CODACCIO (Codacio, Codazzo), Pietro
Figlio di Ambrogio e di Maddalena Bescapè, nacque a Lodi nel 1507 da nobile famiglia le cui origini comasche si fanno risalire al XII secolo. Dopo gli studi di filosofia e teologia, nel 1532 fu ordinato socerdote e promosso all'arcipretura della pieve de' Fissiraghi, nella diocesi lodigiana. Due anni dopo fu aggregato fra i canonici della cattedrale di Lodi.
Agli inizi del pontificato di Paolo III si trasferì a Roma per motivi che rimangono sconosciuti. Ècerto comunque che entrò al servizio del pontefice, presso il quale acquistò notevole credito e alta stima insieme con favori e dignità ecclesiastiche diverse, fra le quali alcune fonti annoverano la carica di maestro di Camera. Ma la notizia, in seguito alle precise ricerche svolte in proposito dal Tacchi Venturi, non sembra avere grande fondamento. Nonostante le ottime premesse della sua vita romana e la sua alta provenienza familiare, dimostrò sempre un nobile disinteresse per le cose di questo mondo e un animo schivo di onori e benefici: "...a me basta vivere per sustentare questo misero corpo..." scriverà al fratello Giangiacomo nel 1536 esprimendo con semplici parole l'ideale che informerà di sé tutta la sua vita.
In quegli anni si trasferì a Roma Ignazio di Loyola insieme con i suoi primi seguaci: la già affermata disponibilità ad una regola di vita severa e spirituale portò il C. ad avvicinarli e a cedere loro la sua abitazione, inducendoli ad abbandonare la casa Frangipane dove stavano in affitto. Dopo aver fatto gli esercizi spirituali sotto la guida dello stesso Ignazio, si risolse anzi a far vita comune con loro e si trasferì, insieme con la nascente Compagnia, alla Torre del Melangolo.
Ilmomento del suo ingresso ufficiale nella Compagnia è da individuarsi fra il 23 maggio e il 20 giugno 1539 e avvenne dopo un atto di formale rinuncia al suo patrimonio personale. La data acquista particolare rilievo in quanto il C. risulta essere stato il primo gesuita non spagnolo che si aggiunse ai dieci fondatori della Compagnia di Gesù. Da allora in poi svolgerà la funzione di procuratore della comunità, avendo cura dell'abitazione, vitto e vestiario dei confratelli, tanto che il popolo romano, tra i tanti appellativi con cui individuava il gruppo dei religiosi, sembra usasse chiamarlo "Compagnia del Padre Codacio".
La loro principale e più urgente esigenza era quella di una sede consona agli obiettivi della Compagnia unita ad una chiesa: la risoluzione di entrambi questi problemi si dovette all'efficace opera del Codaccio. La scelta della chiesa di S. Maria degli Astalli, detta comunemente della Strada, non si dovette con ogni probabilità alla particolare predilezione del Loyola per l'immagine della Vergine che là era conservata, come vuole la tradizione. Fu piuttosto la lungimiranza del Loyola e del C. che considerò non solo le prime impellenti necessità della Compagnia, ma previde anche la sua possibile utilizzazione nel futuro quale sede generalizia del nuovo Ordine. Il C. si impegnò a fondo presso il pontefice per ottenere la concessione della chiesa e i suoi buoni uffici ebbero infine il risultato desiderato: il 24 giugno 1541 fu emanata la bolla di concessione della chiesa in perpetuo al preposito generale della Compagnia, nel testo della quale si fa esplicito riferimento alla persona del C., che si era reso personalmente garante della cura delle anime dei parrocchiani. D'altronde il C. già dal novembre dell'anno precedente era stato nominato parroco della chiesa, come pare ormai chiarito dopo alcuni equivoci creati dalle fonti più antiche. Assunse inoltre direttamente l'incarico di amministratore della parrocchia.
Nel 1543 la Compagnia ricevette in dotazione anche la chiesa parrocchiale di S. Andrea delle Fratte e in questa concessione sembra da vedersi ancora una volta l'opera del Codaccio.
La sua vita trascorse nella più completa dedizione all'ideale ignaziano, accolto con la più grande semplicità di spirito e il più alto senso di carità cristiana, che lo spinse fra l'altro a realizzare, coi proventi di certe antichità ritrovate negli scavi archeologici da lui fatti eseguire, la "Casa di S. Marta", destinata ad accogliere e soccorrere quelle "cortigiane" che avessero mostrato segni di ravvedimento.
Proseguì per tutta la vita la sua attività di procuratore generale dell'Ordine, in seno al quale fu a lungo ricordato per la pazienza e la viva devozione.
Morì a Roma il 7 dic. 1549 col conforto di Ignazio e ricevette sepoltura nella chiesa di S. Maria della Strada. Una lapide in suo onore fatta apporre da s. Ignazio è oggi perduta.
Bibl.: G. P. Maffei, Vita sancti Ignatii, II, Lugduni 1658, pp. 144 ss.; G. B. Molossi, Mem. di alcuni uomini illustri della città di Lodi, II, Lodi 1776, pp. 46-51; G. A. Polanco, Vita Ignatii Loyolae et rerum Societatis Iesu historia, I-II, Madrid 1894, ad Indicem; P. Tacchi Venturi, Note stor. e topografiche di Roma nel sec. XVI, in Studi e docc. di storia e diritto, XX (1899), pp. 289 s., 311-313; Id., Storia della Compagnia di Gesù, II, Roma 1950, pp. 304, 307-309, 385; A. Astrain, Historia de la Compañiá de Jesús, I, Madrid 1902, pp. 208, 569; P. de Rivadeneira, Confessiones,epistolae aliquae,scripta inedita, I, Madrid 1920, p. 99; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1959, ad Indicem; M. Scaduto, Catalogo dei gesuiti d'Italia, Roma 1959, ad Indicem.