Cantinelli, Pietro
Autore della più importante e preziosa cronaca romagnola della seconda metà del Duecento, e pertanto testo di fondamentale importanza per la conoscenza di fatti, situazioni e personaggi storici che nell'opera di D. sono largamente presenti.
La cronaca si è conservata in un solo codice dell'Archivio Armanni (ora presso la Sezione di Archivio di Stato di Gubbio), cartaceo e certamente autografo almeno nella sua seconda parte, gravemente disordinato e danneggiato dal tempo e dall'uso, mutilo in principio e in fine e lacunoso anche altrove (le lacune solo in parte sono state integrate attraverso cronisti e compilatori romagnoli dei secoli XV-XVII che conobbero la cronaca in uno stato migliore). Come essa ci è giunta, comprende una prima parte, che sostanzialmente è una cronaca bolognese dal 1228 al 1278, scritta o compilata in Bologna, forse dopo il 1272, utilizzando una fonte precedente (il filone più antico della cronaca Villola, secondo il Sorbelli); e una seconda, faentina, che va dal 1270 al 1306. La prima contiene solo qualche intervento attribuibile all'autore della seconda, ma quest'ultima è opera diretta e coeva, stesa lungo il corso degli avvenimenti da " Petrus Cantinelli ", che due volte vi si nomina in prima persona.
La secolare discussione sulla patria del cronista, tra coloro che lo vogliono bolognese e passato a dimorare a Faenza in seguito alla cacciata della Parte Lambertazza nel 1274 (Mittarelli, G. Fantuzzi, Sorbelli, Zaccagnini) e quelli che lo credono faentino (Torraca, Galli) non è stata ancora risolta per comune consenso. Tuttavia, purché si faccia una netta distinzione tra le due parti. della cronaca, la tesi del Torraca appare la più probabile. I documenti bolognesi del 1256 e,del 1272 relativi a un " dominus Petrus quondam domini Iacobini Cantinelli " (non indicato come notaio) sembrano riferirsi a persona diversa dal " [dominus] Petrus Cantinelli [Cantinellus] ", ricordato sempre come notaio a Faenza, dove già rogava nel 1269; i sentimenti ghibellini del cronista non implicano necessariamente l'attribuzione a lui della prima parte della cronaca originariamente scritta (come ha dimostrato il Sorbelli) a Bologna. Il notaio faentino, che nel 1276-78 figura quale sindaco e procuratore generale del Capitolo della Cattedrale, ebbe anche notevoli incarichi pubblici, testimoniati dalla stessa cronaca: nel 1278 di inviato del comune a papa Niccolò III, nel 1294 di rappresentante del comune, città e distretto per l'assoluzione dalle censure da parte di Ildebrandino da Romena vescovo di Arezzo e conte di Romagna. La cronaca giunge al settembre 1306 e, sebbene sia mutila in fine, si può credere che la vita dell'autore non si protraesse molto più a lungo.
La passione politica, la frequente partecipazione agli eventi della vita pubblica, ma insieme l'abito della precisione coerente alla professione di notaio, contribuirono a quelli che sono i maggiori pregi della cronaca, la larga e precisa informazione per un lungo periodo di grande importanza storica, e non solo per il centro di osservazione, Faenza, ma per tutta la regione e altri importanti centri connessi, come Bologna. E stato giustamente osservato che " la prosa del Cantinelli, per solito lucida, fredda e impassibile, secondo lo stile notarile che il cronista si era formato nell'esercizio della sua professione ", assume talvolta " vibrazioni patetiche " (Vasina, p. 105 n. 3); ed è capace all'occorrenza di alzare il tono fino all'eloquenza, come nella narrazione del tradimento di Tebaldello.
L'importanza ‛ dantesca ' del testo del C. è ben nota e fu meglio di tutti messa in rilievo dal Torraca con autorità di studioso ed editore del C. non meno che di dantista: " singolar pregio della cronaca è il grande aiuto, che porge all'illustrazione storica della Divina Commedia, all'illustrazione, vorrei dire, più autentica; perché essa fu scritta negli anni della giovinezza di Dante, mentre vivevano gli uomini, e accadevano gli avvenimenti, che poi Dante avrebbe nominati o rappresentati, e ricordati. I personaggi danteschi sono qui una folla: conte Orso, frate Alberico, Ugolino de' Fantolini, Ranieri e Fulcieri da Calboli, Lizio da Valbona, Guido e Alessandro e Aghinolfo e Ildebrandino da Romena, Tebaldello de' Zambrasi, Guido Bonatti, ‛ il Mastin vecchio e il nuovo da Verrucchio ', Giovanni Ciotto, Montagna de' Parcitadi, Federico Novello, Bonifazio ‛ che pasturò col rocco molte genti ', i conti di Cunio, di Bagnacavallo, di Castrocaro, forse il ‛ figliastro ' di Obizzo da Esti, messer Marchese, Maghinardo da Susinana, Guido da Montefeltro. Qui vediamo Maghinardo ‛ mutar parte dalla state al verno '; qui troviamo le ragioni dell'ammirazione, che il poeta sentì per il ‛ nobilissimo ' Guido, prima che pensasse a chiuderlo nell'involucro della fiamma infernale, per punirlo del consiglio frodolento dato a Bonifazio VIII. Qui incontriamo altri, di cui Dante fece menzione nelle opere minori: Tommaso da Faenza, Ugolino Buzzola, Fabrizio de' Lambertazzi, Galasso da Montefeltro. E qui apprendiamo come Tebaldello aprisse Faenza ‛ quando si dormia '; come Forlì sostenesse la ‛ lunga prova ' e facesse ‛ de' Franceschi sanguinoso mucchio '; perché; e dove e quando, frate Alberico si meritasse di cadere, vivo ancora, nella Caina; perché Ugolino de' Fantolini potess'essere tristamente sicuro di non aver discendenti degeneri; come la guerra, che, per ben venticinque anni, aveva devastato la Romagna, fosse brevemente interrotta dalla gran pace del 1299, e Dante, nell'aprile del 1300, potesse attestare, dall'alto del ponticello delle Malebolge: ‛ Romagna tua ' " (Torraca, ediz. del Chronicon, pp. XXII-XXIII). Ed è giusto rilevare qui che l'edizione del Torraca, la prima criticamente attendibile, costituì, e per il testo e per la puntuale e sobria illustrazione fornita nel commento ai luoghi accennati, un evento memorabile per gli studi danteschi, anche per l'esemplare conoscenza della storia romagnola che il Torraca allora si formò e che appare anche in tanti altri suoi lavori.
Ci si potrebbe chiedere, in presenza di un tale quadro, se D. abbia potuto leggere la cronaca del C., se essa possa essere stata una fonte delle sue conoscenze; e sarebbe ragionevole rispondere negativamente, anche perché il testo del C., conservato nel solo esemplare originale, sebbene usato piuttosto largamente in seguito, non sembra avere avuto diffusione manoscritta. Che il C. sia stato conosciuto di persona da D., date le presenze di questo in Romagna nei primi anni del Trecento e la posizione del notaio e cronista, si può crederlo senz'altro possibile, anche se nessun indizio lo attesta.
Bibl. - Edizioni: G.B. Mittarelli, Ad Scriptores rerum Italicarum cl. Muratorii Accessiones historicae Faventinae, Venezia 1771, 231-315 (" Praefatio ", 221-230); P.C., Chronicon (AA. 1228-1306), a c. di F. Torraca, in Rerum Ital. Script. XXVIII 2, Città di Castello 1902, pp. LXVI, 215; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, 82-83; H. Simonsfeld, Untersuchungen zu den Faentiner Chroniken des Tolosanus und seiner Fortsetzer, in " Sitzungsberichte der Bayerische Akademie der Wissenschaften, München " 1893, I, H. 3, 355-372; A. Sorbelli, Intorno a P. C. e alla sua prima cronaca. Appunti, in " La Romagna " I (1904) 157-171; G. Zaccagnini, P.C. cronista bolognese, in " L'Archiginnasio " XVII (1922) 212-215; R. Galli, P.C. cronista faentino, in " La Romagna " XIV (1923) 179-184 (col nuovo documento del 1269); G. Zaccagnini, Ancora di P.C. cronista bolognese, in " L'Archiginnasio " XVIII (1923) 196-199; R. Galli, Su P.C., cronista. Postilla, ibid. XIX (1924) 120-121; Il notariato nella civiltà italiana, Milano 1961, 145-146; A.Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di D., Firenze 1965, 462-463, ad indicem (e più particolarmente: XVI 40, 51 n. 4, 82 n. 6, 89 n. 1, 104 n. 2, 105 n. 3, 124 n. 1, 132 n. 2, 141-143 [sanguinoso mucchio], 173 n. 2, 251 n. 2, 253 n. 1, 255 n. 2, 310 n. 2).