CONTARINI, Pietro
Nacque a Venezia il 27 nov. 1578 da Marco (1541-1613) di Paolo e Comelia di Giorgio Corner.
Senatore d'un certo credito il padre, di casata ricca e politicamente rilevante la madre, le loro nozze furono allietate da numerosa figliolanza, ché il C. ebbe almeno tre sorelle - Maria sposa a Vincenzo Cappello di Domenico, Cecilia maritata a Giovanni Morosini di Silvestro, Vienna accasata con Caterino Morosini di Pietro - e ben sette fratelli, dei quali Giorgio (1583-1660) sarà capitano a Padova. Il C. non è da confondere con omonimi o di lui più vecchi (ad esempio il Pietro Contarini rettore di Portobuffolè attorno al 1590 e di Portogruaro attorno al 1593) o più giovani (quale il Pietro Contarini di Alvise podestà di Chioggia nel 1627-29).
Dopo esser stato savio agli Ordini nel 16049 il C. rappresentò la Serenissima a Torino dal 15 apr. 1606 all'inizio del dicembre 1608. Suo compito - per tutta la contesa veneto-pontificia che anche a Torino ebbe un'enorme risonanza: "non si ragiona d'altro che di questi affari col pontefice e pare che essi facciano metter ogni cosa in silentio", avvisa il C. il 24 giugno 1606 - sostenere la liccità dell'operato della Repubblica di contro alla rumorosa propaganda del nunzio Paolo Tolosa che ha nello zelo intransigente dell'arcivescovo Carlo Broglia un valido alleato.
È in ballo il "governo temporale de' prencipi"; la fermezza veneziana merita il fattivo appoggio di Carlo Emanuele I, nei cui domini ben "due terzi" degli immobili sono degli "ecclesiastici", laddove il carico fiscale finisce col ricadere sul terzo di proprietà laica. La difesa, da parte della Serenissima, dei propri "ordeni" e "leggi" vale anche per lui. Ma il duca, pur sensibile a siffatte argomentazioni, consiglia il cedimento - Venezia, replica il C., vuole "conservare solamente il suo", né può, in ciò, transigere "stimando meglio non esser che non esser libera" -, preoccupato dei pericoli insiti nell'inasprirsi dei conflitto. Esso, a suo avviso, offre il destro ad ulteriori ingerenze straniere, sospinge verso il precipizio della guerra. Di fatto Carlo Emanuele, irritato con Venezia anche perché riserba il titolo di "eccellenza" e non di "altezza" ai suoi figli, desideroso (insinua il C.) d'ingraziarsi Paolo V perché conceda il cardinalato al figlio Maurizio, accantonati gli iniziali accenni di comprensione, si proclama anzitutto figlio devoto e obbediente della Chiesa. Il che significa non frenare le pretese del nunzio assecondate dall'arcivescovo. Donde la non ammissione del C. indivinis, l'esclusione da "ogni atto pubblico", dalle processioni, dalla "capelle et funtioni ecclesiastiche" in genere. Un agostiniano, reo d'avergli somministrato i sacramenti, viene sospeso dalla confessione. Si complimenta coi duca il papa, ribadendo che e contemnentes auctoritatem "Pontificia a comunione fidelium separati existunt". Comprensibile che il C., ferito nell'intimo, registri - dopo aver, più perplesso che convinto diligentementeinformato delle smanie ducali d'affermazione con una prestigiosa mediazione tra Venezia e Roma - non senza un'ombra di compiacimento e un pizzico di vendicativo sarcasmo come, proprio quando Carlo Emanuele s'accinge alla partenza per Venezia, il pontefice, all'inizio d'aprile del 1607, gli faccia capire "che non occorre... si dovesse movere". Si sta svolgendo, ben altrimenti autorevole, la medigzione francese ad opera del card. de Joyeuse. Sì che il duca - osserva il C. - si rinchiude "con poca satisutione", rabbuiato e scornato, nelle "sue stantie, perché era grandissimo il suo desiderio" di brillare, finalmente, agli occhi dell'Europa intera. Rimessosi dal cocente smacco, non resta a Carlo Emanuele che aggrapparsi alla vantata autoqualifica di principe prima di tutto "italiano" e, perciò, angosciato dalle insidie dei "forestieri", specie dai e "ieri" spagnoli troppo "attenti" alla penisola, troppo interessati a "disunire" i suoi "principi". Preoccupazioni che trovano nel C. uno sgusciante interlocutore, il quale, se nelle udienze gli dà ragione, si riserba poi, nei dispacci, di rilevare la sproporzione tra le ambizioni sabaude e le forze per queste disponibili, di sottolineare l'andamento ondivago dell'azzardoso e tumultuoso progettare del duca. Questi, che ritiene Venezia e il maggiore ed il più potente Stato italiano, vorrebbe associarla all'irrequieta "varietà" delle sue "propositioni", coinvolgerla nei mutevoli piani, via via suggeritigli dal suo rancoroso, epperò di fresca data e smentito dagli antecedenti della sua politica estera, antispagnolismo. Dapprima auspica una lega di Stati italiani a carattere difensivo e senza presenza francese, quindi caldeggia anche l'apporto di Enrico IV ad un programma che diventa, allora, aggressivo. Ostenta - così, sconcertato, il C. - di "desiderare con grande affetto l'offensiva", convinto "lo stato di Milano" sia agevolmente conquistabile. Un bellicismo a tutta prima avventato, apparentemente scriteriato, peraltro limitato a roboanti formulazioni. Nel frattempo, infatti, Carlo Emanuele accasa due figlie e, ben attento al proprio tornaconto, sfrutta con sagacia il suo disinvolto oscillare tra il re cattolico e il re cristianissimo. Il che non sfugge al C.: "tenendo negozio e coi Francesi e cogli Spagnuoli, va servendosi accortamente di questi mezzi per avvantaggiare i suoi fini".
Rientrato a Venezia e pubblicamente elogiatovi per la "molta virtù et prudenza" dimostrate nel corso della rappresentanza torinese, il C. è tra coloro che, il 21 ag. 1609, salgono con Galilei in cima al campanile di S. Marco per "veder le meraviglie et effetti singolari" del cannocchiale. Eletto, il 26 marzo 1613, ambasciatore in Francia, la nomina indispettisce fortemente Sarpi.
È "nipote dei vescovo di Padova", Marco Cornelio Corner, avverte il Sarpi, il 9 aprile, Jérôme Groslot de l'Isle, "dalle circostanze Vostra Signoria giudicherà il rimanente; solo, io li dirò ch'è da poco". Certo il proseguimento della corrispondenza tra il servita e l'ugonotto non può contare sulla valigia diplomatica del Contarini. Spiegabile altresì lo sprezzante giudizio sarpiano: il C. appartiene all'invisa aristocrazia di tendenza moderata, papalisteggiante. Una collocazione attestata, oltre che dal disappunto del Sarpi, dal compiacimento, di segno opposto, dell'ambasciatore francese, l'ispanofilo e, perciò al Sarpi antipaticissimo, Charles Bruslart de Léon. Per questo il C. è "doux esprit et plein de civilté". Riconoscimento concordante con altri che ravvisano nel C. "candore singolare..., natura placida, niente contenziosa", epperò "soda". Peiresc, "obbligatissimo" a Paolo Gualdo che l'ha messo in contatto con lui, lo definirà "il più cortese signore che si possa vedere". Uomo dal tratto amabile e signorile, dunque, iI C., più adatto a rappresentare il volto tradizionale di Venezia che lo spigoloso tratto antiasburgico che il Sarpi avrebbe voluto aggiungere. Ad ogni modo il C., durante la permanenza parigina dal 15 dic. 1613 all'11 sett. 1616, deve anche difendere la figura del servita dall'acrimoniosa costante denigrazione dei nunzio Ubaldini. Elusivo in merito ai suoi "scritti" - non essendo "teologo, né giurisconsulto", evita di pronunciarsi rinviando all'apprezzamento loro tributato in "tutti gli stati cattolici" -, preferisco dilungarsi in assicurazioni sulla vita "irreprensibile... santa, ritirata et essemplare" dei frate, così obbedendo alle istruzioni senatorie e, nel contempo, evitando l'imbarazzo di farsi paladino d'una linea che gli è estranea.
Comunque il C. non merita il "da poco" con cui il Sarpi l'ha bollato. Sa guardare, infatti, non senza acume alla sussultante vita politica francese, sottoposta alla pressione parlamentare attestata sulla rigida difesa delle prerogative statali, contraddetta, peraltro, dalla regina madre propensa, invece, a "compiacer il pontefice s. Fattori di debolezza, a suo avviso, la "diversità di religione", le rivalità cortigiane, la "venalità degli officii" per l'"assoluta autorità regia", indebolita altresì dall'eccessiva influenza su Maria della moglie di Concini, mentreda Luigi XIII, costretto ad una sorta di protratta fanciullezza, non è, pel momento, da attendersi "azione matura".
Di nuovo a Venezia, il 30 ag. 1617 è eletto ambasciatore straordinario in Inghikerra col compito di sollecitare un congruo appoggio a Venezia, minacciata dall'accerchiamento asburgico e aggredita dalla pirateria uscocca protetta dall'arciduca Ferdinando.
Accintosi, sollecito, al viaggio il 2 settembre, raggiunge l'Aia ricevutovi dal principe Maurizio; ed ha modo d'apprendere come vi sia "pullulata una nuova setta d'heretici nominata armeniani". Fatta, poi, sosta a Delft, ove non può sottrarsi ad un colossale banchetto offerto dai "signori della città" comportante parecchi brindisi in un gran "bicchierone", il 10 ottobre finalmente simbarca a Flessinga.
Giunto il 19 a Londra, nell'udienza di metà novembre denuncia le "operazioni" contrarie alla "quiete" d'Italia dei "mirustri" spagnoli e accusa, soprattutto, il viceré di Napoli. Persuasivo, ottiene il consenso regio pel reclutamento di uomini, per il noleggio di naviglio.
Eletto, il 6 luglio 1618, ambasciatore M Ispagna rimane, comunque, a Londra sino al 30 novembre, avendo modo d'osservarvi la funzionalità dei "forti" e "buoni" vascelli inglesi, dammirare il respiro commerciale delle "compagnie", d'annotare competenze e limiti dell'istituto monarchico. Il re è sì i libero e assoluto signore s, ma è pure "legato dalle leggi" controllato da "li parlamenti", che "moderano, s'oppongono e contendono le risoluzioni sue", specie quando "vuol cavare" dai sudditi "alcuna somma". Dura la condizione dei cattolici, specie se "recusanti" il giuramento di fedeltà; Giacomo I, comunque, vede di malocchio pure i "puritani, cioé i seguaci delli puri dogmi di Calvino".
Imbarcatosi a Dover e sbarcato a Boulogne, il C., dopo una breve sosta a Parigi, entra a Madrid la sera del 24 genn. 1619, rimanendovi sino al 20 genn. 1621. A parte la piacevole parentesi del viaggio, svoltosi tra l'11 settembre e il 16 ott. 1620, a San Giacomo di Compostella, pio pretesto per visitare Segovia, Valladolid, Boga, Santarém, Lisbona, Mérida, il compito del C. consiste nel richiedere, sempre e comunque, la "restituzione" delle "galere e merci" veneziane "già prese dalli galconi d'Ossuna".
Indubbia la disponibilità del re, ma "poco può giovare, quando lascia regger da altri il tutto". Purtroppo, i "ministri... non sentono bene della Repubblica". Fiacco il sovrano, divisi i cortigiani e tra loro rivali. Immensa la monarchia spagnola, ma non terribile. A una "macchina" dai molti "regni", ma è anche "corpo" stremato da molte indispositioni, e, perciò, è indebolito nel "vigore".
Rientrato in patria e nominatovi capitano a Brescia, vi si insedia il 14 sett. 1622, occupandosi della "provisione" delle armi, della rassegna delle truppe, dell'imposizione delle "gravezze" (particolarmente ostica ai "cittadini" quella "sopra i vini di un ducato per botte"), dell'ispezione delle fortezze. E, assieme al podestà Giovanni Nani, dà segno di fermezza nei confronti del carmelitano "padre maestro Alberto", che, nell'istruire un "processo contro alcuni suoi frati", ha convocato "testimonii secolari senza licenza" rettoriale. E, saputo che questi ha disposto l'allontanamento del procuratore del convento, Nani e il C. ne annullano l'ordine e gli intimano dal guardarsi da ogni "novità". Nominato, il 9 giugno 1623, ambasciatore a Roma, il C., prima dello scadere della carica, lascia, il 20, Brescia salutato dal Complimento improviso (Brescia 1623) dei membri dell'Accademia degli Emanti. Dopo una rapida pausa a Venezia nel suo palazzo a S. Trovaso e nella villa di Piazzola - entrambi noti agli artisti protetti dal C.: nel primo dimora il pittore Carlo Saraceni, per la seconda Jean Le Clerc dipinge il Naufragio e il Concerto (rilevabile, infatti, il mecenatismo del C., che procura pure sia a Saraceni sia a Le Clerc committenze pubbliche. E lo si sa estimatore di Domenico Fetti; sua, inoltre, la raccolta di quadretti su tavola o rame derivati dal Saraceni, attualmente custodita nei depositi delj'Accademia veneziana) - il C. parte, alla fine dottobre, alla volta di Roma, quivi trattenuto sino afl'inizio di giugno del 1627.
Già annunciata con favore dal nunzio la sua nomina, essendo il C. "universalmente stimato per bontà de' costumi et piacevolezza di natura" e d'"ottima dispositione", non per questo vale a sanare i perduranti e, anche, inaspriti rapporti veneto-pontifici. Uomo di parte il C., decisamente schierato col patriziato più conservatore - e lo s'avverte quando s'adopera perché Pompeo Cairno soppianti Santorio Santorio, il medico amico dei Sarpi, nell'ateneo patavino -, ma anche, suo malgrado, imbrigliato dalle istruzioni senatorie, controllato e, se è il caso, rimbrottato dai nobili della parte avversa. È il nunzio stesso ad avvisare il 3 maggio 1624, che "quanto più" il C. "riuscirà grato" al papa e alla Curia "tanto più alcuni di questi tristi potenti di lingua continuano di calunniarlo in publico et in privato". A in ballo la quesuone della Valtellina e quando Urbano VIII, a suo dire solo mosso dallo "zelo della cattolica religione", vuoi procedere, assieme alla Spagna, contro i "collegati", il C. è ben costretto a replicare che "Sua Beatitudine deponeva la persona di padre tanto bene sostenuta o professata" sino allora e che, quindi, Venezia "avrebbe preso quelle deliberazioni che bisognavano per sicurezza propria e... dei collegati". Un momento estremamente teso: Urbano VIII trova inconcepibile la Repubblica si scalmani per "quattro scalzi eretici" e per "un passo che si compra per vil denaro". E, addirittura, si sdegna quando Venezia assume ufficiali dall'evidente eterodossia. Al che il C. deve ribattere che la Serenissima non è tenuta a "far processi a chi veniva a servirla". Quando, poi, Urbano VIII nega il conferimento dell'abbazia veronese di S. Zeno ad un suo nipote, il C., questa volta personalmente toccato, sfiora la mancanza di riguardo, è duro, sin larvatamente minaccioso. Ed è forse, da ricondurre all'irritazione derivantegli dall'opposizione papale ad un interesse della sua famiglia l'accenno critico - inusitato in un patrizio filocuriale - all'"abuso" e al "disordine" romani in fatto di "benefici di cura o di residenza", troppo spesso gravati "di pensioni intollerabli"; opportuno, suggerisce, che Venezia, data la "somma... rilevantissima che n'esce", imponga la "moderazione di simili aggravi intollerabili". Certo - osserva il C. - abbondante è a Roma la circolazione dell'"oro"; "poveri", comunque, i sudditi.
Ritornato a Venezia, il C. vi gode d'una certa autorevolezza; ed il nunzio si rallegra quand'egli è savio del Consiglio, l'annovera tra le "teste sode" della Repubblica, le più aliene da irrigidimenti antiromani. Ormai prossimo alla cinquantina il C., il 23 sett. 1627, si sposa con Paolina di Giulio Contarini che gli reca una dote di 20.000 ducati, nonché "fabbriche", immobili in genere e soprattutto 60 "campi" nel Padovano. Ne ha una figlia, Contarina, che si sposerà nel 1648 con Francesco Contarini di Giovanni, e un figlio, Marco (1632-1689) che diverrà, sborsando 25.000 ducati, procuratore di S. Marco de citra.
Afflitto da "paralisia", il C. muore a Venezia il 19 ott. 1632, dopo aver fissato le sue ultime volontà (sia restituita la dote alla moglie, la figlia disponga per la dote di 35.000 ducati, di tutti i "beni mobili e stabili" sia crede il figlio) nel testamento dettato, il giorno prima al notaio Giacomo Beni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, ss, c. 65v; 90, c. 94v; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci, Lett. di ambasciatori, 11/175, 188-191; 27/348-352; 28/156-159, 177; Ibid., Senato, Terra. regg. 76, c. 53; 77, c. 5v; 78, cc. 13r, 131v, 186v; 93, cc. 91r, 107r-108r; Ibid., Senato. Dispacci Francia, filza53, lett. n. 86; Sonato. Lett. rettori Bressa e Bressan, filza23 (lctt. dal 4 sett. 1622), 24 (lett. sino al 24 giugno 1623); Ibid., Inquisitori di Stato, 165/85, 86; Ibid., Notarile. Testamenti, 1611/408, 162/330; Ibid., Provv. alla Sanità. 863, alla data di morte; I bid., Misc. Codd., I, St. Ven., 133; Arch. Segr. Vaticano, Nunziatura Venezia, 42 I, cc. 241v-242r, 247, 262, 282v-284r, 331r; Venezia, Biblioteca del CivicoMuseo Correr, Archivio Morosini Grimani, 413; Ibid., Cod. Cicogna, 1014/184 (potrebbe essere il C. il "magnifico Pietro Contarini" in lite, per il prezzo d'un ingente numero di capi di bestiame, con Giovanbattista Zen); 1495, pp. 83 s., 105 ss.; 2524/35; 2722/15 (la data 1667 aggiunta va corretta in 1617); 2995/5; 3113/11; Ibid., Misc. Correr, 733, 2481, 2702; Ibid., Mss. P. D., 2650/IV, cc. 115v-116r; In giro per le corti. Antologia, a cura di E. Falqui, Roma 1949, pp. 39, 41 s.; Lett. d'uom. ill. dei sec. decimosettimo..., Venezia 1744, pp. 273 s., 282, 301; Storia... d'It. raccontata dai ven. amb., a c. di F. Rutinelli, III, Venezia 1858, pp. 261-290; Paolo V e la Rep. ven. Giornale, a c. di E. Cornet, Vienna 1859, pp. 91-92, 103, 126-127; Mon. spectantia historiam Slavorum meridionalium, XXIII, a cura di E. Fermendzin, Zagabriae 1892, p. 373; I libri commemor.... di Venezia..., a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1907, pp. 128, 131, 165 ss., 172 s.; Carlo Emanuele I e la contesa fra la Repubblica veneta e Paolo V..., a cura di C. De Magistris, Venezia 1906, passim; Calendar of... Vinice..., a cura di A. B. Hinds, London 1909-14, XV-XX, ad vocem; Correspondance des nonces Gesualdo, Morra, Sanseverino, a cura di L. van Meerbeeck, Bruxelles-Rome 1937, p. 228 n.; Relazioni veneziano... over Nederlanden... a cura di P. J. Blok, 's-Gravenhage 1909, pp. 100-08; Le cronache bresciano..., a cura di P. Guerrini, IV, Brescia 1930, pp. 165, 175; Relazioni di amb. ven. a cura di L. Firpo, I, Torino 1965, pp. XXI-XXII, 663-84; V, ibid. 1978, p. XXII; VI, ibid. 1975, pp. 9, 533-62; IX, ibid. 1978, pp. 557-591; Relazioni dei rettori.... a cura di A. Tagliaferri, XI, Milano 1978, p. LIV; G. Galilei, Opere (ediz. naz.), XIX, p. 587; XX, p. 425; P. Sarpi, Lettere... a Simone Contarini..., a cura di C. Castellani, Venezia 1892, pp. 20 n. 5, 38 n. 2; Id., Lert. ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, I, Bari 1931, p. 272; Id., Istoria dell'interdetto..., a cura di G. Gambarin, I, Bari 1940, pp. 61 s., 64; Id., Lett. ai gallicani, a cura di B. Ulianich, Wiesbaden 1961, pp. LXIV, LXVII; Id., Scritti scelti, a cura di G. Da Pozzo, Torino 1968, pp. 238 s., 241, 376 a.; Id., Opere, a cura di G. e L. Cozzi, Milano-Napoli 1969, pp. 556, 572, 677 e in nota alle pp. 659, 680, 1028; F. Micanzio, Vita del Padre Paolo..., in P. Sarpi, Ist. del conc. trid., a cura di C. Vivanti, Torino 1974, pp. 1370, 1392; Storici e politici veneti dei Cinquecento e del Seicento, a cura di G. Benzoni-T. Zanato, Milano-Napoli 1982, p. 645; dedicati al C. i De rebus in Hetruria a Senensibus gestis... libri tres... di F. Contarini, a c. di G. M. Bruto, Venetiis 1623; B. Bonifacio, Elogia contarena, Venetiis 1623, p. 51; Id., Musarum... Pari Prima, Venetiis 1646, p. 407; A. Querengo, Hexaemetri carminis libri..., Romae 1629, pp. 113 s.; G. Romegialli, Storia della Valtellina..., II, Sondrio 1834, p. 131; L. von Ranke, Storia dei Papi, Firenze 1959, pp. 805, 909 S.; E. Ricotti, Storia d. monarchia piemontese, III, Firenze 1865, pp. 308 n., 380, 382; G. Valentinelli, Bibl. manuscripta..., I, Venetiis. 1868, pp. 164 s.; B. Cecchetti, ... Venezia e... Roma..., I, Venezia 1874, pp. 348 n. 1, 350; D. Carutti, Storia della dipl. ... di Savoia..., II, Roma 1876, p. 207; A. D'Ancona, Varietà.... I, Milano 1883, pp. 119 S.; G. Soranzo. Bibliogr. venez..., Venezia 1885, n. 4378; I. Raulich, La congiura... contro Venezia, in Nuovo Arch. ven., VI (1893), pp. 7 s.; V. Bellondi, Docc. e aneddoti di storia ven...., Firenze 1902, pp. 218 s. ; E. Rott, Hist. de la représentation... de... France auprès des Cantons suisses, III, Berne 1906, ad vocem;IV, 1, Bumpliz-Paris 1909, p. 217 n. 3; L. P. Smith, ... H. Worton, Oxford 1907, ad vocem;L. Batiffol, La vie... d'une reine..., Paris s. d. [ma 1908], in nota alle pp. 7, 55, 370; P. Negri, La politica... contro gli uscocchi, in NuovoArch. ven., XVII (1909), pp. 346 s.; F. G. Duse, Venezia e... Richelieu..., Venezia 1910, pp. VII, 36-161 passim (a p. 130, però, Francesco per Pietro); C. Frati, Boll. bibliogr. marciano..., Firenze 1914, p. 86; R. Putelli, Visita di... C. alla Pianura bresciana..., in Arch. stor. lomb., LI (1924), pp. 215-25; P. Camerini, Piazzola, Milano 1925, pp. 155s.; V. Di Tocco. Ideali d'indipendenza, Milano 1926, pp. 55, 56 n. 4, 355; R. Quazza, La guerra per la success. di Mantova..., I, Mantova 1926, p. 301 n. 3; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti, Roma s. d. [ma 1927], pp. 172 n. 1, 194-98 (con confusioni); Davide da Portogruaro, ... Giacinto da Casale..., in Arch. vene., s. 5, V (1129), pp. 216-25 passim;A. Zanelli, Di alcune controversie tra... Venezia e il S. Officio..., ibid., VI (1929), pp. 206, 226; Id., Le relazioni tra Venezia e Urbano VIII..., ibid., XIV (1933), pp. 158-204 passim;XVI (1934), pp. 174-92 passim, 244 s. n.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, pp. 75, 727, 868 (e in nota alle pp. 46, 282, 880); D. Angeli, Roma, IV, Bergamo 1933, p. 65; A. De Rubertis, Ferdinando I dei Medici e la contesa fra Paolo V e la Repubblica ven., Venezia 1933, p. 94 n. 1; G. Capretti, ...Brescia nel Seicento, Brescia 1934. pp. 298, 349; J. F. Dengel, ... storia della fontana... del Palazzo Venezia, in Arch. della R. Dep. romana di st. patria, LVIII (1935), p. 131; U. Martinelli, Le guerre per la Valtellina..., Varese 1935, pp. 39. 86-92 passim;P. Savio, per l'opistolario... di P. Sarpi, in Asvum, XI (1937), pp. 30, 298; F. Antonibon, Le relaz. ... di amb. ven., Padova 1939, pp. 55, 78, 102, 113, 125;G. Coniglio, Ilviceregno di Napoli nel sec. XVII..., Roma 1955, pp. 231 n. 31, 237 n. 50;F. Seneca, La politica ven. dopo l'interdetto, Padova 1957, pp. 10 s. (e in nota alle pp. 6, 8, 15, 17, 65, 92, 103, 131, 135, 136); Id., ... la missione di.. Padavino, in Misc. in on. di R. Cessi, II, Roma 1958, pp. 369 s.. 372 s. n.; G. Cozzi, ... N. Contarini, Venezia-Roma 1958, pp. 134 n. 3, 255; P. Pirri, L'interdetto... e i gesuiti..., Roma 1959, pp. 46, 49, 369-80 passim; Dispacci degli amb. ... Indice, Roma 1959, pp. 62 s., 139 s., 230 s., 266, 293; A. Tamborra, Gli Stati ital., l'Europa e il problema turco..., Firenze 1961, pp. 37 ss.; A. Kraus, Das... Staats. Sekretariat unter Urban VIII...., Freiburg-Wien 1964, pp. 7 n., 15 n., 75 n.; N. Ivanoff, G. F. Loredan e l'ambiente artistico..., in Ateneo veneto, n. s., III (1965), pp. 188 s.; F. Haskell, Mecenati e pittori..., Firenze 1966 p. 67; G. Benzoni, G. F. Biondi..., in Arch. vm., s. 5, LXXX (1967), p. 26; R. Belvederi, Bentivoglio e Richelieu..., Bari 1968, p. 396; A. Ottani Cavina. C. Saraceni, Milano 1968, pp. 97, 110; M. Devèze, L'Espagne de Philippe IV..., Paris 1970-71, 1, p. 63; II, p. 457; M. Petrocchi, Roma nel Seicento, Bologna 1970, p. 55; W. I. Bouwsma, Venezia e la difesa della libertà..., Bologna 1977. pp. 299 n. 327. 300 n. 338, 302 n. 386; E. Concina, Chioggia..., Treviso 1977, p. 140 n. 146; D. Chiomenti Vassalli, Donna Olimpia..., Milano 1979, pp. 40, 48 n. 2; T. Zanato, Le ... redazioni dell'"Aviso" di A. Querini, in Arch. ven., s. 5, CXV (1980), p. 16 n. 15;R. Pallucchini, Pittura ven. del Seicento..., Milano 1981, pp. 96, 98, 134 s., 141; P. Prodi, Ilsovrano Pontefice.... Bologna 1982, pp. 52 s.; F. Ambrosini, Paesi e mari ignoti..., Venezia 1982, pp. 151n. 33, 215 n. 28, 224-27, 233 s.;G. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, LXXXV, pp. 93, 96 s., 115; LXXXVII, pp. 4-11, 18-21, 28 s., 57, 68; XCI, p. 20.