CENAMI, Pietro
Figlio di Giusfredo di Nicolò e di Filippa (Pippa) di Guglielmo Rapondi, nacque nella seconda metà del secolo XIV. Nell'anno 1382 era fattore della compagnia di arte della seta intestata al padre e finoalla sua morte (1413) fa in una posizione subordinata sia incampo politico sia in campo commerciale. Sebbene la famiglia fosse avversa alla fazione dei Guinigi, essa non dovette abbandonare Lucca durante la signoria di Paolo, e anzi il C. fu tra i nobili lucchesi che nel 1420 accompagnarono a Genova la figlia di Paolo Guinigi, Ilaria, che andava sposa a Battista Campofregoso. Proprio il C. comunque fu, nel 1430, uno dei protagonisti della cacciata del signore di Lucca, tanto, da meritare il titolo di "padre della patria", da essere eletto nell'agosto di quell'anno alla Balia incaricata di ricostituire il governo popolare e da essere il primo gonfaloniere di Giustizia dopo la riconquista della libertà. Nel 1434 tornò a ricoprire la carica di gonfaloniere. Nel 1433 fu inviato in missione a Genova; e quindi andò come oratore o papa Eugenio IV e presso i Fiorentini alla fine del 1434. Cadde, il 3 giugno del 1436, vittima di una congiura ordita dalla turbolenta famiglia dei Poggio. Questa uccisione (il C. era anziano in carica) suscitò un enorme scalpore, sia per il particolare rilievo che l'ucciso aveva avuto nella vita pubblica lucchese sia per l'influenza e la ricchezza della famiglia: il C. era infatti figlio di una Rapondi, ed i suoi fratelli avevanofiorenti attività commerciali in Franpia. Scriveva la Signoria annunciandone la morte: "Hodierna die, circa meridiem scelestissimi tres adolescentes ... prestantissimum civem Petrum de Cenamis in lecto meridiantem ... crudelissime trucidaverunt. o immane scelus, o inauditam, temporibus nostris crudelitatem, o miserabilem civitatem nostram, que tam suo iusto et integerrimo cive orbata est" (Arch. di Stato di Lucca, Regesti, IV, p. 135, n. 782, 3 giugno 1436). Le fonti spiegano il grave fatto di sangue come una vendetta privata di un giovane Poggio al quale il C. avrebbe impedito il matrimonio con una ricca e nobile fanciulla della famiglia del Portico, di cui era tutore. In effetti Niccolosa e Margherita, che erano rimaste orfane di Bartolomeo del Portico, andarono in seguito spose la prima al figlio stesso del C., Francesco, la seconda al nipote Rodolfo di Dino di Giusfredo. Della stima goduta dal C. fu testimone il popolo lucchese, che in pochi giorni fece giustizia dei responsabili e accompagnò solennemente la salma alla sepoltura gentilizia di S. Frediano.
Dalla moglie Giovanna Martini, che aveva sposato nel 1411 e che apparteneva alla famiglia cui Giusfredo Cenami era commercialmente legato fin dal 1370, il C. ebbe quattro figli: Giusfredo, Martino, Francesco e Niccolò. Di quest'ultimo non si hanno notizie dopo la testimonianza della sua presenza nel 1431 presso l'esercito di Niccolò Piccinino, chiamato a difendere Lucca dai Fiorentini.
Fu Giusfredo che, in qualità di figlio maggiore, alla morte del padre prese nelle proprie mani la responsabilità della conduzione della famiglia e divenne un personaggio di gran rilievo nella vita politica della Repubblica lucchese. Nel 1434 aveva già fatto parte dei Consigli; l'anno successivo fu anziano; nel 1436, durante la ribellione di Pietrasanta, fomentata dai Genovesi, venne catturato dai nemici e poi scambiato con due organizzatori della rivolta. Dal 1437 al 1482 fu anziano altre sedici volte. Fra il 1448 e il 1480 fu quattro volte gonfaioniere. Nel 1437 fu degli Otto di balia, o Otto sulla conservazione della libertà, eletti dal Consiglio generale per le necessità della guerra contro Firenze. Fra le sue ambascerie si ricordano in particolare quella al pontefice Niccolò V nel 1447 e quella a Genova nel 1471. Questa serie di cariche testimonia della posizione che Giusfredo aveva nell'oligarchia lucchese; anche il matrimonio con Caterina di Michele Burlamacchi celebrato nel 1450 valse a ribadire i legami della famiglia con il ceto dirigente della città.
Negli ultimi anni di vita Giusfredo lasciò al più giovane fratello Martino le maggiori responsabilità pubbliche. Martino era stato anziano dal 1460 e gonfaloniere dal 1464 e aveva svolto missioni diplomatiche nel 1460 presso il duca di Savoia e a Milano, nel 1468 a Genova, nel 1471 a Firenze, fu in seguito ancora a Milano per una lunga missione. Alcuni anni dopo, nel 1477, svolse un ruolo di particolare rilievo nella crisi di Pietrasanta, l'unica volta nel corso del sec. XV in cui Lucca provò a mostrare gli artigli nel tentativo di riuscire a riottenere il centro versiliese.
In questa occasione Martino, appoggiato dal fratello Giusfredo, difese a lungo, nelle ristrette riunioni dei più influenti cittadini, una linea di assoluta prudenza per evitare complicazioni politiche e diplomatiche. A suo giudizio, qualunque intervento militare avrebbe comportato la richiesta di aiuti da altre potenze, il che sarebbe stato "pericolosum libertati" (Archivio di Stato di Lucca, Colloqui, n. I, p. 517): si sarebbe corso il rischio di suscitare un incendio "qui non possit facile extingui" (ibid., p. 520). Ciononostante Lucca decise per le armi e significativamente affidò la direzione delle operazioni militari proprio a Martino: tipico esempio dei.compromessi cui la classe politica lucchese ricorse fra Quattro e Cinquecento nello sforzo di difendere la sua indipendenza senza mettere a rischio la sicurezza.
Il fallimento, della guerra di Pietrasanta, determinato dall'influenza frenante delle maggiori potenze italiane, dette ragione alla cautela di Martino, che negli anni successivi continuò ad apparire come il capo della corrente moderata, incline al massimo accordo sia con Firenze sia con Milano. "Non sunt irritandi animi Florentinortini et ducum Mediolani contra nos - dirà il 16 nov. 1478 - super omnia studeanius paci et conservationi libertatis" (ibid., p. 565). In occasione del conflitto fra Firenze e Napoli del 1479 fu ancora Martino a sconsigliare un intervento antifiorentino "ne sub spe inanis vel dubii commodi amittamus rem certam, sicut contigit cani Exopi" (ibid., p. 567); c'la sua posizione finì per essere accettata dal governo lucchese che nel maggio del 1480 lo inviò come oratore a Firenze, anche se contro la sua volontà. Per Martino Lucca, data la sua debolezza, non aveva altre scelte che "sequi vestigia aliorum", cioè seguire le decisioni delle maggiori potenze (ibid., p.610). Nell'aprile del 1482 Martino si recò di nuovo come oratore a Firenze per i preliminari della nuova lega, e fu, quindi, uno dei più vivaci protagonisti del dibattito accesosi in Lucca circa l'accettazione dei patti, tanto che, ancora anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1484, la lega sarebbe stata ricordata come quella "facta per Martinum Cenami" (ibid., p. 1006, 15 nov. 1491). Esperto mercante, titolare della maggiore compagnia commerciale lucchese che ancora nel 1488 si intitolava "Redi di Martino Cenami e Compagni" (sebbene si avviasse a passare nelle mani di Benedetto Buonvisi che nel 1478 aveva sposato una figlia di Martino, Filippa, con una dote di 800 fiorini lucchesi, pari a più di 700 ducati d'oro), Martino fu anche attento ai riflessi politici delle operazioni commerciali. Nel novembre del 1483, ad esempio, nel corso di trattative per l'acquisto di grano napoletano, consigliò di non essere precipitosi nel concludere l'affare onde evitare di "elevare nimis pretia, cum reprehensione et odio Florentinorum" (ibid., p. 707).
Il terzo figlio del C., Francesco, anziano dal 1450 e gonfaloniere nel 1472, sopravvisse sia a Martino che a Giusfredo e ne raccolse l'eredità politica pur senza assumere quei ruoli di primo piano che erano stati dei fratelli. Nel 1491 si recò a Ferrara per rappresentare la Repubblica alle nozze di Alfonso d'Este con Anna Sforza e nell'aprile del 1492 fu inviato a Firenze per presentare a Pietro de' Medici le condoglianze di Lucca per la morte di Lorenzo il Magnifico. Ancora gonfaloniere nel 1502, Francesco fece parte della Balia dei ventiquattro eletta nel dicembre del 1504 per far fronte alle minacce fiorentine.
All'inizio del sec. XVI i Cenami continuarono a essere presenti nella vita politica lucchese anche con Girolamo di Rodolfo, Bartolomeo di Francesco, Pietro di Martino, ma soprattutto con Niccolò di Francesco, residente a Lione nel 1487, chiamato anziano ma assente nel 1489, anziano nel marzo-aprile del 1492, gonfaloniere nel 1499, vissuto fino al 1522, quando fronteggiò il moto dei Poggi. Più che a Lucca, egli fu attivissimo in campo diplomatico negli anni della guerra fra Pisa e Firenze che coinvolse continuamente, anche se indirettamente, la sua città. Nel settembre del 1495 era a Pisa; nel febbraio 1497 a Venezia; nel 1499 a Milano; nell'autunno dello stesso, 1499 fu designato oratore a Luigi XII; nel giugno del 1500 fu inviato incontro al Beaumont, che, alla guida delle truppe francesi aveva occupato Pietrasanta in vista dell'assalto a Pisa. Lo stesso Beaumont dopo una serie di trattative, nominò Niccolò, di Francesco vicario di Pietrasanta, e i Consigli lucchesi, "rei publicae causa", decisero di derogare dall'obbligo - di fargli assumere l'anzianato, cui il C. era stato contemporaneamente chiamato, purché potesse conservare l'incarico di vicario di Pietrasanta. Nel 1502 fu inviato al re di Francia insieme con Bono Bernaboni; e in Francia, per la Repubblica, era nuovamente nel 1504 e nel 1508-09, per garantire Lucca, dal pericolo che, conquistata Pisa, i Fiorentini potessero volgersi contro la città. I legami con il ramo francese della famiglia favorirono naturalmente questa missione che valse a render sempre più solida in patria la posizione politica dei Cenami, desti nati a restare fra i massimi esponenti del patriziato lucchese.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Comune. Minute di Riformagioni, nn. 10, 11, 12, passim; Ibid., Colloqui, nn. 1, 2, 3, 4, passim; Ibid., Corte dei mercanti, n. 86, cc. 3v ss.; Ibid., Ambascerie, n. 577; Ibid., Cause delegate, n. 4 ins. 36; Ibid., ms. 38: G. Civitali, Storia di Lucca…,pp. 462 s.; R. Archivio di Stato di Lucca Regesti, IV, Carteggio degli Anziani (1430-1472), a cura di L. Fumi, Lucca 1907, ad Indicem; V, Carteggio degli Anziani (1473-1492), a cura di E. Lazzareschi, Pescia 1943, ad Indicem; G. Sercambi, Le Croniche, a cura di S. Bongi, Roma 1892, III, pp. 255, 346; F. Acton, La morte di P. C. e la congiura di T. Lupardi (1436-1437), Lucca 1882; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950, pp. 195, 204; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, ad Indicem; M.Luzzati, Politica di salvaguardia dell'autonomia lucchese nella seconda metà del secolo XV, in Egemonia florentina ed autonomie locali nella Toscana nord-occidentale del primo Rinascimento: vita, arte, cultura (Atti del settimo Convegno internazionale di studio del Centro italiano di studi di storia e d'arte, Pistoia, 18-25settembre 1975), Pistoia 1978, pp. 543-576.