D'AFELTRO, Pietro (Petrus Feltrus o Feltrius)
Nacque a Napoli nel 1463. Le scarse notizie che si hanno sulla sua vita, tra cui quelle riguardanti la città natale e la data di nascita, sono per lo più tratte da alcuni cenni negli scritti dello stesso D'Afeltro.
La grafia del nome oscilla tra Petrus Feltrus o Feltrius - nel frontespizio delle sue opere - e Petro Dafeltro, d'Afeltro o de Afelatro, come risulta dai libri di pagamento dell'università di Napoli. L'oscillazione tra Feltrio e de Afelatro si registra anche per un discendente di questa famiglia napoletana, Antonio (m. 1562) che scrisse una Chronica delle cose del Regno di Napoli ricavate da' notamenti de' suoi antenati dal 1434 al 1496 (in Raccolta di varie croniche ..., I, Napoli 1780, pp. 289-298).
La prima testimonianza sul D. lascia intravedere i rapporti che egli, ancora giovane, aveva stretto con l'ambiente dell'Accademia Pontaniana, che costituiva il centro di richiamo e di confronto dell'intera cultura napoletana aragonese. Nell'Eridanus (composto nel 1483-84) il Pontano, infatti, in un epigramma diretto a Girolamo Carbone, in cui lo invita alle riunioni del suo circolo, aggiunge: "Feltrius accedat tecum; te culta Patulcis, / Illuin pro foribus Antiniana manet" (lib. I, ep. XL, vv. 37 s.).
Nell'anno 1487-88, il D. ottenne dal re Ferdinando la cattedra di metafisica presso lo Studio di Napoli, con uno stipendio di 36 ducati. L'insegnamento durò solo un anno in quanto l'università fu chiusa in relazione alla congiura dei baroni (1487).
Già da questo momento egli prese posizione contro le dottrine scotiste, le quali dovevano riscuotere successo e consenso nella cultura napoletana, se proprio a Napoli nel 1475 furono stampate (da Bertoldo Rihing) le Quaestiones in Metaphysicam Aristotelis di Antonio D'Andrea, seguace di Duns Scoto (M. Fava-G. Bresciano, La stampa a Napoli nel XV secolo, II, Leipzig 1912, pp. 89 s.). Non a caso contro Antonio D'Andrea il D. polemizzerà a lungo e con toni molto pesanti, facendo riferimento proprio a questo primo anno di insegnamento. A tale data va probabilmente assegnata una Questio de subiecto naturalis philosophie, un incunabolo di recente scoperto dal Veneziani e attribuito alla tipografia napoletana di Mattia Moravo negli anni 1485-90. Il D. dedica la Questio a Girolamo Galeota, fratello del più famoso Francesco (E Flamini, Francesco Galeota ..., in Giorn. stor. della lett. ital., XX [1892], p. 5) e suo collega presso lo Studio napoletano, al quale sembra legato da vincoli di amicizia e di protezione culturale. Di fronte al problema "utrum ens mobile in quantum mobile sit subiectum naturalis philosophie" (c. 1r), egli espone le opinioni dei tomisti, dei seguaci di Alberto Magno ed Egidio Romano, degli "scotizantes" (e tra di essi Antonio D'Andrea), nonché del "modernus doctor" Nicoletto Vernia, per concludere che la filosofia naturale di Aristotele è tramandata "erronee et insufficienter" (c. 2v).
La caduta della dinastia aragonese, le guerre e le invasioni dei Francesi (1494-98) dovettero coinvolgere lo stesso D. ed è probabile che fin da questi primi momenti egli si sia rivolto al cardinale Oliviero Carafa che lo accolse nella sua familia e del quale fu medico personale: "tu solus inter coeteros occurristi..." ricorda nella prefazione al De fato del 1508. Legato alla familia del Carafa fu anche Niccolò D'Afeltro, notaio, che ne stilò il testamento nel 1511.
L'apertura dello Studio napoletano coincise anche per il D. con la ripresa dell'insegnamento: per l'anno 1507-08 egli ottenne la lettura di fisica con uno stipendio di So ducati, e ad anni alterni insegnò filosofia e fisica, scambiando la cattedra con Cola Santillo. Al risveglio della vita culturale napoletana - basta ricordare la presenza a Napoli di Egidio da Viterbo, il tentativo del Carafa di istituire un'Accademia - corrispose un rinnovato impulso dell'attività tipografica. Gli opuscoli del D., pubblicati da Giovanni Antonio Caneto, sono senza dubbio in relazione con l'insegnamento (lettura e commento ai testi in particolare Aristotele e Averroè), ma in essi si riscontrano gli echi delle recenti guerre e le preoccupazioni per la vita politica e culturale della città. A Bernardino Carvajal, cardinale di S. Croce, che ricopriva la carica di legato a latere il D. dedicò la ProemiiAverroys in libros phisicorum Aristotelis expositio, un breve trattato che il Rhodes assegna al 1505, ma che va collocato tra il 16 luglio e il 3 ag. 1507 (data in cui il Carvajal trasferì il titolo cardinalizio).
Nella Expositio il D. accenna alla distinzione tra fisica e metafisica, alla utilità della filosofia naturale, e segue fedelmente il proemio del commentatore arabo, ad eccezione del passo dove Averroè parlava delle virtù morali dei filosofi, "sapientes, iustos, temperantes, magnanimos" (ed. Venetiis 1550, c. 1v). Il D. fa riferimento, invece, ai "philosophi huius temporis" che egli giudica "iniustos, parciales, mendaces, luxuriosos, vitiosos" (c. 6v); ma se ciò accade - egli aggiunge - la causa è da ricercarsi nei "reges ac principes huius seculi", che sono per la maggior parte "vitiosi" (c. 7v) e quindi i filosofi e i sudditi non possono comportarsi diversamente.
Il 20 marzo 1508 il D. pubblicò presso Giovanni Antonio Caneto il De fato e lo dedicò al Carafa, così come al Carafa il Nifo aveva già dedicato il De nostrarum calamitatum causis e Battista Spagnoli il De calamitatibus libri tres: opuscoli di tale genere, sia per il loro contenuto, sia soprattutto per gli interrogativi ai quali vogliono rispondere, sono nella maggior parte dei casi collegati a tumultuose vicende politiche e di guerra, così come suggeriscono, per rimanere nell'ambito della cultura napoletana, il De varietate fortunae del Pontano e alcuni scritti di Tristano Caracciolo.
Nel De fato, indirizzato contro gli "haeretici" e i seguaci di Epicuro e contro coloro che sono affascinati dalla "astrologiae vanitas" (c. Ar), il D. esamina le varie "opiniones" (degli stoici, degli epicurei, dei poeti pagani, degli "astronomici" ed infine dei "nostri theologi") ed accenna al consueto problema del male e a quello dei "futuri contingenti", ai quali nega validità scientifica. Polemizza inoltre contro l'astrologia, discute sulle varie interpretazioni averroistiche e ribadisce infine le "verità" dei teologi. L'uso che egli compie di Averroè è significativo: se, da un lato, lo presenta come un avversario dell'astrologia (utilizza sapientemente un passo di Averroè di commento alla Metaphysica, lib. XII, comm. 45), lo isola dal suo contesto, inserendolo tra le authoritates della sua polemica, dall'altro ripete l'adagio di un Averroè "reprobus" e "maledictus" (c. Bv).
Il D. continuò ad insegnare "Filosofia de fisica" e "Filosofia de anima" (dal 1516 lo stipendio è elevato a 60 ducati) fino al 1518, quando venne sostituito da Giacomo Petrucci, mentre per gli anni 1518-19 e 1519-20 ottenne una cattedra di "prattica de medicina": del resto egli si dichiarava nei frontespizi delle sue opere "medicorum. ac philosophorum minimus" oppure "arcium et medicinae doctor". Probabilmente a questa data egli interruppe l'insegnamento per limiti di età, e solo nel 1523-24 ebbe la cattedra straordinaria "Noni Almansoris", con uno stipendio di 60 ducati.
Nel 1526 (17 giugno) egli pubblicò la Lectio prima in Metaphysica et quaestiones in duodecim libris metaphisicae presso lo stampatore Evangelista da Pavia, il cui testo è preceduto da alcuni versi di Girolamo Carbone e da un epigramma di Pietro Suminonte, figure che ricoprirono un ruolo considerevole per l'editoria napoletana.
Il richiamo ad una corretta lettura dello Stagirita, a quanto si deduce dalle parole del Summonte, colloca l'opera del D. nel dibattito aristotelico del primo Cinquecento, come è confermato anche con il suo ricorrere allo stesso Aristotele contro il parere dei "moderni philosophi" (c. 72v). La Lectio è dedicata a Clemente VII: nella prefazione il D. ricorda che il commento alla Metaphysica era nato al tempo della sua prima cattedra ("dum iuvenis essem", c. 6r), e che solo su consiglio dei suoi ex discepoli, i quali" nunc Doctoratus insignia gerunt" (c. 2r), si era deciso a pubblicarlo. Vi emerge la polemica contro le "vane scienze" (negromanzia, geomantica, ecc.) e di pari passo l'esaltazione di una scienza che sia "rectrix" e regina delle altre, cioè la metafisica. Nel corso dell'esposizione il D. polemizza di continuo contro Duns Scoto e Antonio D'Andrea e inoltre segue per la maggior parte le quaestiones che Averroè aveva delineato nel suo commento alla Metaphysica e alla Physica. La Lectio fu ripubblicata nel 1529 da Giovanni Sultzbach.
Dopo il 1526 nessuna notizia rimane del D., ed è probabile che, a poca distanza di mesi o di anni, debba collocarsi la sua morte.
A lui sono anche attribuiti due opuscoli anonimi, Passionis domini nostri Iesu Christi meditatio devotissima e la Questio an de rebus naturalibus possit haberi scientia, entrambi conservati presso la Biblioteca Colombina di Siviglia, a proposito dei quali il Manzi accetta l'attribuzione alla tipografia dei Caneto per l'anno 1508.
Fonti e Bibl.: A. Ciaconius, Vitae et res gestae.II, Romae 1677, col. 1003; G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 1, Napoli 1750, pp. 35 s.; G. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, I, Napoli 1753, pp. 246 s.; II, ibid. 1754, pp. 3, 47, 52; Biblioteca Colombina. Catálogo de sus libros impressos..., a cura di S. de La Rosa y López, III, Sevilla 1894, pp. 67 s.; E. Cannavale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli 1895, pp. 52-61; R. Filangieri di Candida, L'età aragonese, in Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924, p. 185; N. Cortese, L'età spagnuola, ibid., pp. 325, 330, 336, 419; P. de Montera, L'humaniste napolitain Girolamo Carbone et ses poésies inéd., Napoli 1935, pp. XXVIII, LXII, LXVIII, 60 s.; L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, VI, New York 1941, p. 492; A. Moricca Caputo, Appunti su alcuni incunaboli casanatensi, in Studi di bibliografia e di argomento romano in mem. di Luigi De Gregori, Roma 1949, p. 310; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliographical Dictionary..., III, Boston 1962, p. 2705; D. E. Rhodes, A Note on Petrus Feltrus, in Beiträge zur Inkunabelkunde, s. 3, I (1965), pp. 111 s.; P. Manzi, Annali di Giovanni Sultzbach, Firenze 1970, pp. 24 s.; Id., La tipografia napoletana nel '500, Firenze 1971, pp. 104 s.; 135-138; P. Veneziani, Miscell. incunabulistica, in La Bibliofilia, LXXXIV (1982), pp. 23-27.