CAVARO, Pietro
Il maggiore dei pittori di Stampace, fu il vero iniziatore di quella scuola che prese il nome dal quartiere di Cagliari dove i Cavaro tennero bottega dalla seconda metà del XV sec. e per tutto il XVI. Probabile nipote di Antonio, e forse figlio di Lorenzo, è per certo il padre di Michele, anch'egli pittore di fama. Finora le notizie che lo riguardano vanno dal 1508 al 1538. Al 2 gennaio della prima data, il C. figura tra i membri dell'associazione dei pittori barcellonesi (Madurell Marmion, pp. 39 e 46); egli doveva essere a Barcellona almeno da un decennio e certo abbastanza apprezzato se godeva di tale posizione. Prima opera dopo il suo ritorno in Sardegna è il retablo della parrocchiale di Villamar, che nelle cimase inferiori dei pulvaroli reca dipinta la seguente iscrizione con firma e data: "Anno salutis MDXVIII die XXV mensis maius − pingit hoc retabolum Petri Cavaro pictorum minimus Stampacis".
È questa l'opera più complessa, più completa e anche la più bella del C. che si sia conservata: è strutturata secondo lo schema tipico del polittico catalano con nicchia centrale che ospita la statua lignea, interamente dorata, della Madonna d'Itria. Gliscomparti, compresa la predella e le porte d'accesso al retroaltare, sono trentuno: sei pannelli piccoli con Angeli musicanti fiancheggiano la nicchia; nei sette scomparti della predella si succedono da sinistra l'Annunciazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Resurrezione, l'Ascensione, la Pentecoste, l'Assunzione; nelle porte sono S. Pietro e S. Paolo, e lungo i pulvaroli, dal basso a sinistra, si snodano S. Nicola, S. Onofrio, S. Anna, S. Orsola, Tobiolo e l'arcangelo Raffaele, Dio Padre tra due vescovi, un Angelo, i SS. Cosma e Damiano, S. Caterina, S. Cristoforo, S. Antonio. Loscomparto più alto rappresenta la Crocefissione, a sinistra è S. Michele e a destra le Stigmate di s. Francesco; in basso, rispettivamente, S. Giovanni Battista e il Battesimo di Cristo. Al C. si deve pure lo stendardo processionale, con il volto di Gesù nel recto e l'Addolorata nel verso, che si conserva nella sacrestia.
L'ambiente culturale barcellonese appare perfettamente e personalmente maturato in quest'opera e rende sufficientemente spiegabili sia gli influssi nordici che quelli italiani, gli ultimi evidenti soprattutto nell'accurata resa della prospettiva, nei rilievi monocromi dello scomparto del Battista e nelle naturali e sicure definizioni volumetriche. Questi italianismi, peraltro già familiari ad alcuni pittori sardi del primo Cinquecento (Maestro di Castelsardo, Maestro di Sanluri, G.Muru), non sono certo attribuibili al soggiorno napoletano del C. precedente al 1518.
Se, infatti, devono ormai nutrirsi seri dubbi (Abbate, p. 833) circa la possibilità di identificare con il C. quel "maestro Pietro sardo" indicato al Michiel dal Summonte (Nicolini; Aru, 1924, pp. 5-7; Post., p. 493) quale autore della Visitazione in S. Maria delle Grazie a Caponapoli, non si può dubitare, invece, del fatto che l'artista sia vissuto a Napoli nel secondo decennio del Cinquecento, perché risulta certo che era napoletana (Olla Repetto, p. 120) la madre del figlio Michele, nato sicuramente prima del 1518; ma è pur vero che i motivi italiani dei dipinti di Villamar si devono tutti a esperienze già risolte a Barcellona. Stilisticamente, ma anche per la qualità, assai prossimo al retablo di Villamar, e quindi da collocare subito dopo, è il polittico da cui proviene la cosiddetta Deposizione di Tangeri, ora al Museo nazionale di Cagliari, per il quale è stata di recente proposta Jusco, pp. 64-71) una ricostruzione che può considerarsi abbastanza attendibile. A tal fine viene rivendicato al C. un dipinto mal noto e quasi inedito, la Madonna dei sette dolori del convento di S. Rosalia in Cagliari, una volta attribuito (R. Deloga, in Guida d'Italia del T. C. I., Sardegna, Milano 1952, p. 167) a Michele.
Poiché la Deposizione proviene da una collezione cagliaritana (Spano, pp. 29s.) che comprendeva quasi interamente gli altri episodi legati al tema iconografico dei cosiddetti "Sette Dolori" della Vergine, ed inoltre poiché le fotografie di due di essi (ormai dispersi come gli altri), l'Andata al Calvario e la Disputa con i dottori, permettono di constatare l'appartenenza delle quattro tavole ad un unico contesto pittorico, è possibile ricostituire idealmente un retablo con l'Addolorata, sovrastata da una Crocifissione di cui non si sa niente; al centro, la Circoncisione, la Fuga in Egitto e la Disputa a sinistra, a destra l'Andata al Calvario, la Deposizione e un Seppellimento, non menzionato dallo Spano.
Delle opere rimasteci, il C. dipinse successivamente il S. Agostino in cattedra del Museo nazionale di Cagliari, che rivela una conoscenza diretta di opere napoletane, fra cui quelle, un po' precedenti, di Colantonio. Nel 1533 il C. si obbligava (R. Branca, Il Crocifisso di Nicodemo, Milano 1935, p. 56) a eseguire il retablo del convento di S. Francesco in Oristano, che nel 1842 fu scomposto durante la demolizione della chiesa.
Ora la sacrestia di S. Francesco custodisce soltanto lo scomparto centrale con le Stigmate del santo, e l'Antiquarium Arborense altre nove tavole: quattro grandi, che raffigurano S. Caterina e s. Apollonia, S. Bernardino e s. Ludovico di Tolosa, S. Antonio e s. Bonaventura, S. Stefano e s. Nicola di Bari; e cinque minori, che rappresentano i SS. Accursio, Pietro, Adiuto, Ottone, Berardo. Tranne che nello scomparto maggiore, sono rilevabili larghi interventi di aiuti nell'esecuzione di questo grande retablo dove il C. si mostra sostanzialmente rivolto a interessi ancora gotici per la linea sottile, per i contorni marcati o, per i minuti particolari che accentuano anzi, in senso planare, il fiamminghismo quattrocentista che già nel retablo di Villamar s'equilibrava con precisi spunti rinascimentali, qui indicati soltanto da una luminosità tutta mediterranea. Perciò è impossibile mantenergli la paternità dell'ancona della Crocifissione del duomo di Cagliari certamente eseguita nella sua bottega (spolveri, mobili e modelli − la Annunziata qui e la S. Cecilia nella pala dei Consiglieri di Cagliari − lo provano), non dal figlio Michele ma da un più dotato pittore campano, il cui soggiorno a Cagliari non restò senza tracce nella successiva pittura del Cavaro.
Fra il 1533 e il 1538, anno della sua morte, il C. eseguì le due tavole del Museo nazionale di Cagliari con S. Pietro e S. Paolo, e, con diversi aiuti, tra i quali il figlio Michele, il grande retablo di Suelli, la pala dei Consiglieri del municipio di Cagliari e quella rimasta incompiuta del S. Ludovico di Tolosa (Cagliari, Museo nazionale). In tutte queste opere, almeno nelle parti ascrivibili a lui, risultano fusi personalmente motivi coloristici e spaziali che solo il bel polittico della cattedrale di Cagliari sembra aver proposto in Sardegna. Appaiono invece senz'altro estranei alla sua pittura il S. Pietro e il S. Paolo per i quali i cartellini del Museo nazionale di Reggio Calabria indicano il suo nome.
Bibl.: G. Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861, pp. 29 s.; F. Nicolini, P. Summonte, M. A. Michiel e l'arte napoletana del Rinascimento, in Napoli nobilissima, III(1922), pp. 126, 165 s.; C. Aru, Maestro P. sardo, in IlNuraghe, 1924, pp. 5-7; Id., La pittura sarda nel Rinascimento, in Arch. stor. sardo, XV (1925), pp. 6-16; XVI(1926), pp. 184-193; J. M. Madurell Marmion, P. Nunyes y E. Fernandes, pintores de retablos, in Anales y Buletín de los Museos de Arte de Barcelona, I(1941-43), 3, pp.39, 46; R. C.Post, A history of Spanish painting, XII, Cambridge, Mass., 1958, pp. 493-523; C. Maltese, Arte in Sardegna dal V al XVIII sec., Roma 1962, ad Indicem; G. Olla Repetto, Contributi alla storia della pittura sarda nel Rinascimento, in Commentari, XV(1964), pp. 120-125 passim; C. Maltese-R. Serra, P. C. Episodi di una civiltà anticlassica, in Sardegna, Milano 1969, ad Indicem; S. Jusco, Per un "retablo" di P. C., in Paragone, XXII(1971), 255, pp. 64-71; R. Branca, IlCrocifisso di Oristano, Cagliari 1971, pp. 42-49 passim; F. Abbate-G. Previtali, Pittura napol. del Cinquecento, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, p. 833; G. Alparone, Ipsoera sardo (ipotesi su P. C. a Napoli), in Rass. d'arte, II(1973), p. 29; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 228; Encicl. Ital., IX, p. 558.