Pietro Colletta e Gino Capponi
Tra i protagonisti della vita intellettuale del tempo che ebbero un ruolo politico di rilievo e aderirono ai movimenti prerisorgimentali, figura di spicco è quella di Pietro Colletta (Napoli 1775-Firenze 1831), convinto bonapartista che perseguì l’attuazione di riforme politiche e sociali guidate dall’alto. A Napoli ricoprì incarichi militari e civili di grande responsabilità negli anni napoleonici. Fu vicino al re, Giuseppe Bonaparte, e soprattutto al suo successore Gioacchino Murat, di cui fu consigliere nelle controverse decisioni dopo la disfatta di Lipsia assumendo anche alti compiti militari. Membro del consiglio di Reggenza, trattò la pace con gli austriaci; nel 1818 fu impegnato nella repressione del brigantaggio in Basilicata e a Salerno, come anni prima lo era stato in Calabria. Scoppiati i moti costituzionali del 1820, dopo un’iniziale perplessità si schierò in loro sostegno in qualità di generale. Ritornato il Regno sotto il controllo austriaco venne esiliato in Boemia e dal 1823 a Firenze.
Fu in questi anni che si dedicò alla scrittura, specialmente della Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, pubblicata postuma (1834) dall’amico Gino Capponi. Si tratta piuttosto di una cronaca in cui l’autore ricostruisce gli avvenimenti cui fu parte senza celare la polemica contro i vincitori e le loro proscrizioni. Le pagine dedicate a Carlo di Borbone (1734-1759), sono viceversa di appoggio al sovrano illuminato. Conservano interesse anche quelle dedicate alla lotta al brigantaggio. L’opera ebbe molto successo presso i democratici e non solo, considerata stimolo contro i principi reazionari. Apprezzamento fu rivolto per altro riguardo all’eleganza della lingua, per la quale Colletta si era giovato delle competenze di Pietro Giordani, Capponi, e poi anche di Giacomo Leopardi.
Più defilato rispetto alle vicende politiche, Gino Capponi (Firenze 1792-ivi 1876) fu una figura significativa della cultura moderata toscana del 19° secolo. Di ricca e illustre famiglia fiorentina, devota ai granduchi, ricevette un’educazione letteraria, di impronta cattolica. Dopo aver intensamente viaggiato nel periodo della giovinezza, intorno agli anni Venti animò un vivace circolo di uomini di cultura, che comprendeva Cosimo Ridolfi, Niccolò Tommaseo, Raffaello Lambruschini, Giordani, Leopardi.
Fu vicino a Giovan Pietro Vieusseux, direttore del Gabinetto letterario, pubblicando sull’«Antologia» (1821-32), finanziata dallo stesso Vieusseux, una parte dei suoi scritti pedagogici, in cui inseguiva l’idea di un’educazione virile improntata alla religione romana quale la più adatta a formare gli italiani. Messa a tacere «L’Antologia» dalla censura, continuò negli studi, ma, rimase sempre sensibile a quanto accadeva. Nel 1842, ancora con Vieusseux fondò l’«Archivio storico italiano» che prese ad accogliere contributi e documenti di storia italiana, e specialmente toscana, partecipando, attraverso lo studio della storia, ai crescenti fermenti risorgimentali. La fedeltà alla dinastia lorenese e l’atteggiamento prudente tenuto durante i fatti del 1847-48 lo portarono per brevi settimane a presiedere il governo che nel 1848 (agosto-ottobre) dovette cedere a Francesco Domenico Guerrazzi. Estraneo alla politica piemontese per l’Unità e a Cavour, con difficoltà accettò la sparizione del Granducato. Da senatore continuò a impegnarsi per l’istruzione, in nome del rispetto della persona. In politica si mantenne ostile alla politica ecclesiastica governativa.
Fra gli Scritti editi ed inediti (2 voll., 1877) occorre ricordare le cinque lettere a Pietro Capei Sulla denominazione dei Longobardi in Italia (1844), in cui per un verso assegna ai Germani il totale rinnovamento della civiltà italiana, per l’altro nega l’origine germanica delle istituzioni comunali, ricordando lo «splendore» da loro portato all’Italia dalle città guidate dalla Chiesa gregoriana e la Storia di Pietro Leopoldo, non completata, che fa del granduca illuminato un modello per il Risorgimento d’Italia. Affronta nell’Introduzione all’istoria civile dei papi la ricostruzione dell’origine dell’affermazione del papato, attraverso il confronto con la cultura filosofica e religiosa precedente. La Storia della Repubblica di Firenze (1875), a cui lavorò a lungo, intende ripercorrere l’esempio storico di una «vera» democrazia, alla cui ricerca stava andando l’Europa. Elaborata con ricchezza di fonti narrative, fece limitato ricorso alle testimonianze documentarie, diffuse dalla scuola di Leopold von Ranke. Nonostante la precoce cecità, Capponi intrattenne anche una larghissima corrispondenza (pubblicata negli anni 1884-1890), che costituisce ancora oggi una significativa documentazione fra politica e cultura dei ceti più colti in Italia nel 19° secolo.