CAPPELLO, Pietro
Nato a Venezia il 26 marzo 1676, unico figlio maschio di Domenico (1641-1716) di Vincenzo di Girolamo e di Agnese di Piero di Taddeo Gradenigo, prese in moglie, il 3 marzo 1696, Orsa di Zaccaria di Andrea Morosini, che gli diede tre figli: Pietro (I), Pietro (II) e Agnese andata sposa a Leonardo Donà di Francesco.
Podestà di Chioggia dal 23 ott. 1701 all'inizio del 1703, proprio quando è in corso il conflitto franco-imperiale, in quasi tutte le sue lettere al Senato descrive i transiti di rifornimenti per le truppe del principe Eugenio di Savoia; o narra dei fratelli Rizzati di Loreo, "gente facinorosa, sanguinaria e bandita", che incendiarono, nell'aprile 1702, tre "burchi" di fieno e grano a queste inviate, e vennero perciò impiccati; o parla delle voci che circolavano sulle temibili mosse del Forbin, che seminava, allora, il terrore nell'alto e medio Adriatico.
Dalla lettura delle apprensive informazioni del C. si può costatare direttamente come la proclamata e vantata neutralità di Venezia si fosse ridotta ad avvilita impotenza. Nonostante i tempi, il C. si adopera per risollevare le finanze della "comunità" che trova in "stato deplorabile et infelice... aggravata da rilevantissimi pesi... tanto più eccedenti quanto che le rendite", oltre ad essere "inferiori all'uscita, restavano interdette da' suoi creditori"; per di più le valli da pesca "erano inaffittate". Il C. tuttavia riesce a collocarle con un'affittanza di 1.165 ducati annui, assai inferiore, purtroppo, rispetto a quella del 1675 che fruttava 2.000 ducati annui.
Il C. è successivamente membro della zonta e del Pregadi ordinari, tre volte savio di Terraferma, savio cassiere, savio del Consiglio, commissario sul fiume Reno e, dal 1723 al 1727, ambasciatore a Roma. In tale veste presenta, nel 1721 a Benedetto XIII un progetto per la difesa d'Italia dalla, a suo avviso, ancor minacciosa presenza ottomana, a contrastare la quale "tutte le speranze... si restringono tra la Repubblica di Venezia e la religione di Malta".
Quest'ultima però dispone di pochi vascelli, la Serenissima a sua volta è finanziariamente esausta. Per poter far fronte al "formidabile impegno" il C. propone l'istituzione "d'un fondo pronto di danaro" a Roma, sì che sia possibile ribattere, con forze adeguate rapidamente approntate, "una improvisa invasione de' Turchi". E tale fondo potrà essere creato, rendendo "libera et a dispositione del papa la rendita della dateria, calcolata annualmente per la somma d'un mezzo millione"; questo, secondo il C., il reddito dei 10 milioni di scudi posti in castel S. Angelo ancora da Sisto V, e quivi, a veder suo, giacenti inutilizzati. "Destinata - insisteva - una portione di questo fondo per il necessario allestimento di 30 navi", il "restante" poteva benissimo "esser impiegato al tempo di guerra per il loro armo".
Più interessante la relazione conclusiva sull'ambasciata del 6 marzo 1728; v'è anzitutto l'esplicito suggerimento dell'utilità di un più fattivo interesse per le vicende romane da parte di Venezia, cui potrebbe giovare la creazione di un gruppo di prelati e cardinali da lei direttamente ispirati. Sarebbe in tal modo possibile condizionare l'elezione del pontefice, dato che si tratta di "un maneggio politico" più che di "un voto di ispirazione".
Acuta la percezione degli aspetti economici, attenta e ammirata la descrizione della grande fabbrica di S. Michele in Ripa; Benedetto XIII, con "una delle più vaste idee che possa essere concepita da principe grande", aveva trasformato lo stabile da ospedale in "casa di commercio" per la preparazione di arazzi e panni lana, che, se non rappresentasse qualcosa di anomalo in un contesto opaco ed inerte (a Roma, osservava, "ad ogn'altra cosa si pensa che al commercio e alla mercatura"), "sarebbe sicuramente l'emporio di tutta l'Italia". L'illustrazione della fervida attività dell'opificio, che dava lavoro a migliaia di persone, non era fine a se stessa: se era potuto sorgere in una città dall'economia parassitaria totalmente dipendente dall'afflusso di denaro estero, a maggior ragione, nascendone uno simile a Venezia, se ne sarebbe ricavato un ancor più vistoso "profitto". Il C. costata anche, con una certa preoccupazione, i rapporti sempre più intensi di Dulcigno e Ragusa con Ancona, in concomitanza col costituirsi, in terra pontificia, di alcune cererie. Di qui l'urgenza "di chiamar con nuove facoltà tutte le cere in Venezia e divertire per quanto possibile le affluenze di questo genere alle spiagge pontificie". Sempre avendo di mira gli interessi della Serenissima, il C., ragguagliando sulle "accademie" letterarie e artistiche romane, auspica che nella sua città si raccolgano in un palazzo calchi di gesso del maggior numero di capolavori antichi; i giovani vi accorrerebbero numerosi ad istruirsi, attratti anche dalla prospettiva di un soggiorno meno costoso che a Roma.
Ultimo incarico pubblico del C. l'ambasceria straordinaria a Trieste, assieme ad Andrea Corner, per testimoniare all'imperatore Carlo VI - ivi giunto "a felicitare" gli abitanti con la sua "augusta presenza" - la stima e l'augurio della Serenissima. Anche se le lettere inviate al Senato si dilungano soprattutto sul trionfale ingresso del 10 sett. 1728, del C. e del Corner nella città - una "cavalcata numerosa di 250 persone a cavallo", tutte "con vestiti molto richi e corrispondenti alla cospicua funzione" - e sul complimentoso incontro coll'imperatore, non vi manca qualche precisa e tutt'altro che benevola osservazione.
"Le vaste idee di commercio che con il nome di compagnia d'oriente havea piantata la sede in Trieste, sono, se non affatto dileguate, almeno molto ristrette ed incapaci di recar alcuna gelosia a' principi vicini". Pungente sino al sarcasmo l'annotazione, contenuta nella lettera del 13 settembre, per cui "sembra... che l'imperatore gusti più tosto delle contribuzioni e delli omaggi de' sudditi di quello [che] si dimostri applicato alli affari di marina, dove qui tutto manca per darvi qualche figura".
Il C. morì d'idropisia, il 23 sett. 1729, nella villa che aveva ad Orgnano, presso Spinea.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 61, c.88r; 93, c. 75r; 159; le lettere del C. da Chioggia, Ibid., Senato. Dispacci Dogado, filza 22; Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di rettori e di altre cariche, b. 75, nn. 6-10; la relazione del C., del 5 febbr. 1703, sulla podestaria di Chioggia, Ibid., Senato,Relazioni, b. 39; copia della Relazione delli NN. HH. P. C. et Andrea Cornaro ambasciatori... alla Maestà di Carlo VI…, in Venezia, CivicoMuseo Correr, cod. Cicogna 1186, cc. 247v-250v; copia della relazione del C. di Roma, Ibid., cod. Cicogna 1250, cc.1r-17v; copia della lettera del C., del 25 marzo 1725, suuna Scrittura di Marco Foscarini ... nell'elezione al pontificato di Benedetto XIII…, Ibid., cod. Cicogna 2537/13; due copie del Progietto dell'ambasciatore... P. C. a ... Benedetto XIII per la diffesa dal Turco..., Ibid., cod. Cicogna 2721/III e IV; un livello a credito di Andrea Corner e a debito del C. per 2000 ducati, Ibid., mss. P.D. 2729/8; obblighi assunti dal C. col contratto di nozze, un'intimazione a lui diretta, l'originale del contratto di nozze, del 10 sett. 1695, del C., Ibid., Coll. Dolcetti, rispettiv., 41, c. 53 e 230, c. 43 e 244, cc.77-81; [G. A. Gradenigo], Serie dei podestà di Chioggia, Venezia 1767, p. 72; L. von Ranke, Die römischen Päpste,ihre Kirche und ihr Staat im sechszehnten und siebzehnten Jahrhundert, III, Leipzig 1867, pp. 307-309; G. C. Zimolo, Venezia e la campagna del Forbin del 1702, in Arch. veneto-tridentino, IX(1926), pp. 165 n. 1, 173 n. 4;L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, p. 489 n. 1; A. Pino-Branca, La vita econ. degli Stati ital. nei secc. XVI,XVII,XVIII secondo le relaz. degli ambasciatori veneti, Catania 1938, pp. 330, 352-353, 432-435, 442-444; F. Antonibon, Le relaz. a stampa di ambasciatori veneti, Padova 1939, p. 107; A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia..., Milano 1943, p. 79; Dispacci degli ambasc. veneti al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 125, 248 s., 333 s.; G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, XXV, p. 174