COPPO, Pietro
Nacque a Venezia da Marco, nella seconda metà del 1469 o nella prima del 1470. come si evince dal suo testamento, scritto il 7 luglio 1550, dove egli dice di aveie ottanta e più anni.
La sua famiglia era tra le più antiche del patriziato veneziano: originaria di Caorle, fece parte del Gran Consiglio e diede alla Serenissima parecchi podestà e castellani, anche se non eccelse mai per importanza politica, forse perché priva di grandi ricchezze; il padre è probabilmente da identificarsì coi Marco Coppo che fu castellano di Moccò nel 1471-1472.
Studiò a Venezia, dove ebbe maestro per tre anni il grande umanista Marcantonio Sabellico, alla cui scuola sappiamo, per attestazione del prete isolano Giovanni Thamar (1581), lesse tra l'altro Plinio, testo certo significativo per il successivo svolgersi della sua opera. Compiuti gli studi intraprese lunghi viaggi, visitando tutta l'Italia e navigando per quasi tutto il Mediterraneo. Apprendiamo da lui stesso che aggiornò a Roma, ove ebbe amichevole frequentazione con l'umanista Pomponio Leto, maestro del Sabellico; fu al seguito di Pietro Trevisan, legato della Serenissima, in Lombardia e, per un anno e mezzo, a Napoli (1493-1495); per sei anni soggiornò a Candia col padre presso lo zio paterno Nicolò, il quale ricoprì nell'isola la carica di provveditore durante il 1501. Ritornato in patria, accettò, presumibilmente per scarsezza di mezzi, l'incarico di cancelliere podestarile in varie città: e forse in questa veste fu infing nell'Istria, a Isola, destinata a divenire la sua città elettiva. Non è dato conoscere quando esattamente vi si trasferisse, ma si sa che ivi sposò il 1°genn. 1499 la ricca isolana Colotta, figlia di ser Cado di Ugo, la cui famiglia era stata aggregata al Consiglio di Isola nel 1459, grazie all'intervento dei doge Pasquale Malipiero. Venne così ad eleggere stabile dimora nella cittadina, alla cui vita pubblica partecipò attivamente, sia per la professione di notaio, sia per gli incarichi che gli furono affidatì e per le cariche che ricoprì: verso la fine del 1505 fu inviato come oratore a Venezia per chiedere la conferma di speciali concessioni di cui godeva Isola. Il successo da cui fu coronata la missione diplomatica fece sì che il Consiglio di Isola gli concedesse il 1°febbr. 1506 la cittadinanza, annoverandolo nel contempo fra i suoi membri e mettendolo così in condizione di percorrere il cursus honorum comunale: cancelliere nel 1511, è poi molte volte vicedomino (almeno nel 1514, 1531-32, 1534-35, 1538-41, 1546-53 e forse altre volte prima del 1514 e tra il 1514 e il 1530), giudice nel dicembre del 1533; nel 1536 è incaricato, insieme con Nicolò Manzuoli, di dirigere i lavori di scavo del porto e di riparazione del molo; nell'agosto del 1537 assume provvisoriamente la carica di cancelliere pretorio; nel 1546 è nuovamente inviato a Venezia, insieme con Domenico Carlin, per chiedere la conferma dei privilegi e nuove concessioni per la città.
Gli impegni dei pubblici uffici politici e civili non impedirono al C. di coltivare gli studi, ai quali attese durante tutto l'arco della sua esistenza. Ormai cinquantenne, mise in forma l'opera sua maggiore, il De toto orbe, certo già compiuta prima dell'ottobre 1520, data della morte di Palladio Fosco che vi premise un epigramma.
L'opera è rimasta inedita, benché appaia aver goduto di una certa fortuna. Il miglior codice che ce la conserva sembra essere il bolognese A. 117 (già 16. b. I. 1.) della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, di antica provenienza veneziana (ex libris Corner: forse di Giorgio, fratello della regina di Cipro Caterina), completo di ventidue tavole dipinte a mano, è un atlante di grandissimo interesse e importanza per l'epoca; ne è noto un altro manoscritto, il Lat. 9663 della Bibliothèque nationale di Parigi, peraltro privo di alcun corredo di carte (reca solo una rosa dei venti dipinta a f. 243r); mentre una copia presumibilmente autografa il C. stesso stabiliva per testamento fosse collocata accanto alle opere dei maestro Sabellico nel monastero di S. Maria delle Grazie, nell'omonima isola della laguna di Venezia: segno questo non dubbio della stima che egli faceva di quest'opera. Le carte più rilevanti del De toto orbe del codice bolognese appaiono: la II (planisfero comprendente il Mundus novus a Ovest e un'isola non nominata a Est, che è certo Cipangu, il Giappone: che compare del resto nella XXI, verso estremo della carta a Nordest, l'isola di Cimpagri, in una rappresentazione dell'Asia orientale); la V (penisola iberica); la IX (Italia: certo derivante da carte nautiche, si presenta affine al tipo della carta incollata nell'incunabolo 424 della Biblioteca Ambrosiana di Milano); la XII (Grecia, dove è specialmente notabile la rappresentazione di Candia, manifestamente meglio nota al C. che vi aveva lungamente risieduto; mentre del resto è evidente che anche questa tavola poggia su carte nautiche); la XV (Africa settentrionale e di Nordovest) e la XVI (Africa centrale e meridionale, col Caput bonae spei;le due carte giustapposte ne formano una unica: e da una siffatta, forse in più fogli e probabilmente portoghese o poggiante su rilievi portoghesi, sembrano derivare); la XVII (Asia Minore: molto buona vi è la rappresentazione dell'isola di Cipro); la XVIII (Palestina, diversa dai tipi correnti); la XIX (Europa settentrionale, Asia occidentale e centrale: carta di grande interesse per il disegno delle regioni scandinava e sarmatica, del Mar Caspio e del Golfo Persico e dell'India settentrionale); la XXII (Sudest asiatico, interessante specie per Giava).
L'opera venne successivamente (circa 1522-1526) compendiata in una Summa totius orbis, parimenti rimasta inedita, il cui miglior manoscritto si conserva nella Biblioteca municipale di Pirano, corredato di quindici carte xilografiche (delle, quali è questo l'unico esemplare noto): né è impossibile, date le caratteristiche del volume, che esso fosse originariamente dotato di un maggior numero di carte, forse addirittura di ventidue, come nella redazione maggiore conservataci dal manoscritto di Bologna.
Quattro di queste carte sono datate (1524, 1525, 1526), e testimoniano di ulteriori lavori di arrangiamento di questo atlante, la cui. importanza non sfuggiva evidentemente all'autore. Rispetto al codice bolognese mancano almeno una dozzina di carte, mentre altre vi appaiono compendiate con semplificazioni soprattutto toponomastiche, ma anche idrografiche, come avviene nel caso esemplare dell'VIII carta che riunisce il quadro offerto dalle carte X, XI e XII del manoscritto dell'Archiginnasio, dalle quali palesemente deriva. L'attenzione del cartografo appare nella Summa piùdecisamente rivolta all'Italia, illustrata con due belle carte, una per l'Italia settentrionale, purtroppo mutila, e una per l'Italia meridionale: in queste rappresentazioni, pur carenti per quanto riguarda Sardegna e Corsica, vi è un grande progresso rispetto al codice bolognese: molti errori sono corretti, gli abitati sono più numerosi, l'idrografia più dettagliata. Ancor più particolare è la cura dedicata ai luoghi più familiari al C., come la regione veneta, l'Istria, Candia e inoltre Cipro.
È nella Summa che per la prima volta compare la celebre carta dell'Istria (1525), la più antica che si conosca, a stampa, di questa regione, straordinariamente bella nonostante i suoi innegabili difetti. Per la prima volta è resa la forma affusolata della penisola, con un disegno delle coste assai corretto, e con un reticolo idrografico complessivamente buono, mentre la plastica è meno felice; prezioso il gran numero di indicazioni, toponomasticamente corrette, di sedi umane, con precisa distinzione della loro diversa importanza: città, terre, castelli, Ville, cortine, molini, monasteri e chiese isolati, osterie, saline, fornaci, fontane, e così via. La carta dell'Istria è particolarmente ricca e precisa nella descrizione delle coste, mentre all'interno è più specialmente tesa all'individuazione delle sedi umane, in particolare fuori dei confini della Serenissima: ciò sia per le fonti, che sono evidentemente accurati documenti cartografici nautici da un lato, rilievi ufficiali della Repubblica veneta dall'altro, sia per la funzione, che è di carta nautica (offre tutti i riferimenti necessari alla navigazione ed ai rifornimenti) e anche di documento ufficiale, utilizzabile pure per scopi amministrativi e militari. Notevole è anche la carta del delta padano, per la bellezza del disegno, per l'antichità (è anteriore alla celebre produzione del Sabbadino, benché analogamente derivante da materiali ufficiali), per la ricchezza dei centri abitati; di pari interesse e originalità è infine la carta dell'isola di Candia. La Summa è conservata anche a Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. Lat., cl. X, 146 (=3391) e nel citato manoscritto di Parigi.
Nel 1528 il C. pubblicò a Venezia, stampato da Agostino Bindoni, un Portolano in 16°, con un planisfero e otto piccole carte. Il volumetto deve la sua notorietà soprattutto alla rappresentazione dell'America inserita nel planisfero; del resto andò rapidamente fuori di circolazione, forse anche a causa del formato tanto piccolo, ed è a tutt'oggi rarissimo. Un esemplare ne conserva la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia.
Verso il 1530, pregato dall'amico Giuseppe Faustino, che era stato suo condiscepolo alla scuola del Sabellico, il C. stende il Del sito de Listria, che sarà stampato a Venezia da Francesco Bindoni e Maffeo Pasini nel 1540, e che rimane a tutt'oggi l'opera più fortunata e l'unica più volte ristampata, insieme con la carta, pure dell'Istria, che conobbe svariate riprese.
Per arricchire la propria documentazione prima della stesura dell'opera corografica il C. intraprese un viaggio di due mesi, benché fosse ormai sessantenne, dando prova di grande robustezza (dei resto è ricordato anche dal Thamar come uomo vigoroso e parco); costeggiò allora in barca tutta l'Istria e la visitò nell'interno, fornendone un resoconto che tradisce, innanzi tutto, l'autore del Portolano nella cura particolare con cui è descritta la costa, e l'abitante di Isola nella preponderanza della parte spettante alla cittadina. Scadente invece è la carta annessa all'operetta, tanto da far dubitare della sua paternità (Cucagna).
Il C. morì a Isola tra il 1°dic. 1555 e il 29 genn. 1556.
Lasciava beni non modesti ai cinque figli: Marco, più volte giudice, già morto nel 1570; Giovanni, notaio, anche lui più volte giudice e vicedomino, sindaco infine nel 1560 e 1562, morto tra il 23 ag. 1562 e il 13 febbr. 1563; Francesco, Vincenzo e Antonio, che non sembrano aver ricoperto cariche pubbliche. Nel testamento il C. ricorda come meglio dedito agli studi nella sua famiglia (e lui perciò istituisce unico erede di tutta la sua biblioteca) il nipote Nicolò, figlio di Marco, nato il 28 febbr. 1540 e morto a Isola nel 1587, dopo aver ricoperto svariati uffici pubblici.
Fonti e Bibl.: Svariati riferimenti autobiografici, con particolare riguardo ai viaggi, agli studi, alle conversazioni erudite, il C. ha disseminato nelle sue opere; una raccolta di documenti ha pubblicato A. Degrassi, Di P. C. e delle sue epere: documenti inediti e l'opuscolo Del sito de Listria ristampato dall'edizione del 1540, in Archeografo triestino, s. 3, XI (1924), pp. 319-387, ristampato in Scritti vari di antichità, IV, Trieste 1971, pp. 367-423 (ivi i Documenti alle pp. 392-412); altre notizie, anche sul figlio Giovanni e il nipote Nicolò in Id., Podestà e vicedomini d'Isola, in Arti e mem. della Soc. istriana di archeol. e storia Patria, n.s., XVII (1969), pp. 9-12, ristampato in Scritti..., IV, pp. 363-366; un breve trattato Dell'antichissima famiglia Copa Nobile Veneta è stato scritto da F. Olmo nel 1628 (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 90 [= 8029], ff. 186-198), ma il C. non vi è menzionato; parimenti fallace un'indicazione del Donazzolo: il ms. Gradenigo 185 della Bibl. del Civico Museo Correr di Venezia a f. 324v dà notizia non già del C. ma di Agostino Coppo quondam Fantino, riferendone della vita un episodio meglio noto attraverso M. Sanuto, Diarii, VI, Venezia 1881, col. 135; di carattere aneddotico e non tutte esatte le notizie fornite da un prete isolano del sec. XVI, G. Thamar, Isola nel 1581, a cura di P. Besenghi degli Ughi, in L'Istria, III (1848), p. 51; J. Morelli, Lettera rarissima di Cristoforo Colombo, Bassano 1810, pp. 63-65; P. Stancovich, Biografia degli uomini distinti dell'Istria, Trieste 1829, II, pp. 84-93; H. Harrisse, Bibliotheca americana vetustissima: a Description of works relating to America published between the years 1492 and 1551, I, New York 1866, pp. 264-266; G. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, VI, Venezia 1873, pp. 72-73; G. Marinelli, Saggio di cartografia della regione veneta, Venezia 1881, pp. 102, 109, 116 s., 128 s.; E. E. Nordenskiöld, Facsimile-Atlas to the early history of cartography with reproductions of the most important maps printed in the XV and XVI centuries, Stockholm 1889, p. 103; K. Kretschmer, Die Entdeckung Amerika's in ihrer Bedeutung für die geschichte des Weltbildes, Berlin 1892, pp. 350 s., Atlas, tav. XIV, 5; Racc. di docum. e studi pubbl. dalla R. Comm. Colombiana pel IV centenario della scoperta dell'America, VI, Roma 1893, p. 98; V. Essling, Les livres à figures venitiens de la fin du XVe siècle et du aommencement du XVIle, II, 2, Florence-Paris 1909, p. 655; C. Lucchesi, Inv. dei manoscritti della Bibl. com. dell'Archiginnasio, I, Firenze 1924, p. 59; P. Revelli, Terre d'America e archivi d'Italia, Milano 1926, pp. 114-115; R. Almagià, Note on a map of the British Isles by P. C. in Geographical Journal, LXIX (1927), pp. 441-444, tav.; L. Bagrow, A Ortelii catalogus cartographorum, I, in Petermanns Mitteilungen, XLIII (1928), 199, pp. 56-58; Monumenta Italiae Cartographica. Riprod. di carte generali e regionali d'Italia dal sec. XIV al XVII, a cura di R. Almagià, Firenze 1929, pp. 14-15, 18-19, 74, tav. XVI, XX, 3-4: P. Donazzolo, Iviaggiatori veneti minori, studio bio-bibliografico, Roma 1929, pp. 98-100; R. Almagià, P. C., in Encicl. Ital., XI, Roma 1931, p. 329; C. Errera, Di P. C. e della sua opera "De toto Orbe" (1520), in Rend. dell'Acc. delle scienze dell'Ist. di Bologna, classe di scienze morali, s. 3, VIII (1933-34), pp. 25-47; A. Marussi, Saggio di cartografia giuliana dai primordi al sec. XVIII..., Trieste 1946, pp. 13-15; A. Degrassi, P. C., in Pagine istriane, s. 3, I (1950), 4, pp. 87-92; R. Almagià, The Atlas of P. C., in Imago Mundi, VII (1950), pp. 48-50, tav.; L. Bagrow, Die Geschichte der Kartographie, Berlin 1951, pp. 144-145, 338; Mostra dei navigatori veneti del Quattrocento e dei Cinquecento (catal.), a cura di T. Gasparrini Leporace-M. F. Tiepolo, Venezia 1957, pp. 89-91; A. Cucagna, Le conoscenze dei fenomeni carsici della Venezia Giulia sino alla metà del secolo XVII, Trieste 1959, pp. 8-10; Catal. della Mostra storica di cartografia della Venezia Giulia e del Friuli, a cura di A. Cucagna, in Atti del XVIII Congresso geografico ital., Trieste 4-9 apr. 1961, III, Trieste 1964, pp. 30-43; L. Bagrow-R. A. Skelton, Meister der Kartographie, Berlin 1964, pp. 192 s., 479.