CESTI, Pietro (in religione Antonio)
Nacque in Arezzo dove fu battezzato il 5 ag. 1623, nono ed ultimo figlio del pizzicagnolo Giuseppe di Lorentino e di Francesca Ruschi. Fin da ragazzo cantò nelle chiese cittadine: in duomo per l'avvento nel 1633, a S. Maria della Pieve dal novembre 1635 alla primavera del 1637. In duomo cantò pure, dal 1631 al '38, suo fratello Antonio (nato nel 1618), destinato al sacerdozio e a condividere le prime tappe della carriera musicale del C., che del fratello Antonio assunse il nome quando, (1637) prese l'abito dei minori conventuali francescani in Volterra.
Il nome Antonio (che ha causato più d'un equivoco biografico per via dell'omonimia col fratello sacerdote) gli restò anche quando, nel 1659, uscì dall'Ordine dei minori conventuali per essere investito cavaliere di S. Spirito. Non ha invece fondamento l'appellativo Marc'Antonio, corrente nella storiografia musicale tedesca almeno fin dalla Grundlageeiner Ehren-Pforte del Mattheson (che lo attinse da una svista a p. 263 delle Glorie della poesia e della musica di G. C. Bonlini, Venezia [1731]): né ha fondamento la congettura esplicativa del Pirrotta, che ha ipotizzato l'origine presunta dell'equivoco nel titolo nobiliare di "Marc[hese]" che (secondo testimonianze erronee) sarebbe stato attribuito al C. e che figurerebbe "sulle partiture dell'ultimo periodo della sua vita" (circostanza anch'essa non vera).
Dopo la vestizione e una breve permanenza nel noviziato fiorentino di S. Croce, il 10 luglio 1637 il C. entrò nel convento di S. Francesco di Arezzo, dove, la sua presenza è documentabile saltuariamente ma regolarmente fino al 1643: si tratta di registrazioni contabili in occasione del ritorno in sede del frate dopo alcuni viaggi di durata imprecisata in località vicine.
Nulla accredita, in ogni caso, l'ipotesi del Baini, in seguito comunemente accettata, che il C. sia stato allievo di A. M. Abbatini nella vicina Città di Castello o in Roma, ipotesi troppo palesemente interessata da un lato a sussumere nell'orbita "cattolica" della scuola romana la formazione d'un musicista come il C. che a Roma fu bensì attivo ma soltanto al colmo della carriera (intorno al 1660), dall'altro ad anticipare nel tempo il ruolo di didatta eminente che l'Abbatini assunse invece principalmente dopo il suo insediamento definitivo in Roma alla fine del 1640. Se convien dunque credere che in Arezzo e non altrove il C. studiò musica, sarà stato allievo dei locali maestri di cappella e organisti.
Il suo primo impiego musicale duraturo fu a Volterra: purtuttavia, all'atto della sua nomina a organista del duomo volterrano (deliberata il 10-11 sett. 1643, ma decorrente dall'8 marzo 1644) egli risulta organista in S. Croce di Firenze. A Volterra, il C. divenne in breve maestro di musica del seminario e maestro di cappella del duomo (dal febbraio 1645 al settembre 1649). Quest'ultima carica era cittadina, e la nomina era di spettanza della "Fraternita" volterrana. Che il C. tenesse ambedue le cariche si ricava da documenti di varia specie: il rinnovo annuale dell'incarico da parte del capitolo; le pratiche per un concorso a Pisa alla fine del 1647; un pagamento di lire 245 al C., maestro di cappella da parte dell'Opera del duomo il 18 genn. 1649; una lettera del 18 febbr. 1649 con cui il cancelliere della città, Tommaso Brogi, intercedeva presso il principe Mattias de' Medici chiedendogli di intervenire in difesa del C. che, riconfermato, allora in carica per altri due anni dopo aver già servito per cinque anni la città con soddisfazione generale, era però insidiato da invidiosi (Arch. di Stato di Firenze, Modiceo del Principato, filza 5414, c. 237).
Intanto il posto di organista, tenuto inizialmente per un anno dal C. e passato indi a un fra' Lodovico da Barberino (5 apr. 1645), fu infine dato al fratello Antonio, nominato il 16 sett. 1647 ma entrato in carica solo il 30 genn. 1648: prima d'allora Antonio Cesti era cappellano a Portoferraio, ove si trovava un altro fratello, cerusico (ma ex stufarolo; cfr. i carteggi di Mattias, ibid., f. 5443, cc. 590 [lettera del C. del 2 ott. 1647], 667 s.).
Il patrocinio del principe Mattias si manifestò anche nella prima documentata esperienza teatrale del C. (vi allude, per la prima volta una lettera scritta da Lorenzo Guicciardini a Mattias il 24 giugno del 1647; ibid., f. 5442, c. 775): la partecipazione (in un ruolo imprecisato) alla rappresentazione d'una "commedia" in Siena, che dovette essere quello spettacolo operistico prodotto da Mattias (governatore di Siena) nel maggio del 1647 per l'inaugurazione del restaurato teatro dei Filomati. Sebbene senza esito, il 19 gennaio del 1648 (ibid., f. 5442, c. 112) il C. invocò ancora l'interessamento di Mattias per ottenere il posto di maestro di cappella di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa, al quale aveva concorso il 16 dicembre precedente (ma il 30 marzo 1648 esso fu dato al pisano Antonio Navarrini, che era stato suo predecessore in Volterra).
Al soggiorno volterrano risale l'amicizia del C. col pittore Salvator Rosa e con il poeta e commediografo G. B. Ricciardi. I rapporti documentabili con quest'ultimo e i numerosi e spesso mordaci accenni al C. nell'epistolario del Rosa, a partire dal 27 marzo 1649 (poco dopo il trasferimento del pittore dalla Toscana a Roma) e per più di trent'anni, testimoniano la tenacia d'un profondo sodalizio ideale tra il frate musicista e i due amici, ambedue "filosofi" stoici e cinici, ambedue spiriti libertini e satifici, e costituiscono una fonte capitale per la ricostruzione della biografia e della personalità del Cesti.
A Pisa il C. poté trasferirsi (vincendo l'opposizione della Fraternita e del duomo volterrani) soltanto nell'ottobre 1649, grazie all'interessamento solerte d'un nobile pisano, Francesco Lanfreducci, che gli aveva procurato (oltre ad un'officiatura, che il C. svolse con scarsa regolarità) un semplice posto di tenore nella cappella del duomo, che il C. tenne però soltanto fino alla fine d'aprile del 1650.
Suo fratello sacerdote, invece, chiese, licenza dall'incarico di organista di Volterra il 17 ott. 1649 avendo ottenuto, il 2 di quel mese, un posto di "cavaliere cappellano" a S. Stefano dei Cavalieri, che tenne fino alla morte (fu sepolto il 20 febbr. 1668 o 1667: l'incertezza deriva dall'uso ambiguo del calendario "Pisano" o "fiorentino" nei documenti pisani).
Non è dato di sapere dove si recasse il C. dopo aver abbandonato Pisa. Ma i rapporti intensi, passati e futuri, coi Medici potrebbero suggerire che egli abbia preso parte alla prima rappresentazione fiorentina del Giasone di G. A. Cicognini e P. F. Caletti detto il Cavalli (il libretto, dedicato a Mattias, è datato 15 maggio 1650), nella quale, con la sua voce di tenore, avrebbe ben potuto sostenere la parte del secondo amoroso Egeo, o quella comica del balbuziente Demo. Che il C. fosse a Firenze nell'estate 1650, e che lo si considerasse "al presente gloria e splendore delle scene secolari", testimonia esplicitamente una lettera di Salvator Rosa del 3 luglio. Altre due lettere rosiane, in data 24 agosto, alludono inoltre oscuramente a traversie occorse al C. per aver voluto "dimostrare di non esser né frate né secolare e può darsi che vi sia un rapporto con lo scandalo che già, andava suscitando la sua attività di cantante d'opera, scandalo che di lì a poco scoppiò. Dapprima, il 6 settembre gli Anziani di Lucca dovettero esaminare una protesta per via della partecipazione di "un frate sacerdote" alla recita della "comedia da rappresentarsi in musica" nel teatro dei Borghi (infatti ai primi del mese una compagnia di cantanti vi diede tre spettacoli operistici, tra cui l'unico identificabile fu proprio il Giasone); poi, il 30 ottobre il generale dei minori conventuali chiese al provinciale di Toscana che si prendessero provvedimenti contro il C., il quale, avuto licenza di uscire dalla propria provincia, aveva recitato pubblicamente in scena a Lucca, e che si raccogliessero informazioni "de eius inhonesta vita peracta" (Roma, Arch. generale dei frati minori conventuali, Regestum Ordinis, 41, c. 47v).
A Lucca sicuramente il C. conobbe il gentiluomo lucchese Francesco Sbarra, che fu il suo primo librettista e poi suo collaboratore in Austria negli anni '60. Il dramma musicale dello Sbarra Alessandro vincitor di se stesso fu rappresentato a Venezia nel teatro Grimani ai SS. Giovanni e Paolo nel carnevale successivo (la dedica dell'architetto teatrale e coreografo G. B. Balbi al suo protettore l'arciduca Leopoldo Guglielmo d'Austria è datata 20 genn. 1651) con musica del Cesti. La paternità del C., occultata dalla attribuzione di comodo a Francesco Cavalli nella prima cronologia teatrale veneziana - le inattendibili Memorie teatrali di C. Ivanovich (1681) -, risulta implicitamente dalla menzione che ne fa lo Sbarra stesso in una lettera del 29 dicembre precedente al suo concittadino Michelangelo Torcigliani in Venezia, stampata insieme al libretto ("Il padre Cesti, miracolo della musica, con altri virtuosi rappresentò nel passato autunno un gentilissimo dramma nella città nostra"), ed esplicitamente dalla partitura dell'opera, evidentemente autentica (Bibl. Ap. Vat., ms. Chigi Q.V.61). Il C. è invece nominato nel libretto della sua seconda opera per il teatro SS. Giovanni e Paolo, Il Cesare amante, dramma di M. Bisaccioni terminato da D. Varotari (sotto lo pseudonimo anagrammatico di Ardio Rivarota): della sua musica non restano però che tre arie in manoscritti antologici (due a Venezia, Civico Museo Correr, b. 1-15, n. 11; una "Gilippo, chi non t'ama", a San Francisco, collezione Frank V. de Bellis). La data di stampa del libretto del Cesare amante è 1651: ma, se addirittura non va letta more veneto (ossia 1652), essa certo si riferisce agli ultimi giorni dell'anno, ossia ai primi del carnevale 1652. Che il C., rimasto a Venezia dopo il successo (peraltro mediocre, a detta dell'operista B. Ferrari) dell'Alessandro, ricercasse un dramma per la stagione veneziana successiva risulta chiaramente dalla richiesta che in tal senso rivolse invano a Salvator Rosa nel maggio 1651. A Venezia e ai Grimani il C. sarà stato probabilmente "prestato" dal suo protettore Mattias de' Medici, che coi Grimani ebbe rapporti d'amicizia e interessi teatrali (e che patrocinava tra gli altri la cantante A. M. Sardelli, protagonista femminile dell'Alessandro e forse anche del Cesare amante).
La carriera del C. si svolse comunque tutta nel raggio d'influenza dei Medici: in esso ricadde anche l'assunzione del C. alla corte di Innsbruck a decorrere dal dicembre 1652 (stavolta la licenza dell'Ordine a dimorare alla corte arciducale fu regolarmente concessa il 30 luglio 1653, per un quinquennio). L'arciduca Ferdinando Carlo del Tirolo, cognato dei Medici, avrà voluto presso di sé il men che trentenne C., ormai "stimato il primo che oggi componga in musica" (così il Rosa il 30 nov. 1652), dopo averlo conosciuto in occasione del viaggio del febbraio-maggio 1652 alle corti padane e a Firenze. A Innsbruck il C. non entrò nella cappella di corte, ed ebbe invece il posto - creato ad hoc, meglio retribuito (900 fiorini annui) e più prestigioso - di maestro di cappella della camera: in pratica, capo dei musici di camera (quasi tutti cantanti italiani), autore di musiche d'intrattenimento per il sovrano, e ben presto maestro di cappella (ossia: autore delle musiche, procacciatore di cantanti, e maestro concertatore) del teatro d'opera di corte fatto erigere dall'arciduca ad imitazione di quelli visti in Italia nel '52 e che risulta pronto nell'estate '53.
Fonte ausiliaria per la conoscenza dell'attività tirolese del C. tra il 1653 e il 1656 sono le lettere di due altri "fiorentini" patrocinati dai Medici: nel maggio-settembre 1653 quelle del cantante Atto Melani indirizzate ai Gonzaga e a Mattias de' Medici suo protettore, dal settembre 1653 in poi le quarantuno lettere indirizzate a G. B. Ricciardi dal letterato aretino G. F. Apolloni (ora nell'autografoteca Campori della Bibl. Estense di Modena), poeta alla corte arciducale e principale librettista del C. per opere e cantate.
Nell'agosto del 1653 con una ventina di altri musicisti della corte tirolese il C. si disponeva ad accompagnare l'arciduca alla Dieta imperiale di Ratisbona: non è certo se il viaggio, sempre procrastinato, abbia davvero avuto luogo (il 4 settembre, comunque, il C. era a Innsbruck). A Ratisbona, a cantare, davanti all'imperatore che lo gratificò di 100 ducati, il C. andò con certezza ai primi di marzo del 1654, insieme ad un altro virtuoso servitore straniero dell'arciduca, il violista da gamba William Young.
Fin dal 25 maggio 1653 Atto Melani (Archivio di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, E.VI.3, busta 554) che in agosto si farà nel teatro nuovo di Innsbruck la prima opera in musica, composta dal C. (che l'arciduca, melomane, considera "il suo dio della musica"): la musica risulta pronta il 21 luglio. Si tratta certo della Cleopatra del C., sempre rinviata e finalmente, data - pare - nel gennaio e poi ancora il 5 luglio 1654, in occasione del passaggio per Innsbruck dei duchi di Mantova. Del libretto esistono infatti due edizioni, sostanzialmente identiche, datate 1653 la prima, 1654 la seconda: il testo e, quindi, probabilmente anche la musica sono in realtà quelli del Cesare amante di due anni prima, arricchito di un prologo encomiastico dell'Apolloni (cfr. il ms. Eborense 26 della Biblioteca nazionale di Roma, p. 140).
Un dramma musicale del tutto nuovo, L'Argia, produssero l'Apolloni e il C. nel 1655 (del "disegno di un dramma per la musica... alla moda di Venezia" l'Apolloni accenna già il 31 maggio dell'anno precedente, e il 30 agosto esso risulta terminato). La rappresentazione, ormai pronta da tempo, venne fissata al 4 novembre quando si seppe che proprio ad Innsbruck avrebbe avuto luogo la conversione solenne alla fede cattolica di Cristina di Svezia, in viaggio per Roma: l'opera è di argomento decisamente romanzesco e non allegorico, e soltanto nel prologo si poté inserire un'allusione all'evento. Il libretto del 1655 (che in taluni esemplari comporta la riproduzione delle scene dell'Argia) non menziona gli autori: ma l'esemplare della Staats- und Stadtbibl. di Augusta ne dà i nomi manoscritti ("S.r Pologno luchese [!]" e "Padre Cesto che faceva tutta la musica" e sostenne il ruolo di Atamante) con quelli dei cantanti. Della partitura esistono due copie successive al conservatorio di Napoli (Rari 6.4.7-8 e 6.4.8¹ ), mentre è perduta quella, presumibilmente autentica, della Biblioteca Chigiana di Roma.
Davanti a Cristina fu rappresentato anche, il 3 novembre, un balletto ("componimento scenico per musica") dell'Apolloni, intitolato Mars und Adonis nelle cronache e Marte placato nell'unica fonte nota (il testo apolloniano nel ms. Eborense 26 della Bibl. naz. di Roma, p. 146): molto probabilmente musicato dal Cesti.
Nel carnevale 1656 l'Apolloni comunica al Ricciardi che il 19 febbraio va in scena "un'operetta", l'Orontea di G. A. Cicognini, "messa in musica dal nostro padre Cesti", ottimamente riuscita (al solito, il libretto non nomina né il musicista né l'Apolloni, che procurò il prologo nuovo: cfr. il ms. Chigi L.VI. 193 della Bibl., Ap. Vat., c. 52).
Certamente si trattò della prima esecuzione della musica cestiana per questo dramma fortunatissimo. Le Memorie teatrali dell'Ivanovich, fonte di tante attribuzioni equivoche, attribuiscono al C. anche l'Orontea rappresentata a Venezia nel 1649: ma tutto converge a far credere che si trattò, per il cronologo veneziano, di un ripiego attributivo (nell'assenza di qualsiasi menzione dell'autore della musica nel libretto del 1649) tanto più spiegabile in quanto è invece esplicitamente attribuita al C. la musica dell'altra rappresentazione veneziana dell'Orontea, quella del 1666. In realtà, una lettera di P. A. Ziani del 30 genn. 1666 (Arch. di Stato di Venezia, Scuola Grande di S. Marco, busta 194, c. 121) attribuisce la musica dell'Orontea del '49 a Francesco Lucio (Luzzo). Sarebbe peraltro assai difficile situare nella biografia del giovane frate maestro di cappella a Volterra un viaggio teatrale a Venezia ai primi del 1649. Il libretto dell'Orontea rappresentata a Firenze in presenza del C. nel 1661 dice poi che essa "su le rive dell'Eno" (ossia a Innsbruck) "vestì l'ammanto nobile, ond'oggi ambiziosa risplende". Infatti, il testo delle tre partiture autentiche dell'Orontea cestiana (i mss. Chigi Q.V.53 della Bibl. Ap. Vat., G. Mss. 347 della Bibl. di S. Cecilia a Roma e 48189 della Bibl. Palatina di Parma) concorda bensì con quello del libretto tirolese del 1656, non però con quello veneziano del 1649; né la musica del C. condivide alcunché con quella dell'Orontea regina d'Egitto "arricchita di nuova musica" da F. Cirillo a Napoli nel 1654 (ms. Rari 16.7.11 del conservatorio di Napoli), di cui quindi non costituì la fonte.
Un terzo dramma musicale nuovo per il teatro arciducale produssero l'Apolloni e il C. l'anno seguente, 1657:ne fu stampato, al solito senza i nomi dei due autori, il solo argomento, in tedesco (Doris die glükkhafte leibeigne Dienerin, ein Spil- undLustgedichte sing-künstlich verfasset), che è in realtà quello della fortunatissima Dorio vero La schiava fedele (l'attribuzione è esplicita nelle due partiture autentiche: il ms. 1046 della collezione Santini di Münster i.W., già nella collezione Chigi, e il ms. 18136 della Österreichische National-bibliothek). Non v'è documentazione intorno alla rappresentazione della Dori a Innsbruck: l'argomento romanzesco e la affettuosa "comicità" dello stile, sulla lineadell'Orontea, fanno pensare a un intrattenimento carnevalesco.
È difficile seguire i viaggi del C. durante gli anni tirolesi. Il 28 febbr. 1658 a Monaco fu dato L'Alessandro il grande vincitor di se stesso, ossia l'opera veneziana del C. del 1651: per l'occasione, l'amministrazione della corte bavarese registrò pagamenti a musici venuti da Venezia e a un "welscher Capellmeister, so sich zu Hof hat hören lassen", che potrebbe anche essere il C. (cfr. F. M. Rudhart, Geschichte der Oper am Hofe zu München, I, Freising 1865, p. 43;A.Sandberger, pref. a Denkmäler der Tonkunst in Bayern, II, 2, Leipzig 1901, p. XXIX). È invece infondata la notizia, apparentemente ricavabile dalla lettera del Rosa del 17 apr. 1658, che si preparasse a Firenze un'opera del C. (l'editore dell'epistolario ha letto "Cesti" anziché "costì"; l'opera cui si allude è certo l'Ipermestra). A Innsbruck il C. è documentato il 9 ott. 1658e ancora l'11 genn. 1659, quando l'arciduca gli regala "ob servitia ... praestita" un immobile in città.
In realtà, nel frattempo era scaduta la licenza quinquennale concessagli dall'Ordine dei minori conventuali e il C., certo con l'appoggio dei suoi patrocinatori tirolesi e fiorentini, progettò di abbandonare lo stato religioso e di accedere a un ordine secolare (quello ospedaliero dei cavalieri di S. Spirito in Saxia), che gli consentisse libertà di movimento e di condotta: la rendita annua dell'immobile, concessogli dall'arciduca gli doveva appunto servire da commenda per l'investitura cavalleresca. A questo scopo, di lì a pochi giorni era a Roma, dove si trattenne, poi (con interruzioni) per più di due anni: un "episodio" destinato a concludersi col ritorno del musicista alla corte arciducale, un espediente concertato dal C. con l'arciduca.
Cadono in questi mesi alcuni eventi sintomatici della fama avventurosa del Cesti. Si sparge la voce, risultata subito errata, dell'uccisione del "padre Cestio musico famoso", assalito da ignoti mentre era in viaggio col Rosa verso Firenze (così l'ambasciatore estense il 19 marzo 1659: Arch. di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Ambasciatori, Roma, 213). Oscuro è un altro, torbido episodio in cui il C. fu coinvolto a Venezia e che, al dire del Cinelli, suo primo biografo, avrebbe dato origine all'inimicizia ferale dell'abate G. Grimani Calergi (uno dei proprietari del teatro SS. Giovanni e Paolo) con i Querini: l'incidente sarebbe avvenuto per via d'un palco teatrale donde un Querini scacciò a forza il C., che il Grimani vi aveva fatto accomodare. Certo è che il 15 genn. 1659 (1658 more veneto) i fratelli Vittore, Giovanni e Pietro Grimani uccisero Francesco Querini all'uscita della prova dell'opera ai SS. Giovanni e Paolo e vennero poi banditi dalla città: gli atti criminali del Consiglio dei dieci sono però evasivi, ed è impossibile stabilire se l'episodio cestiano raccolto dal Cinelli si sia svolto proprio quella tragica sera e non inveceanni prima (ancora nel 1665 e nel 1668 lo Ziani e il Rosa alluderanno comunque all'inopportunità che il C. vada di persona a Venezia). Ma non è soltanto la fama della vita turbolenta del C. a diffondersi: anche la sua rinomanza di musicista teatrale va crescendo, tant'è vero che il cardinal Mazzarino pensa, nell'autunno del 1659, di ingaggiare il C. ("celuy... d'Inspruk") nel caso che F. Cavalli rinunzi ad andare a Parigi per i festeggiamenti nuziali di corte.
In Roma nell'autunno del '59, il C. tentava di entrare nella cappella pontificia: il 1º novembre il conte Torquato Monteacuto (Montauto), agente di Toscana a Roma, cercò invano di farlo ammettere come cantore soprannumerario; intervenne Alessandro VII a fargli dar la cotta il 21 dicembre in sostituzione d'un membro di cappella morto la settimana prima: assunse il servizio, secondo la consuetudine, un mese dopo. Il solito Rosa (20 dicembre) informava che intanto, oltre i 30 scudi mensili di cappella, il C. ne riceveva 10 dall'Ordine di S. Spirito e 10 da un cardinale (che dovette essere Flavio Chigi: pagamenti chigiani al C. per copiature di musiche, stipendi e viaggi sono registrati per il 1660-61: Bibl. Ap. Vatic., Arch. Ghigi, n. 456, cc. 170, 182v, 187v, 188, 193v, e n. 536, mandati 3505, 3656 e 3691).
Il C. intratteneva rapporti amichevoli con Sebastiano Baldini, bibliotecario del cardinal Flavio Chigi e autore del testo di due cantate "umoristiche" del C.: "Io non so che cosa m'habbia" (Bibl. Ap. Vat., ms. Chigi L.V.153, c. 292: Lo stordito), nonché quella famosa cantata burlesca che taluno ha considerato un autentico "programma" estetico cestiano e che invece è opera del Baldini (ms. Chigi L.IV.94, cc. 259v-263v: "Aspettate, aspettate. Adesso adesso canto").
Occasionalmente a Roma comparve, pure in quest'epoca l'Apolloni, col quale il C. avrà dunque continuato la collaborazione, quantomeno nel settore cantatistico. Che a Roma il C., di servizio in cappella il lunedì, mercoledì e venerdì, passasse parte del proprio tempo a comporre e a cantare per camera (anche in presenza del pontefice: cfr. lettera del Rosa, 1º marzo 1659, e sonetto del Baldini ms. Chigi R.III.68, cc. 954v e 905) risulta dall'accenno alle "belle dame del Tebro" nel testo d'una sua cantata ("Lacrime mie"), nonché dalla testimonianza d'una cantante fiorentina, L. Falbetti Ballerini, che il 19 apr. 1660, in visita a Roma, riferì al principe Mattias di aver sentito ormai quasi tutti i cantanti della città, e che il C. (insieme al soprano pistoiese G. Fede, di casa Colonna) le pareva il migliore per voce e stile (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 5461, c. 550).
Ma ci dovettero essere pure imprese teatrali del C. a Roma: il libretto dell'Orontea rappresentata a Firenze nell'ottobre 1661 allude infatti a una precedente rappresentazione romana, e un "avviso" di Roma del 27 ag. 1661 (ibid., f. 5475, c. 583) accenna a una progettata ripresa della "comedia dell'Orontea", ripresa che ebbe luogo il 3 settembre, come riferisce Atto Melani a Mattias (ibid., f. 5476, cc. 281-282: "quell'opera in musica che il sig. Contestabile [Colonna] fece fare il carnevale passato"; la notizia è confermata da un "avviso" del 5 marzo 1661: Arch. Segr. Vat., S. S. 110). L'opera sarà forse andata sotto il titolo della partitura che è conservata nella collezione Chigi, I casti amori d'Orontea. A quest'epoca risalgono verosimilmente, oltre l'Orontea, anchele partiture Chigi dell'Alessandro, dell'Argia (perduta) e della Dori (oggi a Münster i.W.).
Dopo un anno di servizio pontificio e patrocinio chigiano e colonnese, il C. rientrò nell'ambito mediceo. Il 3 marzo 1661 si sa che partirà per Firenze "per queste prossime feste", l'8 aprile già era partito da Roma poiché risulta sostituito nella parte che avrebbe dovuto cantare nell'ultimo oratorio di quaresima al SS. Crocifisso, il 16 aprile scriveva al Ricciardi da Firenze. Il 12 luglio andò in scena al teatro accademico degli Immobili (la Pergola) la festa teatrale celebrativa per le nozze di Cosimo III con Margherita Luisa d'Orléans, L'Ercole in Tebe, di G. A. Moniglia e J. Melani: il C. vi ebbe il ruolo tenorile del protagonista. Il papa e i Chigi avevano dato licenza al C. solo perle feste nuziali: senonché, una volta a Firenze, e sotto il patrocinio dell'arciduca Ferdinand Carlo suo padrone, s'era imbarcato nella produzione di due opere sue da rappresentare nel secondo teatro d'opera patrocinato dai Medici, quello pubblico, degli Accademici Sorgenti: dal 5 al 24 ottobre fu data sei volte l'Orontea (il C.vi cantò, probabilmente nella parte del protagonista maschile Alidoro), e dal 25 ottobre in poi sei o più volte la Dori overo La schiava fedele recitata dai musici dell'arciduca. Di quest'ultima parlano spesso, in toni affatto entusiastici, i carteggi di casa Medici di quelle settimane (Mediceo del Principato, f. 5461, cc.636, 638, 649, 670, 671); d'accordo l'arciduca, il C. invitò Rosa e Ricciardi ad assistervi.
La trasgressione della licenza papale rischiò di costar cara al C.: le lettere sue da Firenze (29 novembre) e del Rosa da Roma (16 novembre, 2 e 10 dic. 1661) al Ricciardi fanno intendere che sarebbe stata revocata la riduzione del C. allo stato secolare (con conseguente scomunica) se non fosse subito rientrato nella cappella pontificia. Solo la protezione dell'imperatore, sollecitata dal granduca e dall'arciduca, poté ottenergli la realizzazione del suo progetto: l'11 febbraio 1662 il posto di tenore già del C. in cappella venne attribuito a metà regime a due cantori di casa Chigi l'uno (L. Cocchi), del cardinal Spada l'altro (G. Ricchi). Il 2 febbr. 1662, comunque, era già in viaggio con l'arciduca alla volta di Innsbruck. Aveva sperato invano di attirarvi il Rosa, ora che l'Apolloni s'era stabilito in Italia: ci ritrovava, tuttavia, F. Sbarra, col quale produsse un nuovo dramma musicale, La magnanimità d'Alessandro, rappresentato (come già l'Argia) in occasione d'un passaggio di Cristina di Svezia per Innsbruck, il 4 e 11 giugno (lo stesso dramma, col titolo omologo La generosità d'Alessandro, fu rappresentato il 16 giugno a Vienna per il compleanno dell'imperatore: l'attribuzione - sul frontespizio del libretto - della musica di questa rappresentazione a G. Tricarico va forse correttamente riferita al solo prologo, nuovo, dell'esecuzione viennese; l'unica partitura nota, il ms. 17720 della Österreichische Nationalbibliothek, è, comunque, quella del Cesti). Il 14 ag. 1662 a Firenze si fece una "serenata" musicale a cinque voci, strumentata "all'uso de' concerti di Francia", per il compleanno di Cosimo III (l'attribuzione al C. è incerta: il suo nome è stato aggiunto da mano recente al titolo della partitura viennese, ms. 16890; data l'elusività della fonte, è comunque ozioso speculare - come fanno certuni - se sia stilisticamente plausibile attribuirla, anziché al C., a suo nipote don Remigio).
Il favore dell'arciduca Ferdinando Carlo per il C. si "manifestò nelle transazioni immobiliari e finanziarie dell'autunno 1662: l'arciduca gli cedette un palazzo con terreno e riscattò per 6.000 fiorini la casa di Innsbruck concessa al C. nel 1659, affinché egli potesse rifondare in Italia la propria commenda allo scopo di onorare gli obblighi di cavaliere e abate commendatario di S. Spirito. Assai più austera fu invece - con imbarazzo del C. - la politica economica dell'arciduca Sigismondo Francesco (dicembre 1662-giugno 1665). Sotto di lui il C. non produsse più opere nuove: l'unica rappresentazione in musica data ad Innsbruck sotto il suo breve regno dovette essere la ripresa della Dori per celebrare la vittoria dell'armata imperiale sopra il Turco (agosto 1664): vi allude il prologo allegorico della partitura 18136 della Österreichische Nationalbibliothek, indirizzato ai "popoli dell'Eno" (ovverossia alla corte tirolese), certo musicato dal C. stesso. Per la verità, un'opera nuova con musica del C. era stata preparata sotto il patrocinio del principe Leopoldo di Toscana per le nozze dell'arciduca, da celebrarsi nel settembre 1665: La Semirami, dramma musicale del poeta mediceo G. A. Moniglia. Ma la morte improvvisa dell'arciduca, il 24 giugno, ne impedì la rappresentazione, e l'estinzione del ramo tirolese della dinastia portò di poi il C. alla corte imperiale, dove confluì, oltre allo Sbarra, il meglio dei musici arciducali. Un'ultima opera fufatta rappresentare, da Anna de' Medici, vedova dell'arciduca Ferdinando Carlo, in occasione della visita dell'imperatore Leopoldo I a Innsbruck nell'ottobre 1665: ma si trattò stavolta del Principe generoso, musica di don Remigio Cesti nipote del C. (ms. 17199 della Österreichische Nationalbibliothek).
Nel frattempo, fin dal 15 marzo 1665 il C. trattava con Marco Faustini, impresario del teatro SS. Giovanni e Paolo, e col librettista N. Beregan la composizione di un dramma per musica da fare a Venezia nel carnevale del '66, Il Tito. È questa, dopo quattordici anni, la prima opera composta dal C.per i teatri pubblici veneziani: vero è che nel 1663 l'impresario A. Boldù aveva allestito la Dori al teatro S. Salvatore (certamente in assenza dell'autore; la versione "veneziana" è testimoniata da tre partiture, i mss. 9934 della Bibl. Marciana di Venezia, Add. 29248 della British Library, e Mus. F. 254 della Bibl. Estense di Modena), rinnovandovi il grande successo ottenuto nel '61 a Firenze e stimolando così una serie di riprese cestiane a Venezia che fu poi determinante per la diffusione di queste opere in tutt'Italia (al SS. Giovanni e Paolo l'Orontea nel 1666 e ancora la Dori nel '67 e nel '71, al S. Salvatore l'Argia nel '69 in una versione testimoniata dalla partitura mss. 9915 della Bibl. Marciana e da un codice della collezione Levi di Venezia che comprende anche il bizzarro prologo; una rappresentazione della Semirami progettata al S. Cassiano nel febbraio 1666 fu invece sostituita all'ultimo momento col Giasone). Il Tito andò in scena come seconda opera della stagione, il 13 febbr. 1666, alla presenza di Maria Mancini e del conestabile Colonna suo consorte (ne parlano, in toni lusinghieri i Mémoires di lei, siano essi autentici o apocrifi [Colonia 1676]: e fu la Mancini a volere il Tito rappresentato al teatro Tordinona di Roma nel 1672). Addirittura, ilC. fornì al Faustini anche la prima opera della stagione (10 genn. 1666), la sua Orontea di dieci anni prima, rappresentata (con qualche adattamento) in sostituzione e col prologo di una non mai eseguita Doriclea precedentemente commissionata dal Faustini a Pietro Andrea Ziani. (È possibile che la versione della partitura Pepys 2210 del Magdalene College di Cambridge sia collegata all'Orontea veneziana del '66: infatti la parte di basso comico di Gelone vi risulta trascritta per tenore, e fu appunto un famoso tenore buffo, Carlo Righenzi, a tenere a Venezia i ruoli comici della stagione). Del successo artistico del Tito, opera eroica e pretenziosa nata in fretta e con tante traversie nella costituzione del cast, si hanno notizie tutto sommato positive anche da parte di chi, come lo Ziani, aveva semmai motivo di nutrire invidia (ne esistono tre partiture mss., i codici 9983 della Bibl. Marciana, Chigi Q.V.54 della Bibl. Ap. Vat., e Rari 6.4.9 del conservatorio S. Pietro a Maiella di Napoli): assai mediocre invece a successo economico (soprattutto dell'Orontea, "non ostante la bellezza della musica"), come dice il Faustini stesso replicando negativamente alla proposta della grande virtuosa Giulia Masotti di fare l'Argia o l'Alessandro del C. nella stagione 1667 (Arch. di Stato di Venezia, Scuola Grande di S. Marco, busta 188, cc. 294-296, 292 e 303).
Certo è che le spese enormi sopportate dall'impresario per dare a questa stagione un rango imperiale ed europeo (soprattutto nella scelta dei cantanti) dovettero contribuire ad accelerare il collasso dell'impresa, avvenuto, di lì a due stagioni. Il Faustini volle bensì ingaggiare nuovamente il C. e il Beregan per la stagione 1667, ma nell'agosto 1666 il C., ormai impegnatissimo a Vienna, vi rinunziò, e l'impresario si dovette accontentare di allestire di gran carriera, una volta ancora, la Dori, overo Lo schiavo reggio, dedicata di nuovo a Maria Mancini Colonna (16 genn. 1667), opera di gran successo che però non sortì neppur essa il beneficio economico sperato, giacché si ripeterono puntualmente le spese esorbitanti e le difficoltà incontrate già l'anno prima coi maggiori cantanti: la divergenza di concezioni e d'interessi tra l'opera di corte e l'opera impresariale, da cui il Faustini ambiziosamente volle trar frutto (ricorrendo, tra l'altro, alla collaborazione di un operista come il C. attivo nelle corti d'Oltralpe), si dimostrò non componibile e gli risultò fatale.A Vienna il C. arrivò il 22 apr. 1666, dopo aver sistemato i propri interessi e le proprietà di Innsbruck. Ufficialmente dall'inizio dell'anno era "cappellano d'onore" (come dice lui stesso nella sua del 16 luglio precedente al Beregan) e "intendente delle musiche teatrali" (come risulta dai ruoli di corte il 5 luglio 1666) dell'imperatore, con 1.400 fiorini annui di salario: come già a Innsbruck, il C. si trovò quindi in una posizione eccentrica rispetto alla cappella musicale vera e propria, e fu investito del settore musical-teatrale, che Leopoldo I andava allora promuovendo massicciamente. Nei poco più che due anni di servizio effettivo alla corte imperiale (nominalmente 1º genn. 1666-31 marzo 1669) il C. fu attivissimo per le musiche spettacolari destinate a festeggiare l'arrivo (dic. 1666) della sposa imperiale, l'infanta di Spagna Margherita, e le nozze: in tutto fornì la musica di cinque spettacoli, sopravanzando così di larga misura l'impegno degli altri compositori della corte, A. Bertali, A. Draghi, P. A. Ziani (l'8 giugno 1666 il C. cantò in un'opera composta da quest'ultimo, L'onore trionfante, su testo di D. Federici). Il 12 luglio 1666, in occasione del compleanno della sposa, va in scena una sua "operetta" celebrativa ed allegorica su testo dello-Sbarra, Nettuno e Flora festeggianti (ms. 16525 della Österreichische Nationalbibliothek), che servì d'introduzione al gran balletto (composto, come tutti i balli e balletti di corte, dal maestro di musica dei balli, J. H. Schmelzer). Intanto lavora già alla composizione del Pomo d'oro, l'opulentissima "grand'opera" nuziale (che però si farà solo nel '68); l'8 agosto, rinunziando a comporre l'opera del carnevale '67 per Venezia, comunicò al Faustini che forse avrebbe dovuto fare anche "la musica del balletto a cavallo", La contesa dell'aria e dell'acqua, il clou dei festeggiamenti nuziali (24 e 31 genn. 1667), musicato però dal Bertali e dallo Schmelzer (coreografo e regista dello spettacolo fu il fiorentino A. Carducci).
Intanto, mentre procede il lavoro al Pomo d'oro, la sposa è in viaggio alla volta di Vienna: il conestabile Colonna, che nel carnevale precedente aveva ammirato le due opere veneziane del C., gli commissiona "alcune compositioni da rappresentarsi in Milano nel passaggio dell'augustissima sposa" (settembre 1666), non identificabili.Il 19 febbr. 1667 andò in scena il dramma "giocoso-morale" Le disgrazie d'Amore, con parole dello Sbarra (ms. 18.856 della Österreichische Nationalbibliothek). L'esecuzione del Pomo d'oro, ormai intieramente musicato, veniva dilazionata in attesa che fosse pronta la costruzione dell'apposito, grandioso ed effimero teatro ligneo "auf der Cortina". Il 9 giugno, per il compleanno del sovrano, si ripiegò sulla Semirami composta a Innsbruck nel 1665 e mai rappresentata (ms. 16.304 della Österreichische Nationalbibliothek); il 13 luglio, per il compleanno dell'imperatrice, vi fu un altro balletto a cavallo dello Schmelzer, La Germania esultante, inaugurato da un'introduzione musicale (perduta) dello Sbarra e del Cesti. Solo per il compleanno dell'anno dopo, il 12 e 14 luglio 1668, poté finalmente andare in scena, diviso in due serate, l'immane, memorabile e propagandatissimo capolavoro teatrale dello Sbarra e del C., la festa teatrale Il pomo d'oro, con la scenografia, suntuosissima, di Ludovico Burnacini (ventitré mutazioni di scena e una moltitudine di macchine; le tre edizioni del libretto, stampate nel 1667 e nel '68, contengono le incisioni delle scene), con i balletti del solito Schmelzer e la coreografia di Santo Ventura (ingrediente inderogabile delle rappresentazioni di corte viennesi), e con uno spettacolare episodio guerresco.
La musica di questo grande dramma mitologico e allegorico in cinque atti (il soggetto centrale, abbondantemente amplificato e arricchito di episodi secondari, è quello del giudizio di Paride e della contesa delle tre dee per il pomo d'oro, che però alla fine, su suggerimento di Giove, viene assegnato alla "maggiore e più degna eroina", l'imperatrice Margherita) è conservata solo in parte: la Österreichische Nationalbibliothek (ms. 16.885) ne possiede la partitura, doviziosamente strumentata, del prologo (in una versione non definitiva) e degli atti I, II e IV; un'antologia adespota di una cinquantina di arie e scene dell'opera, per sole voci e basso continuo e senza i ritornelli strumentali, è stata identificata di recente alla Bibl. Estense di Modena (Mus. E.120), dove andava sotto il nome di Leopoldo I, autore (è vero) di alcuni brani di questa e altre opere cestiane.
Da una lettera del Rosa del 15 sett. 1668 risulta che il C. era in procinto di andare a Venezia; in novembre era a Firenze. Maturava l'intenzione di lasciare il servizio cesareo, che il C. doveva aver già manifestato fin dall'autunno precedente, se l'arciduchessa vedova Anna de' Medici il 30 ott. 1667 scriveva da Innsbruck a suo fratello Leopoldo per raccomandargli il C., "acciò venga a servir il serenissimo gran duca non potendo sostener più le gran fatiche di Vienna" (Mediceodel Principato, f. 5501, c. 264). Infatti il nome del C. risulta nel ruolo del 1669 delle Cariche d'onore della corte granducale (con 25 scudi annui di gratificazione sovrana): come già a Innsbruck e Vienna, il suo posto è fuori della cappella musicale istituzionale, in una posizione al tempo stesso privilegiata e isolata, verosimilmente collegata in prevalenza al teatro. È vero però che l'ultimo spettacolo teatrale al quale il C. prese parte attiva fu fatto non a Firenze, bensì a Siena, dove l'Argia inaugurò il teatro pubblico degli Intronati ricostruito per munificenza dei Medici da Iacinto Ferrari (firmatario del libretto, il 26 maggio 1669): come informa una lettera di Leonardo Marsili ai Chigi (Bibl. Ap. Vaticana, Arch. Chigi, n. 277, 5 giugno 1669), la musica riuscì "esquisita coll'assistenza continua del sig.r Cesti" e l'opera ebbe successo artisticamente ottimo (cinque le recite, buoni i cantanti) ed economicamente mediocre.
In quell'anno il C. stava lavorando anche a un dramma nuovo, che non vide la luce, da dare come prima opera del carnevale 1670 nel teatro veneziano di SS. Giovanni e Paolo: così risulta dal libretto dell'Ermengarda regina de' Longobardi, prevista come seconda opera della stagione ma allestita al posto di quella del C., venuta a mancare. Non è possibile accertare se quell'ignoto dramma vada identificato con la Giacasta del Moniglia che (come riferiscono le Poesie drammatiche dello stesso Moniglia, II, Firenze 1690, p. 84) il principe Mattias (m. 1667) aveva dato da musicare al C., e che si sarebbe dovuta rappresentare dopo l'assunzione del musicista alla corte di Toscana (la Giocasta regina d'Armenia, rimaneggiata da G. Castoreo, venne poi data al teatro S. Moisè di Venezia nel 1677, ma con musica di C. Grossi; nessun fondamento ha invece l'attribuzione al C. del Genserico del 1669, avanzata dall'edizione del 1755 della Drammaturgia dell'Allacci). In realtà, il 14 ott. 1669 il C., quarantaseienne, moriva a Firenze (le esequie a spese granducali ebbero luogo il 15); il 17 fu sepolto in forma solenne ad Arezzo (dove non resta traccia del monumento funebre che gli fu dedicato).
In un'epoca in cui, nella prassi teatrale italiana, il concetto dell'individualità e autenticità dell'opera d'arte e lo stesso concetto di testo applicato al dramma per musica sono ancora del tutto labili e praticamente atomizzati nella molteplicità delle rappresentazioni d'un singolo dramma (in altre parole: in un'epoca in cui ad ogni nuovo allestimento d'un dramma per musica corrisponde di solito una serie più o meno copiosa di modifiche, di adattamenti, di manipolazioni testuali e musicali più spesso tacite che palesi, dettate dalle esigenze, accidentali o sostanziali, dei produttori - impresario, cantanti, maestro di cappella, scenografo - e dei destinatari - gusto del pubblico, tradizioni locali del repertorio teatrale -), la fortuna d'un dramma musicale non fa propriamente parte della biografia artistica dell'autore della sua musica, all'infuori di quelle rappresentazioni di cui l'autore fu, in qualche modo, partecipe (e nel caso del C. si tratta delle riprese tirolesi, romane, fiorentine, veneziane e senesi già menzionate). Ma il contributo dato dalle rappresentazioni italiane delle opere del C. alla costituzione o al consolidamento di un gusto musicale e teatrale medio valevole per tutt'Italia è tale da qualificare, retrospettivamente, il rango artistico della sua opera, e in particolare di cinque drammi assai fortunati: l'Alessandro vincitor di se stesso, l'Argia, l'Orontea, la Dori e il Tito. La circolazione di questi drammi nei teatri d'opera d'Italia rappresenta grosso modo una "seconda generazione" di opere di tipo veneziano dopo quelli del Cavalli: è vero che spesso, opere dei due musicisti comparvero simultaneamente nel repertorio di alcuni teatri e di talune compagnie d'opera attivi nel settimo e ottavo decennio del secolo, ma è vero altresì che sono proprio la Dori e l'Orontea e il Tito a inaugurare taluni teatri pubblici in città periferiche o di provincia (Torino, Macerata, Viterbo, Portomaggiore, Pavia, Cremona, Foligno) così come, precedentemente, le opere del Cavalli avevano inaugurato i teatri delle principali città d'Italia.
Va notato che la fortuna delle tre opere di Innsbruck (Argia,Orontea e Dori)aumenta sì notevolmente dopo le rispettive rappresentazioni veneziane, a conferma della preminenza dei teatri di Venezia nella diffusione del repertorio operistico nazionale: tuttavia i tre drammi circolavano già prima di apparire sui teatri veneziani. Certo, il successo enorme di Orontea e Dori andrà ascritto in buona misura alla giocosità romanzesca dei soggetti, alla efficacia dei congegni drammatici, all'uso accortamente calcolato delle convenzioni letterarie e sceniche da parte del Cicognini (del quale tutt'Italia già conosceva il Giasone) e del suo imitatore Apolloni (per un esempio palmare di imitazione si confronti il testo degli ultimi righi musicali alle pp. 77 e 113 rispettivamente nel Giasone e nella Dori editi dall'Eitner): ma nella nozione comune quei titoli erano saldamente identificati con l'assetto musicale datogli dal C., tant'è vero che ancora nel 1711, un quarantennio dopo le ultime rappresentazioni cestiane a Roma, l'Adami a proposito del C. poté affermare che la Dori "fu il lume maggiore dello stil teatrale". La fortuna delle opere cestiane, che qui si compendia città per città, è documentata in primo luogo dalle edizioni dei libretti (le date sono quelle delle dediche, non sempre necessariamente eguali alle date effettive di rappresentazione; i documenti di diversa natura sono menzionati esplicitamente): vanno però emarginate le ristampe "letterarie", ossia destinate alla lettura e non collegate a una rappresentazione teatrale (sono principalmente ristampe romane - l'Argia nel 1657 e nel '61, l'Alessandro nel '64, le Disgrazie d'amore nel '67 e l'Orontea nel '77 - e napoletane: la Dori nel 1666 e l'Argia nel '67).
A Genova si fecero il Cesare amante nel 1653 (libretto s.d. ma databile in base alla cronologia settecentesca degli spettacoli genovesi edita dal Giazotto, che menziona altre opere cestiane non documentate da libretti: l'Orontea nel 1656, L'Argia nel 1671-72, la Dori nel 1680-81), l'Orontea il 10 genn. 1660 (impresario Pietro Manni) e il 29 nov. 1661 (forse una ristampa soltanto letteraria?), e nel novembre 1665 la Dori (come risulta da una lettera del cantante G. B. Pizzala: Arch. di Stato di Venezia, Scuola Grande di S. Marco, busta 188. c. 375). A Firenze e a Lucca si fece nel 1654 l'Alessandro vincitor di se stesso: sotto la protezione del cardinal Giovan Carlo de' Medici, con la regia di A. Carducci e con i cantanti Atto Melani e A. M. Sardelli nella capitale granducale (15 gennaio); in una versione integrata dallo Sbarra, autore del testo, e dal musicista M. Bigongiari, e cantata da cantanti locali (solo uomini) a Lucca (1º febbraio). A Firenze si vide poi ancora La Dori o vero La schiava fedele nel 1670 (dedica della cantante E. Passarelli, 30 aprile), fatta anche a Lucca nel teatro de' Borghi nel 1665, dove si fecero pure l'Orontea nel 1668 (insieme all'Erismena del Cavalli) e il Tito nel settembre 1676. Dopo Siena, la corte toscana vide l'Argia soltanto a Pisa, il 15 dic. 1673. A Bologna l'Alessandro vincitor di se stesso fu rappresentato nel 1655 (scenografo P. A. Cerva) e rifatto nell'83: nel frattempo vi comparvero l'Orontea (due edizioni, forse letterarie, nel 1665 e 1669, e una terza, sicuramente teatrale, nello stesso 1669) e la Dori (il 19 genn. 1667, e il 23 febbr. 1672 in onore dei duchi di Brunswick). A Milano vi furono l'Alessandro vincitor di se stesso nel 1659 (edizione, forse solo letteraria, datata 31 gennaio) e, al regio ducal teatro, l'Orontea nel 1664 (22 novembre; un'edizione del 22 luglio 1662 è probabilmente letteraria), la Dori (autunno 1668, sotto la direzione musicale di P. S. Agostini) e l'Argia (il 20 febbr. del 1669, come seconda opera della stagione dopo l'Eritrea del Cavalli, impresario P. Manni); la Dori fu invece veduta "nel teatro novissimo" di Pavia nel 1671 (22 gennaio). A Torino si stamparono nel 1662 sia l'Orontea, data dall'impresario" G. B. Abbatoni ad inaugurazione del teatro di corte (con una troupe mista di musici sabaudi e di cantanti lombardi che fece anche Le fortune di Rodope dello Ziani), sia La Dori o vero La schiava fedele, fatta però forse nel carnevale 1663. Nel 1662 l'Alessandro vincitor di se stesso compare a Napoli (dedica degli Armonici, 8 ottobre), dove si vedrà per tre volte la Dori (nel febbraio 1665 sempre con gli Armonici; il 6 nov. 1675 con i musici della cappella reale; infine, con arie aggiunte di Alessandro Scarlatti, il 23 dic. 1688), nonché il Tito (nel 1670, con gli Armonici) e l'Orontea (data privatamente, il 26 genn. 1674, con inserti comici in dialetto napoletano). In Sicilia comparvero la Dori a Messina nel 1664 (cfr. Schmidt, 1976), e a Palermo l'Orontea il 24 genn. 1667 e il Tito (con musica parzialmente o interamente rifatta da A. Binitti) il 17 genn. 1668 nel nuovo teatro dell'impresario Pietro Rodino.
A Ferrara nel 1663 si fecero l'Orontea (teatro Obizzi, 27 gennaio) e la Dori (teatro di S. Lorenzo, stampata col prologo veneziano il 24 novembre, con un prologo nuovo il 2 dicembre); il teatro del conte Cati a Portomaggiore fu aperto nel 1670 con l'Orontea (3 sett.; l'anno dopo vi si fece l'Artemisia del Cavalli); la Dori fu data nel Collegio dei nobili di Parma nel 1665 (12 maggio) con Silvia Manni protagonista e un cast in parte uguale a quello di soli uomini della rappresentazione di Reggio Emilia data (con Giasone e Antiaco del Cavalli) nel 1668, primo anno di attività regolare del teatro d'opera reggiano, che vide poi l'Argia nel 1671 ol'Orontea nel '74. Il teatro di Macerata, disegnato da G. Torelli, fu inaugurato il 27 genn. 1665 con la Dori: lo stesso anno (22 giugno) vi fu fatta l'Orontea a spese del musico maceratese G. B. Ruggieri. La Terraferma veneta vide la Dori a Verona nel 1666 e a Bergamo ante 1676 (cfr. Schmidt, 1976), l'Orontea a Brescia e Bergamo nel 1667 (12 gennaio e 9 aprile), l'Argia nel teatro degli Erranti di Brescia nel 1670 (20 dicembre), a Verona nel carnevale '71, nel teatro nuovo di Bergamo (impresario P. Manni) e simultaneamente nel teatro Contarini di Udine (con la protagonista R. Pagnoli: cfr. il ms. 105, c. 51, della Bibl. comunale di Udine) il 10 dic. 1673. Dell'Argia furono fatte tre edizioni a Viterbo: nel 1668 si stamparono le Notitie in succinto, per quelli che sentiranno rappresentare l'Argia, nel 1670 il libretto vero e proprio, nel 1680 infine L'Argia overo Le peripezie d'onore (ristampa con alcune "ariette aggiunte"); ma dagli atti del notaio P. Polidori concernenti la società di cittadini viterbesi imbarcata nell'impresa teatrale (16 maggio 1668) risulta che nel loro programma figurò, oltre l'Argia, anche la Dori (Arch. di Stato di Viterbo; comunicazione privata di A. Carosi). A Roma, nel carnevale 1672, Filippo Acciaiuoli allestì al teatro Tordinona La Dori,overo La schiava fedele (31 dicembre) e il Tito (12 febbraio), con prologhi e intermezzi di A. Stradella: vi cantò la grande E. Passarelli (cfr. il ms. Chigi R.III.69, cc. 502 s., 661, 672 s., della Bibl. Ap. Vat.). Nel '72 "diversi cavalieri" mantovani fecero nel teatro del castello Il regio schiavo, o sia La Dori: ma fu uno spettacolo anomalo, giacché servì, "per introduttione ad un esercitio d'arme" cavalleresco, non già teatrale. Il teatro Rangoni di Cremona fu inaugurato con il Tito nel 1676, il teatro di Foligno con la Dori nel 1677 (13 febbraio). A Venezia, infine, l'Orontea fu data ancora nel 1683, al SS. Giovanni e Paolo.
A Vienna la Dori fu forse ripresa poco dopo la partenza del C. (libr. ms. 13.297 della Österreichische Nationalbibl.). In Germania l'Orontea inaugurò il teatro di Hannover nel 1678, fu rappresentata, "dalle dame di corte" a Wolfenbüttel nell'agosto 1686, e fu stampata in tedesco a Stoccarda nel settembre 1699 (ma è difficile accertare quanto della musica cestiana rimanesse in queste rappresentazioni e nelle altre elencate qui); nel 1680 l'Argia fu data alla corte di Bayreuth, e la Dori alla corte di Monaco (con un prologo musicato da G. A. Bernabei); nello stesso anno, in tedesco: comparve nel teatro pubblico di Amburgo, con musica di N. A. Strungk. Alla corte di Innsbruck, Dori e Magnanimità furono date nel 1680 e nel 1681 (15 novembre) "da dame, et cavaglieri": la musica teatrale del maestro di cappella d'onore di vent'anni prima era scaduta al rango di cavalleresco intrattenimento da dilettanti. Va infine menzionata l'Oronté e tragédieen musique rappresentata nell'estate del 1688 nel castello di Chantilly (musica di P. Lorenzani): è notevole che proprio la fortunatissima Orontea fornisse, a una data così tarda, il modello di questo tentativo, che appare davvero anomalo e inane, di assimilare l'opera italiana in Francia.
Tranne la Semirami, ripresa a Venezia in due rifacimenti (uno, radicale, la Semiramide musicata da P. A. Ziani: teatro SS. Giovanni e Paolo, 11 dic. 1670, partitura 9979 della Bibl. Marciana; l'altro, che conserva parte della musica cestiana, La schiava fortunata ad opera di M. A. Ziani: teatro S. Moisè, 1º genn. 1674, e Modena, 20 nov. 1674: partiture 9977 della Bibl. Marciana e Mus. F. 253 della Bibl. Estense), nessuna fortuna postuma ebbero invece le opere del C. rappresentate a Vienna negli anni '60, produzioni teatrali legate ad eventi celebrativi, costituzionalmente irripetibili fuori del loro contesto cerimoniale: paradossalmente, proprio queste opere che portano esplicitamente in fronte (sui libretti, sulle partiture) il nome dell'illustre cappellano d'onore dell'imperatore, del "cavalier Cesti", contribuirono assai meno delle opere degli anni '50, entrate nel giro commerciale spesso anonimo dei teatri impresariali italiani, a diffonderne la musica e lo stile. Né duratura poteva essere l'efficacia delle pur spettaccolari prestazioni del C. alla corte imperiale stessa, la quale - diversamente dal ricambio diffusivo del repertorio in Italia - bruciava per sé sola una quantità enorme di opere sempre nuove e altamente stereotipate; l'epoca felice delle produzioni del C. e dello Sbarra prelude alla lunga, alacre egemonia del triumvirato operistico costituito dal librettista N. Minato, dal compositore e intendente teatrale A. Draghi e dallo scenografo L. Burnacini, che fornirà praticamente tutto il fabbisogno teatrale della corte per tre decenni.
Se la persistenza delle opere cestiane nel repertorio italiano è spesso anonima e comunque soggetta alle mutazioni che l'evoluzione del gusto e della prassi teatrali impongono, davvero lunghissima ed esemplare è la sopravvivenza della produzione cestiana di cantate da camera a una e due voci. Alle cantate è legata in buona misura la fama postuma del C. e la conoscenza diretta che anche il Settecento potéavere della sua musica (testimoni ne siano Mattheson, Hawkins e Burney). Certo, in tal senso il repertorio caratteristico fa favorito, rispetto a quello operistico, dal collezionismo "turistico", soprattutto inglese, ossia dal drenaggio di manoscritti di musica vocale da camera da Roma al Nord ad opera di intellettuali dilettanti di musica (del resto è inglese anche l'unica edizione seicentesca di musiche cestiane: due frammenti di cantate nella Scelta di canzonette italiane curata da G. Pignani e stampata a Londra nel 1679). Ma in Italia il C. cantatista ebbe valore di esemplarità e normatività per una ventina d'anni dopo la sua morte, tant'è vero che G. A. Perti nella prefazione delle proprie Cantate morali e spirituali (Bologna 1688) lo mette tra "i tre maggiori lumi della nostra professione" insieme a L. Rossi e G. Carissimi: due nomi che, come quello del C. e poi dello Stradella, servirono infatti spesso da copertura di comodo per attribuzioni di cantate adespote. Inoltre, alla rinomanza delle cantate del C. dovette sovrapporsi la sua fama di ottimo cantante (p. es. Francesco Redi, nelle sue Osservazioni intorno alle vipere del 1664, ne paragona "la soave musica", miracolosa, a quella di Atto Melani: è chiaro che si riferisce alle loro virtù canore).
La produzione di cantate del C. attende tuttora, nonostante i lavori notevoli del Burrows, una sistemazione critica. Alcuni dubbi d'attribuzione a proposito di cantate che portano la dicitura "Abbate Cesti" risultano fuorvianti se si tien conto che abate fu, assai prima di Remigio Cesti (camaldolese), anche il C. (dal 1659 abate commendatario di S. Spirito); viceversa meriterebbero maggior cautela le attribuzioni di codici poco attendibili, come il D.2357 del conserv. di Firenze ("Misero cor, che fai", p. es., alle cc. 166-168v, è opera del Marazzoli, testimoniata anche da un suo autografo, e non del Cesti). Anche il contesto delle fonti cestiane emerse dopo la pubblicazione del catalogo Burrows conferma la provenienza quasi esclusivamente romana della cantata di metà Seicento: così, p. es., i mss. 47.I.64-65 e 47.II.1 della Biblioteca da Ajuda a Lisbona, il ms. 17 della Faculty of music di Oxford, un manoscritto nella collezione privata Caffagni di Modena. Ma va tenuto presente che il C. non fu probabilmente mai a Roma prima del 1659-1661, e che quindi a quest'epoca, e non prima, si deve far risalire l'inizio dell'irradiazione della sua produzione di cantate.
Quanto alla datazione delle cantate, accertato che la data 1662 apposta sui manoscritti estensi Mus. G. 50-51 (di provenienza romana) è la data della loro redazione, non già quella di composizione, non resta che ricorrere all'ipotesi stilistica e all'esame dei testi. Il primo procedimento, basato sulla premessa implicita e non dimostrata che lo stile d'un compositore si evolva progressivamente secondo un'unica linea di sviluppo, senza scarti direzionali epperò registrando immediatamente eventuali influssi di stili altrui, ha ricercato le affinità stilistiche (principalmente nell'invenzione melodica) di singole cantate del C. con opere sue di datazione certa (le opere teatrali) o con la produzione di altri musicisti: ma i risultati sono stati deludenti. Così, si sono volute datare agli anni '40 le cantate che rivelano affinità con quelle (peraltro anch'esse non databili) del Carissimi, prendendo per buona la notizia (data da tutti i lessicografi e storiografi settecenteschi fuorché dall'unico tra essi attivo a Roma e perciò più attendibile, il Pitoni) che del Carissimi il C. fosse stato allievo in Roma: cosa certamente assai inverosimile. D'altra parte, sulla base della datazione tradizionale dell'Orontea e della Dori al 1649 e al 1661, e disconoscendo la relativa autonomia stilistica dei due generi, il teatrale e il cameristico, si sono datate intorno a questi anni cantate in qualche modo reminiscenti di brani delle due opere, composte invece di fatto in anni contigui (1656-1657). Infine, si sono volute datare precocemente le cantate dove predomina il recitativo, tardivamente quelle dove predominano le arie, in base all'idea (non dimostrata) che intrinseche ragioni di natura stilistica (e non anche letteraria, o sociologica) abbiano provocato uno spostamento d'attenzione dal recitativo verso l'aria: ma è un modello analogico di crescita "botanica" e perfettamente graduale applicato allo stile musicale, modello che disconosce la evidente discontinuità e pluralità delle risorse di linguaggio e delle convenzioni poetiche di cui, all'interno d'una struttura compositiva costante, dispone ad arbitrio il compositore.
Affidamento cronologico ben più verosimile danno i testi di cantate cestiane del Baldini (già citati) e quelli dell'Apolloni, collega e amico del C. prima a Innsbruck (dal 1653 in poi) e poi in Italia (fino al 1661). Sono testimoniate nei manoscritti di poesie dell'Apolloni (Palat. 285. IX della Bibl. naz. di Firenze, y.G.6.28 della Bibl. Estense di Modena, Palat. 573 della Bibl. Palatina di Parma, Eborense 26 della Bibl. naz. di Roma e Ferraioli 1 della Bibl. Ap. Vat.) le seguenti cantate del C. (alcune di esse sono tra le più notevoli della sua produzione, per dimensione, assetto narrativo o rappresentativo, e facoltà d'invenzione e mimesi melodica): "Alpi nevose e dure", "Era l'alba vicina" (La corte), "Era la notte e muto", "Ferma, Lachesi, ohimé" (Per la morte d'una dama del serenissimo arciduca d'Insprugg), "Insegnatemi a morire", "Lasciatemi in pace", "Piangente un dì Fileno", "Quanto siete per me pigri, o momenti", "Ricòrdati mio core", "Rimbombava d'intorno" (La Niobe), "Sopra un'eccelsa torre" (Il Nerone) e "Tu m'aspettasti al mare". V'è poi un volume di Versi per musica di G[io.] F[ilippo] A[polloni] P[oeta] A[retino] parte seconda, dedicato al card. Sigismondo Chigi il 29 ag. 1668 (ms. Chigi L.VI.193), che nella dedica fa menzione della musica "del sig.r cav.r Cesti, da cui è stata onorata la maggior parte di questi [fogli]": vi compare, oltre i prologhi dell'Orontea e della Dori, una canzonetta a tre voci ("Lasciatemi una volta") attribuita esplicitamente al C. ma di cui finora non si è identificata la musica (né s'è ritrovata la Parte prima di questa raccolta apolloniana, certamente importante anche per il Cesti).
Altri testi identificati sono quelli di G. Lotti (un toscano attivo alla Sapienza a Roma: "Chino la fronte e taccio", "Pria ch'adori e resti avvinto", "Soffrite, tacete") e di Salvator Rosa (La strega: "Era la notte, e l'orme"; "Hor son pur solo, e non è chi m'ascolti"; "Solingo un dì Fileno"; "Sensi, voi, ciò che godete"); andrebbero similmente indagate le opere poetiche di G. B. Ricciardi, cui l'Apolloni richiedeva frequentemente da Innsbruck testi per musica ad intenzione del C. (che nel 1654 dovette anche musicare un prologo per commedia del Ricciardi), nonché quelle dello Sbarra. Certo, ancora nell'ottobre 1662 lo stesso C. parla per lettera di testi per musica del Rosa (una "canzone satirica", forse la citata Strega) e dell'Apolloni ("una opera ... nello stile della Dori") inviatigli a Innsbruck dall'Italia: ma, per ora, tutto (anche i pagamenti dei Chigi al C. per copiature di musiche, citati sopra) converge a far credere che gli anni del sodalizio Apolloni-C., tra Innsbruck e Roma, fossero i più fecondi nel settore cantatistico. D'altra parte, le prime testimonianze certe di una produzione vocale da camera, nel carteggio C.-Lanfreducci del 1649, si riferiscono a forme poetiche per musica antiquate (ottave, sonetti) rispetto alla norma degli "scherzi", "capricci", "recitativi", "moralità per musica" di Apolloni, Rosa, Baldini e Lotti. È vero che un testo del Rosa databile al 1645 circa (cfr. Limentani, 1950) figura, con musica del C., in un manoscritto musicale appartenuto al Rosa stesso e già noto al Burney: ma vi compaiono altresì brani dell'Orontea (quindi post 1656!), e la redazione del manoscritto fu documentabilmente terminata solo dopo il 1681 (ben dopo la morte del poeta), sicché è arbitrario volerne ricavare una datazione precoce della cantata cestiana.
Oltre alla fama grandissima di cui godette la sua musica da camera e da teatro, il C. spicca nel panorama musicale di metà Seicento anche per la sua stessa biografia. La sua ambiguità di religioso (poi sfratato) e musicista mondano; la sua posizione extraistituzionale di maestro di cappella onorario al servizio personale del sovrano (a Innsbruck come a Vienna come a Firenze); la avventuristica autodeterminazione professionale e sociale rispetto all'autorità religiosa e padronale (sotto il patrocinio comunque garantito dei Medici); la disinvoltura scandalosa dei suoi comportamenti sessuali (già il Lanfreducci nel 1649, poi il Rosa nel '50 e ancora l'Apolloni nel '54 accennano alla sua intensa disattenzione pel voto di castità); la pubblicità dei suoi costumi licenziosi, che nell'ottobre 1663 lo costrinse a richiedere un attestato "de vita et moribus" all'arciduca tirolese: sono tutti atteggiamenti esistenziali e sociali che alimentano l'immagine romantica e irregolare, cinica e immorale del musicista brillante e scapestrato, immagine che altri musici seicenteschi come P. S. Agostini o A. Stradella consolideranno. In tal senso, l'amicizia del C. con il Rosa la dice lunga, seppure alla condizione sociale e professionale del musicista seicentesco è ancora negata la stoica autonomia esistenziale ed economica, oltreché intellettuale, conquistata dal pittore napoletano. Va notata infine la dedizione pressoché totale del frate-musicista C. al secolo, e il suo disinteresse per la musica sacra: tra le sue pochissime opere liturgiche o devozionali, di attribuzione peraltro poco sicura, spicca unicamente un "sepolcro" viennese, di data incerta: Natura et quatuor elementa dolentia ad sepulchrum Christi, conservato in un ms. settecentesco (Mus. 30.305, cc. 34-45, della Staatsbibliothek Preussicher Kulturbesitz di Berlino Ovest).
La fortuna critica del C., mai intieramente estinta, si riaccende intorno al 1900, con le ricerche e le pubblicazioni dei musicologi viennesi: il loro interesse principale, rivolto a fonti e fasti locali, andò ovviamente alle opere imperiali degli anni '60; stilisticamente, il C. fu assegnato alla scuola veneziana, dove gli si volle attribuire un ruolo antagonistico rispetto al Cavalli (che in realtà non ebbe mai). Soltanto nella seconda metà di questo secolo, principalmente ad opera del Pirrotta; ritrova valutazione adeguata la produzione degli anni '50(che però viene per contrapposizione tendenzialmente inserita nell'ambito romano): è del Pirrotta l'identificazione delle partiture Chigi dell'Alessandro e dell'Orontea, suo lo stimolo alle ricerche cestiane più recenti intraprese da musicologi statunitensi (Burrows, Schmidt), sua infine (mediatamente) la provocazione alle revisioni documentarie, limitate ma rilevanti, dello Hill, del Walker e dello scrivente, che hanno tra l'altro ampiamente la mai interrotta gravitazione del C. in un'orbita culturale unica, quella medicea, indipendente dai rapporti con gli ambienti veneziani e romani e fuori della logica (più ottocentesca che seicentesca) di scuole operistiche diverse. Finora scarsa, ma probabilmente destinata a presto, è la fortuna concertistica del C.: dopo il mediocre successo d'una rappresentazione senese, dell'Orontea nel 1953, le prime avvisaglie in tal senso vengono da recenti pubblicazioni ed esecuzioni accademiche statunitensi di opere cestiane.
Principali edizioni moderne: Die Oper von ihren ersten Anfängen bis zur Mitte des 18. Jahrhunderts, a cura di R. Eitner, II, Francesco Cavalli's "Il Giasone" (1649) und Marc'AntonioCesti's "La Dori" (1663), Leipzig-Berlin 1883, pp. 86-206 (Publikationen älterer praktischer und theoretischer Musikwerke, XII); Il pomo d'oro. Bühnenfestspiel, a cura di G. Adler, Wien 1896-1897 (Dankmäler der Tonkunst in Österreich, III, 2 e IV, 2); The Italian cantata, I, Antonio Cesti (1623-1669), a cura di D. Burrows, Wellesley, Mass., 1963 (The Wellesley edition, 5); Four chamber duets, a cura di D. L. Burrows, Madison, Wisc., 1969 (Collegium musicum, Yale University, s. 2, vol.I); Orontea, a cura di W. Holmes, Wellesley, Mass., 1973 (The Wellesley edition, 11); Il pomo d'oro(acts III and V), a cura di C. B. Schmidt, Madison, Wisc., in corso di stampa nella serie Recent researches in the music of the Baroque era.
Fonti e Bibl.: I documenti aretini sulla famiglia, le prime attività musicali e la fine del C. sono stati comunicati sommariamente dal Coradini (1923); quelli volterrani (Arch. capit., Deliber. del capitolo, n. 24; Arch. stor. com., A 148, c. 165rv; A 152, c.44; A 154, cc. 53v, 55, 85v, 108rv; A 155, c. 27v; H´ 41, cc. 186 s., 193; H´ 42, cc. 130, 220v, 221; H´ 53, cc. 75, 91v; H´ 56, cc. 3, 5rv, 6, 7v, 12; H´, 60, c. 46; H´ 61, cc. 36-39v, 56v, 60, 66v, 69; H´ 63, c. 31), sono stati riveduti da M. Bocci e Th. Walker e parzialmente resi noti dal Frosini (1978). La corrispond. Lanfreducci-C. (Archivio di Stato di Pisa, Upezzinghi-Rasponi 524, int. 260) è stata edita dal Frosini (1978), che ha altresì riassunto la documentazione sulle attività dei due Cesti a Pisa, in duomo e a S. Stefano dei Cavalieri (Ibid., S. Stefano, f. 30, parte I, int. 145: suppliche autografe del C., da Volterra il 16 dic. 1647 e28 genn. 1648). Lo Sbaraglia (1936) e il Casimiri (1939) hanno pubblicato pochi documenti dell'Archivio generale dei frati minori conventuali. Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato: oltre alle lettere tuttora inedite del C. e alle documentazioni d'interesse cestiano già Citate sopra (cui va aggiunta una lettera da Vienna del 30 maggio 1666: f. 5414, c.912), si vedano quelle pubblicate o segnalate da Bianconi-Walker (1975), Hill (1976; lettere del C. da Roma del 25 gennaio e 1º marzo 1659 e da Innsbruck del 25 marzo 1663: f. 1026, cc.57, 61 e 394), Frosini (1978). L'attività del C. alla corte di Innsbruck è stata documentata dal Sandberger (1925) e dal Senn (1954), quella nella cappella pontificia dal Celani (1909), quella alla corte imperiale di Vienna dal Köchel (1869), dal Nettl (1932), dal Knaus (1965, 1967) e dall'Antonicek (1969, 1970), I documenti sull'attività impresariale di M. Faustini (Arch. di Stato di Venezia, Scuola Grande di S. Marco, bb. 188 e 194), segnalati dal Cecchetti (1887), furono sunteggiati dal Kretzschmar (1907-1911), parzialmente pubblicati dal Brunelli (1941) e "riscoperti" dal Giazotto (1967 e 1969); le molte lacune e deficienze dell'edizione delle ventuno lettere; del C. curata dal Giazotto (15 marzo 1665 - 5 sett. 1666: b. 188, cc. 119, 122, 123, 76-80, 93-95, 74, 88-89, 87, 70, 73, 57, 227, 305, 277, 278, 275-276, 274, 273, 272; b. 194, cc. 13, 145, 156, 138) vanno emendate tenendo presente lo studio dello Schmidt (1978). Oltre a quelle citate, alcune lettere del C. cono state pubblicate dal Limentani nel 1950 (Cambridge, Fitzwilliam Museum, raccolta di lettere di S. Rosa: Firenze, 29 nov. 1661), dallo Schlitzer nel 1953 (Firenze, Bibl. naz., Carteggivari 13, n. 76: Firenze, 22 ott. 1661) e dallo Hill nel 1976 (Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori: Firenze, 16 apr. 1661, e Innsbruck, 22 ott. 1662); la lettera del 19 maggio 1655 da Pisa pubbl. dallo Schlitzer nel 1957 non è invece del C. bensì del suo omonimo fratello sacerdote (Firenze, Bibl. naz., Carteggi vari 91, n. 95). Sussidio documentario indispensabile, i libretti d'opera italiani sono stati schedati dall'Ufficio ricerca fondi musicali (presso il Conservatorio di Milano) a cura di C. Sartori (ed. 1973 ss.), quelli tedeschi dal gruppo di lavoro del Répertoire intern. des sources musicales per la Repubblica federale tedesca (presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco). Cfr., inoltre, Firenze, Bibl. nazionale, Magl. IX. 68, cc. 127-128: G. Cinelli, La Toscana letterata ovvero Istoria degli scrittori fiorentini (riprodotto in J. Hill, 1976, pp. 41 s);Venezia, Bibl. naz. Marciana, mss. It. IV. 747-748 (= 10462-10466): F. Caffi, Storia della musica teatrale in Venezia; A. Adami, Osservazioni per ben regolare il coro de i cantori della cappella pontificia, Roma 1711, pp. 204 s.;P. Farulli, Annali,overo notizie istor. dell'antica, nobile e valorosa città di Arezzo in Toscana dal suo principio fino al presente anno 1717, Foligno [1717], pp. 258, 364; F. Baldinucci, Notizie de' profess. del disegno..., V, Firenze 1728, pp. 588 s.; J. Mattheson, Der vollkommene Capellmeister, Hamburg 1739, pp. 24 s.; Id., Grundlage einer Ehren-Pforte, woran der tüchtigsten Capellmeister, Componisten, Musikgelehrten,Tonkünstler &c. Leben,Wercke,Verdienste &c. erscheinen sollen, Hamburg 1740, pp. 36 s., 220; J. A. Scheibe, Critischer Musikus, Leipzig 1745, pp. 24 ss., 759; J. Hawkins, A general hist. of the science and practice of music, IV, London 1776, pp. 93 ss.; Ch. Burney, A general hist. of music, IV, London 1789, pp. 60 ss., 67 s., 134, 151-154; G. Baini, Mem. stor.-crit. della vita e delle opere di G. Pierluigi da Palestrina, II, Roma 1828, pp. 47 ss.; L. von Köchel, Die kaiserliche Hof-Musik-kapelle in Wien von 1543 bis 1867, Wien 1869, pp. 62, 107; L. N. Galvani [G. Salvioli], I teatri musicali di Venezia nel sec. XVII, Milano 1879, ad Indicem; B. Cecchetti, Carte relat. ai teatri di S. Cassiano e dei SS. Giovanni e Paolo, in Arch. veneto, XXXIV (1887), p. 246; A. Ademollo, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo, Roma 1888, pp. 69, 106, 134 s.; T. Wiel, I codd. musicali contariniani del secolo XVII nella R. Bibl. di San Marco in Venezia, Venezia 1888, ad Ind.; Poesie e lettere edite e inedite di Salvator Rosa..., a cura di G. A. Cesareo, I-II, Napoli 1892, ad Indicem; H. Kretzschmar, Die venetianische Oper und die Werke Cavalli's und C.'s, in Vierteljahrsschrift für Musikwissenschaft, VIII (1892), pp. 63-76; R. Rolland, Les origines du théâtre lyrique moderne. L'opéra en Europe avant Lully et Scarlatti, Paris 1895, pp. 174 s.; H. Goldschmidt, Studien zur Gesch. der italien. Oper im 17. Jahrhundert, I, Leipzig 1901, pp. 106, 108, 140, 147 s., 150 s.; A. von Weilen, Zur Wiener Theatergeschichte. Die vom Jahre 1629 bis zum Jahre 1740 am Wiener Hofe zur Aufführung gelangten Werke theatral. Charakters und Oratorien, Wien 1901, pp. 9-13; A. Heuss, Die venetian. Opern-Sinfonien, in Sammelbände der Internationalen Musik-Gesellschaft, IV (1902-03), pp. 447-454; G. Imbert, La vita fiorentina nel Seicento secondo memorie sincrone (1644-1670), Firenze 1906, pp. 84, 268 s.; H. Kretzschmar, Beiträge..., Weitere Beiträge... e Schlussbeitrag zur Gesch. der venetianischen Oper, in Jahrbuch der Musikbibliothek Peters, XIV (1907), pp. 71-81; XVII (1910), pp. 61-71; XVIII (1911), pp. 49-61; E. Celani, I cantori della cappella pontificia nei secc. XVI-XVIII, in Riv. music. ital., XVI(1909), pp. 56 s.; H. Prunières, L'opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, pp. 226 s., 399; E. Wellesz, Zwei Studien zur Gesch. der Oper imXVII. Jahrh., in Sammelbände der Internationalen Musik-Gesellschaft, XV (1913-14), pp. 124-154; Id., Ein Bühnenfestspiel aus dem siebzehnten Jahrhundert, in Die Musik, LII (1914), pp. 191-217 (rist. col titolo A Festival opera of the Seventeenth Century, in Essayson Opera, London 1950, pp. 54-81); A. Pellegrini, Spettacoli lucchesi nei secc. XVII-XIX, I, Lucca 1914, pp. 132 s., 148-151, 182 s., 190, 220, 235 s.; E. Schmitz, Gesch. der Kantate und des geistlichen Konzerts, I, Leipzig 1914, pp. 76 s., 96-99; F. Waldner, Zwei Inventarien aus dem XVI. und XVII. Jahrhundert über hinterlassene Musikinstrumente und Musikalien am Innsbrucker Hofe, in Studien zur Musikwissenschaft, IV (1916), pp. 128-147; E. Wellesz, Die Opern und Oratorien in Wien von 1660-1708, ibid., VI(1919), pp. 5-138; P. Nettl, Die wiener Tanzkomposition in der zweiten Hälfte des siebzehnten Jahrhunderts, ibid., VIII (1921), pp. 47 s., 51 s., 108, 131 s.; F. Coradini, P. A. C. (5 agosto 1623-14 ottobre 1669). Nuove notizie biografiche, in Riv. music. ital., XXX(1923), pp. 371-388; A. Sandberger, Zur venezian. Oper, in Jahrbuch der Musikbibliothek Peters, XXI(1924), pp. 61-70; XXII (1925), pp. 53-64; Id., Beziehungen der Königin Christine von Schweden zur italien. Oper und Musik,insbesondere zu M. A. C. Mit einem Anhang über C.s Innsbrucker Aufenthalt, in Bulletin de la Société Union musicologique, V(1925), pp. 121-173; D. Sparacio, Musicisti minori conventuali, in Miscell. francesc. di storia, di lettere, di arti, XXV (1925), p. 34; P. Nettl, Ein verschollenes Tournierballett von M. A. C., in Zeitschrift für Musikwissenschaft, VIII (1925-26), pp. 411-418; A. Tessier, "L'Orontée" de Lorenzani et "L'Orontea" du padre C., in Revue musicale, IX (1927-28), 8, pp. 169-186; R. Haas, Die Musik des Barocks, Wildpark-Potsdam 1928, pp. 143, 145-149" 176-178, 180 ss., 202; F. Coradini, Il musicista aretino Marcantonio C. (1623-1669), in Atti e mem. della R. Acc. Petrarca di lettere, arti e scienze, n.s., VIII (1930), pp. 269-274; P. Nettl, Zur Gesch. der kaiserlichen Hofkapelle von 1636-1680, in Studien zur Musikwissenschaft, XIX (1932), p. 38; Id., Equestrian ballets of the baroque period, in The Musical Quarterly, XIX(1933), pp. 74-83; I. H. Sbaralea, Suppl. ... ad scriptores trium ordinum S. Francisci, III, Romae 1936, pp. 180 s.; H. Chr. Wolff, Die venezian. Oper in der zweiten Hälfte des 17. Jahrhunderts. Ein Beitrag zur Geschichte der Musik und des Theaters im Zeitalter des Barock, Berlin, 1937, ad Indicem; A.Cametti, Il teatro di Tordinona poi di Apollo, I-II, Tivoli 1938, pp. 69, 330-336; A.de Rinaldis, Marcantonio C. musicista del XVII secolo (da lett. inedite di Salvator Rosa), in Urbe, III (1938), sett., pp. 20-25; Lett. ined. di Salvator Rosa a G. B. Ricciardi, a cura di A. De Rinaldis, Roma 1939, ad Ind.; A. Dörrer, Hundert innsbrucker Notendrucke aus dem Barock..., in Gutenberg-Jahrbuch 1939, pp. 262 s.; E. C. Salzer, Epoca aurea del teatro ital. a Vienna, in Rivista ital. del dramma, III (1939), pp. 161-187; R. Casimiri, Musicisti dell'Ordine francescano dei minori conventuali dei secc. XVI-XVIII, in Note d'arch. per la storia musicale, XVI(1939), p. 198; C. Sartori, "Dori" e "Arione", due opere ignorate di Alessandro Scarlatti, ibid., XVIII (1941), pp. 35-42; B. Brunelli. L'impresario in angustie, in Rivista ital. del dramma, V(1941), pp. 311-341; M. F. Bukofzer, Music in the baroque era from Monteverdi to Bach, London 1948, pp. 123, 128, 131 ss.; F. Walker, Salvator Rosa and music, in The Monthly Musical Record, LXXIX (1949), pp. 199-205; LXXX (1950), pp. 13-16, 32-36; U. Limentani, Poesie e lettere ined. di Salvator Rosa, Firenze 1550, pp. 7-18, 29 ss., 47-49, 52 s., 117 s., 121 s., 131, 133, 168 ss.; R. Giazotto, La musica a Genova nella vita pubblica e privata dal XIII al XVIII secolo, Genova 1951, pp. 321-324; U. Limentani, Salvator Rosa. Nuovi studi e ricerche, in Italian Studies, VIII (1953), pp. 29-36, 42-44, 54-57; N. Pirrotta, C. e Abbatini - "opera", in Santa Cecilia, II (1953), 3, pp. 31-34; Id., Tre capitoli su C., in La scuola romana. G. Carissimi - A. C. - M. Marazzoli, Siena 1953, pp. 27-79; F. Schlitzer, Fortuna dell'"Orontea", ibid., pp. 81-92; Id., Una lett. ined. di A. C. e un frammento di lett. ined. di S. Rosa,ibidem. pp. 93-98;N. Pirrotta, Le prime opere..., in L'orchestra, Firenze 1954, pp. 153-179;Id.: Commedia dell'arte e melodramma, in Santa Cecilia, III (1954), 3, p. 34;W. Senn, Musik und Theater am Hof zu Innsbruck. Geschichte der Hofkapelle vom 15. Jahrhundert bis zu deren Auflösung im Jahre 1748, Innsbruck 1954, ad Indicem; S. Towneley Worsthorne, Venetian opera in the Seventeenth Century, Oxford 1954, ad Indicem; N.Burt, Opera in Arcadia, in The Musical Quarterly, XLI (1955), pp. 164-167;F. Hadamowsky, Barocktheater am Wiener Kaiserhof. Mit einem Spielplan(1625-1740), in Jahrbuch der Gesellschaft für Wiener Theaterforschung,1951-52, Wien 1955, pp. 73 ss.;A.Loewenberg, Annals of opera 1597-1940, I, Genève 1955, coll. 16, 26, 28, 31, 33, 39, 43 ss.; F. Schlitzer, Intorno alla "Dori" di A. C., Firenze 1957; Id., L'"Orontea" ... Storia e bibl., Firenze 1960; W. Osthoff, A. C.s "Alessandro vincitor di se stesso", in Studien zur Musikwissenchaft; XXIV (1960), pp. 13-43;D. L. Burrows, The cantatas of A. C., Ph. D. diss., Brandeis University, anno accademico, 1961 (University microfilms 62-1214); H. Wessely-Kropik, Lelio Colista: ein römischer Meister vor Corelli. Leben und Umwelt, Wien 1961, pp. 57, 88, 115; O. Mischiati, Per la storia dell'Oratorio a Bologna. Tre inventari del 1620,1622 e 1682, in Callectanea historiae musicae, III, Firenze 1962, pp. 136 s., 150; R.Brockpähler, Handbuch zur Gesch. der Barockoper in Deutschland, Emsdetten 1964, ad Ind.; The Wellesley edition cantata index series, I, A. C. (1623-1669), a cura di D. Burrows, Wellesley, Mass., 1964 (nella stessa serie, vedi i fasc. 3a, p.X, e 4a-b, nn. 134, 229, 349, 351 e 384, nonché Analecta musicologica, 9, Köln-Graz 1970, p. 289);D. L. Burrows, A. C. on music, in The Musical Quarterly, LI (1965), pp. 518-529;D. J. Grout, A short history of opera, New York-London 1965, pp. 90-94;F. Sbarra, Der guldene Apfel, a cura di M. Dietrich, Wien 1965;H. Knaus, Wiener Hofquartierbücher als biographische Quelle für Musiker des 17. Jahrhunderts, in Anzeiger der phil-hist. Klasse der Österr. Akad. der Wissenschaften, CII (1965), p. 196;Id., Die Musiker im Archivbestand des kaiserlichen Obersthofmeisteramtes(1637-1705), I, Wien 1967, pp. 149 s.;R. Giazotto, La guerra dei palchi. Documenti per servire alla storia del teatro musicale a Venezia..., in Nuova Riv. music. ital., I (1967), pp. 245-286, 465-508; D. H. Shock. Costuming for "Il pomo d'oro", in Gazette des Beaux-Arts, LXIX (1967), pp. 251-256;N. Burt, Plus ça change or,The progress of reform in Seventeenth- and Eighteenth-Century opera..., in Studies in music history. Essays for Oliver Strunk, a cura di H. Powers, Princeton, N.J., 1968, pp. 327-332;Ph.Keppler, Agostino Steffani's Hannover operas and a rediscovered catalogue, ibid., pp. 350 s.;C. V. Palisca, Baroque music, Englewood Cliffs, N. J., 1968, pp. 112 s., 125-131;A. H. Peters, Antonia C.'ssolo cantatas for bass voice, D. M. A. diss., University of Iowa, anno acc. 1968;W. C. Holmes, Orontea: a study of changes and development in the libretto and the music of mid-Seventeenth-Century Italian opera, Ph. D. diss., Columbia University, anno acc. 1968 (University microfilms, 71-17587); Id., Giacinto Andrea Cicognini's and A. C.'s "Orontea"(1649), in New looks at Italian opera. Essays in honor of D. J. Grout, a c. di W. W. Austin, Ithaca, N. Y., 1968, pp. 108-132;Id., Comedy - opera - comic opera, in Studien zur ital.-deutschen Musikgesch., V, Köln-Graz 1968, pp. 92-103; Id., C.'s "L'Argia": an entertainment for a royal convert, in Chigiana, XXVI-XXVII (1969-1970), pp. 32-52; Q. Jander, The prologues and intermezzos of A. Stradella, in Studien zur ital.-deutschen Musikgesch., VI, Köln-Wien 1969, pp. 97 ss.;R. Giazotto, Nel CCC anno della morte di A. C. Ventidue [recte: 21!] lett. ritrovate nell'Arch. di Stato di Venezia, in Nuova Riv. music. ital., III (1969), pp. 496-512; Th. Antonicek, Zum 300. Todestag A. C.s, in Österreich. Musikzeitschrift, XXIV (1969), pp. 573-577; Id., A. C. alla corte di Vienna, in Nuova Riv. mus. ital., IV (1970), pp. 307-319; J. V. Crowther, The operas of C., in The Music Review, XXXI (1970), pp. 93-113;I. Bartels, Zum Problem des Instrumental-Stückes in der frühvenezianischen Oper, in Bericht über den internationalen musikwissenschaftlichen Kongress Bonn 1970, Kassel 1971, pp. 336 ss.;W. C. Holmes, The stage settings for A. C.'s e "L'Argia"(1655), in Quadrivium, XII (1971), 2, pp. 109-128; U.Limentani, Salvator Rosa. Nuovi contrib. all'epistolario, in Studi secenteschi, XIII (1972), p. 261;M. Tilmouth, Musik on the travels of an English merchant: Robert Bargrave(1628-61), in Music and letters, LIII (1972), pp. 145 s., 157; Storia di Macerata, III, Macerata 1973, p. 207; G. Rose, The Italian cantata of the baroque period, in Gattungen der Musik in Einzeldarstellungen. Gedenkschrift Leo Schrade, I, Bern-München 1973, pp. 667 s.; C. Sartori, Primo tentativo di catal. unico dei libretti italiani a stampa fino all'anno 1800, Milano 1973 e ss.; C. B. Schmidt, The operas of A. C., P.h. D. diss., Harvard University, anno acc. 1973; N. Mangini, I teatri di Venezia, Milano 1974, pp. 46, 53, 60; H. Seifert, Die Festlickkeiten zur ersten Hochzeit Kaisers Leopolds I., in Österreich. Musikzeitschrift, XXIX (1974), pp. 6-16; L. Bianconi-Th. Walker, Dalla "Finta pazza" alla "Veremonda": storie di Febiarmonici, in Riv. ital. di musicol., X (1975), pp. 385 ss., 431, 436 s., 442-445; C. B. Schmidt, A. C.'s "La Dori":a study of sources,performance traditions and musical style,ibid., pp. 455-498; Id., "La Dori" di A. C.:sussidi bibliografici,ibid., XI (1976), pp. 197-229; Id., A. C.'s "Il pomo d'oro": ..., in Journal of the Amer. Musicol. Soc., XXIX (1976), pp. 381-412; J. W. Hill, Le relaz. di A. C. con la corte e i teatri di Firenze, in Riv. ital. di musicol., XI (1976), pp. 27-47; W. C. Holmes, Yet another "Orontea": further rapport between Venice and Vienna, in Venezia e il melodramma nel Seicento, a cura di M. T. Muraro, Firenze 1976, pp. 199-223; M. Viale Ferrero, Repliche a Torino di alcuni melodrammi veneziani e loro caratteristiche,ibid., pp. 147 s.; Th. Walker, Gli errori di "Minerva al tavolino" ..., ibid., pp. 7-16; H. E. Smither, A history of the oratorio, I, The oratorio in the baroque era. Italy,Vienna,Paris, Chapel Hill, N.C., 1977, pp. 375, 381; Storia dell'opera, a cura di A. Basso, Torino 1977, I, 1, pp. 142-151, 201-206; 2, pp. 23 s.; III, 1, pp. 29-38; D. Frosini, A. C. da Volterra a Pisa nel 1649, in Riv. ital. di musicol., XIII (1978), pp. 104-117; J. Glover, Cavalli, London 1978, pp. 53, 67, 114 s.; G. Morelli, S. Baldini in Strenna dei romanisti, XXX(1615-1685), IX (1978), pp. 262-269; C. B. Schmidt, An episode in the history of Venetian opera: the "Tiro" commission, in Journal of the American Musicological Society, XXXI (1978), pp. 442-466; E. H. Tarr-Th. Walker, "Bellici carmi,festivo fragor". Die Verwendung der Trompeté in der italienischen Oper des 17. Jahrhunderts, in Hamburger Jahrbuch für Musikwissenschaft, III, (1978), pp. 148, 159, 161, 183, 185; R. L. e N. W. Weaver, A chronology of music in the Florentine theatres 1590-1750. Opera,prologues,finales,intermezzos and plays with incidental music, Detroit 1978, pp. 25, 119 s., 130-134, 142, 144; L. Bianconi, Funktionen des Operntheaters in Neapel bis 1700 und die Rolle Alessandro Scarlattis, in Colloquium A. Scarlatti,Würzburg 1975, Tutzing 1979, pp. 15 s., 19, 36 s., 43 s., 49 s., 54-56, 58 s., 64 s., 84; A. A. Abert, P. C., in Die Musik in Gesch. und Gegenwart, Kassel-Basel II, 1952, coll. 989-996; XV, ibid. 1973, coll. 1416 ss.; N. Pirrotta, A. C., in Enc. d. Spett., III, Roma 1956, coll.462-468; W. Osthoff, A. C., in Enc. della musica Ricordi, I, Milano 1963, pp. 452 ss.; Id., A. C., in Enc. d. musica Rizzoli-Ricordi, II, Milano 1972, pp. 59 ss.; C. B. Schmidt-D. L. Burrows, A. C., in The new Grove's Dictionary of Music and Musicians, London 1980, II, sub voce.