per indagare sulla vicenda, concluse i suoi lavori con un verdetto poco chiaro (15 aprile); fu poi il dibattito in assemblea a scagionare i due ministri e a confermarne "l'onorabilità", grazie al voto di una larga maggioranza in cui confluivano democristiani, comunisti, socialisti e demolaburisti: significativi sembrarono però l'astensione dei liberali, dei repubblicani, dei saragattiani (PSLI) e dei gruppo misto di destra e il voto contrario dei qualunquisti.
Ma in realtà la linea di politica economica perseguita dal C. nei pochi mesi in cui ricoprì il doppio incarico non fu particolarmente incisiva e può essere considerata quella tipica di un periodo di transizione. Ai primi di febbraio venne deciso di rinunciare definitivamente al progetto di cambio della moneta, che era stato oggetto di aspri dibattiti e contrasti nei mesi precedenti; e nell'aprile il C. varò l'altrettanto discussa imposta straordinaria sul patrimonio, che fu calcolata in via presuntiva per le difficoltà tecniche di procedere a un accertamento delle reali consistenze patrimoniali. Furono prese anche misure di smantellamento graduale dei prezzi politici: un decreto legge del 28 febbraio, pur prorogando il blocco dei fitti a tutto il 1947, li aumentava del 20%; alla fine di marzo il C. e il ministro dell'Agricoltura, A. Segni, accoglievano le pressanti richieste di Einaudi per la liberalizzazione graduale dei prezzo dei pane. Il C. appoggiò anche il "piano" governativo in quattordici punti, redatto dal ministro dell'Industria, Morandi, che tentava di introdurre misure di contenimento selettivo del credito per evitare speculazioni valutarie e sui prezzi. Nel primo semestre del 1947, infatti, si verificò un'esplosione dei processo infiazionistico (l'indice dei prezzi al minuto registrò tra il primo e il secondo trimestre dell'anno un incremento del 30,5%), favorito, oltre che dall'entità del disavanzo pubblico, dalle "operazioni speculative consentite dal settore bancario, lasciato troppo a briglia sciolta, sull'onda della tesi che le banche, in fondo, non erano altro che aziende che vendevano o acquistavano denaro secondo la esclusiva e particolare convenienza del momento", concezione questa in contrasto con la legge bancaria "che definiva invece il credito come servizio di interesse nazionale" (G. Rasi, La politica economica e i conti della nazione, in Annali dell'economia italiana, X, 1, Milano 1981, pp. 157 s.). Per por rimedio a questa situazione di grave difficoltà, all'inizio di maggio De Gasperi ritenne di dover aprire una nuova crisi di governo e, estromesse le sinistre, varare una severa politica di stabilizzazione monetaria, affidandosi per la sua attuazione a tecnici del valore di Einaudi (al neoistituito ministero del Bilancio) e Gustavo Del Vecchio (Tesoro), affiancati dal democristiano G. Pella (Finanze).
Al C. venne affidato dal presidente del Consiglio l'incarico di capo della delegazione italiana alla prima Conferenza per la cooperazione economica europea (CCEE), apertasi a Parigi il 12 luglio 1947 con la partecipazione delle delegazioni di sedici stati (non aderirono i paesi nell'orbita sovietica, mentre non furono invitate Germania e Spagna), con l'obiettivo di esaminare l'offerta di assistenza avanzata dagli Stati Uniti con il piano del segretario di Stato, G. Marshall, il 5 giugno 1947, e delineare un programma coordinato di ricostruzione e di sviluppo economico dell'Europa -l'European Recovery Program (ERP) - in modo da quantificare i fabbisogni cui far fronte con gli aiuti americani. Alla fine dei lavori, in settembre, fu costituita l'OECE (Organization of Economic Cooperation for Europe), per la formulazione e il coordinamento dei programmi di ricostruzione e di collaborazione, cui fece da pendant, negli Stati Uniti, la creazione dell'ECA (European Cooperation Administration), incaricata di attuare gli interventi di assistenza.
In questo ruolo il C. svolse "un'azione del tutto slegata dal controllo parlamentare, ma strettamente intrecciata alla linea politica di De Gasperi … improntata a un criterio prioritario, intuire la volontà reale degli americani e adeguarvisi prima degli altri paesi e prima che fosse comunque imposta" (M. Salvati, Stato e industria nella ricostruzione. Alle origini del potere democristiano, Milano 1982, pp. 318 s.). La preoccupazione dominante fu, insomma, quella di appoggiarsi senza remore agli Stati Uniti per ottenere un aiuto sia economico sia politico in previsione delle elezioni del 1948. Perciò il C. suggerì nei suoi dispacci di privilegiare il soddisfacimento delle due richieste principali degli Stati Uniti: la stabilità monetaria e la liberalizzazione degli scambi commerciali (il C. propose l'unione doganale e un consorzio europeo per l'elettricità). Nell'ottobre 1947 il C., recatosi a Washington, prospettò al governo americano l'urgente bisogno per l'Italia di ottenere aiuti prima che entrasse in vigore il piano Marshall e prese contatti con il mondo finanziario privato americano per sollecitare investimenti nella penisola.
Dopo le elezioni del 18 aprile, superate le più pressanti preoccupazioni politiche, i rapporti che il C. invia a De Gasperi mostrano una maggiore attenzione ai problemi strettamente economici: egli, prendendo atto di critiche che emergevano da parte di ambienti accademici e anche politici americani, faceva presente la necessità di una revisione della linea recessiva della politica economica einaudiana, notando d'altra parte che il persistere della depressione ostacolava l'azione della delegazione italiana presso l'OECE ai fini dell'ottenimento di una quota maggiore di fondi ERP, la cui ripartizione era commisurata ai programmi di sviluppo (luglio 1948). La posizione dei C. si saldava in tal modo con quella di quanti nell'area di governo (Togni, Merzagora, Tremelloni, sinistra democristiana), pur con intonazione diversa, chiedevano un mutamento di politica economica: le sue sollecitazioni furono determinanti nell'indurre il governo a mettere a punto un sia pur approssimativo programma di investimenti in vari settori per complessivi 2273 miliardi per il quadriennio 1948-52 (presentato all'OECE il 30 sett. 1948).
Il C. lasciò l'incarico presso l'OECE il 12 febbr. 1948, sostituito da Tremelloni. Ritornato in Italia, si segnalò tra coloro che ormai facevano apertamente la "fronda" alla linea Pella, benché su posizioni diverse da quelle della sinistra dossettiana. Apertasi la crisi di governo e costituito il sesto gabinetto De Gasperi (27 genn. 1950), pur rimanendo Pella titolare dei ministero del Tesoro, fu accolta la richiesta di questa corrente per la creazione di un Comitato di coordinamento economico, che fu presieduto dallo stesso presidente dei Consiglio ma di cui diveniva coordinatore il C. con l'incarico di ministro senza portafoglio per il Coordinamento Economico (dall'aprile 1951, quando i socialdemocratici si ritirarono dal governo, egli sostituì L. D'Aragona al ministero dei Trasporti). Ormai considerato "come uomo dell'imprenditorialità più dinamica" (Daneo, p.294), insieme con U. La Malfa, fu tra i protagonisti di una linea politica produttivistica stimolata dall'intervento pubblico. Nel febbraio partecipò, insieme con lo stesso La Malfa, con La Pira, Fanfani, Rapelli, alla conferenza in cui la CGIL presentò a un ampio dibattito il "Piano del lavoro", già lanciato in occasione del II congresso nazionale della confederazione (ottobre 1949). Fu poi tra i realizzatori dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno, concretatosi nella istituzione della Cassa del Mezzogiorno (legge 10 ag. 1950, che prevedeva la spesa di 1000 miliardi di lire in dieci anni). Forte dell'esperienza maturata nella delegazione presso l'OECE, il C. concepì tale intervento come un'occasione per incanalare in modo plausibile i fondi ERP: nello stesso tempo negoziò egli stesso con la BIRS un prestito di 10.000.000 di dollari annui per il finanziamento di progetti industriali nel Mezzogiorno che fu concesso nell'agosto 1952. Nel settimo gabinetto De Gasperi (26 luglio 1951-16 luglio 1953) il C. passò al ministero dell'Industria e del Commercio (tra l'altro, promosse la legge 25 luglio n. 949 per la costituzione del Mediocredito centrale, Istituto centrale per il credito a medio termine per il finanziamento a favore delle piccole e medie industrie), per assumere poi nell'ultimo ministero De Gasperi (16 luglio-17 ag. 1953), e nei successivi Pella (17 ag. 1953-18 genn. 1954), Fanfani (18 genn.-10 febbr. 1954), Scelba (10 febbr. 1954-6 luglio 1955), Segni (8 luglio 1955-19 maggio 1957), Zoli (19 maggio 1957-1° luglio 1958), l'incarico di ministro senza portafoglio responsabile per la Cassa dei Mezzogiorno (tale incarico, che ebbe nei vari governi denominazioni talora diverse, comportava la presidenza del comitato di ministri per la Cassa del Mezzogiorno e di quello per la esecuzione di opere straordinarie nell'Italia settentrionale e centrale). Il C. si dimise da questa carica il 26 febbr. 1958, quando fu nominato presidente della Banca europea degli investimenti.
Come responsabile, per tutta la prima fase degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il C. giocò un ruolo fondamentale nell'organizzare il consenso intorno alla politica della DC, divenendo uno dei protagonisti del mutamento che si verificò fin dall'inizio degli anni Cinquanta nei rapporti tra partiti, Stato e masse elettorali. Nel difendere, contro le critiche delle sinistre e del liberale E. Corbino - i quali paventavano che l'iniziativa potesse risolversi in una grande operazione clientelare - i criteri che avevano presieduto alla costituzione di un "ente speciale", creato allo scopo di rendere più spedite le procedure di spesa (P. Campilli, La Cassa del Mezzogiorno, in Civitas, I [1950], n. 2, pp. 27-30), egli stesso ammetteva che la Cassa era "un organismo autonomo, con personalità giuridica distinta dallo Stato, ma non fuori dallo Stato", "sottratta al rallentamento provocato dai controlli ordinari", e sottolineava che "il piano, alla esecuzione del quale è preposto il nuovo Ente, non è affatto modesto o, comunque, inadeguato, come si è tentato di far credere; che esso è, anzi, "formidabile" per le masse cui si applica; che presso queste masse gli apprezzamenti dell'azione dei Governo democratico risulteranno tali da pregiudicare le fortune della propaganda socialcomunista". Se, infatti, la concezione che aveva portato all'istituzione della Cassa era correttamente fondata sull'ipotesi della necessità di una fase di preindustrializzazione, basata sulla costruzione di adeguate infrastrutture e sulla formazione, attraverso trasferimenti finanziari alla piccola proprietà contadina, di una domanda locale che avrebbe dovuto favorire l'insediamento di imprese industriali, è vero però che in pratica la spesa impiegata (nel primo quinquennio solo il 9% degli investimenti andò alle iniziative industriali) si disperse in mille rivoli (diretta molto spesso a sostenere il reddito di piccoli proprietari agricoli), con il risultato di non riuscire a impedire l'ulteriore approfondimento dei gap tra Nord e Sud.
In previsione della seconda fase, per favorire l'erogazione del credito industriale a medio termine, il C. fece varare la legge 11 apr. 1953 n. 298 che lo affidava a due nuovi enti, il CIS (Credito industriale sardo) e l'IRFIS (Istituto regionale per i finanziamenti alle medie e piccole industrie in Sicilia), e all'Isveimer (Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale, già costituito nel 1938, ma allora riordinato). Prima di lasciare l'incarico, inoltre, egli promosse la legge 29 luglio 1957 n. 634 ("Norme per gli incentivi industriali per il Mezzogiorno"), che doveva aprire la nuova fase di intervento della Cassa, quella della industrializzazione.
Nel 1959 il C. fu nominato presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, costituito con la legge 5 genn. 1957 n. 33. Egli cercò invano durante il suo mandato (cessò dalla carica, che in seno alla DC gli dava diritto di sedere nel Consiglio nazionale, nel 1970) di dare a questo organismo - le cui attribuzioni erano di tipo consultivo, di studio e di promozione dell'attività legislativa - un ruolo definito e una collocazione più precisa all'interno delle istituzioni.
Nel dicembre 1970, dopo le dimissioni di C. Merzagora dalla presidenza della Montedison, al C. fu offerto di subentrargli nella carica, come candidato di compromesso nella lotta che le varie fazioni, politiche e imprenditoriali, pubbliche e private, avevano scatenato intorno al controllo della società di foro Bonaparte. Egli, dopo qualche incertezza determinata anche dal fatto che gli era già stata assegnata dall'IMI (Istituto mobiliare italiano) la presidenza del Fonditalia, accettò. Nei pochi mesi in cui ricoprì tale carica tentò con caparbietà, e ostentando indipendenza dalle indicazioni fornite dall'ENI, che era uno dei principali azionisti della Montedison, di attuare un progetto di risanamento finanziario: ma, ben presto, il 22 apr. 1971, fu sostituito da Eugenio Cefis.
Il C. morì a Roma l'8 luglio 1974.
Fonti e Bibl.: Manca una biografia critica sul C., indubbiamente una delle figure che più hanno contribuito alla realizzazione della politica economica dei governi centristi. Per ora, oltre alla voce di A. Parisella nel Dizionario storico dei movimento cattolico in Italia 1860-1980, a cura di G. Campanini e F. Traniello, III, Le figure rappresentative, 1, Casale Monferrato 1984, pp. 157-159, e alla bibliografia ivi citata, si veda E. Piscitelli, Dei cambio ovvero del mancato cambio della moneta nel secondo dopoguerra, in Quaderni dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza, n. 1, 1969, pp. 9-77, passim; A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere DC, Bari 1975, ad Indicem; O. Barrese-M. Caprara, L'anonima DC. Trent'anni di scandali da Fiumicino al Quirinale, Milano 1977, ad Indicem; G. Accame, Il quadro politico e l'evoluzione della società italiana, in Annali dell'economia italiana, X, 1, Milano 1981, pp. 51, 58; G. Rasi, La politica economica e i conti della nazione, ibid., pp. 134, 152, 157, 178, 203; G. De Angelis, La politica monetaria e creditizia e i rapporti con l'estero, ibid., pp. 273 s., 281; G. Fanello Marcucci, Alle origini della Democrazia cristiana 1920-1944. Dal carteggio Spataro-De Gasperi, Brescia 1982, ad Indicem; L. De Rosa, Storia del Banco di Roma, II, Roma 1983, ad Indicem; R. Quartararo, L'Italia e il Piano Marshall, in Storia contemporanea, XV (1984), pp. 647-722, passim.