COCCO, Pietro
Nacque a Venezia nella seconda metà del XIV sec. da Giovannino (e non dal procuratore Negro, come vogliono il Corner e il Cappelletti), unico figlio di Marino, del ramo a S. Basilio, e da una non meglio identificata Orsa. La famiglia apparteneva alla nobiltà ricca: nel 1356 il padre fu tra gli elettori del doge Giovanni Dolfin, e il fratello Marino, che con due matrimoni provvide alla continuità della casata, nel 1410 divenne bailo a Cipro. Scarse e talvolta contraddittorie le notizie che si hanno sulla sua vita: costituito negli ordini minori, fu chierico nella diocesi di Castello e "magister in artibus", cioè laureato in filosofia con diritto di insegnare. Non sappiamo se il C. abbia espletato degli incarichi prima del 25 sett. 1400, allorché Bonifacio IX gli conferì la dignità patriarcale di Grado.
La notifica dell'elezione, avvenuta il 10 ottobre, consente di far luce sugli avvenimenti che la precedettero: la lettera pontificia accenna infatti al trasferimento del precedente titolare, il francese Pierre Amely, alla sede di Alessandria, e al rifiuto del nobile veneziano Giovanni Benedetti "fratrum Ordinis praedicatorum professorem" che, pur essendo stato eletto il 2 agosto, "non iuravit hactenus".
A monte della nuova scelta abbiamo dunque una traslazione e un rifiuto, la cui spiegazione si può ritrovare nel contrasto che opponeva allora, a Venezia come altrove, Stato e Chiesa. Superata la crisi della guerra di Chioggia, alla fine del sec. XIV la Repubblica, con l'emarginazione di un Petrarca, un Dominici, un Morosini, spiriti tutti di vivace inquieta cultura, con le successive leggi sui benefici ecclesiastici (riservati ai soli veneziani), con intromissioni sempre più palesi e pesanti nella scelta dei prelati, si avviava a completare il processo di statalizzazione dell'apparato ecclesiastico. L'agostiniano Pierre Amely, eletto patriarca di Grado sin dal 1386, soltanto l'11 maggio 1399 aveva accettato di sottoporsi (ma per pochi mesi) alla tradizionale investitura dei beni temporali del dogado veneziano. L'anno successivo toccava al Benedetti - che fu tra i più accesi sostenitori della riforma operata dal Dominici - rifiutare la cerimonia e il titolo.
Il 31 maggio 1401 la Signoria concedeva otto giorni di tempo al vescovo di Castello, Leonardo Dolfin, per ricevere l'investitura dal doge, secondo quanto stabilito dal decreto 14 giugno 1387. Di fronte al caparbio rifiuto del Dolfin (che pure era titolare della diocesi da ben nove anni), il Senato ne otteneva la traslazione. Così il suo successore, il duttile primicerio di S. Marco Francesco Bembo, accettava dal doge Steno l'investitura il 27 luglio 1401, esattamente dieci giorni dopo che il C. aveva dato il buon esempio, sottoponendosi alla cerimonia "in Ecclesia B. Marci ad Altare".
Quanto il nuovo patriarca fosse accetto al governo della Repubblica (ma anche, proprio per tale motivo, inviso ad altre forze presenti nel clero e nel patriziato) ci è testimoniato da una lettera inviata al pontefice dalla Signoria il 17 ag. 1401, nella quale si denuncia "quod per aliquos ex nostris procuratur apud summum pontificem quia ... patriarcha noster Gradensis permutetur, quod est contra decus et contra honorem", essendo egli "nobis et toti civitati nostre gratissimus et acceptissimus".
Ad una condotta del C. tanto conciliante non dovevano, d'altra parte, essere estranee le precarie condizioni in cui versava il patriarcato. Un tempo ricco e potente, nel sec. XIV le sue rendite consistevano nelle superstiti proprietà (per lo più valli e barene) dei soppressi vescovadi di Equilio e Cittanova, e nelle decime - incomplete - di sette chiese, alle quali, nel 1342, si era aggiunta quella di S. Bartolomeo, a Venezia, che il pontefice aveva tolto alla giurisdizione del vescovo di Castello. Pertanto, nell'anno 1400 la rendita annua del "vescovo dei morti" (così veniva chiamato il titolare di Grado, a causa dell'esiguità delle sostanze o dei fedeli) non superava i 1.500 ducati. Ebbene, proprio allora Giovanni Baseggio, vicario della chiesa di S. Bartolomeo, la più ricca, era riuscito ad ottenere dal pontefice la sua sottrazione alla mensa patriarcale. Si profilava, per il C., il pericolo che si tornassero a versare quelle decime al vescovo castellano, tradizionale antagonista dei patriarchi, da quando costoro avevano lasciato le inospitali lagune di Grado e si erano trasferiti a Venezia, a S. Silvestro. Di qui, per entrambi i prelati, la necessità di assicurarsi il favore della Signoria. Il C. riuscì ad avere anche quello di Bonifacio IX, che il 9 sett. 1402 annullava le precedenti disposizioni, concesse "ad importunam instantiam" del Baseggio, e confermava al patriarca il diritto di nomina e rimozione del vicario "ad nutum et beneplacitum suum". Costui non si rassegnò: ricorse a Roma, vi si recò di persona.
Agli inizi del 1404 anche il C. era a Roma, per questioni relative alla regola dei domenicani, e per patrocinare la propria causa, che il 28 novembre veniva risolta nel senso a lui favorevole. Non sappiamo altro sul suo operato, se non che fu uno degli ultimi titolari di quella sede, soppressa il 15 ott. 1451, in considerazione del fatto che "nullus iamdudum ibidem Patriarcha residere voluit".
Il C. morì a Venezia probabilmente agli inizi del 1406, e il 6 marzo veniva eletto il suo successore nella persona del mantovano Giovanni Zambotti.
Fonti e Bibl.: La mancanza di studi specifici sul patriarcato di Grado rende difficoltosa la valutazione delle fonti, che spesso si presentano incerte o contraddittorie. Lo stesso nome Cocco, ad es., oltre alle abituali forme latineggianti "Caucus, Cauchus, Chaucus", viene talvolta presentato come "Cauche" (Ughelli), "Chancheo" (Civ. MuseoCorrer, cod. Cicogna 3388/2), "Consce" (cod. Cicogna 2411). Sulla vita v.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., II, p. 364; Venezia, Civico Museo Correr, Mss. Gradenigo-Dolfin 196, cc. 10rv, 52v; Ibid., cod., Cicogna 3388/II: Serie cronol. de' Patriarchi che illustrarono la Chiesa di Grado,ad annum; cod. Cicogna 2411: C. Visconti, Rifless. storico-canonico-morali…, II, p. LXIV. La lettera della Signoria al papa, in difesa del C., in Arch. di Stato di Venezia, Senato deliberazioni. Misti, reg. 45, c. 98r. Vedi ancora: I libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, III, Venezia 1883, p. 282; Rughelli-N. Coleti, Italia sacra..., V, Venetiis 1720, col. 1151; F. Corner, Ecclesiae Venerae..., Venetiis 1749, I, pp. 344-350; III, p. 36; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, Venezia 1842-1853, V, p. 268; VI, p. 903; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia..., IX, Venezia 1853, pp. 95-96; Fidelis communitas nostra Gradi, Gorizia 1960, p. 13; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccles., XXXI, p. 57; XCI, p. 57; P. G. Gams, Series episcoporum…, p. 792; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii aevi…, I, Monasterii 1913, p. 266.