CONTARINI, Pietro
Figlio di Giariruggero e Regina Dandolo, nacque nel 1452 a Venezia nella contrada dei SS. Apostoli.
Fu patrizio in vista ed eloquente al punto che ebbe il soprannome di "filosofo" e lasciò testimonianza di sé in campo sia letterario sia politico. Tuttavia, per quanto il suo nome compaia spesso negli scrutini degli uffici e ambasciate, ben poche volte ebbe la soddisfazione di far parte dei Consigli e Magistrati più importanti. Analogamente la sua produzione poetica venne ben presto dimenticata.
La prima notizia che abbiamo di lui riguarda l'iscrizione, a 18 anni, ai registri dell'Avogaria di Comun, avvenuta nel 1470. Fu avvocato "per le corte" due volte consecutive (1481 e 1484), auditor vecchio (1489) e auditor nuovo (1490).
Secondo il Picotti fu proprio il figlio di Gianruggero a conoscere il Poliziano nel suo viaggio in Italia settentrionale e a Venezia tra la fine del 1479 e l'inizio dell'anno seguente. Il grande umanista, oltre a definirlo patrizio di raffinato ingegno, gli avrebbe offerto un gruppo di rime in volgare. È del 1486 la notizia che lo vuole dottore, senza però che sia possibile saperne di più; altrove, ma non è certo che sia lui, è definito medico illustre: seppe comunque tessere rapporti di amicizia con molti dotti patrizi e letterati che si rivolsero a lui con lettere o semplici epigrammi di stima o dedicandogli addirittura i loro lavori. Uno di questi è la vita del Petrarca scritta da Girolamo Squarciafico (1493); probabilmente si rivolge a lui anche Bartolomeo Giustinopolitano nella dedica di un libretto a stampa con le Lettere di Falaride (Venetiis 1498). Giovanni Zaratino gli chiede protezione, Evangelista Bladario elogia la sua casa ricca d'opere d'arte e di antiquariato; Girolamo Donato e Giovanni Stafileo gli inviano epistole conservate nei manoscritti marciani.
Come politico egli appare costantemente impegnato a rilevare e condannare ogni sopruso praticato ai danni della Repubblica sia come savio sulla revisione dei conti (1504) sia quale provveditore alle ragioni della Camera fiscale (1505). A volte i suoi discorsi assunsero pieghe polemiche e violente, come il 27 apr. 1509 quando, montato in "renga", osteggiò con tanta foga una proposta di legge troppo severa nei confronti dei patrizi più poveri, debit.ori nei confronti dello Stato, da costringere il doge ad ammonirlo con collera. Era quell'anno in Pregadi eletto nella zonta, in seguito fu provveditore al Sale in due riprese (1509 e1514).
Non mancò l'11 ag. 1508 di ascoltare, in compagnia dei veneziani più colti ed eruditi, la spiegazione, tracciata da Luca Pacioli nella chiesa di S. Bartolomeo, del testo euclideo. li terremoto del 26 marzo 1511 e la caduta di alcune statue dalla basilica di S. Marco gli suggerirono alcuni versi, in latino e volgare, sulla situazione politica del momento che vedeva la Repubblica impegnata contro gli alleati francesi e imperiali. Ugualmente, alla morte di Giulio II, non mancò di tratteggiare in forma satirica la figura di quel papa, così discutibile per il risentimento di un politico veneziano. E quando lo richiese la particolare gravità della situazione, non esitò a offrire allo Stato uomini e denaro per la difesa della Terraferma.
L'incarico di maggior prestigio lo svolse all'Avogaria di Comun, elettovi nell'ottobre del 1513: ancora una volta dimostrò serietà e fermezza sia nei Collegi criminali cui partecipava sia svolgendo il compito, proprio degli avogadori, di garantire il corretto svolgimento dei Consigli più allargati. Anni dopo (1522), fu nominato senatore e nel 1526 - come nell'anno successivo - tentò, senza successo, di entrare in Consiglio dei dieci.
L'esercizio letterario a cui il C. probabilmente dedicò maggior cura è contenuto in un manoscritto marciano (Ital., cl. IX, 95 [= 6454]) dal titolo Christilogosperegrinorum. In realtà si tratta di due poemi in terza rima, forse di non grande valore artistico ma che sono una testimonianza della fortuna di Dante nel Cinquecento. La prima di queste composizioni espone in quindici capitoli o canti di lunghezza diversa le vicende della nascita di Cristo fino alla fuga in Egitto, viste attraverso gli occhi di quattro pastori che poi si scoprono esser patrizi veneziani, uno dei quali il C. stesso che si dichiara figlio di Giatiruggero. Con incredibile anacronismo - di cui per altro l'autore si rende perfettamente conto invocando il cielo a far sì che il lettore non resti sconcertato - in questa cornice, ora per diletto ora per occupare il tempo di navigazione sulla via del ritorno, vengono narrate dai protagonisti le vicende della guerra di Chioggia e della lega di Canibrai. Quanto al secondo poema, anchesso piuttosto consistente, descrive la passione e resurrezione di Cristo narrate da Maria Maddalena e dalle tre Virtù teologali. In chiusura la raccolta mette insieme alcuni sonetti e altre composizioni di intonazione moraleggiante. Altre brevi liriche, per lo più sonetti suoi o a lui dedicati, ci sono pervenute in diversi codici marciani.
Anche nel testamento (1527) il C. dimostra una particolare premura nei confronti della sua produzione letteraria perché, dopo aver lasciato parte dei suoi beni immobili alle famiglie più povere della propria casata - egli infatti non era sposato -, ordina ai commissari dì pagare 50 ducati a un buon conoscitore del latino e del volgare perché raccogliesse, unendoli in uno o più volumi, e correggesse i suoi scritti.
Dopo aver scritto versi per più di cinquant'anni il C. morì il 4 settembre 1528 secondo il Barbaro, il 5 se è da credere a una nota a tergo dei testamento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci, Misti, regg. 6, cc. 101v, 102r, 105r, 114r; 7, cc. 21r, 38v, 40v; 9, cc. 12r, 18v; Ibid., Avogaria di Comun, Balla d'oro, 164 c. 67v; Ibid., Notarile Testamenti, Atti Bianco:b. 127, n. 731 e I, cc. 48 ss.; Ibid., Miscell. codd. I, Storia veneta, 19:M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' Patritii veneti, p. 498; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 1386, p. 16; Ibid., ibid., 2664, c. 195rv; Ibid., ibid., 2666; Ibid., Mss. Gradenigo, 181, I, c. 139v; II, c. 149v; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. XII, 168 (= 4458), c. 19v; Ibid., ibid., 210 (= 4689), cc. 89v, 92v, 101r; Ibid., ibid., cl. XIV, 199 (= 4608), cc. 23v, 37v, 41v, 42v; Ibid., Mss. it., cl. IX, 369 (= 7203), c. 61v; M. Sanuto, Diarii, III-XLIX, Venezia 1880-1897, ad Indices;E. G. Agostini, Istoria degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754, pp. 214, 216, 324; L. A. Ferrai-A. Medin, Rime storiche del sec. XVI, in Nuovo Archivio veneto, I (1891), p. 129; A. Medin, Storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, p. 518; G. B. Picotti, Tra il Poeta e il lauro, in Giorn. stor. della lett. ital., LXVI (1915), I, pp. 76-77; II, pp. 214, 216, 234; P. Zorzanello, Echi della Commedia in un Poema veneziano inedito del primo '500, in Dante. La poesia, il Pensiero, la storia, Padova 1923 (cfr. la recensione di V. Rossi, in Studi danteschi, VII[1973], p. 138, e di V. Cian, in Giornale storico della letteratura italiana, LXXXII [1923], p. 197); B. Nardi, La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo europeo e umanesimo veneziano, Venezia-Firenze 1963, p. 117; I. Maier, Ange Politien, la formation d'un poète humaniste (1469-1450), Genève 1966, pp. 243, 355 s.; L. Hain, Rep. bibl., n. 12.871; D. Reichling, App. ad Hainii-Copingeri Rep. bibl., n. 672.