Pietro Custodi
Giacobino, giornalista, funzionario, editore di testi. Pietro Custodi è un personaggio al quale la storia del pensiero economico italiano ha assegnato un posto di primo piano non tanto per la sistematicità del pensiero quanto per il fondamentale contributo legato alla pubblicazione dell’importante raccolta degli Scrittori classici italiani di economia politica, collana con la quale, a cavallo tra la seconda Repubblica cisalpina e la Repubblica italiana, prese forma un progetto culturale assai rilevante in chiave di elaborazione mitografica del primato italiano, rivalutando una tradizione successivamente apprezzata da studiosi del calibro di Karl Marx e Joseph Alois Schumpeter.
Pietro Custodi nacque a Galliate, vicino a Novara, il 29 novembre 1771, da una famiglia di origini piuttosto modeste. Rimasto orfano di padre all’età di tre anni, fu allevato dalla madre. Dopo aver compiuto i primi studi a Novara passò a Milano nel celebre collegio barnabita di Sant’Alessandro e successivamente a Pavia, dove ottenne la laurea in giurisprudenza nella primavera del 1795.
Durante il triennio repubblicano si dedicò al giornalismo militante: nel 1797 fondò il «Tribuno del popolo» – che iniziò le pubblicazioni il 2 agosto ed era destinato a essere sospeso dopo soli tre numeri – facendosi portavoce di interventi fortemente critici nei confronti delle autorità cisalpine e del loro asservimento agli occupanti francesi. Un attacco contro Napoleone Bonaparte condusse alla sospensione del periodico e all’ordine di arresto contro il giornalista. Nei mesi seguenti si astenne prudentemente da interventi pubblici, trovando peraltro un primo incarico pubblico in qualità di redattore presso il Gran consiglio del corpo legislativo. Dimessosi poco dopo per riprendere la sua funzione critica militante, venne arrestato in due occasioni. Nei mesi che precedettero la fine della prima Cisalpina, pur smorzando i toni (ciò che gli valse anche la nomina a segretario nell’ufficio della contabilità nazionale), non rinunciò a biasimare l’involuzione della vita politica, sempre più ostaggio delle strette repressive imposte dal Direttorio.
Con la fine della prima Repubblica cisalpina e l’arrivo delle truppe austro-russe Custodi non subì particolari ritorsioni ma, dopo Marengo e il ritorno dei francesi, la valutazione di quanto accaduto nel triennio precedente unitamente all’attenta considerazione del mutevole quadro politico internazionale – in particolare nella Francia post Brumaio – lo indussero ad assumere un atteggiamento diverso.
Sin dal giugno 1800, dopo essere stato inviato a ricevere il vincitore di Marengo, si adoperò nella redazione dell’«Amico della libertà italiana», un giornale che si propose di indicare ai democratici un terreno concreto di collaborazione costruttiva con le autorità.
Segretario generale della divisione di polizia del Ministero di Giustizia e polizia nel settembre 1800, fu poi trasferito al Ministero degli Interni con il grado di capodivisione della divisione di economia pubblica, venendone tuttavia allontanato in ottobre per volontà del ministro Luigi Villa. Fu allora che si consolidarono in Custodi gli interessi per le questioni economiche e statistiche da cui ebbe origine la celebre raccolta degli Scrittori classici italiani di economia politica (SCIEP), il cui successo contribuì al suo definitivo reintegro nella classe dirigente napoleonica.
Destinato a fare una rapida carriera e a ricevere importanti onorificenze, Custodi fu segretario negli uffici della contabilità nazionale nel 1804 e due anni più tardi segretario generale del Demanio; un posto che nell’autunno del 1807 lo condusse al prestigioso incarico di segretario generale nel Ministero delle Finanze diretto da Giuseppe Prina. Consigliere di Stato nel Consiglio degli uditori, barone del Regno, cavaliere della Corona ferrea, membro del Collegio elettorale dei dotti, Custodi può essere dunque annoverato a pieno titolo tra i principali notabili napoleonici.
Assente dalla città nella fatidica giornata del 20 aprile 1814, quando si consumò il linciaggio di Prina, dalla caduta del Regno, Custodi conobbe una crescente, ancorché non immediata, messa ai margini. Provò in un primo momento a proseguire, alla luce delle profonde competenze finanziarie e amministrative acquisite, la carriera di funzionario, recandosi alla fine del 1815 a Parma con l’incarico di intendente generale delle Finanze, ma l’esperienza si rivelò catastrofica e fu costretto alle dimissioni. Da allora la carriera di funzionario si chiuse definitivamente, lasciando Custodi alle prese con gli studi e la raccolta di testi, sempre più isolato nella sua villa di Galbiate e sempre più spesso oggetto delle fastidiose attenzioni della censura austriaca, che ostacolò molti dei suoi progetti di pubblicazione, a cominciare dalla continuazione della celebre Storia di Milano di Pietro Verri.
Gli ultimi anni dell’«erudito barone Custodi» – che si avvicinò significativamente agli «Annali universali di statistica» – furono segnati dalla feroce polemica con Paride Zajotti, anonimo autore nel 1834 della Semplice verità opposta alle menzogne di Enrico Misley, nella quale l’antico giacobino era preso direttamente di mira trovandovi plauso la decisione della censura di pretendere dei tagli alla sua Storia di Milano. Impossibilitato dalle più alte autorità austriache a ottenere soddisfazione, Custodi si rinchiuse sempre più negli studi e nella passione bibliofila, non senza rinunciare a vergare le proprie ragioni in una Memoria ultima rimasta a lungo inedita e pubblicata da Daniele Rota alla fine degli anni Ottanta.
Fatto dono dei suoi numerosi volumi e manoscritti alla Biblioteca ambrosiana, si spense a Galbiate il 15 maggio 1842.
Sin dagli anni pavesi, la precoce adesione di Custodi al giacobinismo indirizzò il suo interesse dagli studi giuridici, nei confronti dei quali manifestò da subito una forte istanza antiretorica, a quelli filosofici ed economici, erede in questo del razionalismo illuminista e di quella tradizione di pensiero italiana che, attraverso la riflessione di Niccolò Machiavelli e Giambattista Vico, era «ispirata ad un vigoroso realismo e ad una considerazione storica delle vicende politiche» (Criscuolo 1987b, p. 35).
Fu allora, nel 1794, che compose il saggio accademico Delle vicende delle società civili e de’ mezzi di ritardarle, scritto rimasto sino ad anni recenti inedito. Il saggio appare assai importante perché Custodi vi espresse in maniera articolata la propria concezione del vivere associato, la cui ispirazione politico-egualitaria lo avrebbe condotto ad accentuare l’importanza della dimensione economica, una prospettiva poi ripresa nella prefazione al Rapporto del cittadino Haller al primo console della Repubblica francese su le rendite e le spese dell’anno IX, nel 1801. Il saggio del 1794 fa emergere le diverse matrici culturali di cui si nutrì il giovane studente pavese. Dalla visione rousseauiana dello stato di natura e della conseguente attribuzione dell’infelicità dell’uomo alla società, all’ineguale distribuzione delle ricchezze, alle correnti settecentesche che prospettarono un crescente impoverimento della società, e in particolare dei ceti popolari (si pensi, per es., a celebri passaggi di Gaetano Filangieri nella Scienza della legislazione), alla riflessione sul lusso, alla lezione di Ferdinando Galiani nella critica ai fisiocrati circa l’equilibrio naturale del mercato e l’infatuazione per l’idea dell’imposta unica.
Non vi è alcun dubbio che per Custodi fosse l’eccessiva diseguaglianza delle ricchezze all’origine dell’instabilità politica, e pertanto «il momento economico serv[isse] a spiegare l’evoluzione politica della società» (Criscuolo 1987b, p. 127). Un collegamento tra sfera politica e sfera economico-sociale dai tratti un po’ grossolani ma che, oltre a essere all’origine della convinta adesione alla stagione robespierrista, radicò in Custodi la propensione allo studio del pensiero economico in chiave, per l’appunto, politica, nella convinzione che anche nel regime repubblicano instaurato in Francia «solo una vera eguaglianza economica pote[sse] dare solidità e durevolezza al nuovo ordine di cose» (p. 181).
Nella seconda parte del saggio Custodi propose dunque di porre rimedio al problema della disuguaglianza di condizioni, non immemore – nella predilezione per il gradualismo e nella riluttanza nei confronti di interventi diretti e drastici (nel senso di eccessivamente ‘vincolanti’, proibitivi o coercitivi che fossero) – della tradizione di pensiero della «scienza economica italiana del XVIII secolo» (p. 193), da Verri ad Antonio Genovesi a Galiani, e della grande stagione delle riforme, in particolare in Lombardia. Ma di matrice settecentesca – si pensi almeno a Gabriel Bonnot de Mably e ai fratelli Giovanni Battista e Dalmazzo Vasco – era anche la principale ‘ricetta’ egualitaria, ovvero l’idea di regolare la successione legando la proprietà alla famiglia e non all’individuo, sino a giungere gradualmente a una completa abolizione dei testamenti. Elemento centrale del piano di Custodi era inoltre l’istituzione di un censo universale di tutti i beni, mobili e immobili, così da poter esercitare un controllo costante delle ricchezze delle famiglie impedendo in tal modo ogni successiva alterazione dell’equilibrio sociale e politico su cui si sarebbe dovuta fondare la repubblica. Un’imposta diretta e progressiva su tutte le proprietà delle famiglie avrebbe garantito un riequilibrio crescente, conducendo – come già ventilato dal pensiero fisiocratico – all’eliminazione dell’imposta medesima.
Fu questo, in estrema sintesi, l’approdo – forse non molto originale ma non per questo meno interessante – della riflessione economico-politica di Custodi negli anni pavesi. In essa apparivano inestricabilmente legate, sulla base del posto preminente accordato all’economia, le istanze teoretiche e, in prospettiva, quelle pratiche, queste ultime destinate a diventare imprescindibili nel momento in cui nella situazione dell’Italia si fosse aperto – come desiderato dal fronte democratico sin dai primissimi anni Novanta – un nuovo orizzonte di possibilità d’intervento diretto per contribuire all’auspicata palingenesi sociale.
Tale nuovo orizzonte si aprì concretamente con l’arrivo delle truppe del giovane generale Bonaparte nella primavera del 1796. Ma per molti sinceri giacobini, che pur accolsero con entusiasmo il generale corso, l’illusione durò poco, dissipata – come accennato – da una crescente insoddisfazione per la politica francese in Italia. Il primo intervento pubblico di Custodi fu rappresentato dall’opuscolo Della sovranità del popolo e dell’eccellenza di uno Stato libero, nel quale era espressa l’idea-chiave che vedeva nel popolo il fondamentale perno attorno a cui edificare, tramite rappresentanti legittimi, il nuovo ordine democratico-repubblicano, a condizione però che il popolo fosse fatto oggetto di un’adeguata opera di educazione che lo rendesse maggiormente consapevole dei propri diritti.
Nel giro di breve tempo tuttavia Custodi si dovette misurare con una realtà che appariva sempre più distante da quanto avevano auspicato i patrioti nel momento della ‘liberazione’ da parte della grande nation.
È una prospettiva – quella critico-militante – che (come già accennato) era destinata a mutare sensibilmente dopo Marengo. Custodi – non diversamente da molti giacobini vistisi costretti ad adottare quella che Umberto Carpi ha definito la «doppia verità» – si rese conto ben presto che «non restava che predisporsi a custodire in segreto gli ideali generosi di un tempo, e preparare intanto la nazione alla libertà attraverso un lento processo di crescita culturale e civile», lanciando la «parola d’ordine» della «educazione nazionale» (Criscuolo 1987b, p. 329). Pur senza rinunciare del tutto al tentativo di «evitare una soluzione autoritaria sul piano politico e moderata sul piano sociale», «si convinse abbastanza presto dell’inutilità della sua battaglia» (p. 331), che decise pertanto di condurre su tutt’altro piano, anche in virtù delle nuove mansioni di funzionario di cui fu investito.
In questo quadro di «crudele ma pur utile disinganno» si inserì la progettazione, nel corso del 1802, dei volumi SCIEP, quarantotto volumi che vedranno la luce tra l’autunno del 1803 e il marzo 1805, completati poi più di dieci anni dopo con un volume di supplementi e uno di indici (compilato dall’amico abate Vincenzo Dalberti). Grazie al robusto sostegno finanziario delle autorità della Repubblica – che Marino Berengo ebbe a definire «la copertura più massiccia di cui ci sia rimasta memoria in tutta l’età napoleonica» (1980, p. 23) – e a un’alacre attività di ricerca e selezione dei testi, Custodi portò a termine un’impresa davvero imponente, facendo della sua «memorabile raccolta» (così Carlo Cattaneo nel «Politecnico» del 1842) un punto di partenza imprescindibile per la definizione di una storia del pensiero economico italiano. Come avrebbe detto Giuseppe Pecchio qualche anno più tardi, con la SCIEP «l’apparato della nostra scienza economica diveniva utile ne’ primordi d’un nuovo stato, e necessario a nostra giustificazione contro quegli stranieri, che ci insultavano come fanciulli nella grand’arte dell’uomo di stato» (Antonielli 1985, p. 522).
È opportuno seguire le parole dello stesso Custodi, riportando per intero la Dedicatoria che significativamente rifiutò – come sarebbe stata prassi per un lavoro del genere, tanto più in ragione del sostegno finanziario ricevuto – di indirizzare al presidente della Repubblica italiana Bonaparte:
Le dedicatorie ai Potenti sono sempre un omaggio; ma coloro che ne sono degni lo spregiano: e quelli che no’l meritassero lo pretenderebbero invano da chi fu sempre superiore all’ambizione, né conosce il timore, contento dell’onorata sua mediocrità. Io indirizzo questa Raccolta agl’Italiani che si sentono ancora stimolo d’onore e fervida brama di giovare alla comune loro patria. Senza il sussidio della loro opera simultanea, concorde, costante, l’Italia sospirerebbe inutilmente di risorgere dalle sue rovine. La pluralità del popolo non legge; ma l’istruzione verbale e pratica dei pochi che leggono ammaestra il popolo. Fu pertanto mio solo proposito di rendere più facili a que’ pochi i mezzi d’istruzione; né io pretendo di cogliere dal loro buon esito altro frutto, se non la compiacenza che può avere un armaiuolo che ha fornito d’armi un esercito, per la vittoria che con quell’armi lo stesso esercito avrà riportato (Scrittori classici italiani di economia politica, parte antica, t. 1, 1803, pp. V-VIII).
L’opera di Custodi – pur faticosamente individuale – si colloca in una stagione nella quale molti furono gli intellettuali italiani che, con accenti diversi, andarono alla ricerca – con chiaro intento identitario venato da risvolti polemicamente antifrancesi – del primato italiano in diversi campi del sapere e della pratica.
Gli scritti degli autori italiani erano rimasti sconosciuti o poco apprezzati. Si trattava di un problema politico enorme, perché l’ignoranza degli italiani sulla loro cultura appariva a Custodi il motivo fondante che rendeva in qualche modo legittima la dominazione di cui erano stati (e continuavano a essere) oggetto:
Gli esteri che da tanti secoli si dividono a vicenda le spoglie d’Italia, amando di farci credere abbietti come lo spietato colono dell’Indie dice brutale il Negro che vuol tener schiavo, non si vergognarono di asserire che quel paese, dal quale già uscirono gli antichi loro padroni, che negli ultimi secoli produsse i maestri del mondo nelle belle e nelle utili arti, e che fu culla di Macchiavello, di Genovesi, di Verri e di Filangieri, non sia atto ad un proprio governo, e convenga perciò che soggiacia ad un meritato avvilimento. Ma quando l’imparziale osservatore riscontrerà riuniti in questa Raccolta, non già tutti gli scrittori economici Italiani, ma que’soli che a ragione possono chiamarsi maestri nella parte della scienza che hanno preso a trattare, dovrà confessar certamente che neppure sotto questo rapporto siamo noi inferiori agl’Inglesi e ai Francesi, quantunque l’estensione della loro potenza presenti un più vasto soggetto agli speculativi, poiché le circostanze dei tempi e dei luoghi influiscono sempre essenzialmente a fissare e ad estendere il genio degli scrittori (pp. XII-XIII).
Dunque era «ormai tempo che gl’Italiani si stanc[asser]o di essere stati finora il ludibrio delle altre nazioni; e in vece di starsene indolentemente ammirando la potenza di queste, si volg[esser]o ad imitarle», così da poter finalmente tornare a essere «ricchi, potenti, stimabili e stimati» (pp. XV-XVI). Con la raccolta egli intendeva pertanto «render facili e comuni i mezzi dell’istruzione economica, senza della quale non [era] sperabile il risorgimento di una nazione» (p. XVI). Era tempo finalmente – concludeva – che «tutti i generosi Italiani, malgrado le accidentali circoscrizioni diplomatiche» che dividevano il loro Paese, si abituassero «a riguardarsi come figli di una comune patria», e che abbandonata «la smania per i soavi versi, per i sonori e vuoti periodi e per le lascivie del parlar Toscano», essi si volgessero finalmente ai «veri e sodi studj della politica economia», così da vedere «tosto l’Italia sorger florida e felice» (p. XVIII).
Non è il caso di procedere oltre nell’esame, ma un’ulteriore considerazione in merito alla scelta degli autori va fatta, poiché con essa Custodi si disse certo di aver assicurato «all’Italia anche nella scienza economica il primato su tutte l’estere nazioni» (Avvertimento, in SCIEP, parte moderna, t. 41, 1805, p. 6).
Oltre alla presenza di personaggi quali Pietro Verri, Cesare Beccaria, Gian Rinaldo Carli, Pompeo Neri, Lodovico Ricci, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, ciascuno dei quali ‘introdotto’ dall’editore con pagine di più o meno ampia sintesi sulla vita e gli scritti, tra gli oltre trenta autori della raccolta un ruolo di primissimo piano (ben sette tomi più quasi tutto quello dei Supplimenti del 1816) spettò a Giammaria Ortes, definito senza tema «il più profondo scrittore di politica economia» (Notizie di Giammaria Ortes, in SCIEP, parte moderna, t. 21, 1804, p. XL). Una scoperta rivendicata con orgoglio e che riannodava in qualche modo la raccolta alle preoccupazioni degli studi giovanili nei quali – pur senza ancora conoscere l’economista veneziano – era apparsa centrale la questione del rapporto tra «le ricchezze dei ricchi» e «la povertà dei poveri» (Ortes citato da Criscuolo 1987b, p. 123).
Da notare poi la tutto sommato equanime distribuzione geografica degli autori, dove la tanto netta quanto ovvia preminenza ‘napoletana’ era controbilanciata dalla presenza di lombardi, toscani, emiliani, veneti e piemontesi, oltre a un rappresentante della Calabria (l’amatissimo Antonio Serra), della Sicilia e di Roma. Insomma, forse anche in questo Custodi si adoperò a cucire un progetto ‘unitario’ che non suscitasse eccessive gelosie municipaliste.
Non sorprende pertanto se, grazie a questo straordinario sforzo editoriale non meno che all’opera di Pecchio durante la Restaurazione, la raccolta divenne «l’obbligatorio punto di riferimento per un’intera generazione di economisti italiani, e ciò per lo meno sino a metà Ottocento, quando apparve la Biblioteca dell’economista del Ferrara» (Antonielli 1985, p. 522).
Vengono di seguito riportati i principali scritti editi nel corso dell’Ottocento, non comprendendo gli inediti pubblicati in seguito da Vittorio Criscuolo, Carlo Antonio Vianello, Daniele Rota o da altri:
Della sovranità del popolo e dell’eccellenza di uno Stato libero, Opera scritta originalmente in inglese nell’anno 1656, Milano, nella stamperia a S. Mattia alla Moneta presso S. Sepolcro, l’anno I della Repubblica cisalpina.
Osservazioni sul libro intitolato concordia tra la società e la religione, Milano, Mainardi, anno VI repubblicano.
Avviso di un patriota al comitato di costituzione, Milano, nella stamperia a S. Mattia alla Moneta presso la Biblioteca ambrosiana [1797].
Al Gran Consiglio della Repubblica cisalpina, Milano, nella stamperia a S. Mattia alla Moneta presso la Biblioteca ambrosiana, 18 ventoso a. VI.
Rapporto del cittadino Haller al primo console della Repubblica francese su le rendite e le spese dell’anno IX con una Prefazione del traduttore sopra un progetto di ben ordinare una Repubblica senz’imposte, e sugli studj di politica economia, Milano, nella stamperia a S. Mattia alla Moneta presso la Biblioteca ambrosiana, 1801.
Scrittori classici italiani di economia politica [SCIEP], parte antica [p.a.], tt. 1-7 e parte moderna [p.m.], tt. 1-41, Milano, Destefanis, 1803-1805; Supplimento, t. 49 e Indici, t. 50, Milano, I.R. Stamperia, 1816 (cfr. anche rist. anast. a cura di O. Nuccio, Roma 1965-1969).
Conversazione di una notte nell’isola di Frislanda. Almanacco per l’anno 1804 col calendario francese, Milano, nella stamperia a S. Mattia alla Moneta presso San Sepolcro, s.d.
Scritti scelti inediti o rari di Giuseppe Baretti con nuove memorie della sua vita, Milano, G.B. Bianchi e C., 1822.
Storia di Milano del conte Pietro Verri colla continuazione del barone Pietro Custodi, e coi testi latini tradotti dal cav. L. Bossi, Milano, Destefanis, 4 tt., 1824-1825.
Lettera del barone Pietro Custodi a Sua Eccellenza il barone Antonio Mazzetti in riscontro alla granulazione che questi pubblicava nel 1838 per l’incoronazione di Ferdinando I in Milano e ad illustrazione della storia genuina di casa d’Austria negli ultimi cinquant’anni, a cura di F. Longhena, Milano, Tipografia Pagnoni, 1848.
G. Pecchio, Storia dell’economia pubblica in Italia, ossia epilogo critico degli economisti italiani, Lugano 1829 (rist. a cura di G. Gaspari, Carnago 1992).
Un diario inedito di Pietro Custodi: 25 agosto 1798-3 giugno 1800, a cura di C.A. Vianello, Milano 1940.
I carteggi di Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, 1° vol., Milano 1958.
G. Rastelli, Censura, autocensura e sequestro di un libro scomodo. Pietro Custodi e il IV volume della “Storia di Milano” di Pietro Verri, «Rassegna storica del Risorgimento», 1977, 64, pp. 387-408.
M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, in partic. pp. 22-25.
L. Perini, Editori e potere in Italia dalla fine del secolo XV all’Unità, in Storia d’Italia, Annali 4, Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino 1981, pp. 763-853, in partic. pp. 838-41.
L. Antonielli, Custodi Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 31° vol., Roma 1985, ad vocem.
V. Criscuolo, Alcuni scritti inediti di Pietro Custodi, «Critica storica», aprile-giugno 1987a, pp. 297-327, ora in Id., Albori di democrazia nell’Italia in Rivoluzione (1792-1802), Milano 2006, pp. 179-206.
V. Criscuolo, Il giacobino Pietro Custodi (con un’appendice di documenti inediti), Roma 1987b.
Pietro Custodi, 1° vol., La figura e l’opera. Scritti memorialistici, a cura di D. Rota, Lecco 1987.
C. Capra, Alle origini del moderatismo e del giacobinismo in Lombardia: Pietro Verri e Pietro Custodi, «Studi storici», 1989, 4, pp. 873-90.
Pietro Custodi tra rivoluzione e restaurazione, Atti del primo Convegno nazionale, Milano-Lecco-Galbiate 1987, a cura di D. Rota, 2° vol., Lecco 1989 (in particolare G. Barbarisi, L’editore e conservatore di testi, pp. 61-79; S. Bartolozzi Batignani, Custodi e gli scrittori economici toscani del ’700. Analisi critica di una scelta editoriale, pp. 193-221; A. Macchioro, La raccolta Custodi “Scrittori classici di economia” fra la statistica e l’economia politica, pp. 139-64, ora anche in A. Macchioro, Studi di storia del pensiero economico italiano, Milano 2006, pp. 1-25).
R. Romani, L’economia politica del Risorgimento italiano, Torino 1994.