CONTEGNA, Pietro
Nacque nel 1670 circa, secondo quanto afferma il suo biografo, L. Giustiniani, ad Arienzo, in provincia di Caserta, feudo dei Carafa duchi di Maddaloni, dei quali fu al servizio in epoca imprecisata, ma certamente agli inizi della sua carriera. Compì studi giuridici e abbracciò non si sa in che data lo stato ecclesiastico. Parimenti non è nota la sua attività durante l'ultimo periodo dell'amministrazione spagnola del viceregno, ma certo quando nel 1707, ormai sotto il governo austriaco, a Tiberio Carafa, principe di Chiusano, si richiese dal conte Rocco Stella di fare "una nota dei soggetti che o per abilità o per probità o per nascita o per serviggi" fossero degni di assumere cariche, il nome del C. fu incluso nella lista di coloro che avrebbero dovuto raccogliere e coordinare in un unico codice tutte le leggi, prammatiche e costituzioni riguardanti il Regno; lista in cui trovarono posto nomi di grande spicco quali quelli di Gaetano Argento, Gennaro D'Andrea, Pietro Giannone e Alessandro Riccardi. Allievo e seguace di quest'ultimo, oltre che di Nicola Capasso, il C. probabilmente, forse per un breve periodo, lo seguì, quando nel 1709 questi fu chiamato a Barcellona (allora in mano agli Imperiali) alla corte di Carlo d'Asburgo, benché da una lettera di Gianvincenzo Gravina del 26 giugno 1711 sembri di poter dedurre che in effetti questo viaggio dei C. non fu compiuto affatto.
Successivamente si troverà il C. - che solo allora eserciterà questa professione - come bibliotecario della biblioteca del "seggio" napoletano di S. Angelo a Nido e negli stessi anni come uno dei collaboratori in una iniziativa volta a elaborare un piano per favorire il commercio nel Viceregno. Dal 1713 il C. si trasferì a Vienna, quale agente fiscale del Consiglio d'Italia, dove, fece parte del circolo dei legali riuniti intorno al Riccardi. Insieme con il maestro ed amico nel medesimo anno pubblicò un voto contro l'Unigenitus, diffuso in Fiandra.
Visto che era a Vienna, non è molto chiaro come egli abbia potuto nel 1714 scrivere una supplica a nome della città e del baronaggio di Napoli, riguardante una serie di richieste sull'università, il cui contenuto fu tenuto presente quando, nel 1732, Celestino Galiani riprese in considerazione il medesimo problema, sottoponendolo di nuovo alla corte di Vienna. La supplica non ottenne risultati pratici, ma nel luglio dell'anno successivo il C. fu nominato professore primario della cattedra dei sacri canoni "dispensando per questa volta alla formalità del concorso". Tuttavia egli non ottenne il posto per le reazioni e le proteste provocate da questa procedura.
A Vienna il C. ebbe intense relazioni con Pietro Giannone, che vi si rifugiò nel 1723. Relazioni che giunsero a una vera e propria collaborazione, poiché il C., insieme con il Riccardi, rivide il testo dell'Apologia dell'Istoria. L'anticurialismo del C. e della cerchia cui apparteneva gli fece esprimere giudizi drastici sull'Istoria del Giannone, tanto che quest'ultimo scriveva al fratello il 12 giugno 1723: "Essi credono che io abbia scritto molto pocoi anzi con molta adulazione della corte dì Roma, avendoglì dato assai più che si conviene" (Giannone, Opere, p. 1117).
Il soggiorno del C. nella capitale dell'Impero stava allora volgendo al termine. Era sentita a Vienna in quel momento l'esigenza di riforme che potessero rendere le finanze del Viceregno più rispondenti ai nuovi principi mercantilistici. Maturò l'idea dell'istituzione di un banco il cui scopo avrebbe dovuto essere quello della "ricompra" degli effetti del Real Patrimonio. Si trattò indubbiamente di un'opera collettiva, tuttavia il progetto dell'istituzione dei banco, sostenuto e diretto dal marchese di Rialp, fu attribuito dal C. a Giovanni Dello Riccio, razionale del Consiglio di Spagna. Esiste però un abbozzo di progetto, di spiccato carattere antiecclesiastico, che differisce proprio per questo dal progetto ufficiale, e che pare si possa attribuire al Contegna. Esso prevedeva l'imposizione, di vendere i loro beni immobili per gli ecclesiastici, i quali avrebbero potuto deppsitare nel costituendo banco i liquidi realizzati da queste vendite; con questi depositi il banco-avrebbe dovuto esercitare il diritto di "ricompra" delle rendite fiscali alienate, mentre i proprietari, che avrebbero dovuto venderle, avrebbero potuto impiegare il denaro ricavato comprando i beni ecclesiastici messi in vendita. Tutto il progetto quindi era basato sulla liquidazione della manomorta; esso però provocò, come è comprensibile, reazioni notevoli a Napoli, ma anche a Roma e perfino a Vienna. Il progetto iniziale fu espresso in una cedola reale del 12 genn. 1726, e non mancò di suscitare diffidenze ed apprensioni non soltanto nel clero.
Il C., sia che fosse o non fosse stato l'autore dell'abbozzo di progetto, era uno dei fautori dell'impresa e tornato a Napoli nel maggio del medesimo 1726, fu nel settembre nominato fra gli amministratori del banco, come rappresentante, insieme con il marchese Domenico Borgia, del ceto degli avvocati. La giunta, che doveva preparare la bozza della prammatica costitutiva del banco, iniziò subito i lavori e il C. funse anche da avvocato fiscale, non essendone ancora stato nominato uno.
Il nuovo banco, che avrebbe dovuto sostituire tutti gli altri, avrebbe dovuto essere lo strumento della ricompra, a scapito deUe proprietà ecclesiastiche, e della gestione diretta dei fiscali. Nel tempo che intercorse fra la costituzione della giunta, o meglio fra l'avvio del progetto, e la pubblicazione della prammatica di costituzione del 18 marzo 1728, esso, a causa della comprensibile opposizione della corte di Roma e del clero locale, della diffldenza generale ed anche della mancanza di un vero spirito di rinnovamento da parte della corte di Vienna, vide ristrette le sue prerogative al semplice diritto di ricompra. Sostenuto con entusiasmo soltanto dal C. e da Francesco Ventura, cui il C. si legò sempre più, il banco, così travagliatamente sorto, ebbe una vita penosa e contrastata; l'impossibilità di godere della dotazione assegnatagli, la speranza delusa dei depositi dei privati, la lentezza della crescita della rendita, persino l'offerta da parte del baronaggio alla corte di un donativo di 600.000 ducati purché non si proseguisse "l'istituzione dei banco", lo portarono nel 1733 ad una effettiva liquidazione.
Fu un colpo duro per il C. che ne era stato, insieme con il Ventura, l'animatore e che vi aveva profuso notevoli energie. Quasi in ricompensa, il 10 febbr. 1733, egli, senza alcun esborso di denaro, diveniva presidente della Regia Camera.
Aveva intanto avuto inizio la controversia fra Filippo Bernualdo Orsini, duca di Gravina, e il vescovo della medesima città, Camillo Olivieri, che aveva visto quest'ultimo condotto dall'Orsini dinanzi al Collaterale. Il vescovo nel 1732 reagì lanciando contro il duca la scomunica. Attribuita al C. è l'allegatone fatta pubblicare dal duca con il titolo di Lettera scritta da un particolare di Napoli ad un suo amico in Roma, datata 30 dic. 1732, alla quale Giovanni Antonio Bianchi, sotto il velo dell'anonimato, rispose facendo stampare senza indicazione di luogo né di data le sue Lettere di risposta di un particolare di Roma ad un amico di Napoli sopra la pendenza di Gravina, che controbattevano le argomentazioni in favore del duca, sostenendo invece quelle del vescovo. Fu in questa occasione che il C. scrisse una memoria non datata, ma probabilmente di poco posteriore alle Lettere del Bianchi, diretta al Giannone, cui si rivolgeva ironicamente dicendo: "mi rallegro con voi che seti citato dentro Roma come difensore delle pretenzioni di quella corte" (S. Bertelli, Giannoniana, Milano-Napoli 1968, pp. 318 s.). Il C. proseguiva dicendosi pronto a pubblicare qualsiasi cosa il Giannone avesse voluto replicare. In effetti si rispose al Bianchi con un'altra pubblicazione anonima, le Lettere di replica d'un particolare di Napoli ad un amico di Roma sopra le note pendenze di Gravina, anch'esse senza note tipografiche, a cui egli aveva certamente collaborato.
Nel 1733 da Roma si tentò di impedire che il C. pubblicasse il primo di cinque "ragionamenti", che si diceva egli avesse in animo di pubblicare, ma, benché il nunzio si fosse adoperato con ogni mezzo a sua disposizione per impedirlo, esso uscì, anonimo, con il titolo Ragionamento primo in cui si dimostra che l'immunità delle chiese e quella che godono i chierichi e li beni loro... abbia interamente origine dalle leggi delli imperatori cristiani... e che per la legge divina li beni delle chiese, le persone dei chierici e li loro beni sarebbero sottoposti al peso dei tributi stabiliti, se la pietà dei principi non l'avesse liberati da siffatto carico (fu poi ripubblicato nel 1771 nei volumi X e XI della fiorentina Collezione di scritture di regia giurisdizione).
In esso, come scriveva Domenico Passionei al cardinal Firrao il 31 ott. 1733, si poneva "ogni studio in concalcare con audacia sfrenatissima tutte le leggi divine ed ecclesiastiche che concernono l'immunità della Chiesa" (Marini, Documenti, p. 699). Il C. vi sostiene la tesi, citando la lettera di s. Paolo ai Romani e testi patristici, che tutte le proprietà materiali sono proprietà dei monarca, mentre agli ecclesiastici compete Pimpero delle anime e dello spirito. Ne deriva che il re può ìmporre i tributi che reputa opportuni e che ai sudditi, anche ecclesiastici, incombe l'obbligo di pagarli; soltanto i poveri possono essere dispensati. Negli altri quattro raffloriamenti egli avrebbe dovuto dimostrare che le controversie sorte sulla franchigia delle chiese e degli ecclesiastici potevano essere legittimamente giudicate dal principe; che gli ecclesiastici avevano il dovere di rispettare le leggi, come tutti gli altri cittadini; che al principe era concesso di fare indagini sul comportamento deglì ecclesiastici; che la scomunica comminata dal vescovo di Gravina, come ingiusta rispetto alle leggi umane e a quelle divine, doveva essere considerata nulla. Già alla fine del 1733 però giunse al C. l'"inibizione" del Collaterale a che egli scrivesse ancora e "di questa causa" e per questo e forse per altre considerazioni la stampa dell'opera del C., con ogni probabilità non del tutto pronta, non proseguì.
Il nuovo regime autonomo di Carlo di Borbone, che era stato instaurato nel Regno il 10 maggio del 1734, avendo bisogno di dare un'impressione di rinnovamento, non poteva opporsi alle pressioni esercitate dalla corte di Roma ed era inoltre sollecitato dai tanti che si erano opposti al banco e che nel C. ne vedevano l'ideatore e il tenace realizzatore; pertanto egli fu "giubilato". Tuttavia egli non fu messo da parte e dopo qualche tempo gli fu "fatta grazia che nonostante che fusse giubilato, se gli dovesse dare lo stesso soldo e gli stessi lucri, gaggi et emolumenti che godono i presidenti" (Ajello, La vita politica, p. 588). Già nel 1735 i suoi pareri erano tenuti nel massimo conto, anche se egli non ricopriva cariche ufficiali. Almeno dall'anno dopo fu messa in circolazione a Napoli un'opera manoscritta del C.: Considerazioni proposte a Sua Maestà che Dio guardi intorno agli espedienti più propri per il ristoramento del Real Patrimonio. In essa probabilmente confluiva parte del materiale che avrebbe dovuto servire alla compilazione dei tomi che dovevano seguire al Ragionamento primo.
Nelle Considerazioni il C. sosteneva che era necessario per l'erario pubblico che gli ecclesiastici vedessero abolite le loro immunità e fossero tassati al pari degli altri cittadini. Le loro grandi ricchezze avevano avuto origine dalla liberalità del potere laico, sì erano accresciute con l'uso e gli abusi ed erano difese dai fruitori come un diritto divino; era necessario che il re imponesse loro il pagamento delle imposte, poiché, sosteneva il C., "l'ordine ecclesiastico solamente si ritrova in questo regno in istato di sovvenire il pressantissimo bisogno". Il manoscritto delle Considerazioni, fatte poi oggetto di una confutazione da parte del vescovo di Larino, fu fornito a Celestino Galliani, quando questi, nel quadro dei negoziati che si svolgevano fra le corti romana, napoletana e spagnola, partì per Roma, nel marzo del 1737; il medesimo abate ne richiese poi al C. un'ulteriore copia nel settembre del 1738.
Nel medesimo anno il C. scriveva a Gabani: "È stata sempre al mondo una somma disgrazia per chi serve quando egli vede quel che si può o non si può fare o almeno si deve o non si deve fare, nel medesimo tempo in cui colui che comanda non lo vede. Ma questa è la sorte di chi non può vivere senza servire" (Ajello, Il banco, p. 880). Eppure la sua influenza si estendeva in quegli anni a tutte quelle riforme che il Montealegre cercava di avviare. Una istituzione della più grande importanza fu nell'ottobre del 1739 quella dei magistrato del Commercio, la cui ideazione pare dovuta al Contegna. Presidente ne era il Ventura, con il quale il C. era in pieno accordo, pur essendo rimasto in buoni rapporti con il Giannone, e il C. era uno dei consiglieri. Quando qualche mese più tardi (3 febbr. 1740) veniva emanato l'editto che favoriva l'ingresso degli ebrei nel Regno, il C. divenne delegato degli ebrei.
Sia l'istituzione del magistrato che l'ema nazione dell'editto suscitarono tuttavia ampie opposizioni. Il secondo soprattutto da parte degli ecclesiastici, per venire incontro alle cui richieste Montealegre, nell'estate del 1742, dette incarico al C. di redigere una minuta di progetto. Egli però non riuscì a comporre un documento di mediazione e la minuta risultò una strenua difesa dell'editto ed una condanna contro coloro che lo osteggiavano. Conclusero la vicenda due documenti autentici, ma non pubblici, che furono consegnati uno all'arcivescovo di Napoli ed uno al C., come delegato degli ebrei.
Nel medesimo magistrato il C. fu anche preposto a quanto concerneva l'arte tipografica e a questo proposito egli scrisse anche in Francia, chiedendo "diversi lumi e documenti per portare a perfezione tale arte" e ricevendo due pubblicaziom relative alla materia. Costantemente consultato nelle trattative intercorse in quegli anni fra Stato e Chiesa, egli interferiva anche in questioni di politica estera. Prese infatti posizione, insieme con F. Ventura contro B. Tanucci, che alla fine del 1742 sosteneva la necessità di addivenire alla pace con il bey di Tunisi: "Impedito da gotta" già da parecchi anni, il C. morì, probabilmente a Napoli, agli inizi del luglio del 1745 e non nel 1736, come affermò il Giustiniani.
Benché nelle Biografie dei Magistrati (Arch. di Stato di Napoli, Sezione Grazia e Giustizia) il compilatore affermi a proposito del C.: "Tutta la sua dottrina non consiste che in contrastare li diritti della S. Sede e dei sacerdozio", l'anticurialista C. fu un canonista valido, seguace dei Giannone; come. economista e politico fu una delle personalità più notevoli fra i "regalisti" partecipi di quel fervore di riforme che caratterizzò i primi anni del governo borbonico, "hombre grande", come lo definì il Montealegre, "en ci concepto de todos y consumado en la erudición de las materias jurisdiccionales de este Reyno... uno de los mayores regalistas y ci más iluminado in estas materias" (Melpignano, L'anticurialismo napoletmo, p. 51).
Fonti e Bibl.: P. Giannone, Opere, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971, ad Indicem;L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scritt. legali del Regno di Napoli, I, Napoli 1787 pp. 264 s.; M. Schipa, Il Regno di Napoli ai tempo di Carlo di Borbone, II, Milano-Roma-Napoli 1923, pp. 93, 102 ss., 222; F. Nicolini, Uomini di spada di Chiesa di toga di studio... Milano 1942, pp. 232, 359, 375; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 96 s.; R. Aiello, Il problema della riforma giudiziaria, I, La vita giudiziaria, Napoli 1961, p. 285; II, Il preffluminismo giuridico, ibid. 1965, pp. 57, 59 s.; A. Melpignano, L'anticurialismo napol. sotto Carlo III, Roma 1965, pp. 8, 50-57, 61, 186; L. Marini, Documenti dell'opposiz. curiale a P. Giannone, in Riv. stor. ital., LXXIX (1967), p. 699; R. Aiello, Il banco di S. Carlo..., ibid., LXXXI (1969), pp. 814-817, 821, 826, 829 s., 861 s., 864, 968, 870, 880 s. (con ult. fonti e bibl.); G. Ricuperati, A. Riccardi e le richieste del "ceto civile" all'Austria nel 1707, ibid., p. 764; L. Marini, Il Mezzogiorno d'Italia di fronte a Vienna e a Roma..., Bologna 1970, pp. 73, 76-80, 114, 231, 236-239; G. Ricuperati, L'esperienza civile e relig. di P. Giannone, Milano-Napoli 1970, ad Indicem;G. Gravina, Curia romana e Regno di Napoli, a cura di A. Sarubbi, Napoli 1972, p. 359; R. Aiello, La vita polit. napoletana sotto Carlo di Borbone, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, ad Indicem;G. Ricuperati, Napoli e i viceré austriaci, ibid., ad Indicem.