CHIMIENTI, Pietro
Nato a Brindisi il 24 genn. 1864 da Antonio e Caterina Fusco, compì gli studi universitari a Roma, dove si laureò in giurisprudenza. Formatosi nell'alveo della scuola giuspubblicistica liberale, il C. fu noto nella cultura giuridica italiana del suo tempo come studioso del diritto costituzionale inglese e della sua influenza sulle varie costituzioni europee. Da tali studi trasse il convincimento che le istituzioni rappresentative preposte alla conservazione e allo sviluppo del regime parlamentare svolgono un ruolo insostituibile nell'organizzazione del potere politico dei moderni Stati costituzionali. Coerente con tale assunto il C. intervenne nel dibattito sul parlamentarismo, che si svolgeva in Italia negli anni in cui il giurista pugliese maturava i propri studi, distinguendo tra la positività dell'ordinamento parlamentare e la negatività prodotta dal comportamento deviante di uomini e gruppi politici miranti non a servire il sistema rappresentativo, ma a servirsene per il raggiungimento di fini particolaristici.
In tal modo egli pervenne a intuire, ma senza che la sua analisi si sviluppasse con particolare originalità di pensiero, la dicotomia esistente tra diritto e forza. In particolare, tra il valore intrinseco delle istituzioni rappresentative, in cui vive e si realizza il massimo ideale politico espresso dallo Stato, e l'impulso degli interessi concreti dei gruppi umani destinati a guidarne l'azione. Da qui il contrasto tra forze e istituzioni la cui origine è soprattutto morale poiché è dovuto agli egoismi, alle passioni, ai particolarismi che il C. considera estranei alla dinamica interna delle istituzioni rappresentative, le quali in sé sono portatrici di valori e fini esattamente opposti. Esse, nondimeno, sono legate ai comportamenti degli uomini e dei gruppi che debbono farle agire per cui, senza la "virtù" di questi, quelle non possono esercitare alcuna azione coerente alla loro intrinseca positività. Per il C. non c'è dubbio che l'ordinamento dello Stato rappresentativo, basato sulla certezza dei diritti costituzionali e sul regime parlamentare, costituisca una conquista perenne della storia politica e civile dell'umanità, onde esso va difeso così da ogni critica come da ogni tentativo di sostituirlo. Ma è altresì indubbio che, se il fine proprio del regime parlamentare non diventa un valore costitutivo della morale individuale e collettiva, il sistema rappresentativo è destinato a degradare e a screditarsi. La sorte presente e futura del regime parlamentare è affidata dunque non al valore intrinseco delle sue istituzioni sibbene all'eticità dei cittadini.
La riduzione del problema del parlamentarismo al solo comportamento deviante di uomini e gruppi, senza stabilire alcun legame tra questo fenomeno e le trasformazioni ed i contrasti interni alla struttura sociale, delinea meglio di ogni altro elemento la posizione di conservatore illuminato, "di forte ingegno" come lo definirà Roberto Michels nel suo studio sul movimento socialista, assunta dal C. nella vita parlamentare e politica italiana.
Nelle elezioni del 16 giugno 1900 il C., dopo un'iniziale inclinazione per i radicali, ottenne il mandato parlamentare nel collegio di Brindisi come candidato filoministeriale insieme al salandrino Raffaele De Cesare, al proprietario Gaetano Brunetti, all'ammiraglio Giambattista Magnaghi, al medico Francesco Lo Re e all'avvocato Giuseppe Alberto Pugliese, eletti negli altri collegi della provincia di Lecce. I voti ottenuti dal C. furono 1.371 su 2.488 votanti. È probabile che in questo passaggio del C. dall'iniziale orientamento radicale al moderatismo governativo vi siano stati anche motivi di convenienza elettoralistica. All'apertura della competizione elettorale, infatti, il C., sostenuto da un gruppo di radicali, concorreva con il moderato Dentice di Frasso, il Ciccotti e il De Nitto. Ma venuta meno la candidatura del Dentice, il C., abbandonati i sostenitori ed il programma di parte radicale, si appoggiò al numeroso seguito del partito conservatore moderato ottenendo in tal modo l'elezione a deputato. Alla Camera egli aderì al gruppo di Sonnino del quale condivideva, nonché i programmi specifici, la più generale concezione dell'attività parlamentare come espressione di interessi concreti e dell'azione politica come risultato dei contrasti e delle mediazioni tra una molteplicità di forze particolari. "La politica - sostenne ad esempio il C. in un suo discorso alla Camera del 28 giugno 1904 - per essere una cosa seria, deve essere fatta d'interessi che si muovono e che lottano tra di loro".
Messosi presto in luce per l'operosa ed assidua partecipazione ai lavori parlamentari, non meno che per atteggiamenti politici anticonformisti (il C. infatti fu il solo deputato di parte moderata a presenziare al congresso nazionale del partito socialista svoltosi a Milano nel 1901), il C. intervenne numerose volte per sollecitare particolari provvedimenti da parte del governo a favore del proprio collegio elettorale, ma non trascurò di prendere parte anche ad iniziative più ampie come il dibattito sulla legge speciale per Napoli o quella volta a porre in crisi il governo Zanardelli-Giolitti sul problema degli interventi a favore del Mezzogiorno e delle isole (1901).
Secondo il più generale orientamento del "centro" sonniniano, il C. fu contrario alla politica di Giolitti, divenendo un esponente di quel ristretto gruppo di deputati meridionali chiaramente antigiolittiani, appartenenti per lo più alla Destra agraria o alla Sinistra radical-democratica e socialista. In tal senso egli, pur simpatizzando a livello personale con il gruppo radical-democratico guidato dal Nitti, tenne sempre a distinguersi sia dai deputati di Estrema sia, ancor più nettamente, da quelli socialisti, differenziandosi, però, anche dai più retrivi esponenti della Destra, specialmente agraria. Il C. infatti, più che legarsi agli interessi della grande proprietà terriera meridionale, antigiolittiana nei programmi ma in realtà, legata alla politica dello statista di Dronero in virtù del protezionismo agrario, fu un coerente interprete delle istanze dell'attiva borghesia mercantile e agricola del Brindisino. E più volte la sua azione politica o i suoi interventi parlamentari seppero esprimere l'ostilità che essa nutriva verso la lotta rivendicativa condotta dalle locali associazioni proletarie non meno della diffidenza verso la politica interna di Giolitti, considerata troppo blanda nella tutela dell'ordine pubblico.
La capacità di accompagnare l'intensa attività di deputato alla tutela complessiva o specifica degli interessi dei più influenti gruppi borghesi del Brindisino valse al C. l'ininterrotta conferma del suo mandato parlamentare dalla XXI alla XXV legislatura. Egli infatti fu rieletto deputato per il medesimo collegio nelle elezioni del 30 nov. 1904 con 2.362 voti su 3.189 votanti. Nel corso della XXII legislatura il C. consolidò la propria autorevolezza di parlamentare con la nomina nel 1905 a presidente della giunta dei trattati e delle tariffe.
In questa carica svolse un ruolo importante nella definizione della politica commerciale e doganale italiana concordando con le opinioni d'insigni esponenti meridionalisti come il Nitti e il De Viti De Marco nell'avversione al protezionismo e nel patrocinio dei più moderni interessi agricoli del Mezzogiorno quali quelli legati allo sviluppo della viticoltura.
L'8 febbr. 1906 il C. fu nominato sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti nel primo governo Sonnino, ufficio dal quale cessò il 27 maggio di quell'anno in seguito alle dimissioni del gabinetto. Richiamato al governo come sottosegretario civile al dicastero della Marina l'11 dic. 1909, al momento della costituzione del secondo ministero Sonnino, durò in carica fino al 31 marzo 1910, termine del secondo gabinetto Sonnino. Nonostante i forti legami politici con lo statista toscano va rilevato, tuttavia, che il C. non fu un seguace acritico del Sonnino.
All'interno dello schieramento parlamentare di centro-destra guidato dal Sonnino e dal Salandra, il C. non concordò sempre con le scelte del leader toscano come, ad esempio, nel caso della proposta di riduzione del dazio sul grano, discussa alla Camera il 3 apr. 1909. In questa occasione il C. - insieme al Salandra e ad altri deputati meridionali filosonniniani come Riccio, Torlonia, Torre - votò contro la mozione dell'on. Francesco Guicciardini favorevole alla riduzione del dazio, sostenuta dal Sonnino. Il C., concordando anche in questo caso con le tesi sostenute dal Nitti, votò contro la riduzione affermando la necessità di discutere congiuntamente ad essa anche il regime doganale vigente per le materie industriali che egli considerava, sulla linea della polemica antigiolittiana dei liberisti, la vera causa del protezionismo granario.
In questi anni, dunque, l'orientamento politico del C. - fermi restando gli ormai consolidati legami con la borghesia mercantile, agricola e professionale del proprio collegio elettorale - sembra mutare da una posizione di ortodossia sonniniana in una più incline alla linea di Salandra; anche questa ispirata ai modelli di self-government cari al C. ma più flessibile di quella di Sonnino nei confronti della politica di Giolitti. Restava immutata, invece, l'antica affinità del C., pur nella diversa collocazione di schieramento parlamentare, con non poche scelte concrete di politica economica sostenute alla Camera da meridionalisti democratici quali Nitti e De Viti De Marco. Così, ad esempio, sul problema della crisi vitivinicola meridionale il C. in più di un'occasione concordò con le tesi liberiste del De Viti intese a sostenere gli interessi dei viticultori pugliesi. Tornato alla Camera dopo le elezioni del 1913 con ampio suffragio (11.068 voti su 13.685 votanti), il C. fu nominato il 21 marzo 1914 sottosegretario alla Giustizia nel primo ministero Salandra; ufficio conservato anche nel secondo ministero Salandra durato dal 5 nov. 1914 al 18 giugno 1916. Deciso antigiolittiano nell'ambito della politica economica e doganale, il C. attenuò la propria opposizione a Giolitti dopo la campagna di Libia e la riforma elettorale del '13 le quali a suo avviso avrebbero aperto "una nuova pagina della storia italiana".
Negli anni compresi tra il primo conflitto mondiale e il dopoguerra il C. raggiunse il vertice della sua attività professionale e politica (aveva conseguito la libera docenza nel 1890, nel 1892 fu incaricato di "nuova legislazione costituzionale" presso la Regia Scuola di scienze politiche di Roma, nel 1895 divenne ordinario di diritto costituzionale a Cagliari, poi a Catania e infine a Roma). Della prima testimoniano i due tomi di Saggi: Diritto costituzionale e politica (Napoli 1915), in cui egli raccolse una serie di articoli, scritti, discorsi di argomento giuridico, storico e politico.
Tra essi fa spicco il saggio dedicato a Bismarck la cui Realpolitik è ritenuta - secondo una chiave di lettura moralistica e meramente effettuale che è tipica dell'ideologia moderata del C. - un mezzo efficace per contenere lo scatenarsi delle passioni individuali e degli egoismi di potere, in cui risiede, a suo avviso, l'ultima essenza della lotta politica, volgendosi al consolidamento dell'equilibrio del sistema sociale secondo una politica di sapiente aggiustamento delle istituzioni intesa a tutelare lo Stato tedesco dalle spinte reazionarie non meno che da quelle rivoluzionarie. È questa la tesi centrale che ispira anche gli altri scritti del volume dedicati a temi storici e giuridici.
Accanto a questi non mancano, però, discorsi e articoli, editi per lo più sul sonniniano Giornale d'Italia, che riecheggiano aspetti significativi del dibattito politico italiano dell'età giolittiana. Essi, se confermano la matrice liberale moderata dell'ideologia del C. e il suo orientamento politico filosonniniano, ma con esplicite riserve per la posizione antiparlamentaristica del Sonnino, documentano anche l'affinità del deputato brindisino con i liberisti meridionali di parte radical-democratica in materia di politica economica e finanziaria. Contraddizione più apparente che reale, se si considera la composita fisionomia sociale, culturale, ideologica che, particolarmente nel Mezzogiorno, caratterizzò lo schieramento antigiolittiano non già come un blocco omogeneo d'idee e di programmi, sibbene come un fronte mobile di posizioni personali o di gruppo sempre ricomponibile.
In quest'ambito il C. si mosse con duttilità e sagacia in una linea antigiolittiana che bene esprimeva le aspettative di una media e piccola borghesia meridionale abbastanza dinamica nell'esercizio dell'attività economica o professionale ma soffocata, a destra, dal protezionismo industriale-agrario e timorosa, a sinistra, dell'avanzata operaia e contadina. Nelle elezioni del 1919 il C. fu capolista del partito liberal-democratico nel collegio di Lecce risultando eletto al terzo posto con 12.688 preferenze su 54.067 voti riportati dalla sua lista; onde egli, in base alla nuova legge elettorale, ottenne in tutto 66.755 voti. Nominato il 23 giugno 1919 ministro delle Poste nel governo Nitti, si dimise il 13 marzo 1920 anticipando di qualche mese le dimissioni dell'intero gabinetto (21 maggio).
Dopo la nomina a senatore, ottenuta l'8 giugno 1921, il C. aderì al fascismo, al cui servizio pose la sua esperienza di studioso di diritto pubblico, dedicandosi alla legittimazione del regime fascista sotto il profilo giuridico-costituzionale, mediante una profonda revisione degli orientamenti da lui assunti in passato sul problema dello Stato parlamentare e delle istituzioni rappresentative. Nel 1926 infatti sostenne la legittimità della decadenza dei deputati aventiniani dal loro mandato decretata della Camera con l'approvazione della mozione presentata dal segretario del P.N.F. Augusto Turati (cfr. La mozione Turati e la decadenza dall'ufficio dei deputati secessionisti, Roma 1926). Da allora in poi numerosi furono gli scritti del C. volti a dare una plausibilità giuridica alle forme illiberali con cui la dittatura fascista aveva snaturato l'assetto politico-istituzionale dello Stato. Esemplare al riguardo il volume Diritto costituzionale fascista (Torino 1933) dedicato a Mussolini come "ispiratore e fondatore del diritto pubblico e della politica dello stato fascista".
In esso il C. - immemore della sua critica all'antiparlamentarismo e del suo fermo convincimento sulla perenne validità dell'ordinamento liberale - sosteneva che il regime rappresentativo era degenerato a causa del suffragio universale "disorganizzato" e delle elezioni liberamente ispirate ad una corretta competizione democratica; l'uno e le altre essendo, a suo avviso, niente altro che "idoli del foro, dei dotti e della piazza". Postosi su questa strada il C. giungeva addirittura a negare il significato medesimo della sua azione politica e parlamentare svolta in precedenza per oltre vent'anni col definire la vita pubblica italiana prima del fascismo "occupata da gruppi e partiti ostili agli interessi generali della Nazione e alle ragioni di vita dello Stato".
Capo della missione italiana alla conferenza di Ginevra nel 1925 e in seguito delegato del Perù all'Istituto internazionale di agricoltura, morì a Roma il 26 nov. 1938.
Tra le opere del C., si ricordano i seguenti lavori: Saggio sullo sviluppo storico delle istituzioni rappresentative, Napoli 1889; Il diritto di proprietà nello Stato costituzionale, Torino 1894; La vita politica e la pratica del regime parlamentare, ibid. 1897; Il Capo dello Stato e il Gabinetto, Roma 1898; Usi e aneddoti parlamentari, ibid. 1898; Il principio rappresentativo nel diritto costituzionale moderno, in Archivio giuridico, III (1907), pp. 3-30; Dopo la crisi parlamentare del marzo 1911 e dopo la discussione sul monopolio, in Rassegna contemporanea, IV (1911), 8, pp. 258-77; Saggi: Diritto costituzionale e politica, Napoli 1915; Manuale di diritto costituzionale, Roma 1918-20; La mozione Turati e la decadenza dall'ufficio dei deputati secessionisti(Appunti di diritto parlamentare), ibid. s.d. [ma 1926]; Lezioni di nuova legislazione costituzionale italiana, ibid. 1930; Lezioni di diritto costituzionale italiano, ibid. 1931; Per una nuova sistemazione delle attività sovrane dello Stato, in Studi in on. di F. Cammeo, Padova 1933, pp. 253-59; Diritto costituzionale fascisti, Torino 1934; Le formazioni giuridiche spontanee ed il diritto pubblico fascista, in Raccolta di scritti in onore di G. Vecchelli, Milano s.d., pp. 105-41; Di due regimi politici della forma monarchica rappresentativa, in Scritti in onore di S. Romano, I, Padova 1940, pp. 427-39.
Fonti e Bibl.: Atti parlamentari,Camera,Discussioni, XXI legisl., tornata del 9 dic. 1901; XXII legisl., tornata del 28 giugno 1904; XXIII legisl., tornata del 14 apr. 1909; R. Cimone, I 508 di Montecitorio, Roma-Torino 1905, p. 37; Id., Gli eletti della rappresent. nazion. della XXI,XXII,XXIII,XXIV legislatura, I-IV, Napoli-Milano 1902-1919, ad Ind.; G. Cimbali, Scienza della libertà e polit. liberale negli scritti di P. C., in Nuova Antol., 1º marzo 1916, pp. 79-85; R. Michels, Storia critica del movim. socialista in Italia, Firenze 1926, I, p. 338; A. Tortoreto, I parlamentari ital. della XXIII legislatura, Roma 1910, pp. 85 ss.; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, V, Dopoguerra e fascismo 1919-1922, Torino 1953, pp. 5 n., 62, 120, 144, 146, 148, 195, 205, 273 n., 274, 327 n.; A. Malatesta, Ministri,deputati,senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, p. 250; A. Repaci, La marcia su Roma, I, Milano 1972, p. 74; M. Missori, Governi,alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1973, ad Indicem; F. Barbagallo, Stato,Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno: 1900-1914, Napoli 1976, ad Indicem; Novissimo Digesto Ital., III, p. 210.