CONTRUCCI, Pietro
Nato il 27 genn. 1788 a Calamecca (frazione di Piteglio), nella montagna pistoiese, da Giovannantonio e Maria Pocci, in una famiglia di condizioni economiche assai modeste, ebbe come unica opportunità per gli studi le lezioni del parroco Francesco Marchetti e poi l'entrata, nel 1807, nel seminario di Pistoia. Ma l'osservanza dei doveri sacerdotali fu sincera, ed il C. rimase credente tutta la vita, con una vena di schietta pietà, nutrita forse dalle influenze gianseniste ancora vive in una parte del clero pistoiese. Era ancora seminarista quando, nel 1809, si trovò compreso nella coscrizione napoleonica, che cercò in ogni modo di evitare, riuscendo a interessare direttamente Elisa Bonaparte Baciocchi, allora granduchessa di Toscana, che acconsentì a farlo esonerare. Il C. era allora di opinioni antifrancesi, e non nascose la soddisfazione quando, nel '14, ritornarono i Lorena. Nel seminario, a contatto con insegnanti eruditi e ben preparati, stimolato dall'ambiente culturalmente vivace, cercò di rimediare alla modestia della sua preparazione culturale con uno studio attento e letture personali; ma, talvolta, la scelta delle opere gli procurò qualche contrasto con i superiori. Nel '13 fu ordinato sacerdote e inviato a Bacchereto con funzioni di pievano. Qui, nel '17, strinse con Niccolò de' Medici una amicizia assai importante perché lo avviò alla lettura di testi storici, fino ad allora a lui sconosciuti. Da Bacchereto il vescovo di Pistoia e Prato F. Toli lo mandò a predicare a San Giusto, fatica quanto mai ingrata per il C. che non ebbe mai capacità oratorie. Continuava frattanto gli studi e si andava formando una cultura più approfondita.
Lo attestano, soprattutto, le lettere che dal '18 cominciò a scambiare con N. Puccini, uno dei principali rappresentanti del liberalismo pistoiese, che il C. aveva conosciuto quando questi era ancora fanciullo, e con il quale rimase sempre legato da stretta amicizia. Queste lettere rivelano soprattutto i suoi interessi letterari, ma anche un'attenzione costante per gli eventi del suo tempo. Le idee politiche del C. non sono ancora ben delineate; però si avverte già chiaramente la sua insofferenza per la situazione italiana ed una aspirazione all'indipendenza nazionale che non contrasta con il suo sostanziale moderatismo.
I moti napoletani del '20, dei quali gli giunse notizia mentre era coadiutore del pievano di S. Ippolito, lo entusiasmarono e gli parvero l'inizio di una rinascita politica italiana; e con la stessa ansia e partecipazione seguì anche le vicende dei moti piemontesi. Cominciarono così a chiarirsi le sue idee che, in questi anni, sembrano ispirate a principi costituzionali e, soprattutto, si rafforzò la sua insofferenza per ogni dominazione straniera. Simili idee si accentuarono quando la reazione relegò ogni possibilità di azione politica nelle società segrete, aumentandone gli aderenti. Proprio in questo periodo un dissidio sorto col pievano di S. Ippolito e col vescovo Toli lo spinse a rinunciare al suo incarico. Gli fu offerta allora la cattedra di grammatica latina e italiana al liceo "Forteguerri" dove, in seguito, insegnò anche storia e fu bibliotecario.
Con i colleghi del liceo si fece promotore di una serie di letture e discussioni su autori classici. Sorse così, in seno alla preesistente Accademia di scienze, lettere ed arti di Pistoia, la Società degli onori parentali ai Grandi Italiani. Il primo contrasto con l'autorità politica il C. lo ebbe proprio in conseguenza della commemorazione del Sadoleto ('24): alcune allusioni alla debolezza dei principi italiani, che non avevano superato mai il loro municipalismo per unirsi e porre un argine alle occupazioni degli stranieri, spinsero il vescovo Toli a ricorrere al presidente del Buongoverno: questi ordinò il sequestro dello scritto, ma il C. aveva fatto in tempo a correggerlo. Anche se l'attività della Società non fu continua, per una lunga sospensione ordinata dal governo che nelle celebrazioni sospettava un fine patriottico, egli partecipò a tutte le onoranze di cui si fece promotrice e che ebbero risonanza anche fuori del granducato.
In questi anni aveva anche iniziato a scrivere alcune di quelle numerose epigrafi che lo resero noto alla cultura italiana del tempo ed attirarono su di lui l'attenzione di uomini di lettere con i quali ebbe anche scambi epistolari, come P. Giordani, C. Botta, G. Capponi, G. P. Vieusseux e, più tardi, P. Fanfani.
Il suo interesse politico era sempre vivo; il C. continuava a seguire gli avvenimenti europei ed ancor più era attento alle cose d'Italia, alle idee e agli scritti che, legalmente o clandestinamente, circolavano. Con particolare interesse seguiva adesso l'attività letteraria e politica di Mazzini: dagli scritti apparsi sulla Antologia o su L'Indicatore livornese, alla famosa lettera a Carlo Alberto del '31, alla fondazione della Giovine Italia, di cui lesse la Istruzione generale per gli affratellati e il Manifesto. Ma non sembrava affatto propenso ad avvicinarsi agli ideali repubblicani.
Dalle sue memorie autobiografiche sappiamo che inviò, anonima, una lettera a Mazzini perché la pubblicasse nella rivista Giovine Italia. Quiconfutava il principio che l'indipendenza nazionale potesse realizzarsi attraverso la repubblica, e sosteneva che l'agitare tale idea avrebbe provocato una adesione alle posizioni conservatrici delle classi possidenti, oltre a rafforzare il connubio tra la gerarchia ecclesiastica e l'Austria. Respingeva anche l'anticlericalismo del foglio mazziniano e proponeva come soluzione l'idea di una federazione tra i principi italiani quale unica via per ottenere l'indipendenza del paese (Memorie della vita e del tempo mio, inedite, a Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Carte Contrucci, XIV, ins. 6 e 7). Il C. afferma che Mazzini non pubblicò la sua lettera e neppure gli rispose; aggiunge che da quel momento si separò "nel segreto del cuore dal Mazzini e dalla sua idea"; e ciò potrebbe significare che, se - come sottolineò sempre - non si iscrisse mai alla Giovine Italia, ne seguì forse, per qualche tempo, le sue idee. Ècerto, però, che, negli anni seguenti, non solo prese spesso posizione contro Mazzini, ma caldeggiò, momentaneamente, l'idea di una soluzione monarchica unitaria o, come scrisse, "l'unità d'Italia in un regno che, tranne la barbarie e il dispotismo, ricordasse quello di Teodorico" (ibid., XIV, ins. 7, c. 131). Comunque, non risparmiò i suoi attacchi anche alla reazionaria La Voce della verità di Modena che, del resto, aveva duramente condannato la sua lettera Aipreti italiani e un Catechismo italiano che il Montanelli gli attribuisce, ma di cui il C. respinse più volte la paternità, così come negò la propria appartenenza a qualsiasi setta. D'altro canto, già in questi anni, manifestò il proprio deciso antigesuitismo, anche se distinse sempre tra l'istituzione religiosa in sé commendevole e benefica e la sua indebita trasformazione in una setta politica; ed è sintomatico che le sue simpatie andassero invece piuttosto verso dei religiosi scolopi, come il p. T. Pendola.
Le evidenti opinioni liberali del C. e i suoi rapporti con persone considerate molto sospette attirarono presto su di lui l'attenzione della polizia politica toscana.
Il 4 maggio dei '31 un rapporto al Buongoverno lo indicava come il capo, a Pistoia, di una clandestina Confederazione italiana che si sarebbe proposta di operare dei colpi di mano con l'aiuto della Francia. L'informazione è, certo, assai fantasiosa, perché indica addirittura tra i dirigenti toscani di questa setta il Capponi e il Ridolfi; ma, nel rapporto, era avanzata anche l'ipotesi più plausibile che il C. fosse autore di composizioni satiriche antigovernative (Arch. di Stato di Firenze, Buongoverno segreto 1833, filza 30, affare 413). Il 27 giugno, un'altra nota di polizia lo segnalava come indiziato di appartenere alla Giovine Italia, dì corrispondere con i profughi mazziniani e, in particolare, con il La Cecilia, e di aver parte nella diffusione della stampa clandestina (ibid., f. 23, aff. 164). Queste denunce fecero il loro corso; così, nel luglio, il suo nome comparve, in una nota proveniente dal ministro Corsini, insieme a quello del Salvagnoli, fra i nominativi di persone sospette di corrispondere con i liberali di altri Stati (ibid., f. 31, aff. 432).Verso la metà dell'agosto 1833 furono arrestati alcuni pistoiesi sospetti di liberalismo, presto seguiti anche dal C.: questi, nella notte tra 2 e il 3 sett. 1831, fu arrestato nella sua abitazione e tradotto al tribunale di Pistoia, dopo una perquisizione nel corso della quale gli furono sequestrate duccentoquattordici epigrafi "inedite, a lode e vituperazione degli uomini italiani famosi per virtù e vizi". Nel frattempo, altri arresti erano compiuti in altre località della Toscana, con l'imprigionamento del Salvagnoli, del Bini, del Guerrazzi, tutti sospettati di far parte della società dei Veri Italiani. Il 3 settembre stesso il C. fu tradotto a Firenze, e la sera inviato a Livorno, ove fu rinchiuso nella fortezza vecchia. Qui iniziò a tradurre in italiano i Soliloquia di s. Agostino, confortato anche dalle visite del vescovo di Livorno, A. M. Gilardoni, col quale rimase poi sempre in amichevoli rapporti.
Sembra che l'esperienza del carcere fosse per lui particolarmente sconvolgente e lo colpisse come una grave ingiustizia, "dopo tante novene fatte e fatte fare perché vincesse l'Austria, dopo tante esultanze e poesie, e prediche per la Restaurazione", secondo quanto il C. ebbe a scrivere (Effemeridi della decennale malattia, in Carte Contrucci, XIV, n. 1 [3], c. 19). Del resto la sua permanenza nella fortezza durò poco, perché il 18 ottobre fu trasferito nel carcere presso il convento dei cappuccini. Ma anche questo cambiamento non diminuì la sua angoscia e il suo sgomento che si trasformarono in vera e propria malattia; anzi, in quei giorni, arrivava a maledire la politica e sperava di avere "tempo e modo di palesare i [suoi] principi che son quelli del governo che [lo] imprigiona", e decideva: "per me addio giornali, e quant'altro parla di politica" (Continuazionedelle effemeridi della mia malattia, ibid., XIV, n. 1 [2], cc. 12 s.). Si comprende quindi come, tra i liberali pistoiesi, potesse correre voce di una sua totale conversione politica (Arch. di Stato di Firenze, Buongoverno segreto 1833, f. 29, aff. 338).
Liberato il 13 dicembre, il 17 era già a Pistoia; ma, se il 20 fu riammesso all'insegnamento nel liceo, il 10 genn. 1834 venne dichiarato decaduto dall'ufficio di bibliotecario. La dura esperienza lo tenne lontano da un'aperta attività politica negli anni seguenti.
I rapporti di polizia sul suo conto, inviati mensilmente al Buongoverno dal gennaio '34 fino all'aprile, '35 (ibid., 1834, f. 13, aff. 52; 1835, f. 11, aff. 38), riferiscono sempre, concordemente, che il C. si conteneva con prudenza e moderazione, senza dar luogo a sospetti, anche se non mancano di segnalare i suoi contatti cauti e riservati con alcuni liberali e persone sospette di simpatie repubblicane. In ogni caso, la polizia continuò però a sorvegliarlo e a render conto al governo del.suo comportamento. Nel '35, la sua nomina a maestro di lingua francese, storia e geografia in un educandato femminile allarmava, infatti, le autorità pistoiesi che consideravano il fatto come un'"invasione del liberalismo" nel campo dell'istruzione (ibid., 1835, f. 11, aff. 38). Il 27 luglio '36 (ibid., 1836, f. 11, aff. 73), era poi segnalata la sua partecipazione, il giorno precedente, ad un pranzo insieme al Sismondi con il quale ebbe rapporti di familiarità testimoniati da numerose lettere (per le lettere del Sismondi, cfr. Carte Contrucci, XVIII, ins. 29). Si trattava di sospetti sempre più tenui; in genere, le informazioni di polizia confermano che il C. aveva abbandonato qualsiasi attività politica di rilievo. Ne è prova il fatto che, nel '46, dovendo egli essere eletto socio dell'Ateneo di Bassano, il Buongoverno forniva alla legazione austriaca notizie rassicuranti, dichiarando che il C. era ormai alieno da qualsiasi associazione politica e preoccupato solò dei suoi studi (ibid., 1846, f. 24, aff. 135).
In effetti in questo periodo il C. si dedicò moltissimo all'attività letteraria, continuando a scrivere le sue epigrafi, stampando nel '34, a Firenze, Le virtù di Luca della Robbia, in omaggio al Gilardoni, divenuto allora vescovo di Pistoia, e, a Pistoia, la traduzione dei Soffloquia e una raccolta di Epigrafi gratulatorie;nel '35, a Prato, una illustrazione del Monumento robbiano nella loggia dell'Ospedale di Pistoia;nel '36, a Firenze, la Vita di s. Ippolito milite e martire e, ancora, orazioni funebri e necrologi, tra i quali quello per il Gilardoni, morto nel '35. Nel '37, a Pistoia, raccoglieva le sue epigrafi, sotto il titolo di Iscrizioni italiane, mentre nel '38 pubblicava, sempre a Pistoia, una nuova edizione del lavoro sul fregio robbiano dell'ospedale del Ceppo. Inoltre il C., che fin dal '31 aveva seguito con vivo interesse l'attività educativa di E. Mayer, si occupava anche di problemi pedagogici e delle scuole di mutuo insegnamento, s'interessava allo sviluppo della Cassa di risparmio di Pistoia (della cui commissione amministrativa fu membro) ed alla progettazione della strada ferrata tra Pistoia e il confine pontificio (nel '44 fece anche parte del consiglio di amministrazione della Strada ferrata Leopolda) C. Soprattutto, partecipava con grande impegno alla rinnovata attività dell'Accademia pistoiese. I suoi interessi si estendevano, inoltre, anche ad argomenti storici, geografici e statistici, come dimostra l'accurato Quadro geografico-statistico, del Compartimento pistoiese, edito a Pistoia nel '39, nel quale sono raccolte interessanti e circostanziate notizie sulla vita economica del Pistoiese e, in genere, del granducato. L'anno successivo pubblicava nella Viola del pensiero di Livorno un suo scritto, La donna, che trattava dell'educazione delle donne e della necessità di una riforma dei sistemi pedagogici per la loro formazione; e alcune affermazioni politiche di tono più che moderato suscitarono aspre reazioni in taluni ambienti liberali. Frattanto i rapporti con i letterati, specialmente toscani, diventavano ancora più estesi ed ai suoi consueti corrispondenti si aggiungevano il Guerrazzi ed il Giusti.
Proprio con quest'ultimo il C. ebbe, però, nel '39, un dissidio in merito ad alcuni giudizi del poeta nei confronti del comportamento di Carlo Alberto. Il contrasto si aggravò per l'inserzione nella prima edizione delle Poesie del Giusti di un sonetto apocrifo molto duro verso il C., al quale venivano rimproverati, prendendo spunto proprio da La donna, i suoi cedimenti e le sue attuali idee politiche.
Negli anni tra il '40 e il '48 il C. continuò la sua intensa attività letteraria, provvedendo, nel '41, a raccogliere in quattro volumi le proprie Opere edite e inedite, stampate sempre a Pistoia, e a stendere nuove iscrizioni, necrologi, scritti commemorativi. Nel '44, partecipò al Congresso Aegli scienziati italiani che si teneva a Milano, compiendo un viaggio nel Lombardo-Veneto e a Bologna. Ma tornava anche ad occuparsi di cose politiche, attratto, soprattutto, dagli scritti del Gioberti, del Balbo e dell'Azeglio, nei quali cercava e trovava orientamenti per la sua ormai sempre più decisa posizione di liberale moderato e federalista. Riprendeva anche vecchi contatti politici e ne stringeva di nuovi. Nel '45, a nome dell'Accademia, invitava a Pistoia, perché commemorasse Galileo, il Guerrazzi che, a sua volta, lo pregava di collaborare a IlCorriere livornese;e l'invito fu poi ripetuto da S. Giannini quando, dopo l'arresto del Guerrazzi, assunse la direzione del giornale (per i rapporti C. Guerrazzi, cfr. Carte Contrucci, XVII, ins. 21). È quindi comprensibile che il C. accogliesse le notizia dell'elezione di Pio IX con grande entusiasmo, esultasse per le nuove leggi granducali sulla stampa, per il rapido fiorire di nuovi giornali, e salutasse con calore la formazione della guardia civica, in cui onore, nel '47, scrisse un sonetto.
In quell'anno era sorta a Pistoia la società Amici del popolo, formata dagli elementi più in vista del liberalismo pistoiese. La società si proponeva di svolgere attività di educazione politica con la pubblicazione di articoli su fogli volanti, sotto forma di "Schiarimenti al popolo" o "Parole al popolo". Ed è probabile - secondo il Chiti (IlRisorgimento, p. 106) - che fosse opera dello stesso C. il foglio volante apparso a Pistoia il 26 ottobre, dal titolo I liberali, firmato "Un amico del popolo", che gli sembra comunque ispirato alle sue idee. Agli inizi del '48, egli divenne presidente dei Circolo politico pistoiese, a nome del quale invitò il Gioberti a Pistoia; e, invero, gli avvenimenti dei primi mesi di quell'anno sembrarono realizzare le sue aspirazioni federalistiche, proprio nella linea del programma giobertiano al quale pienamente aderiva. La sua attività politica e pubblicistica fu assai intensa: alcuni suoi scritti comparvero su La Rivista di Firenze (Sui recenti casi di Roma e per l'attuale nostro stato) e su La Concordia (Lettera al direttore; Ai fratelli italiani, ristampa di un foglio volante, firmato "Un ottavo amico del popolo"; L'Italia ai suoi figli), mentre, a nome del Circolo politico pistoiese, inviò un indirizzo Al capitano d'Italia Carlo Alberto. In questi scritti il e. insisteva, soprattutto, sulla necessità di unione fra gli Stati italiani per raggiungere l'indipendenza e dimostrava di riporre tutte le sue speranze nel re di Sardegna di cui rimase sempre un tenace ammiratore.
Fu quindi profondamente amareggiato dalle successive vicende politiche e militari, che gli parvero dovute principalmente al disaccordo tra i principi, alla scarsa partecipazione popolare ed alla cattiva prova dei comandanti militari piemontesi.
In merito agli eventi della guerra, il Chiti (Il Risorgimento, pp. 157 ss.) pubblica una lettera datata 25luglio '48 di F. Giunti al C. dalla quale risulta che questi sarebbe venuto a conoscenza dei piani strategici dell'Austria, per mezzo di un ufficiale napoletano, e che li avrebbe comunicati a Carlo Alberto per il tramite del ministro Pareto. Sempre il Chiti riferisce diffusamente le prese di posizione del C. nei confronti dei principali protagonisti delle vicende del 1848-49 e i suoi giudizi, spesso aspri e di dura condanna. In particolare accusava di aver contribuito alla sconfitta il governo democratico di Firenze e quello repubblicano di Roma che, persi in vane discussioni e trascinati dal loro settarismo, avevano trascurato il fatto più importante, e cioè la partecipazione alla guerra, e rese irreparabili le divisioni tra gli Italiani (ibid., pp. 60-74). È inoltre interessante notare che, dopo la restaurazione e l'amnistia granducale, egli classificò così gli esclusi: " 1) congiuratori capi della setta demagogica; 2) perversi senza scopo politico; 3) ambiziosi di onore; 4) cupidi di denari; 5) ignoranti fanatici; 6) emissari o compri da' nemici di Italia" (ibid., p. 65).
Sebbene accettasse, nel 1850, la nomina a consigliere comunale, mantenne le distanze dal governo granducale restaurato che abbandonava le forme costituzionali. Tuttavia, attaccò duramente il Mazzini, accusato di "ostinazione inconcepibile nelle sue follie, ignoranza profonda degli uomini e delle cose, imperizia completa, politica puerile, misticismo ridicolo", e il Montanelli, "uomo senza tatto politico, studioso di rovesciare, impotente a edificare"; né risparmiò il Guerrazzi, definito "ambizioso e intrigante" e, quando dimostrarono simpatie mazziniane, anche il Brofferio e il Valerio. Criticò poi aspramente il Manin, ritenendo un "atto di demenza politica" il programma da lui proposto nel '55.
Durante la seconda restaurazione, il C. continuò a dedicarsi alla sua consueta attività di epigrafista, autore di necrologie e biografie ed alla corrispondenza epistolare con letterati e uomini politici, come il Mamiani, il Pacinotti, il Cibrario e lo Zobi. Ma i suoi interessi politici erano tuttora assai vivi, come dimostra una sua Cronaca italiana iniziata nel '49, interrotta e ripresa dal febbraio del '55, che condusse sino alla morte ed è rimasta inedita' (Carte Contrucci, XIII, nn. 7-10; XII); ad essa il C. affidò i suoi giudizi e le sue riflessioni sugli eventi di quegli anni. Delle sue aspirazioni e speranze politiche sono documenti anche i "canti popolari" Allabandiera d'Italia e All'Italia, pubblicati ne L'Istitutore, rispettivamente nel '56 e nel '58. Appunto in quest'ultimo anno, avvicinandosi la nuova guerra, egli rafforzò i suoi legami con i moderati toscani e scambiò anche qualche lettera con C. Bon Compagni, ministro sardo a Firenze. Né stupisce che, sempre nella primavera del '58, Vittorio Emanuele II lo nominasse cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Gli eventi del '59, dal matrimonio di Clotilde di Savoia con Girolamo Bonaparte (che celebrò con un'epigrafe), all'inizio della guerra ed al pronunciamento toscano del 27 aprile, accentuarono il fervore patriottico del C. che vedeva nell'iniziativa piemontese l'unica via per il raggiungimento dell'indipendenza nazionale. Ciò appare evidente negli scritti di questi mesi, dal canto popolare Allo Statuto (che pubblicò su L'Istitutore, insieme a un ricordo per i pistoiesi caduti nella prima guerra d'indipendenza, alle Epigrafi dieci in commemorazione dei caduti a Curtatone e Montanara, in Il XXIX maggio 1848. Il Chiti (IlRisorgimento, p. 109) gli attribuisce anche l'opuscolo Leopoldo II e la Toscana. Parole di un sacerdote al popolo, stampato a Firenze. La notizia Oell'armistizio di Villaftanca colpì quindi particolarmente il C. che vide nuovamente in pericolo l'indipendenza italiana e ripose ogni sua speranza in una rapida unione della Toscana con il Regno sardo. Portato candidato a Serravalle, nelle elezioni per l'Assemblea dei rappresentanti toscani, fu tra gli eletti. Ma, giunto a Firenze per l'inizio dei lavori, si ammalò improvvisamente e morì il 24 ag. 1859. La salma fu traslata a Pistoia dove le vennero tributate solenni onoranze.
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