CARA (di Cara, Kara), Pietro
Nacque a San Germano Vercellese, figlio di Giovanni, intorno al 1440, da una famiglia che prima di lui non aveva mai avuto componenti illustri e che si fossero distinti. Il C. fu un "homo novus" e solo grazie al propri meriti conseguì la patente di nobiltà, concessa il 1º febbr. 1476 dalla duchessa Iolanda a lui e a tutti i componenti della sua famiglia, presenti e futuri, sia diretti sia collaterali.
È indubbio che egli provenisse da una casa agiata, se già il padre, come poi il C. stesso, era stato mandato a studiare diritto a Bologna. Il Suigo, che fornì tale testimonianza (in Aureae luculentissimaeque...), aggiunse anche che Giovanni aveva preso parte al concilio di Basilea (1431-49) per ordine del duca sabaudo; ma non precisò quale ne fossero state le mansioni. Egualmente vaga infine, e da accogliere anche con maggior cautela, la notizia ripetuta da alcuni storici, della partecipazione, nel 1408, di un Giacomo Cara ad una imprecisata legazione inviata da Amedeo VIII.
I primi dati biografici del C. riguardano i suoi studi giuridici a Bologna; qui fu allievo del giurista siciliano Andrea Barbazza, per il quale il C. conservò in seguito stima profonda e incondizionata ammirazione. Tutto lascia presumere, pur in assenza di ogni notizia precisa in proposito, che il, C., sotto la guida di idonei maestri e per una naturale alle lettere, giungesse a Bologna già con una buona conoscenza del latino e, in misura minore, del greco. La residenza in questo centro vivissimo di studi umanistici contribuì certo in modo fondamentale alla formazione del suo gusto e del suo orientamento culturale, facendo di lui uno dei pochi rappresentanti dell'umanesimo in Piemonte.
Si è congetturato che tra il suo soggiorno bolognese e il ritorno definitivo in patria egli avesse vissuto in altre città dell'Italia settentrionale e particolarmente a Pavia; ma, al di là della generica considerazione ch'era consuetudine dei tempi andare peregrinando di centro in centro universitario, non esistono testimonianze.
È ignoto quando facesse ritorno in Piemonte e in quale campo di attività esordisse; ma nel dicembre 1468 egli vi era certo già partecipe della cosa pubblica dal momento che in una riunione del 10 di tale mese il Consiglio di Vercelli lo indicava come uno dei destinatari, a Torino, assieme a Pantaleone da Confienza e a Guglielmo Sandigliano, di una propria comunicazione. Sebbene non sia detto a quale titolo dovessero essere informati, è lecito presumere che facessero parte del Consiglio ducale cismontano o fossero in un rapporto stretto con esso, dal momento che a tale organo faceva capo ogni sorta di deliberazioni o atti che riguardassero in genere il governo del ducato. Se si aggiunge poi la peculiare situazione dello Studio torinese collegato strettamente al Consiglio ducale cismontano e la sicura appartenenza al primo dei due personaggi nominati insieme al C., ne deriva che questi dovette svolgere i suoi primi uffici presso l'uno o l'altro istituto o forse anche presso tutti e due contemporaneamente.
Poco più di quattro anni dopo, il C. appare nuovamente legato all'ambiente universitario e la qualifica di dottore in legge che lo accomuna agli altri tre membri costituenti con lui la commissione inviata a spese pubbliche in Vercelli (e alloggiata all'osteria della Stella) permette di dedurre con una certa sicurezza ch'egli fosse incaricato, come certo i colleghi, di un insegnamento nell'ateneo torinese. All'inaugurazione di un anno accademico è del resto ricollegata una delle sue opere giovanili, l'Oratio habita in principio studii in quo continentur scientiarum inventores et laudes che, non datata, è concordemente ritenuta anteriore almeno al 1474. Parrebbe strano che egli l'avesse scritta senza avere un legame didattico con l'università, tanto più che esisteva la consuetudine che i professori di nuova nomina inaugurassero in tal modo la loro carriera. L'insegnamento, di cui una sicura conferma è nella patente di nobiltà del 10 febbr. 1476, gli venne nuovamente conferito da Carlo I il 18 nov. 1482 con la motivazione di affidare ad uomini "famosos" l'attività didattica, di cui si dice che è essenziale per la formazione di buoni funzionari. Come lettore di diritto dovette avere un certo seguito, anche se sono del tutto inaccettabili le affermazioni fortemente adulatorie del Clerico (in Aureae luculentissimaeque...), secondo cui la sua fama avrebbe attratto studenti dalle più remote contrade europee. Non è noto quale fu la materia dei suoi corsi; mentre è rimasta testimonianza della sua singolare predilezione, fra i testi basilari della scienza giuridica, per le Institutiones giustinianee, che considerava il fondamento di tutto il diritto.
Più documentata, anche perché preminente, la carriera politica del Cara. All'ufficio di avvocato fiscale unico e generale presso il Consiglio ducale cismontano pervenne il 19 ott. 1473, quando Iolanda di Savoia gli conferì l'alto incarico, scegliendolo "inter multos" non solo per le sue qualità di profonda cultura. rettitudine e devozione, ma anche per la testimonianza di fedeltà prestata "incredibili... facto, periculo, in rebus quidem et parvis et arduis". Oltre che da questi accenni, il legame del C. con il governo ducale, anteriormente a tale data, è confermato dalla qualifica di "consiliarius Domini" che gli è data nella patente stessa. Da questo momento, con immutata fortuna e per oltre un venticinquennio il C. fece parte, in posizioni sempre più alte, della cerchia dei consiglieri ducali. Ma, se pure non gli mancarono buone doti politiche, prevalsero in lui quelle di saggio amministratore e fu, se non determinante, certo importantissima alla sua scelta la fama di oratore conseguita assai presto in Torino e tosto in vari Stati italiani. Cosicché, accanto ai compiti strettamente legati alla carica conferita, il C. fu spesso adibito a legazioni nelle quali, in veste di oratore ufficiale dei duchi sabaudi, pronuncio orazioni da lui stesso composte. Inviato il 4 luglio 1475 a Venezia dalla duchessa Iolanda, per il riscatto di una preziosissima croce genunata e di altri gioielli ducali, e giuntovi verso il 20 di detto mese, vi pronunciava davanti al doge e al Senato un'orazione "congratulatoria" in lode della Repubblica che produsse viva ammirazione e gli valse, secondo la testimonianza del Clerico e di Bassano da Mantova, un pubblico decreto che ne stabilì la stampa. È dubbio tuttavia che la deliberazione avesse effetto dal momento che i repertori di incunaboli non citano tale edizione. A Venezia il C. rimase un lungo periodo, ma non oltre il dicembre, dal momento che il 27 di tale mese si trovava a Carignano.
L'appartenenza al Consiglio cismontano gli valse l'anno successivo una serie di incarichi e trattative con la corte di Milano. Nella confusa situazione politica piemontese seguita alla prigionia della duchessa ad opera del duca di Borgogna Carlo il Temerario (28 giugno 1476) fu infatti il Consiglio cismontano, d'intesa con l'Assemblea dei tre Stati, ad assumere le cure del governo e a dover provvedere ad arginare le varie insidie che minacciavano le terre ducali. La minaccia più grave fu portata da Galeazzo Maria Sforza che, ripetutamente, nella seconda metà del 1476 invase alcune terre del Piemonte. Il C., cui fu affidata in gran parte l'opera di cauta mediazione con lo Sforza, si recò più volte presso di lui o i suoi luogotenenti senza peraltro riportare mai alcun successo dai colloqui. Montanaro (19 giug.) e San Germano (22 novembre) furono prese dalle truppe milanesi nonostante i tentativi di dissuasione del Consiglio cismontano. Solo nel dicembre Galeazzo, obbedendo alle intimazioni di Luigi XI di Francia, accolse benevolmente l'ambasciata piemontese guidata, oltre che dal C., da Ambrogio da Vignate, e annunciò la sua volontà di sgombrare il Piemonte. L'anno successivo (1477), con un compito che non è noto, il C. fu inviato a Roma presso Sisto IV e vi rimase quattro mesi; il pontefice gli mostrò il proprio favore insignendolo del titolo di conte palatino. Nel 1478 la nuova crisi, apertasi in Piemonte in seguito alla morte della reggente Iolanda e alla minore età dell'erede al trono fu occasione, per il Consiglio cismontano e per l'Assemblea dei tre Stati, di azioni dirette ad affermare una propria volontà politica, in particolare una supremazia della fazione piemontese su quella savoiarda nella tutela del duca pupillo. Designato in un primo tempo dai rappresentanti dei Comuni piemontesi facenti parte dell'Assemblea insieme ad altri tre personaggi per essere inviato a Luigi XI, il C. si recò poco dopo presso il monarca francese, facendo parte di una ambasceria aumentata di altri quattro membri, poiché la designazione dei Comuni non era rappresentativa della volontà dell'intera assemblea.
Il 22 genn. 1481 il C., che faceva ancora parte del Consiglio cismontano, ne veniva promosso collaterale. Degli anni del regno di Filiberto I non restano testimonianze che riguardino in particolare l'attività del C.; ma la sua fortuna non doveva essere scemata, dal momento che nell'aprile del 1485 egli fu designato dal Comune di Torino a rappresentarlo nella prestazione di omaggio della città al nuovo duca, Carlo I, in Chambéry. Poco dopo, il 31 luglio, gli veniva affidata la composizione e la pronuncia dell'orazione funebre per la morte di Giacomo Ludovico di Savoia, fratello del sovrano. Le guerre scatenate dal bellicoso Carlo I contro il marchese di Saluzzo e le inevitabili ripercussioni nella vicina corte sforzesca impegnavano nuovamente il C. in un'intensa attività di ambasciatore presso Ludovico il Moro. Recatosi presso di lui nell'agosto 1487, l'anno successivo il C. venne nominato residente ordinario di Savoia a Milano e ritornava in patria nel 1489, forse prima dell'ottobre. Dai primi mesi del 1487, Se non già prima, la posizione del C. nella corte sabauda si era rafforzata: dal maggio di quell'anno infatti, fino alla fine della sua carriera, egli compare sempre nel numero ristretto dei consiglieri ducali, facendo con tutta probabilità ormai parte di quella cerchia di alti dignitari, il Consiglio "cum domino", che affiancava il duca nel governo. La reggenza della duchessa Bianca segnò il momento della sua massima auge e costituisce il periodo in cui forse meglio si coglie l'apporto personale del C. alla politica sabauda, caratterizzato, per il fatto stesso d'essere piemontese, da una chiara propensione per l'alleanza sforzesca e, parallelamente, dall'avversione per la politica filofrancese sostenuta dalla parte savoiarda e da Filippo Senzaterra.
Nel 1490 la ripresa delle ostilità da parte di Ludovico II di Saluzzo e l'ambigua, condotta del Moro schieratosi a favore di quest'ultimo riportarono a Milano, più volte, il C., che contribuiva alla stipulazione del trattato di alleanza con lo Sforza (24 luglio) riannodando con lui i buoni rapporti che si erano temporancamente guastati. Dal maggio al luglio 1491 fu impegnato in un'opera di mediazione tra Genova, sforzesca, e Nizza, sabauda, fra le quali fin dal 1489 si era instaurato un regime piratesco di reciproco danneggiamento. Inviato a Nizza come plenipotenziario, vi trascorse due mesi senza poter trattare per l'assenza dei genovesi; né miglior esito ebbe poco dopo il suo incontro e i colloqui con Cristoforo da Bollate, senatore della corte sforzesca e amico personale del Cara. Nel marzo 1492 si occupò, forse solo marginalmente, della composizione di una questione di confini con Milano che, successivamente, almeno nell'ottobre 1495 e nella primavera 1496, era meta di nuovi viaggi del C., ancora inviato per il disbrigo di pubblici incarichi. Dal 1493 al 1498 una serie ininterrotta di grandi eventi politici fu occasione per il C. di cimentarsi come oratore e forse a questi anni appartengono i suoi migliori componimenti. L'orazione pronunciata il 22 maggio 1493 a Roma dinanzi al nuovo pontefice Alessandro VI e contenente le felicitazioni ducali per l'elezione gli valse vasti consensi e l'edizione di Lodovico Tizzoni. Il passaggio di Carlo VIII a Torino (settembre 1494) fu sottolineato, oltre che dalla fastosa accoglienza voluta dalla duchessa Bianca, da un entusiastico discorso pronunciato dall'erede al trono, il fanciullo Carlo Giovanni Amedeo, e composto per la circostanza dal C. che, forse poco dopo, descrisse in un laconico e brevissimo resoconto (Breviarium gestorumin Italia a Carolo octavo Gallorum rege) la spedizione effettuata in Italia dal sovrano francese fino alla pace del 10 ottobre di quell'anno. L'avvento al trono di Filippo II Senzaterra fu celebrato da un suo discorso, ch'egli stesso declamò all'inaugurazione degli Stati generali convocati dal nuovo duca il 9 giugno 1496. Oramai non più partecipe diretto della politica ducale, sebbene mantenesse formalmente immutata la sua alta posizione di funzionario pubblico, il C. era pur sempre tenuto in gran conto per le sue qualità di oratore e a lui fu affidata l'orazione ufficiale per l'imperatore Massimiliano, che pronunciò a Vigevano il 13 sett. 1496. Del 2 dic. 1498 infine, è l'ultimo discorso, ch'ebbe luogo nuovamente di fronte agli Stati generali convocati da Filiberto II, succeduto l'anno precedente al padre. Confermato anche da questo principe nella sua carica di collaterale (1º dic. 1497), il C. continuava nei suoi uffici fino alla fine del gennaio 1499. Dopo il 26 di tale mese infatti non compare più nelle sottoscrizioni dei documenti ufficiali del ducato.
Le orazioni del C. sono pervenute, in numero di nove, nell'opera Aureae luculentissimaeque Petri Carae... orationes... additis eiusdem ad claros viros simul et a doctis ad ipssum Caram et de eo epistolis..., Augusta Taurinorum 1520, curata da Giovanni Bremio e stampata per volontà del figlio Scipione, che volle in tal modo onorare la memoria paterna. Strettamente connesse alla sua attività politica e composte ogni volta per solennizzare un evento di rilevanza pubblica, hanno il carattere e il significato di discorsi d'occasione e non vanno oltre i limiti posti dall'avvenimento celebrato. Pure, il C. rimane, nella schiera dei minori, un rappresentante di quell'eloquenza politica che, quale genere letterario mutuato dall'età classica, rinacque con l'umanesimo. Né pare irrilevante che le sue orazioni trovarono vasti e immediati consensi presso i contemporanei, che furono elogiate da Pomponio Leto e da Ermolao Barbaro (in Aureae luculentissimaeque...), per non citare che i più noti umanisti; che gli valsero notorietà e onori.
Frammiste alle orazioni (e, allo stesso modo, in un ordine che non è quello cronologico) ci sono giunte alcune lettere di cui il C. fu autore o destinatario. Esse confermano con maggior evidenza l'atteggiamento umanistico del C. scrittore e permettono al tempo stesso di intravedere che l'adesione ai canoni della nuova cultura nasceva da un'intima convinzione. I suoi corrispondenti sono giuristi, come il C. cultori delle lettere; ma anche letterati di professione, circostanza che testimonia come gli interessi e le tendenze di tipo umanistico gli fossero riconosciute e attribuite dai contemporanei. Giorgio Floro, giurista e lettore di retorica di una certa fama, lo disse "Moecenas"; l'illustre E. Barbaro gli inviò la descrizione di un convito di nozze in casa Trivulzio, che è nella scia della migliore tradizione classica; G. Simonetta, l'autore dei 31 libri Rerum gestarum Francisci Sphortiae Vicecomitis Mediolanensium, gli sottopose la sua opera manoscritta per averne un giudizio; Cristoforo da Bollate gli dedicò l'edizione del quarto libro del De varietate fortunae di Poggio Bracciolini. Meno disinteressati, ma pur sempre valida testimonianza, i versi cortigiani di Bassano da Mantova, un curioso tipo di umanista divenuto poi poeta maccheronico, e le lettere adulatorie di Ubertino Clerico, che fu maestro del figlio Scipione. Né gli mancò la stima e l'amicizia di Filippo Vagnone che, a giudizio del Vinay, fu, assieme al C., il solo rappresentante in Piemonte della nuova cultura.
Fra i meriti del C. non trascurabile fu lo impulso dato all'arte della stampa che aveva fatto la sua comparsa in Piemonte solo intorno al 1470. Jean Fabre stampò dietro incitamento e a cura del C. i Decreta ducalia Sabaudiae (Torino [17 novembre] 1477). Il tipografo Iacobino Suigo, nativo come lui di San Germano, si stabilì per un periodo a Torino, probabilmente su suo invito. Gran parte delle sue edizioni attestano il legame di amicizia e di riconoscenza per il patrono che contribuì ad ottenergli la protezione ufficiale del governo ducale. Sei delle sue edizioni sono precedute da epistole dedicatorie al C.: la Lectura prima super sexto libro Decretalium di Domenico da San Gimignano (Torino 10 apr. 1487), che non ci è giunta; i Decreta ducalia Sabaudiae (Torino [dopo il 6 ott. 1487]), le Institutiones Iustiniani (Torino 21 apr. 1488); il Tractatus iuris (Torino 22 apr. 1490); la Lectura super Clementinis di Francesco Zabarella (Torino 23 ag. 1492) e l'Opus super usibus feudorum di Baldo degli Ubaldi ([Lione] 28 ag. 1497). A questo tipografo si deve anche la stampa di alcune opere del C.: nei Decreta ducalia Sabaudiae è inserita ai ff. 94r-96r l'orazione o consolatoria a Carlo I per la morte del fratello. L'orazione ad Alessandro VI papa, già stampata a Roma da Stefano Plannck dopo il 21 maggio 1493, fu da lui ristampata a Torino l'anno successivo. Le orazioni a Filippo II di Savoia e all'imperatore Massimiliano furono edite a Lione rispettivamente dopo l'11 giugno 1496 e dopo il 13 sett. 1496.
Va inoltre ricordata la sua attività di giureconsulto, cui si accenna di frequente nelle opere citate, e l'attitudine alla poesia astrologica, testimoniata da alcuni suoi contemporanei, non più apprezzabile per una mancata tradizione dei suoi componimenti poetici.
Quanto alla sua vita privata, infine, si sa che sposò una nobildonna appartenente ad una delle famiglie più notabili del Piemonte, Antonina Piossasco di Scalenghe, che gli diede tre figli: Scipione, nato il 1º febbr. 1476; Carlo, che morì fanciullo il 10 nov. 1490; Ascanio.
Scipione, la cui educazione fu modellata sui precetti della migliore trattatistica umanistica, raggiunse, certo anche per influsso della notorietà paterna, alti gradi nella vita pubblica e insegnò presso lo Studio torinese quale professore di diritto canonico.
Quanto al suo patrimonio, è ricordato nelle patenti l'acquisto da Enrico Basadonna di una parte di Altessano Inferiore di cui la duchessa Iolanda gli riconobbe la signoria (30 nov. 1470). Filiberto I la riconfermò il 14 apr. 1483, e la duchessa Bianca, con patente più ampia, oltre a riaffermare i suoi diritti preesistenti, decretava anche una sua parziale signoria su Borgaro Torinese (29 marzo 1490).
Il C. morì in data non conosciuta; ma certo compresa tra il 25 genn. 1501 e il 18 ott. 1502. Un suo ritratto si trova nella sede della Corte d'appello di Torino e un monumento gli fu eretto nella nativa San Germano (21 maggio 1899).
Fonti e Bibl.: Per le opere del C. e a lui dedicate, edite prima del 1500, si rimanda a: Indice gener. degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, II, pp. 22 s.; III, p. 126; V., pp. 3, 208, 259, 331; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, coll. 130-132. nn. 6034-6037; VII, coll. 95-96, 572-573, nn. 7619, 8651-8652. Per una vasta informazione sulle fonti e una bibliografia completa e aggiornata alle opere in cui è contenuta, si rinvia a: Torino, Biblioteca reale, Vernazza,Miscellanea 31, nn. 11-235 e 68, n. 2: G. Vernazza, [Schede manoscritte per una biografia del C.]; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, II, Torino-Roma 1893, pp. 101 n. 4, 116 s. nn. 5 e 6, 141 n. 4, 176, 190, 223, 225, 231, 237 n. 2, 248, 328, 364, 369, 384, 399-401, 402, 419, 440 s., 460 s., 482, 489-91, 503, 513; III, ibid. 1895, pp. 13 s., 25, 115, 233, 250, 254 s., 260; G. Vinay, L'umanesimo subalpino nel sec. XV, Torino 1935, pp. 23, 38, 39-67, 70, 74, 75, 77, 142, 158. Parte delle fonti che sono state citate dai suddetti autori sono state edite, insieme con nuovi documenti, in Parlamento sabaudo, a cura di A. Tallone, IV, 1, Bologna 1931, p. 289; V, 1, ibid. 1932, pp. 109, 189, 190 e n., 200 n., 237,292, 400, 414, 426, 442, 446; VI, 1, ibid. 1932, pp. 2, 34, 42, 47, 48, 73, 80, 83 s., 89, 92, 103, 123 e n., 124 n., 127, 137, 140, 150, 153-155, 161, 164 e n., 179; IX, 2, ibid. 1937, pp. 442, 445, 461; XI, 2, ibid. 1940, pp. 335, 337, 340, 349; XIII, 2, ibid. 1946, p. 75; altre fonti sono in Archivio di Stato di Torino, Sez. I, Protocollidi corte, n. 118, ff. 224-226; n. 121, ff. 213-216; n. 122, f. 3; Ibid., Protocolli camerali, n. 165, ff. 118 s. Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9265: G. M., Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia,ad vocem; I. Burchardi Liber notarum ab a. 1483 ad a. 1506, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, p. 423; C. Dionisotti, Notizie biogr. dei Vercellesiillustri, Biella 1862, pp. 48 s.; G. Claretta, Suiprincipali stor. piemontesi e particolarm. suglistoriografi della R. Casa di Savoia…, Torino 1878, p. 20; C. Dionisotti, Storia della magistraturapiemontese, II, Torino 1881, pp. 300 s.; F. Gabotto, Un vercellese illustre del secolo XV: P. C. di San Germano, Vercelli 1898; G. Manno, Degliordinamenti giudiziari del duca di Savoia EmanueleFiliberto, Torino 1928, p. 18 n.; M. C. Daviso di Charvensod, La duchessa Iolanda, Torino-Milano-Padova 1935, pp. 121, 131, 144, 183; Id., Filippo II il Senza Terra, ibid. 1941, pp. 201, 287, 295, 296, 299; P. Paschini, Tre ill. prelati delRinascimento..., in Lateranum, n. s., XXIII (1957), nn. 1-4, p. 16; F. Cognasso, Vita e cultura in Piemonte, in St. del Piemonte, II, Torino 1960, p. 659; M. Bersano Begey-G. Dondi, Le cinquecentinepiemontesi, I, Torino 1961, p. 127; II, ibid. 1966, p. 395; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nelloStato sabaudo…, I, (1418-1536), Roma 1962, pp. 198, 199, 237, 254, 280, 297, 307, 314; Id., Libertà e privilegio. Dalla Savoia al Monferrato, Bologna 1972, pp. 154-155; Torino, Bibl. reale, A. Manno, Il patriziato subalpino, III (datt.), ad vocem.